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Autore: Hullabaloos    21/08/2011    4 recensioni
"Quel che voglio far capire, è di non considerare i personaggi come graziose bambole che danzano nel vostro teatrino. Può darsi che quanto racconterò stia accadendo anche su questa terra, chissà. Dopotutto, questa è solo la storia di anime perse in questo spazio e tempo indefinito, che intrecciano la loro esistenza seguendo un sottile filo comune, così facile da spezzare. Tutto quello che chiedono è di essere ascoltate"
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Nonostante fosse stata sua intenzione sin dall’inizio incontrare gli assassini dei propri genitori, questo non lo preparò comunque alla vista della figura oscura che adesso era ritta di fronte a lui. La maschera ne copriva completamente il volto, e non permetteva d’intravedere neanche un singolo centimetro di pelle.

Feliciano rabbrividì dei tratti grotteschi del calco. Le sopracciglia corrugate, le rughe accentuate dalle ombre, la bocca deforme dalla dentatura animalesca, le corna caprine, nella loro immobilità, conferivano all’intero essere un’aura di fredda spietatezza.

La Maschera Nera sollevò lentamente un braccio. Il ragazzo si ritrasse, intimorito. Ma il gesto dell’uomo era volutamente lento, non brusco, non come avrebbe fatto invece un nemico. Feliciano ebbe l’impressione che la figura oscura gli desse il tempo necessario per capire e anticipare ogni sua azione.

Alzò il viso, nascosto sotto il mantello, rivolgendo la propria attenzione verso la mano guantata. L’uomo mostrò il palmo della mano, in un chiaro avvertimento: non muoverti. Senza aggiungere altro, la Maschera si girò, brandendo la candida spada con entrambe le mani.  Il piede destro indietreggiò, il petto fu proteso in avanti.

Il primo mostro si scagliò sull’uomo con ferocia inaudita. Feliciano, di riflesso, si sporse, urlando un avvertimento a colui che sembrava aver l’intenzione di difenderlo. Ma, con un’agilità soprannaturale, la figura oscura inclinò appena indietro il busto, evitando il braccio che avrebbe dovuto trapassargli il petto. Con il braccio sinistro, sollevò di scatto la lama sottile, tranciando l’aggressore all’altezza della vita. Il tronco del morto cadde poco più in là, mentre le braccia annaspavano alla ricerca della metà mancante. Con un affondo, la parte superiore del mutilato fu tagliata nuovamente in una simmetria inquietante. Gli arti caddero inerti lungo i fianchi.

L’uomo si voltò verso gli altri assalitori, rimasti interdetti dall’inusuale sconfitta di un compagno. Altri tre si staccarono dal gruppo, slanciandosi verso di lui con un ampio balzo, intenzionati a piombargli addosso dall’alto.

La Maschera alzò la lama verso il cielo e, con uno scatto fulmineo, si gettò in avanti. I corpi lacerati degli assalitori caddero con tonfi sordi sui ciottoli della strada.

Feliciano rimase strabiliato dalla leggiadra maestria con cui la figura riusciva a impugnare l’arma, muovendosi al contempo con estrema agilità. Trasalì, però, quando vide l’uomo circondato dai mostri in tutte le direzioni. Questi, consci del dislivello tra fra le loro forze, decisero di puntare sulla superiorità numerica. Ognuno si lanciò sull’avversario, protendendo le mani assassine.

In quel momento, Feliciano non seppe se quanto vide fosse reale o un semplice gioco di luce sulla nivea lama.

Sentì un battito. Spalancò gli occhi. La lama sembrò rilucere, per un attimo, di luce propria.

Un altro battito. Il ragazzo si tappò le orecchie con le mani. Inutile.

Un battito ancora. Lo sguardo smarrito vagò lungo le pareti scrostate, alla ricerca della fonte dei colpi sordi.

Era strano però, quel costante palpito: era caldo, profondo, radicato nel proprio essere. Pulsava nella sua testa, ma non era una sensazione estranea al proprio corpo. Un barlume di comprensione.

Feliciano poggiò il palmo della mano sul proprio petto con incredulità. Sotto la pelle, lo stesso ritmo, valvole che si contraevano e pompavano sangue.

