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Autore: Lily White Matricide    20/08/2011    20 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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9.

Let Them Talk

 

We cannot control the evil tongues of others; but a good life enables us to disregard them”. Cato the Elder

Quell’irritante mal di gola non dava pace a Sev, nemmeno nella sera della festa di Natale indetta da Lumacorno. Quei quattro Maladrini avevano proprio sbagliato giorno ed occasione in cui confondere la preparazione della Pozione dell’Euforia. Non contenti, l’avevano fatta provare a tutti gli studenti, sotto suggerimento del Professore Lumacorno, totalmente perso nello spirito natalizio. Era una pozione alquanto complicata da preparare e sarebbe bastato un errore solo per causare un disastro di proporzioni epiche. Un vecchio adagio recitava che se le cose possono andare male, la certezza è che possono pure andare peggio, e così era stato. Quegli scapestrati avevano non solo sbagliato il preparato, ma l’avevano fatto provare a tutti, diffondendo l’effetto collaterale ai presenti.

 

Così, qualche decina di ragazzi tra Serpeverde e Grifondoro, compresi Lily e Severus, si erano ritrovati a cantare ogniqualvolta volessero aprire bocca, e avrebbero dovuto aspettare in silenzio che passasse il fastidioso effetto. Certo, il buonsenso suggeriva di comportarsi in questa maniera civile, ma quel concetto era piuttosto ignoto ai quattro esagitati, che avevano sfoggiato tutte le loro mediocri doti canore per l’intero pomeriggio, irridendo e disturbando innocenti ragazze, istigando altri Serpeverde a rispondere ai motteggi cantati. E così si era scatenata una guerra canora insopportabile. I poveri professori erano stati costretti a munirsi di speciali protezioni per le orecchie, perché talvolta il frastuono superava ogni umana sopportazione, arrivando esasperati a togliere punti su punti ad entrambe le case. Ma chi aveva dovuto subire in maniera peggiore quell’anarchia di voci, nella varietà più ricca, che andava dal molto stonato al celestiale, era stata l’inossidabile infermiera di Hogwarts, Madama Chips. La donna, con pazienza e rigore, aveva messo in fila tutti, intimando gli studenti a non fiatare minimamente, pardon, a non azzardarsi a cantare. La pena poteva essere una punizione molto severa, sebbene non ne fosse stata rivelata la natura. Lily, contravvenendo quella minaccia, si mise a canticchiare sommessamente una canzone di una cantante francese che piaceva tanto a sua madre, Edith Piaf, inventandosi un po’ le parole, perché non parlava quella lingua. Però aveva voglia di cantare quelle strofe dolcissime in quel momento unico, dove aveva in dono una voce tutto sommato gradevole, che le permetteva di cantare fino a perdere il respiro e la voce. I due ragazzi, dopo aver preso la loro dose di pozione calmante, si erano avviati a prepararsi per la serata speciale.

 

Severus camminava nervosamente ai piedi della scalinata che li avrebbe condotti alla festa. I medicamenti della buona infermiera avevano solamente alleviato e calmato la gola in fiamme per poco, facendogli tornare gradualmente la voce. Il dolore di tanto in tanto tornava alla carica. Si sistemò un po’ nervoso il dolcevita di lana nero e morbido e controllò di avere la giacca abbinata in ordine. Non era sua, era stato un gentile prestito di un Serpeverde del sesto anno, nel tentativo di sdebitarsi per l’aiuto che Severus gli aveva dato in alcune pozioni elaborate. Quello studente si sentiva in imbarazzo nell’essere aiutato da un mago più piccolo di lui e doveva pur ripagarlo in qualche modo. Quella sera, il ragazzo non voleva sfigurare di fronte a Lily in nessun modo e quella giacca si era rivelata provvidenziale. Aspettava la sua Lily, sentendosi curioso, lievemente nervoso, con quel turbamento dolce che ti fa sentire un caldo terribile anche in pieno inverno.

