La fontana del riso
Antefatto e tempo dell'azione
Gli eventi narrati fanno parte di un episodio della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, quello di Carlo ed Ubaldo alla fontana del riso (canto XV). I due cavalieri sono incaricati da Goffredo di Buglione di riportare l campo il campione fuggito Rinaldo, che alcuni credono addirittura morto. In realtà, egli è stato rapito dalla maga pagana Armida, che lo ha imprigionato in un nido d'oblio e d'amore in una delle isole Fortunate, al largo dell'Atlantico. La presenza di Rinaldo al campo di Gerusalemme è indispensabile, in quanto lui è l'unico eroe rimasto in grado di tentare di superare la selva incantata di Saron, il cui legname è indispensabile per per costruire le macchine da assedio in grado di prendere Gerusalemme. Dopo aver ricevuto le istruzioni necessarie all'impresa da un mago cristiano, Carlo e Ubaldo vengono condotti all'isola dove si trova, situato in cima ad una montagna, il rifugio di Armida. Prima di arrivare al giardino dove si trova Rinaldo, i cavalieri devono superare una fontana dalle acque limpidissime e tentatrici, che portano all'oblio e a ridere fino alla morte. Inoltre i due verranno tentati dall'amore di due ninfe al servizio di Armida. Nella Gerusalemme Liberata, i due le sdegnano, proseguendo verso le prove successive. L'azione inizia dunque con la salita dei cavalieri verso la fontana.
Io canto d'Amore l'antica Musa
che in giorni passati ispirò Torquato
E canto d'Onore la vecchia chiusa
che il tempo corrente non ha scordato,
ma non da Tasso come fu diffusa:
Di Carlo e d'Ubaldo al fonte il fato
Cambierò, e di ninfe dal bel viso.
S'apre il canto della fonte del riso.
Erano lassi, stanchi i cavalieri:
è grande il tedio di salire il monte
tanto che giunser spenti nei pensieri
all'acqua chiara e pura della fonte.
Di ridere e di folli desideri
d'oblio tanto subiron l'onte
che arduo fu resistere alla sete,
ma in mente ammonizioni ancor concrete.
Comparve loro dopo la fontana
una polla di identica chiarezza.
Stesso invito ripeteva vana,
ma ecco dallo specchio una carezza
uscire come favola lontana:
comparve ai cavalieri con dolcezza
la bella abitatrice della acque,
che del suo seno nudo non si spiacque.
Il cor d'Ubaldo prode cavaliere
venne rapito dal fertile fulgore
ed anche Carlo, fedele al suo mestiere,
cedette un poco al simbolo d'amore.
Ma subito il ricordo del dovere
frenò degli uomini il maschil calore.
Allora per ripetere l'offerta,
emerse un'altra ninfa, pur coperta.
«Timida creatura silenziosa»
disse Carlo con occhi scintillanti
«Io prego te, che sei così preziosa
dì il tuo nome a noi, vili duellanti».
Più schiva ancor si fece la graziosa
udendo la domanda senza vanti.
Si trasse a scudo l'altra più matura
che prese invece a parlare sicura:
«Noi siam le ninfe d'Armida schiave,
poste a cancello del nido gioioso,
ma non ci crediate nel petto cave:
un cuore avevamo, da incanto eroso,
stretto a far forte l'offerta soave.
Udite! Diamo con vanto penoso
l'amore che sempre fu solo sognato,
in cambio d'un cuor d'onore rubato».