Quel rumore era un cuore che batteva.

I suoi occhi tornarono fulminei sulla spada. Il pulsare denso di vita proveniva proprio dalla lama candida, a ogni tocco questa fremeva di pura energia bianca.

E lo sguardo seguì sbigottito la danza dell’arma e del padrone, che si fondevano in quel battito, un unico essere che tagliava e uccideva.

Ben presto, nel vicolo, calò nuovamente il silenzio. I resti degli esseri semi-umani giacevano su quelli delle loro vittime.

La Maschera Nera accarezzò la lama, immacolata nonostante le uccisioni, con apparente dolcezza, sussurrando parole in un idioma sconosciuto.

Con gesti calcolati e veloci, ripose l’arma nella fodera appesa al proprio fianco. Infine, volse lo sguardo verso il ragazzo accovacciato nell’angolo. O almeno, così  credette questo ultimo: da sotto le sopracciglia aggrottate, una sottile linea di pittura rossa tracciava i contorni di palpebre sbarrate, la pupilla completamente bianca, nel centro due piccole fessure.

La Maschera mosse lenti passi verso di lui. Il ragazzo rimase immobile e trattenne il fiato, quando l’oscuro individuo si accovacciò davanti a lui, allungando nuovamente il palmo della mano, questa volta in un gesto d’aiuto.

Scrutò la ruvida stoffa del guanto nero, poi i profondi solchi sul calco mostruoso.

La testa dell’uomo s’alzò di scatto, come se un pensiero improvviso gli attraversasse la mente. Poggiò le dita sottili sotto il gesso nero, per scostarlo dal viso e riporlo tra le pieghe del mantello.

Di tutto si sarebbe aspettato Feliciano, tranne quello che gli si parò di fronte.

Un giovane, non un uomo, si rifletteva nelle sue iridi. Una frangia nera, che venne scostata dalla fronte sudata con un gesto calcolato, copriva parte degli occhi dal taglio orientale. La pelle liscia, priva di rughe, piatta, se non fosse stato per le sopracciglia leggermente arcuate, in un accenno di preoccupazione.

Una faccia comune, nessun tratto particolare, neppure un particolare che potrebbe colpire un osservatore esterno. Un viso che chiunque potrebbe incrociare per le vie del mercato orientale nel quartiere est, lineamenti che sbiadiscono appena lo sguardo veniva distolto. Non certo la faccia che ci si aspetterebbe dal freddo assassino che poco prima aveva sterminato il branco di assalitori.

Solo gli occhi tradivano la prima impressione, qualcosa scorreva placidamente nelle iridi scure, qualcosa di profondo, di quieto equilibrio, di placida intensità.

Le labbra pallide si mossero, le parole uscirono in un italiano stentato, le sillabe scandite lentamente, le vocali volutamente più lunghe.

-Stai bene?-

La voce era misurata, né un sussurro, né un grido, ornata appena da un breve cenno di apprensione.

Feliciano era interdetto. Rimase lì, immobile, scrutando il viso del ragazzo e la mano ancora tesa verso di lui.

L’orientale non accennò ad alcun movimento, le iridi calme in placida attesa.

Non riuscendo a giungere a nessun altra conclusione, il rosso strinse incerto il palmo offertogli.

Il moro l’aiutò gentilmente ad alzarsi, e Feliciano si stupì nel constatare che il suo salvatore era alquanto basso, persino più di lui, che non spiccava certo per statura.

Nel suo angolo, l’assassino si era trasformato in un aggraziato gigante che uccideva i mostri spietati.

La Maschera sciolse delicatamente la presa sull’italiano, che barcollò per un istante, appoggiandosi al muro polveroso per riprendere il controllo sul proprio corpo.

L’orientale gli voltò le spalle, per portare una mano dietro l’orecchio, nascosto da lunghi ciuffi corvini.

Feliciano sentì distintamente un brusio, così simile a quello della sua vecchia radio nella soffitta muffita.

Il moro pronunciò sottovoce parole veloci nel suo idioma sconosciuto.