 

Severus provava ad immaginarsi come si sarebbe vestita la sua ragazza, come gli sarebbe apparsa davanti. No, leggere la mente non serviva a nulla. Oltretutto, la magia avrebbe tolto tutto il fascino della sorpresa, del rimanere a bocca aperta di fronte alla persona che ami. Per una volta, desiderava sentirsi un ragazzo normale, che non usa la magia, ma aspetta, appoggiato al muro, guardandosi attorno, trovando qualcosa per ammazzare il tempo. Iniziavano a passargli davanti dei ragazzi Serpeverde con le loro dame di compagnia e lo salutarono. Lui rispose con un timido cenno del capo. Per un attimo, una voce carica di acido e di cattiveria si fece strada nella sua mente: e se Lily non fosse più arrivata? Se l’avesse lasciato lì, perché aveva cambiato idea tutto un tratto? Se non avesse più desiderato la sua compagnia?

Severus scosse il capo per scacciare quei pensieri indesiderati. La sua ragazza non era fatta così, non era una delle tante smorfiose lunatiche che incontravi in giro per la scuola. Soprattutto, come poteva la sua ragazza, amante dei dolci, non venire a quella festa? Era semplicemente paura. A volte la paura di perderla gli attanagliava il cuore. Davanti ai suoi occhi si vedeva senza di lei, senza il profumo garbato e delicato che avvertiva ogni volta che l’aveva tra le sue braccia, senza la sua risata limpida come un cielo estivo. Il mago chiudeva la mente di fronte a quei timori e non li lasciava trasparire, non voleva farsi travolgere da stupide paure.

 

“Sev! Eccomi qua, perdonami il ritardo!”.

 

Quella voce, fin troppo nota, lo riscosse e lo riportò felicemente alla vita, alla realtà. Si voltò e pensò di aver avuto un’allucinazione. Era davvero Lily, la sua ragazza, quella che aveva davanti? 

 

La giovane era vestita di un bellissimo abito verde brillante, molto semplice, lungo fino alle ginocchia, dalle linee pulite e senza scollature particolari, non adatte alla sua giovane età. La gonna aveva qualche piega, che esaltava il tessuto lucente e prezioso. Le spalle rimanevano nude, attraversate solo dalle spalline alquanto sottili; data la stagione, Lily aveva deciso di coprirsi almeno per la prima parte della serata con un mantello argentato, leggero e brillante. Le scarpe, basse e semplici, erano dello stesso colore del mantello. Nessuno avrebbe mai detto che la ragazza appartenesse ai Grifondoro, quanto ai Serpeverde, per i colori scelti. Ma la cosa più sorprendente di tutte, erano i meravigliosi capelli di Lily. Per la prima volta in vita sua, Severus la vedeva con i capelli lisci. Di norma, erano mossi, ribelli, indisciplinati, di buona lunghezza. Ma quella sera, erano una cascata color rubino, piatta e liscia. Erano molto più lunghi del solito, brillanti e setosi. Appena Lily si avvicinò per salutare il proprio ragazzo, Sev le prese tra le mani una ciocca e ci lasciò scorrere le dita, senza aver ancora proferito parola. La guardò negli occhi intensamente, con uno sguardo che esprimeva amore e meraviglia. Lily rise e gli gettò le braccia al collo.

“Allora ti piaccio stasera?” gli chiese, contenta di averlo lasciato senza parole.

Sev fece per dire qualcosa, ma tossì con forza. Maledetto mal di gola, ancora una volta.

“Lily, sei bellissima. Anche a costo di essere monotono e prevedibile”. Iniziarono a salire la piccola scalinata, mano nella mano.

La giovane si fermò un attimo e squadrò il proprio ragazzo, con sguardo attento, ma rapito nei confronti del giovane vestito tutto di nero.

“Ti trovo veramente carino” fece lei, schiarendosi la voce. Il volto era luminoso e felice, con gli occhi verdi che lo fissavano magnetico. Quello sguardo il ragazzo lo conosceva bene. Era quello che aveva poco prima che la baciasse la prima volta, era quello che aveva quando stavano tranquilli in solitudine a scambiarsi qualche effusione, stando ben attenti a non farsi scoprire. Proprio quello sguardo che nelle ultime settimane si era illuminato di una leggera irriverenza.

