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Autore: _Miwako_    24/04/2006    10 recensioni
'Lo sai che in certi posti del mondo il sole per sei mesi non tramonta neanche di notte? Penso che sarebbe bellissimo avere una speranza così forte da non tramontare mai, neanche nei momenti più bui...'
Harry e Ron frequentano il corso per Auror. Ginny sta per frequentarlo. Hermione studia Medimagia. Draco è un Mangiamorte. La guerra c'è ancora, e per finirla è necessario scoprire i segreti del nemico. E se ci fosse un infiltrato tra i Mangiamorte? Tradimento. Paura. Debolezze. Bugie. Tutto è lecito in amore e in guerra? Sequel de 'L'ultima metà del cielo'.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra, Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Luna Lovegood, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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.FROM THE ABCENCE OF THE SUN.

 

[Dall’assenza del sole.]

 

 

“Now I'm standing in the cold                   “Adesso sono ferma al freddo   
(Everything is said and done)                   
 (tutto è stato detto, tutto è stato fatto)
Atomic winter in my soul                            
 l’inverno devastante nella mia anima
(From the absence of the sun)                   
 (dall’assenza del sole)
The only remedy I know                              
l’unico rimedio che conosco
Is I gotta let you go                                     
 è che ti devo lasciare andare

There will come a day                                  arriverà un giorno

when all of this is in my past                        in cui tutto questo sarà il mio passato
And there will come a day                           
 e arriverà un giorno

when you're out of my head at last              in cui sarai finalmente fuori dalla mia testa
I'm trying not to fall                                   
 cerco di non cadere
Damn it's such a long way down                
 diavolo, è una via talmente lunga e faticosa
But here I am.”                                           
 però ci sono.”

 

 

Marion Raven, Here I am.

 

 

Due sere dopo si ritrovarono a Grimmauld Place.

Ormai il posto era diventato il presunto nascondiglio dell’Ordine della Fenice. Erano passati parecchi anni da quando Harry l’aveva ereditato, e solo negli ultimi tempi avevano ricominciato ad usarlo. Pareva che non ci fosse pericolo.

Remus Lupin stava a capotavola in silenzio, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi che fissavano le proprie mani segnate senza vederle.

Da quando Silente era morto, era diventato quasi automatico considerare lui il leader della situazione, essendo il più presente dei membri adulti dell’Ordine.

Naturalmente, non si poteva dire che Harry, Ron, Hermione, Ginny e Luna fossero esattamente membri dell’Ordine: probabilmente gli adulti gli nascondevano ancora alcune cose. Però li facevano partecipare spesso alle riunioni, ed era un buon passo avanti: del resto, aveva detto un giorno Lupin, mestamente, a Molly Weasley, c’era bisogno di più aiuto possibile, anche se dovevano sacrificare la loro giovinezza. Loro non capivano: essere quasi-membri dell’Ordine per loro non era un sacrificio, era un onore.

Forse solo più tardi sarebbero riusciti a capire il vero significato delle parole di Lupin.

-         Dunque – disse l’uomo, schiarendosi improvvisamente la voce.

Tutti gli altri alzarono lo sguardo.

C’erano i ragazzi, Arthur Weasley, Kingsley Shacklebolt e Ninfadora Tonks.

-         Come probabilmente avrete saputo, una famiglia babbana di Stratford è stata attaccata da un gruppo di Mangiamorte l’altra notte. Ci sono feriti, ma nessuno si è fatto seriamente male. Purtroppo, questi casi si stanno ripetendo con troppa frequenza – si schiarì di nuovo la voce.

Nessuno disse niente.

-         Il Ministero ha come al solito ripetuto di mantenere la calma ed ha fatto stampare alla Gazzetta del Profeta un articolo in cui il Ministro sostiene di aver fatto posizionare una decina di Auror nelle vicinanze dei confini tra mondo magico e mondo babbano… naturalmente si tratta di una bugia. Quando io e Kingsley siamo andati a controllare, ce n’era uno, due al massimo. Bisogna fare qualcosa per fermare queste aggressioni e fare in modo che smettano di prenderci in giro e si scontrino direttamente con noi. –

Harry schioccò la lingua, in preda ad una fitta di sprezzo.

-         Non ne hanno il coraggio… -

Remus lo guardò.

-         No, hai ragione, Harry, non ce l’hanno per ora. Ma appurato questo, qualcuno ha qualche idea per risolvere la situazione? –

Ci fu un attimo di silenzio.

Hermione alzò lo sguardo.

-         E’ impossibile raccogliere un numero sufficiente di Auror, considerando il tempo e la resistenza che richiederebbe posizionarci alla protezione dei luoghi babbani. E poi i Mangiamorte non si farebbero mai vedere se sapessero che ci sono veri Auror in giro. Bisogna trovare una strategia completamente diversa. –

Ancora silenzio.

Ginny affondò le mani tra i capelli, sfinita. Non dormiva da due giorni, eppure aveva un sonno pazzesco. Un cerotto le copriva una tempia.

Tonks la guardò di soppiatto, ma non disse niente.

-         Bisognerebbe sapere dove vogliono andare prima che ci vadano – disse Ron, istintivamente.

Tutti lo fissarono.

Ron fece un’espressione offesa.

-         Beh? –

-         Grazie per aver detto questa interessante ovvietà, Ron – borbottò Hermione, giocherellando con la bacchetta, soprappensiero.

Harry guardò Ron.

-         Forse ha ragione… - disse.

Stavolta, tutti fissarono lui.

Remus, nonostante la stanchezza e la preoccupazione, riuscì a stento a trattenersi dal ridere.

-         E allora, Harry? – fece Hermione, esasperata. – certo che vogliamo sapere cosa faranno in anticipo. Ma non si può. –

Luna scosse la testa allegramente.

-         Intende una spia – disse, con tono velato.

Harry si voltò a guardarla, incredulo, ma lei ricambiò lo sguardo con pura curiosità.