-Bonnefoy-kun, anata wa potaru o hiraku koto ga dekimasu ka? (1)-

L’italiano captò tra le interferenze e gli sfrigolii una roca risata maliziosa.

-Mon cher, mes portes sont toujours ouvertes pour toi…(2)-

Feliciano s’interrogò sul significato di quelle parole lascive, dalle sillabe arrotondate e cantilenanti, che ebbero il potere di sconvolgere la profonda quiete che avvolgeva l’asiatico: le sue pallide guance s’imporporarono violentemente, balbettii sconnessi uscirono imbarazzati dalla pallida bocca.

Improvvisamente, il ragazzo lo percepì.

Qualcosa stava mutando nell’atmosfera del vicolo.

Il velo d’immobilità, che prima aveva coperto lo sporco vicolo, venne increspato, e fredde correnti d’aria soffiarono nel mezzogiorno di un torrido pomeriggio romano.

Le molecole d’ossigeno vennero risucchiate in questo gelido flusso, si scontrarono, s’aggregarono, assunsero una propria iridescenza, parvero quasi tangibili.

Feliciano avvicinò un dito, intimorito e al contempo affascinato, verso quei baluginii vacui. Questi, però, fuggirono, scivolarono tra le dita, vorticarono in circolo, come pulviscolo.

All’improvviso, il flusso divenne più forte, le correnti convennero in un unico punto.

Lo spazio si distorse, sembrò lottare contro forze invisibili.

Le molecole argentee vennero trascinate nel gorgo creato dalle correnti, s’ammassarono al centro del vortice, attirate da una forza di gravità indipendente da quella terrestre, prendendo velocemente la forma di un piatto specchio lattiginoso.

Feliciano aprì la bocca, la richiuse, la riaprì, incapace di articolare qualsiasi aggettivo che potesse lontanamente descrivere il suo stupore.

Mentre boccheggiava, l’asiatico azzerò con pochi passi decisi la distanza che lo separava dal portale, si fermò solo quando il suo naso sfiorò la superficie lattea, e si voltò verso di lui.

L’italiano sentì quelle scure iridi scrutarlo, scavare, e toccare la parte più intima di sé. 

Era uno sguardo che annientava nella sua profondità.

Parlò nuovamente nel suo italiano stentato.

-Noi abbiamo le risposte che cerchi-

Senza ulteriore indugio, la figura dell’asiatico s’immerse nel mare bianco e scomparve.

Feliciano era ancora appoggiato alla parete del muro.

Tirò un lungo sospiro, si stupì: non si era neanche accorto di aver trattenuto il fiato.  

Fissò lo specchio perlaceo che, a quanto pareva, non era intenzionato a chiudersi, nonostante il passaggio della Maschera.

Sembrava proprio che l’asiatico avesse lasciato intenzionalmente una porta aperta per lui.

Barcollando fra i vari resti umani, si avvicinò alla pozza iridescente con progressiva sicurezza, la paura che si sostituiva alla curiosità.

Si trovò di fronte al vortice. Allungò nuovamente la mano verso le molecole che fluttuavano nella distesa biancastra. Un dito affondò nella sostanza baluginosa, senza incontrare alcuna resistenza. Era fredda.

Allontanò lentamente la mano. Un filo lattiginoso seguì il ritrarsi delle sue dita, s’allungò, s’assottigliò, per poi spezzarsi in piccoli bagliori, che continuarono a fluttuare nell’aria stagnante del vicolo. 

L’italiano lasciò cadere il braccio lungo il fianco, indeciso sul da farsi.

Dimentico del fratello, dimentico dell’aggressione, dimentico dei morti viventi, dimentico della morte sfiorata.

Dimentico perfino del fatto che il suo salvatore era un assassino.

Nella mente, solo una frase.

-Noi abbiamo le risposte che cerchi…-

Un sussurro, un pensiero martellante, che vagava indissolubile nella sua mente, come quelle molecole argentee.

Chiuse gli occhi. E fu come immergersi nell’acqua fredda del mare.

Nel vicolo buio, lo specchio liquido tremò, si rimpicciolì sempre di più, finché scomparve del tutto.