E con quella stessa irriverenza, mista al suo spirito giocoso e ancora un po’ bambino, Lily lo afferrò e in un lampo appoggiò le proprie labbra sulle sue. Fu un attimo, e lui non ci capì più nulla. Amava la sua irruenza innocente. La rendeva irresistibile.

“Lo sai che toglieranno dieci punti a Grifondoro per quest’audacità, signorina Evans?” la prese in giro, mentre entravano nella sala riccamente addobbata e decorata. Lily gli rispose con una delle sue solite boccacce.

 

Tessuti vellutati e broccati avvolgevano i piccoli tavoli ricolmi di qualsiasi delizia o leccornia. Non c’erano molte sedie per sedersi, e quelle poche erano destinati agli adulti. In alternativa, erano stati predisposti enormi cuscini dai colori cupi e dalle trame broccate raffinatissime. Alcuni ragazzi si erano già lanciati poco elegantemente su di essi, a parlare tranquillamente tra di loro. Si parlava amabilmente di Quidditch, di qualche disavventura durante le lezioni di Erbologia o di Trasfigurazione, ma soprattutto, delle imminenti vacanze di Natale. Le ragazze rimanevano in piedi, e ridevano di gusto, confrontandosi gli abiti e gli accessori. L’atmosfera era rilassata e piacevole.

“Miei cari ragazzi, sono felice di vedervi!” li accolse il Professor Lumacorno, dando loro un bicchiere alto e stretto ciascuno, con un liquido dorato e frizzante. Lily e Sev si scambiarono un’occhiata perplessa. “Temevo che a causa dello spiacevole incidente di oggi, non ce l’avreste fatta a presentarvi alla festa” continuò Lumacorno.

“Oh, no, Professore. Abbiamo solo un fastidioso mal di gola al momento, ma non è nulla di grave” rispose Lily. Il Professore fu molto lieto della loro presenza e si complimentò con la giovane allieva per l’abito e l’eleganza.

Sev continuava ad osservare meditabondo il proprio calice, incuriosito.

“Figliolo, quello è champagne. Serve per il nostro brindisi” gli spiegò affettuosamente il Professore. Lily aveva trovato Emmeline tra gli invitati, in quanto era stata invitata da un ragazzo del Luma Club. Iniziarono a chiacchierare radiose, con le voci leggere e un po’ stridule, come tutte le ragazzine elettrizzate da una festa e dal fatto di essere accompagnate da un cavaliere. Sev era rimasto a parlare un po’ con il Professore di Pozioni, che gli fece vedere la bottiglia di pregiato champagne.

“Mi sono state mandate in dono da un mio ex-allievo illustre, Lucius Malfoy. Non sono sicuro che tu te lo ricordi, Severus”. 

Sentendo quel nome, il ragazzo sobbalzò. Era parecchio più grande di lui, ma se lo ricordava bene, per i capelli lunghi di un biondo accecante, quasi bianco, e per gli occhi di ghiaccio. Soprattutto, si ricordava del suo atteggiamento altezzoso e snob, assieme alla sua splendida fidanzata, Narcissa Black. E poi, circolavano voci inquietanti circa le sue vedute: Lucius non vedeva di buon occhio i maghi nati babbani, come Lily. Non si poteva dimenticare uno come lui, anche se con Severus si era rivelato tutto sommato gentile ed estremamente educato, nonché colpito dalla rara conoscenza di magie ed incantesimi da parte del giovane mago. Non si erano conosciuti in maniera approfondita, data la differenza d’età.
“Questa sera il caro Lucius non è potuto venire, e per scusarsi ci ha mandato dello squisito Veuve Clicquot Ponsardin. Mi avrebbe fatto molto piacere averlo qua questa sera, ma mi ha scritto un biglietto, dove si scusava per esser stato trattenuto dal suo lavoro molto impegnativo”. Sev si sentì percorso da uno strano brivido freddo e s’incupì per un attimo. Sarebbe stato meglio non proseguire nell’indagine, avvertiva qualcosa di strano in quell’assenza, in quel mago dal fascino glaciale. Preferì ignorare quella sensazione, brindando educatamente con tutti gli altri, per poi andare a cercare la presenza rassicurante e luminosa di Lily, che lo accolse con un sorriso radioso. Le nubi, le preoccupazioni, il velo di oscurità venivano spazzate via da lei, vento di primavera. Era bella, con quel sorriso incorniciato da quelle ciocche lisce. Si era tolta il mantello e la sua pelle candida, costellata da lentiggini, veniva esaltata da quel verde vivo.