-         Ehm… sì, intendevo quello. Dobbiamo trovare un infiltrato. –

-         Mi pare un po’ difficile – fece Tonks. – ci conoscono tutti in faccia. E non crederanno mai all’ipotetica ‘conversione’ di uno di noi. Senza contare che non so quanti di noi sarebbero veramente disposti a rischiare così tanto. Si tratterebbe di una questione di vita o di morte. –

A Harry venne da dire che per loro era sempre stata una questione di vita o di morte, ma si trattenne.

- Bisognerebbe trovare qualcuno che stia dalla nostra parte… ma che abbia avuto a che fare con Voi-sapete-chi o i suoi seguaci. Qualcuno di cui loro si fidino, ma di cui ci fidiamo anche noi… - mormorò Hermione, anche se scoraggiata.

- Devo ancora conoscerla una persona così – sospirò Tonks.

Ginny chiuse gli occhi e quasi si addormentò.

 

-         Allora, quando comincerai i corsi? –

Harry la guardò, incuriosito. Ginny si voltò, davanti al camino di Grimmauld Place, pronta a tornare alla Tana a dormire. Harry sarebbe rimasto lì per la notte.

La riunione dell’Ordine si era conclusa con nulla di fatto.

-         Fra quattro mesi – sorrise lei, un po’ assonnata.

-         Perché non rimani qui? –

Ginny sorrise ancora di più e prese per le spalle Harry scuotendolo leggermente.

-         Ma insomma, non mi stavi chiedendo della mia situazione lavorativa? –

-         Sì, però mi sono distratto. Dai, è pericoloso che una ragazza se ne vada in giro a quest’ora e di questi tempi. –

-         Roba vecchia, Harry. Non parli mica con una sprovveduta. Questa qui è la scusa che hanno sempre usato i miei fratelli con le ragazze, anche quando non eravamo in guerra. –

Lui la guardò e prima che lei potesse replicare la baciò. Lei si lasciò baciare, felice e a suo agio.

Però c’era sempre uno strano e sinistro vuoto.

Lei lo amava. Lui l’amava. Ma era questo? Cioè, a volte le veniva da chiedersi: tutto qui?

Insomma, nessuno glielo aveva mai spiegato che cos’era l’amore. Era trovarsi a proprio agio o il contrario? E in ogni caso, che c’era di così straordinario?

Le veniva da chiederselo ma non lo chiedeva mai.

Tutto qui?

 

-         Ti vuole vedere. –

Draco alzò lo sguardo da un giornale che stava svogliatamente leggendo steso sul letto.

-         Chi? –

-         Lui. –

Bellatrix lo guardò in modo ostile. Non le piaceva, quel ragazzo. Troppo incontrollabile, troppo ‘leader’, troppo pieno di sé. Anche se c’era da aspettarsi che sua sorella non avrebbe potuto crescerlo diversamente. Era un’abitudine della famiglia, viziare i figli e renderli dei perfetti idioti.

Lui sbuffò. Non ne aveva minimamente voglia, ma non si discuteva.

Bellatrix fece per richiudere la porta.

-         Ah, e smettila di stare lì a far niente. Avrai pure qualcosa di più produttivo da fare che leggere giornaletti. -

-         E tu avrai pur qualcosa di più produttivo da fare che rompermi continuamente i coglioni. –

Lei diventò rossa dalla rabbia.

-         Non mi parlare così, sai. –

-         Oh, lo so. –

Calò il cappuccio del mantello sulla fronte e la superò senza lasciarle il tempo di dire altro.

Scese le scale di pietra, percorse due corridoi, attraversò una sala, poi un’altra, finché non si trovò davanti ad una porta.

Rimase fermo per un attimo, poi alzò la mano e bussò.

Subito qualcuno gli aprì. Un paio di acquosi occhi da topo lo guardarono, preoccupati.

-         Prego, prego, signor Malfoy, prego. – squittì Codaliscia, facendosi da parte per lasciarlo passare.

Draco non disse nulla. A volte si divertiva a tormentarlo un po’, ma non ora. Guardò dritto davanti a sé. Davanti ad un mite fuoco nel caminetto, su una poltrona, c’era il Signore Oscuro. Ne vide solo la mano bianca e magra.

-         Buonasera, Draco. Hai erroneamente sabotato qualche altra azione dei miei Mangiamorte, ultimamente? – disse quella voce melliflua, con più che una punta di insopportabile ironia.

Draco si inchinò, sapendo che doveva mantenersi in quella posizione anche se non lo guardava. La trovava una cosa semplicemente ridicola, già il fatto che non gli rispondesse male era un segno di rispetto, per lui. Ma era la prassi. Strinse i denti a quella parole, ma rimase a testa bassa.

-         No, signore. –

Ci fu un attimo di silenzio.

-         Codaliscia, portameli. –

L’ometto sussultò e subito corse verso una sorta di armadietto. Draco, chinato, non poté vedere cosa stava facendo, ma dopo un po’ avvertì la sua presenza davanti a sé.

-         Ebbene, Draco – continuò il Signore Oscuro, continuando a rimanere seduto senza voltarsi, come se lui non esistesse. – vorrei che ora tu alzassi la testa e contassi gli oggetti che vedi. –

Il ragazzo alzò lo sguardo e vide davanti a sé uno scrigno d’argento aperto, sorretto dalle mani un po’ tremanti di Codaliscia. All’interno dello scrigno c’erano alcuni anelli d’oro nero, identici.

Draco li guardò senza capire.

-         Ho detto contali – ripeté il Signore Oscuro, però con maggiore fermezza.

Il ragazzo li scorse con gli occhi.

-         Sono otto, signore. –

Non poteva vedere in viso Voldemort, ma avrebbe scommesso che in quel momento stava ghignando e lui non poteva far altro che lasciarsi prendere in giro, e non lo sopportava.

-         Esattamente. Ora, tu conosci bene quegli oggetti. Mi sai dire che funzione hanno? –

-         Sono gli anelli dei Mangiamorte. –

-         Precisamente, dei Mangiamorte che considero più fidati. Perfetto. Ne possiedi uno anche tu, ed in totale fanno nove. Ora, mi sapresti dire quanti in realtà dovrebbero essere? –

Draco non sopportava quell’interrogatorio come se fosse una sorta di bambino piccolo.