Solo poche iridescenze vaganti volevano suggerire agli osservatori che, in quella sporca via, realtà, fantasia e orrore si erano mescolati per un istante.

 

Oltre il portale, non c’era nulla.

Anzi, no, era vero l’esatto contrario.

Lì dentro, regnava il nulla.

Feliciano sbatté più volte le palpebre. Niente. Quel luogo era completamente buio, né una finestra, né una fessura da cui trapelasse un raggio di sole.

Cercò di camminare avanti, nella speranza di sbattere contro qualche parete, con lo scopo di cercare uno spiraglio da cui poter sbirciare all’esterno.

Il suo cuore perse un battito. Tentò di agitare gli arti, le mani provarono a tastare il volto, il petto, le braccia. Un panico viscerale s’insinuò nella sua mente.

Non aveva più un corpo.

Non era una sensazione d’intorpidimento, né di perdita di sensibilità, perché in quel caso avrebbe comunque avuto coscienza di sé, la consapevolezza di possedere ogni singola cellula del proprio essere.

In quella oscurità, lui era solo una concezione astratta, un pensiero, privo di una propria massa.

Con orrore, il ragazzo si accorse di aver perso anche il senso dell’olfatto e dell’udito.

Era orrendo quel vuoto. Anche il silenzio è un suono. Invece, lì dentro, o lì fuori, chissà, ogni percezione umana era annientata.

Quella era la vera essenza del Nulla.

Tentò di urlare, ma non sentì delle labbra aprirsi, una voce squarciare il fitto nero, orecchie udire l’eco. E la prospettiva di vagare per sempre in quel non mondo era insopportabile.

D’un tratto, nel buio, apparve un punto.

Galleggiava, irradiando un tenue bagliore, sopra le oscure onde del vuoto.

Da ogni direzione, particelle argentate sfrecciarono verso quella lontana entità evanescente e, come comete, lasciavano dietro di sé scie luminose. Danzarono in circolo, crearono un vortice, lo stesso che si era creato nello stretto vicolo di Roma.

Feliciano tentò disperatamente di raggiungere quello sbocco, fuori dalle acque scure e torbide, dove i suoi polmoni avrebbero potuto riempirsi di aria vitale. Spalancò gli occhi, se mai in quella dimensione li possedeva.

Dalla particella primigenia, uscì una mano.

Il ragazzo si sentì afferrare da dita forti, e trascinare fuori dall’oceano vuoto.

Poi, una luce abbagliante.

Lentamente, il ragazzo prese la coscienza di essere seduto su una superficie solida.

Inghiottì avido grandi boccate d’ossigeno, sentì il tessuto spugnoso espandersi nella gabbia toracica.

Voci, strilli e sussurri cozzavano fra loro, si scontravano violentemente contro le sue povere orecchie intorpidite dal silenzio.

Portò una mano a riparo degli occhi, non ancora abituati allo sbalzo tra il mondo nero e quello a colori.

La prima cosa che vide, furono due occhi azzurri, duri, freddi, terrificanti, a pochi centimetri da sé.

Questa volta, Feliciano sentì chiaramente un urlo isterico prorompere dalle proprie labbra.

In un punto imprecisato, s’udì una risata sguaiata.

- Bruder, Stoppen Sie erschrecken die Neulinge Sie mir! (3)-

Il ragazzo tentò di divincolarsi tra le possenti braccia del suo aguzzino, ma la presa ferrea non si allentò neanche un poco.

Scalciò, piagnucolò, strepitò. Si stava comportando proprio come un moccioso impaurito, ma non gli importava. Prima la terribile esperienza del Vuoto, poi trovarsi intrappolato nelle grinfie di un essere terrificante. Era decisamente troppo per lui.

E intanto teste si ammassavano intorno a lui, visi s’accalcavano sopra la testa del suo carceriere, mani scacciavano altri corpi ingombranti.

Feliciano tentò nuovamente di sgusciare fuori dai muscolosi avambracci, ma sentì la presa vigorosa di due palmi sulle sue guance.

Di nuovo i due occhi celesti si rifletterono nelle sue iridi dorate. 