“Eccoti, vagabondo!” esclamò ridendo Lily, posando il suo piattino con dei dolcetti ed alzandosi per andargli incontro. Sev le cinse la vita, finalmente più sollevato, e le pizzicò affettuosamente un fianco.

“Sono qua, mangiona. Devo tenerti d’occhio, altrimenti mi scappi via con il piatto ricolmo di dolci”. Lily sbuffò, non troppo seriamente.

“Poi dovrai farmi le pozioni dimagranti, e mi chiedo se esistano, a dire il vero!” 

“No, non direi proprio, dovrei inventarmele di sana pianta! Sei rovinata!” 

Si adagiarono sui cuscini, rilassati, intanto che una delle ex-allieve di Lumacorno si esibiva con il suo piccolo gruppo di musicisti, presso il camino enorme della sala. Erano canzoni tipiche di Natale, ma il suo repertorio andava a recuperare anche canzoni babbane degli anni ’30 e ’40. 

 

Poi, all’improvviso, una delle tovaglie dei tavoli ebbe uno strano movimento, come se fosse stata colpita da una folata improvvisa di vento. Come se ci fosse qualcuno sotto. Chiaramente, nessuno se ne accorse, dato che erano tutti impegnati ad ascoltare la cantante, od a chiacchierare in tranquillità. Lo champagne contribuiva ad obnubilare i sensi, specie quelli degli adulti, a sufficienza per non accorgersi di alcunché. E poi, delle ombre sfrecciavano dietro le tende semitrasparenti a più strati. No, decisamente, c’era qualche intruso in quella sala. I sospetti erano molto pochi, era qualcuno che trovava infinitamente più divertente rovinare una festa a cui non erano stati invitati. E Lily e Sev si guardarono, leggermente sconsolati, e senza dirsi una parola, si alzarono in piedi e andarono verso le tende dell’entrata. Avevano praticamente chiaro di chi si trattasse. 

Lily estrasse la bacchetta.

“Vado a prendere Sirius Black, tanto so che è lui. Anche se stasera mi sembrano solo in due” disse lentamente, con un misto di rabbia e di rassegnazione nella voce, andando verso la tenda destra. Sentiva l’impellente bisogno di schiantare uno dei quattro, o meglio uno dei due quella sera, non ne poteva più delle loro interferenze e dei loro scherzi idioti. Sev andò verso la tenda sinistra rispetto all’entrata, arrivando alle spalle del suo acerrimo nemico, James Potter. Poteva avvertire la sua presenza lontano un chilometro. Era una presenza realmente disturbante per il giovane Serpeverde.

S’infilò con agilità nella tenda. Eccolo. 

Gli puntò con cautela la bacchetta tra le scapole.

“Buonasera, Potter” fece freddamente “Bella serata da passare dietro una tenda, non è vero?”

Potter rimase calmo, e con la solita voce insolente rispose: “Piuttosto, ti sembra leale attaccarmi alle spalle, Mocciosus?”.

Sev era più alto del Grifondoro; lo prese per una spalla e gli ficcò con più insistenza la bacchetta nel dorso.

“Tu, Potter, ti metti a pontificare sulla lealtà di un attacco? Tu, che non sai fare altro che aggredire una persona con almeno altre tre persone al tuo fianco? Quello invece ti sembra onesto, non è vero?” la sua voce era lapidaria, carica di livore nei confronti di quel ragazzetto antipatico, senza arte né parte, che lo aveva fatto patire non poche volte. Adesso provava un piacere oscuro ad averlo messo in difficoltà, ad averlo sorpreso così. Il sangue gli ribolliva nelle vene.