-         Sapevo che ne esistevano dieci. – disse, a denti stretti.

-         Esatto, esatto!  -

Fu a quel punto che il Signore Oscuro si alzò in piedi e si voltò verso di lui. Draco ebbe appena il tempo di guardarlo per un attimo negli occhi rossi prima di chinarsi istintivamente.

Lo sentì avvicinarsi.

-         E mi sapresti dire anche, Draco, dove può essere finito il decimo anello? -

-         Io… -

-         No, vorrei che mi guardassi mentre me lo dici. –

Lui rimase un attimo immobile, poi alzò freddamente lo sguardo grigio.

-         So che è andato perso alla morte di Avery, signore. –

Voldemort lo guardò con gli occhi rossi che guizzavano.

-         Perso? Come può un simile oggetto andare perso? Andiamo per esclusione. Non può essere distrutto; alla morte del suo possessore sarebbe dovuto arrivare dritto qui dentro. Com’è dunque possibile che sia sparito, o usando le tue parole, perso? –

Draco rimase in silenzio.

-         Forse che lo possiede qualcuno adatto a possederlo? – continuò Voldemort. – forse che il nostro Avery sia stato in punto di morte più intelligente di quanto sia mai stato in tutta la sua inutile esistenza? -

A Draco sfuggì.

- Non capisco perché ne parla a me. – borbottò, ma si zittì subito, chinò la testa, ma non si pentì.

Il Signore Oscuro lo guardò, ghignò, si diresse verso il fuoco.

-         Voci mi riferiscono che tu avessi… uhm… come possiamo chiamarla? Un’amicizia? Una tresca? Chiamala come vuoi, con l’attuale detentore, o dovrei dire detentrice?,  dell’anello. –

Draco rimase chino, fissò il pavimento, per qualche motivo il sangue cominciò a pulsargli forte nelle vene.

Nonostante l’apparenza, Draco Malfoy non aveva avuto molte ‘amicizie’ (anche se lui non le avrebbe mai definite così… diciamo che non le avrebbe mai definite e basta). Non è che ci fossero molte ragazze che considerasse alla sua altezza, anzi, a malapena ce n’erano. Escludendo le storie da una notte e via, rimanevano solo due. E Pansy Parkinson non aveva sicuramente l’anello di fiducia del Signore Oscuro.

-         Ho sempre avuto una particolare simpatia per Ginny Weasley… che resti tra noi, naturalmente – sogghignò Voldemort, continuando a guardare il fuoco scoppiettare nel camino. – nonostante tutto, è purosangue, e probabilmente la sua ‘filobabbania’ è curabile. Intendiamoci, all’epoca del diario non le avrei mai dato credito, era una bambina così ridicolmente debole!, ma, senza che me ne accorgessi, proprio grazie a quell’esperienza si è rafforzata. Inoltre, non deve avere un grande rispetto per le regole e per la sua famiglia, se si è concessa uno come te. –

Voldemort camminava per la stanza, Draco ne osservava e ne udiva i passi.

-         Dev’essere un caso più unico che raro, all’interno della famiglia Weasley, che sono… bah, disgustosi? Rivoltanti? La loro ‘lealtà’ mi fa rabbrividire. Ma forse è così che funziona: ci sono le eccezioni, nelle famiglie… nel bene e nel male. D’altronde una donna è pur sempre una donna… tu lo sai bene, vero, Draco? Sono instabili, estremamente ingenue e sprovvedute, tutte. Forse non è un caso che la prima donna Weasley da generazioni sia anche la più incline all’oscuro. La trovo una cosa molto interessante. –

Draco avrebbe voluto andarsene. Veramente, non sopportava quei suoi giri di parole. Quella sua ironia. Sapeva che aveva uno scopo. Perché non ci arrivava?

-         Vuoi che arrivi al punto, Draco? – disse Voldemort, gelido, come se gli avesse letto nel pensiero.

Lui tacque.

Il Signore Oscuro sogghignò.

-         Oh, non si possono fare due chiacchiere con te? Ma forse hai ragione, neanch’io ho mai sopportato le chiacchiere a vuoto. Volevo solo esortarti ad essere gentile, Draco… nei confronti di qualche inaspettato nuovo arrivato. Non si sa mai, vero? –

Lui si alzò, annuì, lo guardò. Voldemort non si voltò, non ce n’era bisogno.

Draco uscì dalla sala a passo veloce.

Gli veniva da ridere.

Incline all’oscuro… oh, andiamo.

Se uno è da una parte non è dall’altra.

Ne era sicuro.

 

Il giorno dopo, era una bella giornata di sole.

Hermione aveva lezione per tre ore.

Si alzò di buon’ora, fece colazione con i suoi genitori, prese i libri, li salutò, si Materializzò a scuola. C’era poca gente in giro, nell’istituto: del resto non era esattamente giorno di lezioni, ma a Medimagia avevano degli orari strani.

Entrò nella sua aula, si sedette al banco, tirò fuori il libro.

-         Buongiorno. Anche oggi vi sfiancherò con qualche formula, ragazzi, perciò voglio attenzione e appunti ovunque. – disse il professore, un ometto cicciotto con gli occhiali, mentre si sedeva alla scrivania e con la bacchetta cominciava a scrivere sulla lavagna.

Hermione prese la piuma, la intinse nell’inchiostro. Rifletté un attimo, poi si voltò verso una compagna di corso.

-         Scusa, che giorno è oggi? –

-         Primo marzo. –

-         Okay, grazie… -

Si voltò, fece per scrivere sulla pergamena, ghiacciò sul posto, la piuma per aria.

Aprì e chiuse la bocca a intermittenza.

Primo marzo.

Oddio. Il compleanno di Ron. Il compleanno di Ron.

Lui aveva passato tutta la sera precedente a ricordarglielo ed avevano anche bisticciato parecchio dato che non la lasciava leggere canticchiando Happy Birthday to me.