- Vertrauen Sie mir (4)-           

Accento duro, consonanti cacofoniche, sillabe ruvide. Quella lingua non aveva nulla di armonico, di musicale. Eppure, Feliciano smise di dibattersi.

Quella voce, nella sua asperità, era forte, solida. Le pupille limpide, prive d’ombre, dirette.

Quegli occhi non potevano nascondere nulla, svelavano i gesti prima che fossero compiuti. E quelle mani grandi e forti trasmettevano calore e sicurezza.

L’italiano rimase incantato, inconsciamente ripose completa fiducia all’uomo che lo stringeva.

Questi pensieri, che turbinavano confusi nella sua mente, vennero spazzati via da una folata improvvisa, quando l’uomo estrasse qualcosa dalle pieghe del camice bianco: un cilindro metallico, una sonda lunga appena qualche centimetro, che luccicò sinistramente tra le dita dello sconosciuto. Con un gesto fulmineo, posizionò l’oggetto sospetto dietro il padiglione auricolare del rosso che, sgomento, avvertiva un brutto presentimento spandersi dal tubicino placcato.

D’un tratto, infatti, avvertì un dolore acutissimo nella carne delicata dietro l’orecchio, come se tanti piccoli aghi forassero la pelle sensibile.

Cacciò uno strillo acuto, ricominciando a dibattersi nella presa di quel mostro che lo aveva crudelmente ingannato. Di nuovo la risata di prima, un suono particolarissimo, quasi gracchiante.

-Fratello, sei proprio un bastardo!-

Un’altra voce s’intromise, più calda e dolce.

-Aaaahhh, non è terribilmente carino~?-

Nuovamente echeggiò una risata sguaiata.

-Antonio, frena i tuoi bassi istinti!-

-Ma Gilbert, non trovi che sia adorabile~?-

-Mai quanto il magnifico me!-

Le due voci erano scherzose, in confidenza.

-Nessuno definirebbe carino uno sporco ubriacone come te…-

-Come osi, brutto pedofilo!-

-Vuoi fare a botte?-

-Forza, fatti sotto!-

Feliciano lanciò uno sguardo perplesso ai due uomini che, lì vicino, lottavano giocosamente tra loro, tirandosi pugni e schiaffi fra allegre risate.

La sua attenzione fu bruscamente attirata da una robusta figura che, con  foga dirompente, gli si catapultò praticamente addosso, stringendo con foga la sua mano tremante tra le proprie.

-Non temere, ci sarà sempre l’eroe a vegliare su di te!-

Una promessa gridata ai quattro venti, impregnata di puerile entusiasmo, due occhi blu che brillavano di infantile eccitazione dietro lenti sottili.

Lo sguardo spaurito dell’italiano vagò ancora per la stanza. Un uomo dai lunghi capelli biondi sedeva mollemente su un divano accostato alla parete della stanza. Di tanto in tanto, poggiava le labbra sul cristallo di un bicchiere colmo di vino.

Ogni gesto era languido, lento, rivolto ad assaporare la bellezza e l’estasi di ogni istante.

Con un sorriso sornione, ascoltava divertito le frasi concitate e furiose dell’asiatico che gesticolava nervosamente davanti a lui.

-Ti pregherei profondamente di non aprire il portale nella sala principale, ti ho ripetuto già diverse volte di usare il laboratorio!-

Il moro, per quanto furioso, usava un vocabolario rispettoso, formale, gentile.

Nell’aria si espanse una leggera risata.

Il biondo portò una mano affusolata a coprire un sorriso malcelato, accavallando provocantemente le gambe.

-Ma mio piccolo fiore di loto, così non potrei giudicare adeguatamente la nuova mercanzia…-

Rivolse i torbidi occhi azzurri verso l’italiano.

-E direi che questa volta abbiamo scelto proprio bene…-

Se possibile, il moro arrossì ancora di più, tartagliando frasi sconnesse e cariche d’imbarazzo. Feliciano constatò che il biondo era l’uomo con cui la Maschera aveva parlato nel vicolo di Roma.

Riuscì a formulare solo questo pensiero, prima di sentire due forti braccia sollevarlo dal freddo pavimento, che lo portarono lontano da quegli sconosciuti, verso un corridoio secondario.