Lo prese per una spalla e lo tirò fuori dal suo nascondiglio. Perché sembrava sempre così dannatamente sicuro di sé? Perché pensava che avrebbe sempre avuto l’ultima parola? Severus mai e poi mai gli avrebbe dato la libertà di divertirsi a sabotare quella festa, anche a costo di farla saltare per aria lui stesso. Per quale motivo quei quattro non avevano ancora ricevuto una punizione definitiva per quel loro comportamento? Quel ragazzo di nero vestito, quello che l’arrogante Grifondoro aveva definito “un morto”, si sentiva bruciare l’anima di un fuoco dalle fiamme verdeggianti e bluastre. Sorrise cupamente, increspando le labbra.

“Lascia che ti accompagni all’uscita, non sei gradito qua dentro”. Il Serpeverde si sentiva per una volta in vantaggio, superiore, finalmente in una posizione di forza. Senza troppi complimenti, disarmò il suo nemico, per sicurezza.

“M-Mocciosus fai anche il buttafuori ora? Perché non vai da quella gattamorta della Evans e mi lasci tranquillo?” lo aggredì James, cercando di divincolarsi dalla presa di Sev, che gli stritolava la spalla, toccando un punto nevralgico, suscitandogli molto dolore. Sapeva dove colpire, con estrema precisione.

“Gattamorta a chi, ameba?” esclamò Lily, che aveva preso in ostaggio Sirius Black, in preda alle risate. Evidentemente, non era molto convinto di quell’imboscata. Probabilmente, solo James aveva in mente di rovinare la festa; ma sentendosi nudo se lasciato in solitudine, aveva dovuto implorare uno dei suoi altri tre compagni di scorribande affinché lo accompagnasse. Non c’era traccia di Peter o di Remus.

“James, te l’ho detto che saremmo stati buttati fuori, te ed i tuoi piani fatti coi piedi! Ma ... ma vedo che sei stato catturato dal nostro caro Piton! Quale onore! Non sei ancora riuscito a scivolare via? Dovrebbe essere unto abbastan.... AHIA!” Lily gli aveva lanciato una piccola scintilla ustionante, per farlo stare zitto.

“Fai silenzio, Black, o giuro che do fuoco a quella tua bella chioma riccioluta” sibilò Lily, tagliente come una lama.

Non c’era troppa gentilezza in Lily e Sev: era come se il loro sistema nervoso si fosse azzerato, avesse perso qualsiasi equilibrio o pazienza nei confronti di quello strano ed assillante quartetto, ridotto ad un duo, per l’occasione. Non erano gli unici a sentirsi così esasperati. Entrambi erano pronti a farsi sbattere in punizione, ma sentivano l’impellente e bruciante desiderio di dare una lezione indimenticabile a quegli idioti. I due maghi fecero scivolare gli ospiti indesiderati giù dalle scale, con un efficace “Glisseo” e li costrinsero alla fuga, dopo aver lanciato loro qualche scossa elettrica. Si sentivano un po’ stanchi e nervosi, provavano il desiderio fisico profondo di lasciarsi andare su quei cuscini, di chiudere gli occhi e di ascoltare la cantante invitata dal Professor Lumacorno. Volevano essere un po’ protetti in quell’ambiente più selezionato ed elitario. Era un pensiero alquanto strano per dei ragazzini di quattordici anni, ma erano provati dalla disavventura del pomeriggio e ora da quel tentativo d’intrusione.

 

Rientrarono alla festa, prontamente rinfrancati da quelle dolcissime note calde, provenienti da un tempo remoto; li faceva sentire chiusi in una sfera protettiva, in una campana di vetro: era quello di cui necessitavano, in quel momento. 

Attraversarono i drappeggi e le tende e Lily si voltò verso l’enorme finestra. 

“Guarda, nevica di nuovo!” esclamò la ragazza, sentendosi finalmente più serena. Si sedette presso la finestra, appoggiando le mani ai vetri spessi.

Da quell’ala del castello si riusciva a godere di una splendida vista. Le corti e i prati sottostanti erano illuminati da calde fiaccole. Tutto veniva seppellito dalla candida neve, che scendeva, a volte prepotente, aiutata dalle folate di vento, a volte dolce come una carezza. Il nervosismo che provavano si scioglieva, si districava, esattamente come quando si snoda un gomitolo grosso, dai fili particolarmente annodati. La ragazza si lasciò sfuggire un lungo sospiro, chiudendo gli occhi. Inspirando ed espirando lentamente, permetteva a tutta la tensione di disperdersi in quell’atmosfera gradevole e speciale. S’immaginò per un attimo sdraiata nella neve, là fuori, con solo quel vestito addosso, pensando che sarebbe stato bello lasciarsi seppellire da quel manto candido, addormentandosi in un letargo profondo; per poi risvegliarsi in primavera, con la neve che si scioglie, tornando acqua, lavando via tutta la negatività che aveva accumulato.