Calma. Erano solo le nove del mattino. Probabilmente quello dormiva ancora. Però lei aveva sempre avuto una chiara visione di quel compleanno: sarebbe stato tutto, un’espressione adatta?, diciamo straordinario. Per un motivo o per l’altro, l’anno precedente non era stato niente di speciale: erano tutti impegnati con le simulazioni dei M.A.G.O., e alla fine Harry ed Hermione gli avevano solo dato i loro regali e stop. Però pareva che Ron andasse matto per il suo compleanno, e va bene, lei la trovava una cosa abbastanza… uhm, carina. Per questo si era detta che avrebbe preparato qualcosa, qualsiasi cosa, però poi tra l’Ordine, gli esami dei ragazzi e varie cose non aveva avuto il tempo di pensarci.

Però… insomma, va bene, erano solo le nove del mattino, ma lei non si sarebbe potuta defilare dalle lezioni prima di mezzogiorno. Cioè, non che lei fosse il tipo da piombare a casa di un ragazzo (del… proprio ragazzo, anche se ancora faticava a dirlo) con brioches e caffè, sbattendo le ciglia e strillando buon compleanno svegliandolo di botto, come invece pareva essere molto di moda tra le sue compagne di corso.

Anzi, al solo pensiero… si vergognava da morire...

-         Signorina Granger, ha bisogno di un estintore? Se arrossisce ancora un po’ prenderà fuoco. –

Tutta la classe scoppiò a ridere.

Hermione si guardò intorno e arrossì ancora di più.

Il professore ridacchiò, agitando una mano.

-         Vada a darsi una rinfrescata! Quando torna la voglio concentrata sulla lezione. –

Santo cielo, quanto era odioso quel professore. Che voleva?

Si alzò dal banco, stizzita, ed uscì dall’aula.

L’aria fresca del corridoio deserto la fece sentire decisamente meglio. Doveva smetterla di fare pensieri stupidi, altrimenti qualsiasi professore avrebbe pensato che fosse completamente scema.

Si diresse verso il bagno.

-         Speravo uscissi, ma non mi aspettavo così presto! –

Lei si voltò, impietrita. Ron era appoggiato alla parete, proprio vicino alla porta dell’aula da cui era appena uscita, sbadigliava.

Aprì e chiuse la bocca a intermittenza.

-         Che diavolo ci fai qui? –

-         Sei sempre molto accogliente! Almeno lo sai che giorno è oggi? –

Lei distolse lo sguardo.

-         Certo che lo so. – borbottò.

Ron sorrise, inarcando le sopracciglia.

-         E quindi…? C’è qualcosa che dovresti dirmi? –

Hermione sbuffò.

-         Senti, io ho lezione, adesso… -

-         Sì, ma è il mio compleanno. –

-         Oh, lo so. Ma ho lezione! –

Lui la scrutò, con il broncio.

-         Tu sei fredda, intelligente e crudele, ma i tuoi occhi ti tradiscono. –

Hermione lo guardò, altezzosa.

-         E quindi che intenzioni hai? -

-         Niente, ti invito a pranzo. –

A lei scappò un sorriso.

- Nooon posso. –

- Sì, che puoooi. –

Ron si guardò intorno nel corridoio vuoto, si diresse verso di lei e prima che Hermione potesse dire qualsiasi cosa le afferrò la mano e cominciò a correre verso l’ingresso trascinandosela dietro.

Hermione era sbalordita, mentre gli arrancava dietro inciampando sui suoi stessi piedi.

-         Ron! Ho lezione! E poi ho lasciato tutti i miei libri! Non puoi… -

-         Su, sii spontanea per una volta! –

Superarono un paio di studenti che stavano entrando, lasciandoli un po’ perplessi e corsero fino in fondo alla strada, svoltarono e si ritrovarono nella strada principale di Diagon Alley.

Hermione finalmente trovò la forza di ritirare la mano (anche se a fatica), e si fermò nel bel mezzo della strada.

-         Ron, sei uno stupido. – disse, però non era proprio arrabbiata.

-         Ma uno stupido attraente. Dove andiamo? –

Ron la guardò con aria interrogativa. Hermione lo fissò, incredula.

-         Pensavo che prima di rapirmi ti fossi fatto un’idea di dove andare! –

-         Uhm, per pranzare è ancora presto. Però ho fame – piagnucolò Ron, guardandosi intorno come se si aspettasse di vedersi comparire improvvisamente davanti una ciambella.

Hermione sospirò rassegnata, però sentiva una strana adrenalina correre lungo la sua spina dorsale. Non che fosse felice di aver marinato le lezioni (anzi, al solo pensiero si sentiva male), però, insomma, non aveva mai fatto una cosa del genere. Nemmeno Ron aveva mai fatto una cosa del genere, con lei (perché al contrario lui ed Harry erano veri esperti di queste uscite ‘politicamente scorrette’).

Ci pensò su, poi le venne in mente.

-         Hai mai fatto un giro nella Londra babbana? –

A Ron si illuminarono gli occhi come ad un bambino.

- No! Insisti per portarmi? –

- Va bene, però non avere strani comportamenti, e tieni nascosta la bacchetta, e non fare osservazioni strane, tipo parlare di babbani e di magia e… -

- Hermione, sbaglio o quello è il tramonto? Hai parlato così a lungo? –

Lei fece una smorfia. Molto divertente.

Comunque, alla fine, riuscirono ad uscire da Diagon Alley e si trovarono nel bel mezzo della Londra babbana.

Dimenticando totalmente le raccomandazioni di Hermione, Ron faceva commenti ad alta voce su ogni cosa che vedeva, e pareva che lo sconvolgessero in modo particolare le auto (specialmente le decappottabili: ne avevano incontrate due nel tragitto e lui era rimasto a fissarle rapito).

Arrivarono ad una bancarella che vendeva dolci e caffè a volontà. Hermione prese un caffè ed un brownie, Ron prese un caffè e due ciambelle glassate.

-         Guarda che sono pesanti – rise Hermione, guardandolo divorare la prima ciambella.