-Ma come, lo porti già via?-

-Lud, sei un guastafeste!-

-Eddai, aspetta un attimo!-

-Non ho testato ancora il nuovo articolo!-

-Fratellino, non te ne approfittare, eh!-

Solo a questo ultimo commento, l’uomo arrossì, borbottando qualcosa all’indirizzo del ragazzo dalla risata gracchiante.

Feliciano si ritrovò stretto contro l’ampio petto di quello strano individuo verso cui, per un breve momento, si era pienamente fidato. Era caldo, proprio come le sue mani.

Istintivamente, si rannicchiò maggiormente tra le pieghe del camice bianco.

Sentì di nuovo l’uomo sussultare, i suoi battiti del cuore accelerare leggermente.

E sul ragazzo calò la consapevolezza che, nonostante quello fosse un estraneo, nonostante non conoscesse nulla sul suo conto, nonostante il suo piccolo inganno, in quell’abbraccio, si sarebbe sempre sentito al sicuro.

Non seppe quanto tempo passò avvolto in quel piacevole calore, cullato dalle suole che percorrevano decise il pavimento del lungo corridoio.

Ad un certo punto, i passi cessarono.

Feliciano si riscosse dal proprio torpore. L’uomo si era fermato davanti a una porta. Lo depose delicatamente a terra, aiutandolo a ritrovare un equilibrio sufficiente a restare in piedi da solo.

Il ragazzo lo guardò interrogativo, ma il suo rapitore voltò la di scatto la testa, evitando il suo sguardo. Il rosso rimase involontariamente ferito da quel comportamento.

Poi, l’uomo indicò l’uscio davanti a loro.

-Entra-

Telegrafico, un messaggio chiaro e duro.

Si voltò. Con passi frettolosi, percorse velocemente a ritroso il percorso compiuto.

Feliciano fissò sempre più confuso la sua schiena allontanarsi, finché scomparve dietro un angolo.

Riportò gli occhi sulla porta.

Era stravolto. Gli avvenimenti dell’ultimo giorno si erano susseguiti uno dopo l’altro, a un  ritmo pressante e insostenibile. Orrori e meraviglie si erano accavalcati uno sopra l’altro, senza concedergli un attimo di respiro. E pensieri, paure e interrogativi si intrecciavano tra loro, fili sottili aggrovigliati in una matassa inestricabile.

Esasperato. Nessuna risposta, solo domande, domande, e ancora domande.  Voleva spiegazioni, voleva qualcuno che gli spiegasse cosa diavolo stesse succedendo.

Con questa nuova motivazione, mista a timore, Feliciano si apprestò ad abbassare la maniglia della porta.

 

(1)   Bonnefoy, riesci ad aprire un portale?

(2)   Mio caro, le mie porte sono sempre aperte per te… (chi vuole intendere intenda… NdA)

(3)   Fratello, smettila di spaventare i novellini con la tua faccia!

(4)   Fidati di me.

 

Note d’Autrice

 

Ecco a voi, dopo un lungo e difficile parto, il capitolo appena nato! Finalmente è apparso l’elemento soprannaturale, perciò ho cercato di rendere questo aspetto al meglio, senza scivolare nella banalità… Ho dato anche largo spazio a Kiku, un personaggio a cui tengo molto, come vedrete nel seguito. Come poi non mettere le battute maliziose del nostro mangia-rane preferito? E la parte finale del capitolo… Beh, in ogni long fic che si rispetti deve sempre essere presente un po’ di GerIta! L’unica cosa che un po’ mi secca sono le frasi in lingua straniera: nonostante siano poche, sono conscia che è molto scomodo andare a fondo pagina per leggere la traduzione. Inoltre, mi sono affidata a Google Traduttore, visto che l’unica lingua che conosco è l’inglese… .___.’’’ Perciò, se qualcuno noterà delle imprecisioni nelle traduzioni, me lo faccia sapere! Infine, ringrazio tutti coloro che hanno recensito o chi ha semplicemente letto, e spero che continuerete a seguirmi! :D

   
 
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