Riaprì gli occhi e trovò Sev seduto accanto a lei, che la guardava assorto, come si guarda una statua particolarmente bella, da contemplare in solitudine. In quella zona della sala erano appena illuminati da qualche lanterna, e dalle fiaccole esterne, riflesse dalla finestra. Lily gli sfiorò la mano con la punta delle dita.

“Stai meglio, Lily?” le chiese in un sussurro, appena percettibile.

Lei annuì, stringendo la mano dell’amato.

“Sono un po’ stanca, a dire il vero. Inizio a sentire la stanchezza dei loro scherzi e dei loro assilli. E di come ti prendono in giro, Sev ... Odio profondamente il loro modo di parlare di te ... Di me ... Di noi due assieme” si sfogò, trovando rifugio nel suo abbraccio garbato. L’artista continuava a cantare, questa volta in una lingua sconosciuta, ma dolce e sensuale. Assomigliava a quella canzone che Lily aveva cantato il pomeriggio ...

 

Non! Rien de rien ...

Non! Je ne regrette rien ...

 

Niente di niente. Lily voleva volare alta sulle sue preoccupazioni, desiderava lasciarsele alle spalle. Al diavolo il male che le facevano i quattro Malandrini. Al diavolo le prese in giro nei confronti di Severus. Che andassero a cercarsi le grane altrove. Lei sarebbe andata avanti decisa per la sua strada.

Sev la cullava come avrebbe cullato un neonato. Non voleva mostrarle la stanchezza, la tensione che aveva provato, doveva fare lo scoglio imperturbabile, al quale lei poteva aggrapparsi.

“Lasciali parlare” le disse calmo e gentile.

“Lascia che parlino, che facciano le loro ... Le loro ... Cretinate. Prima o poi pagheranno, e ci divertiremo noi a vederli caduti in rovina ...”. La ragazza per tutta risposta lo strinse ancora più forte.

 

Ni le bien qu’on m’a fait,

Ni le mal, tout ça m’est bien égal!

 

Piangeva un po’ nervosamente, Lily. Era uno dei suoi modi per sfogarsi. La dolce maga, così forte, così orgogliosa, anche lei necessitava di un momento di debolezza, aveva tutto il diritto di accartocciarsi su se stessa e di piangere. E sapeva bene che Sev avrebbe raccolto le sue lacrime, distillandole, purificandole, togliendone il sale. Come un alchimista, le avrebbe fatte diventare un’acqua miracolosa e dissetante. Si lasciava andare fiduciosa. Iniziò a muovere le labbra, con voce roca e un po’ discontinua, seguendo la canzone. Sì, era proprio quello il brano che aveva cantato in infermeria.

 

Non! Rien de rien,

Non! Je ne regrette rien ...

C’est payé, balayé, oublié ...

 

Lily prese coraggio, sollevata, e cantò con voce sempre più sicura. Sev ascoltava in silenzio, facendola ondeggiare tra le sue braccia, come se stessero ballando in mezzo alla sala. Fortunatamente per lui, non stavano ballando sotto gli occhi di tutti, ma si sforzò di immaginarselo, per il bene e per la serenità di quella ragazza che lo aveva stregato, anima e corpo. Anche a costo di sentirsi un idiota. Aveva quattordici anni, ma il suo orgoglio era fortissimo, era un muro che lui stesso talvolta non riusciva a valicare e lo metteva in difficoltà. Però, con Lily era tutto diverso, riusciva a lasciarsi andare.

 

Lily, seguendo la canzone, cantò con il suo stranissimo accento, rinvigorita e combattiva come sempre, finalmente pronta a rimettersi in cammino lungo quel tumultuoso percorso d’adolescente. E sull’orlo di una risata esclamò:

 

Je m’en fous du passé!”.

   
 
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