-         Faccio sport, io! Le consumerò in un attimo. –

-         Sì, come no. Non venirti a lamentare quando ti accorgerai di avere la pancia. –

-         Io starei più attento alla tua, di pancia. Sei un po’ ingrassata ultimamente? –

Hermione gli fece lo sgambetto, lui lo evitò gongolante ma andò a scontrarsi dritto contro il palo del semaforo.

-         Dove andiamo, adesso? – fece Ron, quando si fu ripreso ed Hermione ebbe smesso di ridere.

-         In libreria! –

-         Oh, ma ti prego! –

-         Qua le librerie non sono come a Hogsmeade. Ci si divertono anche i bambini di tre anni, quindi sicuramente troverai qualcosa con cui giocare. –

-         Oddio, come sei divertente! Guarda, se è vero giuro che ti offro il pranzo, con i soldi che mi ha prestato stamattina Ginny per comprarle una giacca. –

Comunque, era vero. Mentre Hermione si aggirava nella sezione dei libri di documentazione e politica, Ron si abbandonò totalmente tra gli scaffali della sezione dei fumetti e delle riviste. Si sedette anche per terra, assieme ad altri appassionati del genere, anche se erano perlopiù ragazzini.

Dopo parecchio tempo Hermione andò a cercarlo e lo vide immerso in una fitta conversazione con quello che pareva un tredicenne.

-         Senti, se c’è una cose di cui sono sicuro è che Nancy si è comportata da stupida! Era logico che lui non sarebbe tornato da lei! – diceva Ron, anche piuttosto concitatamente.

Il ragazzino scuoteva la testa.

-         E’ così che doveva finire! Lui era anche troppo vecchio per Nancy! Guarda che non parli con uno sprovveduto, io sono un appassionato di Sin City da anni! –

-         E cioè da quando non eri ancora nato! –

Le ci volle un po’ per dividere i due e per costringere Ron a uscire, e si trovò in seria difficoltà quando lui afferrò una rivista per donne si ritrovò in seria difficoltà quando lui le chiese che cos’era il silicone.

Era un po’ come portare in giro un bambino per la prima volta, e la cosa, anche se idealmente pensava le avrebbe dato fastidio, le faceva parecchio piacere.

Tra una cosa e l’altra si era fatta ora di pranzo. Andarono a mangiare dal McDonald’s (in realtà, lei avrebbe volentieri evitato, ma lui aveva seguito una ragazza che faceva pubblicità davanti al locale e naturalmente era troppo pericoloso lasciarlo vagare lì). Quando ebbero entrambi mangiato, Hermione propose una passeggiata ed in una mezz’oretta si ritrovarono ad Hyde Park. Hermione, ormai totalmente divertita dal suo ruolo di guida, gli propose di comprare del mangime per gli scoiattoli, ma per un buon pezzo di strada non ne incontrarono nessuno. Ne comparve uno proprio quando avevano perso le speranze e si erano seduti su una panchina davanti ad un lago.

-         Eccone uno! – disse Ron, a bassa voce. – ehi, amico, vieni qui, ti offro il pranzo. –

Hermione lo guardò mentre offriva il mangime all’animale e quello a poco a poco si avvicinava e cominciava a mangiare dalle sue mani.

-         ‘Mione, vieni – disse Ron, voltandosi a guardarla.

Lei scosse la testa.

-         Non sono molto indicata per queste cose… -

-         Oh, dai, non avrai mica paura? –

Lei lo fissò indignata e gli si portò accanto. Ron ridacchiò e le mise in mano un po’ di semi. Lo scoiattolo guardò diffidente le mani di Hermione, ma visto che in quelle di Ron non c’era più niente, con lentezza annusò li cibo e poi si mise a mangiare.

Hermione deglutì.

-         Era da tantissimo tempo che non facevo una cosa del genere! – bisbigliò, un po’ emozionata.

-         E invece si direbbe che tu non l’avessi mai fatto… -

Lei lo guardò, contrariata.

-         Non te l’avrei proposto, se non l’avessi mai fatto. –

Ron sorrise.

-         Giusto… tu non fai mai una cosa se non l’hai già fatta una volta. –

Hermione lo ignorò.

-         Mi ci ha portato mio padre quando avevo otto anni. Mi sono divertita molto, quel giorno. –

Lo scoiattolo trotterellò via. Ron ed Hermione tornarono a sedersi sulla panchina.

-         Infatti tuo padre è in gamba – disse Ron. – è tua madre che mi dà da pensare. Fino ad un anno fa mi offriva sempre i biscotti al cioccolato quando venivo a casa vostra, ma poi ha cominciato ad odiarmi. –

Hermione scoppiò a ridere.

-         Non ti odia! Se ti odiasse non ti lascerebbe nemmeno entrare. –

-         Beh, è come se lo facesse, dato che se mi capita di trattenermi un attimo di più mi sorveglia come un condor. –

Lei sorrise. Effettivamente, la situazione era un po’ così.

-         E’ solo un po’ diffidente. –

-         Ma perché? –

Hermione borbottò qualcosa.

Ron aggrottò le sopracciglia.

-         Cosa? –

-         Ehm… - lei alzò un po’ la voce. – … da quando le ho detto che… insomma… che stavamo insieme… - le sfumò la voce.

Lui sgranò gli occhi.

-         Mi stai dicendo che hai aspettato quasi un anno intero prima di dirglielo? –

Hermione lo fissò, indignata.

-         Non sono mica cose facili da dire! Tu mica l’hai detto, ai tuoi genitori. –

-         Perché loro ci vedono continuamente e se ne sono accorti. In ogni caso, in casa mia è impossibile mantenere un segreto! –

-         Comunque, mia madre è solo un po’ diffidente perché ti ha visto sempre come mio amico e non riesce a vederti come… insomma, non riesce a vederti. –

-         E’ diventata cieca? –

-         Oh, hai capito! -

Ron trovava molto divertente che Hermione non riuscisse mai a dire di lui ‘il mio ragazzo’, dimenticandosi che anche lui faceva parecchio fatica a dirlo senza arrossire. Pensava che fosse assurdo, in fondo avevano diciotto anni. Anzi, diciannove, per lui.

Passarono il resto della giornata a girarsi il parco da cima a fondo, poi girarono qualche negozio (perfino un concessionario: Ron voleva assolutamente provare il brivido di sedersi dentro una di quelle decappottabili, con sommo stupore e disapprovazione di Hermione) ed andarono a cenare in un altro fast-food, sempre con somma disapprovazione da parte di Hermione.

Ron disse che non aveva voglia di tornare subito a casa, così lei si ritrovò a sentirsi dire ‘puoi venire a casa mia’. Nel tentativo di aprire la porta della villetta a schiera, le caddero di mano le chiavi due volte.

Quando entrarono, era buio pesto.

Hermione accese la luce, con disappunto. Guardò l’orologio: erano solo le nove e un quarto di sera.

-         Ci siete? – urlò, ma nessuno rispose, poi le venne in mente. – ah… è vero… i miei stasera sono fuori a cena. Rimpatriata con un paio di colleghi dentisti. Devono essere usciti da poco… –

Ron sbatté ingenuamente le palpebre.

-         Oh? Davvero? Peccato… -

Hermione fece una smorfia ma poi sorrise.

Ron si buttò sul divano davanti alla televisione spenta e con una mano le fece segno di sedersi accanto a lui.

Lei lo guardò, incrociando le braccia.

-         Non tenterai di sedurmi, vero? –

Ron sorrise, scrollò le spalle.

-         Sei seducibile? –

Hermione scosse la testa.

-         Lo immaginavo – annuì lui, ma le fece comunque segno di avvicinarsi.

Lei si sedette accanto a lui e si sentì innaturalmente bene quando lui le circondò le spalle con il braccio e le diede in bacio sulla testa.

Hermione alzò lo sguardo.

-         Buon compleanno. – disse, arrossendo un po’.

Ron la baciò sulle labbra. Lei chiuse gli occhi, portò una mano al collo di lui, dischiuse le labbra. Hermione pensava che non poteva ricordare nessun momento in cui stava così bene. Era felice, ma anche quel termine era un eufemismo.

Ron, dal canto suo, aveva come l’impressione che neanche un’esplosione avrebbe potuto smuoverlo di lì. Con una mano le alzò il pullover alla ricerca della pelle della schiena. Sapeva che c’era un momento in cui lui si sentiva seriamente incapace di fermarsi, e lei lo fermava. La cosa, prima gli era parsa comprensibile, poi l’aveva trovata persino carina, ora però cominciava a sentirsi un po’ turbato. Più da sé stesso che da lei, a dire la verità. Non che avesse chissà quali appetiti sessuali animaleschi da saziare, ed era Hermione che voleva, non un’altra. Quasi inconsciamente, sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui per quanto la voleva, si sarebbe arrabbiato, e naturalmente si sarebbe arrabbiata anche lei perché ‘non avrebbe capito’, o meglio, lui si sarebbe sentito un idiota a spiegarglielo.

Hermione, che sentiva le dita di Ron correrle lungo la schiena ed il ventre, si sentiva improvvisamente nervosa.

-         … sì, un attimo, un attimo. –

Tac. La voce di Elizabeth Granger ruppe il silenzio immacolato e Ron ed Hermione si separarono di scatto, ritrovandosi a guardare la donna sull’ingresso seduti sul divano in una posizione innaturale.

Lei ricambiò lo sguardo, molto perplessa.

-         Oh, ragazzi… non pensavo ci foste… c’è solo una luce accesa… - si avvicinò.

Hermione cercò di mettersi in una posizione normale e sperò ardentemente che il pullover non le si fosse alzato sulla schiena.

-         Ah, ehm… ma sei già tornata, mamma? –

-         No, mi ero dimenticata il portafoglio… - ridusse gli occhi a due fessure. – piuttosto… voi che stavate facendo? –

Entrambi arrossirono un po’, ma la luce non era molto forte, il lampadario non era acceso. Lo sguardo della signora Granger vagava dalla televisione spenta, alle riviste chiuse come a chiedersi cosa si poteva fare in silenzio su un divano a parte leggere o dormire. Ma parevano sveglissimi.

-         Ah… uhm… - balbettò Ron, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce rosso.

-         Ehm… stavamo facendo due chiacchiere, mamma. Quando ti abbiamo sentito arrivare ci siamo un po’ spaventati, non ti aspettavamo. –

Elizabeth Granger non aveva l’aria di crederci, proprio per niente, ma visto che il marito, infastidito dal suo ritardo, continuava a suonare il clacson dall’interno della sua BMW per il ritardo della moglie, decise di lasciar correre e non pensarci.

-         Beh, tuo padre si sta arrabbiando… sarà meglio che vada. E’ stato un piacere vederti, Ron. –

Lui fece un goffo cenno con la mano.

La signora Granger si diresse verso la porta, sotto i loro occhi. Si voltò.

-         E… non fate tardi. – disse, a denti stretti.

Ron e Hermione le sorrisero, con aria un po’ colpevole.

 

Ginny posò la giacca sul letto. Era sera tardi, e la Tana era tranquilla e silenziosa. Sbadigliò. Si tolse il braccialetto e si sedette davanti allo specchio per pettinarsi. Fece per prendere la spazzola, ma qualcosa la bloccò.

Si guardò intorno. Non avrebbe saputo dire se fosse stato un rumore od un’ombra od una luce, ma c’era qualcosa che l’aveva distratta. Il suo sguardo andò dritto verso il cassetto del comodino. Non aveva niente di strano. Pensò che fosse un po’ paranoica, però aveva una brutta sensazione allo stomaco che più si sforzava di ignorare più cresceva, ed era una sensazione agghiacciante.

Si alzò in piedi, deglutendo come per mandare giù un groppo in gola, si tolse i vestiti ed indossò la camicia da notte. Si buttò sul letto, evitando accuratamente di badare a quella specie di ‘paura crescente’. Sotto le coperte, guardò furtivamente dalla finestra, come una bambina che ha paura del buio. Niente, fuori era tutto tranquillo. Chiuse forzatamente gli occhi e prese un gran respiro. Doveva smetterla di rincasare così tardi, la stancava.

 

Aprì gli occhi. Fuori era ancora buio. Non doveva essere passata più di mezz’ora. Fece per voltarsi dall’altra parte nel tentativo di riprendere sonno, ma improvvisamente un dolore lancinante al braccio le fece spalancare gli occhi. Si mise velocemente a sedere e si tirò su la manica. Rimase agghiacciata. Lì, proprio sul suo braccio sinistro, che aveva guardato distrattamente neanche un’ora prima, c’era il Marchio Nero. Bruciante, spaventoso, più nero di qualsiasi cosa si ricordasse di aver visto. Faceva così male che pensò che stesse per morire. Fece per toccarlo con le dita nella mano destra, come per cancellarlo, e poi lo vide. All’anulare della mano destra, l’anello che non aveva mai indossato, che non aveva più toccato per due anni. E si spaventò, e si chiese cosa significasse, e guardò alla sua destra e sul suo comodino vide un libricino nero. Quasi urlò, ma la voce le morì in gola. Il diario di Tom Ridde, intatto. Era stato distrutto. Lo sapeva. Lo aveva distrutto Harry. Non poteva essere lì. Doveva essere impazzita. Meccanicamente, prese il diario e senza respirare lo aprì.

Mi sento sola. A volte ho paura.

Hai paura?

Ho paura.

Di cosa hai paura?

Di quello che succederà.

Che succederà?

Quando tutti andranno avanti ed io rimarrò indietro. Che succederà?

Tu non rimarrai indietro.

Come lo sai?

Perché tu andrai molto più avanti di tutti gli altri.

Non ne sono capace!

Ti aiuterò.

Mi aiuterai?

Ti aiuterò a non avere paura di quello che succederà.

Come?

Perché avrai il tuo futuro nelle tue man e potrai decidere solo tu.

Gettò il diario per terra e stavolta urlò davvero, piegandosi su sé stessa, ma anche questa volta non sentì nessun suono.

Sul diario, rimasto aperto a terra, l’inchiostro formò parole.

Io ti ho aiutato. Ora tocca a te.

 

Aprì gli occhi e si alzò di scatto, con il fiatone. Si guardò intorno. Era nella sua stanza. Dalla finestra entravano splendenti raggi di sole che si diffondevano in tutta la stanza. Con la fronte imperlata di sudore, alzò la manica del braccio sinistro. Niente. Neanche un segno. La pelle era bianca come al solito. Guardò la mano destra, ma non c’era nessun anello. Per terra, nessun diario. Fuori, gli uccellini cinguettavano. Deglutì con forza, ancora con il fiato corto.

Un sogno. Un sogno? Sì, solo un sogno.

Però, lei non ci credeva più nei sogni.

Scese dal letto. Doveva dirlo a qualcuno. A qualcuno che non l’avrebbe presa per pazza.

-         Arthur! Aiuto! – gridò la voce di sua madre, con tono terrorizzato.

Ginny sentì suo padre correre giù per le scale. Lei chiuse gli occhi e strinse le labbra. Quasi come un robot, aprì la porta, ancora con la camicia da notte, scese lentamente le scale, andò uscì in giardino da dove provenivano delle voci concitate.

Arhur e Molly guardavano sconcertati il muro davanti a casa. Ginny li raggiunse, quasi controvoglia alzò lo sguardo.

E quasi come se lo sapesse, le bastò la prima parola per capire cosa c’era scritto a caratteri insanguinati su quella parete.

Io ti ho aiutato. Ora tocca a te.

 

Grimmauld Place.

I membri dell’Ordine erano stati convocati in via straordinaria.

C’era un silenzio pesantissimo intorno alla tavola. Ginny aveva appena finito di raccontare il suo sogno. E, quando aveva cominciato a parlare, non era più riuscita a controllarsi. Aveva anche confessato di quella sera a Diagon Alley, quando aveva ‘incontrato i Mangiamorte’.

E, beh… aveva raccontato anche dell’anello che le aveva dato Avery due anni prima.

Lupin, dopo qualche attimo, sospirò.

-         Ginny, perché non ce l’hai detto? Avremmo fatto in modo che tu fossi più al sicuro. –

-         Come sei arrivata ad avere collegamenti con i Mangiamorte fino a questo punto? –

-         Hai visto qualcuno in viso? –

-         Sei sicura di non aver nessun segno sul braccio? –

Tutti la sommergevano di domande, tranne Harry, Ron ed Hermione. Lei teneva lo sguardo basso e non li guardava. Sapeva perché non dicevano nulla. Sapeva cosa stavano pensando.

Perché non lo hai detto almeno a noi, Ginny?

Almeno a loro, che erano suoi amici. Si tremendamente in colpa, si sentiva triste. Ma per qualche motivo sapeva che non era pentita. Che se fosse successo un’altra volta lo avrebbe fatto di nuovo.

-         Io non l’ho detto perché… - disse, quasi più a sé stessa. – …non pensavo fosse così importante. –

Silenzio.

-         Ginny – disse Tonks. – nessuno in questa stanza pensa che tu sia così stupida. –

Lei abbassò lo sguardo azzurro e tacque. Tonks la guardò. Probabilmente, in qualche angolo della sua mente, l’aveva sempre sospettato.

Kingsley prese la parola.

-         Dobbiamo dedurne che la vorrebbero con loro? –

Lupin scrollò le spalle.

-         Certo, ma è una trappola. –

Kingsley lo guardò, esitante

-         Però, a noi un infiltrato servirebbe. –

Ron alzò improvvisamente la testa.

-         Non lei! –

-         State scherzando? – esclamò Arthur, riprendendosi dai suoi pensieri. – ha solo diciassette anni! –

Lupin sembrava molto combattuto.

Kingsley scosse la testa.

-         Arthur, anche alcuni dei Mangiamorte hanno più o meno la sua età. –

-         Mi stai dicendo che dovrei lasciare che mia figlia andasse dritta dai Mangiamorte? E come sperate che ritorni viva? –

-         Ginny ha dimostrato di essere stata sottovalutata già molte volte. Non dovrebbe combattere con loro. Dovrebbe solo rimanere a guardare e riferirci. Si tratterebbe di poco tempo. Remus ha più volte rischiato fingendosi dalla parte del nemico. –

Arthur li fissò, indignato.

-         Ma lei è mia figlia! –

-         Sono morti anche ragazzi molto più giovani di lei a causa dei Mangiamorte. –

Di nuovo, silenzio.

Ginny non sapeva cosa dire. Guardò Harry, che non aveva detto nulla. Se ne stava a fissare il tavolo, zitto.

Lui aveva combattuto sin da quando aveva undici anni. Lui aveva rischiato di morire, aveva visto morire, lui lo sapeva che cos’era la morte. Eppure era lì, ancora viveva, ancora riusciva ad avere il coraggio di andare avanti. Lui era speciale, ma lei forse poteva prendere in prestito un po’ di quel suo modo di essere. Forse.

E poi, a pensarci bene non aveva esattamente paura. Non dei Mangiamorte… e forse non aveva nemmeno paura della morte. Era stata l’unica ad avere un rapporto diretto con Voldemort a parte Harry, in quella stanza. Lei, in fondo, non aveva neanche paura di lui. La verità era che aveva sempre avuto paura di quello che sarebbe successo, del futuro. Del presente non aveva paura.

Se il presente era combattere, lei lo avrebbe fatto.

-         Sarebbe un aiuto – sentì dire infine a Lupin. – ma non possiamo certo costringerla o cercare di convincerla. E’ una questione delicata e pericolosa. Ginny, tu sei maggiorenne. Puoi decidere cosa fare. Se hai il minimo dubbio, ti puoi tirare indietro e non accadrà assolutamente nulla. Voglio solo sapere se sei disposta. Sinceramente. –

Ginny lo guardò.

Ron scosse la testa.

-         Non potete… -

-         Io… penso di poterlo fare. –

Tutti si voltarono a guardarla.

-         Cosa? – questa volta, fu anche Harry a parlare.

-         Non ho paura… posso farlo, davvero. –

Lupin la guardò.

-         Non devi dimostrare niente a nessuno, Ginny, questo devi saperlo. –

Ron si spazientì, e con lui Arthur.

-         Non puoi farlo… -

-         Se Ginny se la sente, e se la sente davvero – intervenne Tonks. – non c’è niente da discutere. E’ giovane, ma non è una bambina. Nessuno di noi vorrebbe essere qui, nessuno di noi voleva la guerra. Ma dal momento che c’è, tutti quelli che possono devono combattere. –

Continuarono a discutere a lungo, ma Ginny non disse più una parola. Ormai aveva deciso.

Avrebbe fatto cadere Voldemort e tutti i suoi seguaci nella loro stessa trappola.

Harry la guardava e per la prima volta da molto tempo ebbe veramente paura.

 

Draco se ne stava seduto alla scrivania, fumando svogliatamente una sigaretta. Un po’ guardava il foglio di pergamena bianco davanti a sé, un po’ guardava il vuoto. La luce del sole che tramontava al di là della finestrella da prigione, contrastando l’oscurità della stanza, illuminava un’opaca striscia di fumo.

Sentì bussare ed aprire la porta prima che lui dicesse qualcosa.

Prese un’altra boccata dalla sigaretta senza voltarsi.

-         Ti ha convocato di nuovo. –

-         Già. – rispose lui, emettendo una nuvoletta di fumo.

Pansy lo guardò con gli occhi neri, cercando di carpire qualcosa dalla sua espressione, anche se da anni sapeva che era impossibile. Indossava un vestito nero. Pareva che dentro al castello esistesse solo quel colore.

Lei si avvicinò, si sedette sulla scrivania proprio davanti a lui, a gambe leggermente divaricate.

-         Cambiamenti? – fece, inclinando la testa e muovendo leggermente il caschetto di capelli neri.

-         Così pare. –

-         Vuoi parlarmene? –

-         Tanto lo scoprirai. E non è niente di rilevante. –

Pansy si stupì. Ormai era talmente abituata alle risposte brusche e pungenti di Draco, che quando lui le rispondeva normalmente si sentiva quasi lusingata.

Rallegrata da quella specie di eccesso di generosità, Pansy lo guardò, scese dalla scrivania e scivolò a cavalcioni sulle sue gambe.

Gli prese di mano la sigaretta quasi finita, diede una boccata guardandolo negli occhi, la spense nel portacenere dietro di lei.

-         Stasera siamo liberi. –

Lui la fissò con gli occhi grigi, non disse nulla, annuì leggermente, lasciò che lei si chinasse a baciarlo. Bacio sulle labbra per un attimo, un bacio molto più profondo ed intimo subito dopo. Lui chiuse gli occhi, sentì che lei si abbassava la cerniera del vestito sul fianco.

Quella trafila era un’abitudine, ma non era routine. Pansy ci sapeva fare, aveva tutti i ‘numeri’ giusti ed era molto piacevole passare quella mezz’ora la sera dopo cena, un po’ un surrogato del liquore dopo il caffè.

Però quando lei se ne andava, raccoglieva i vestiti, lo baciava di nuovo, sgattaiolava fuori dalla porta e lui chiudeva gli occhi e dopo poco si addormentava, in dormiveglia gli capitava di chiederselo.

Tutto qui?

 

Quella notte, Ginny non dormì.

 

 

**

 

Okay, questo capitolo è estremamente lungoXD Però, l’ho scritto in momenti molto diversi, quindi i paragrafi mi sono venuti di una certa lunghezza._. Oh, beh, come al solito spero che non vi crei troppi fastidi, purtroppo non sono capace di fare i capitoli corti._.

Niente di particolare da dire riguardo a questo capitolo, solo che spero che vi piaccia, come al solito, e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate in ogni caso*_*

A presto!

 

Miwako__

 

  
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