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Autore: _Miwako_    19/03/2006    33 recensioni
'Lo sai che in certi posti del mondo il sole per sei mesi non tramonta neanche di notte? Penso che sarebbe bellissimo avere una speranza così forte da non tramontare mai, neanche nei momenti più bui...'
Harry e Ron frequentano il corso per Auror. Ginny sta per frequentarlo. Hermione studia Medimagia. Draco è un Mangiamorte. La guerra c'è ancora, e per finirla è necessario scoprire i segreti del nemico. E se ci fosse un infiltrato tra i Mangiamorte? Tradimento. Paura. Debolezze. Bugie. Tutto è lecito in amore e in guerra? Sequel de 'L'ultima metà del cielo'.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra, Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Luna Lovegood, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ebbene sì, alla fine mi sono fatta convincere a fare un seguito de L’ultima metà del cielo… anche se poi era un’idea che mi fr

Ebbene sì, alla fine mi sono fatta convincere a fare un seguito de L’ultima metà del cielo… anche se poi era un’idea che mi frullava in testa già da prima di terminarla._.

Volevo fare un paio di chiarimenti (adoro fare chiarimenti a quanto pare-_-): è possibile che qualcuno di voi si ricordi di una mia vecchia fic che arrivò appena al primo capitolo, Sole di mezzanotte, appunto. Beh, dato che non riuscivo proprio a trovare il modo di continuarla, ho pensato di inglobarla con questa: la trama è esattamente quella che avevo in programma per allora. Non so quanti capitoli durerà questa: non credo che sarà lunga quanto UMC, ma chi può dirlo?... come al solito nemmeno io ho le idee chiare. Credo comunque che per leggere questa fic non sia del tutto necessario aver letto UMC… c’è solo qualche riferimento qua e là che poi viene anche spiegato, quindi direi che si può leggere tranquillamente anche solo questa. Spero comunque che questo primo capitolo possa piacervi… qualsiasi commento, opinione e critica costruttiva lo sapete, sono bene accetti.

 

 

 

TWO YEARS LATER.

 

[Due anni dopo.]

 

 

 

“I’m here without you baby                          “Sono qui senza te
but you’re still on my lonely mind                 
ma tu sei ancora nella mia mente sola
I think about you baby                                  
  penso a te
and I dream about you all the time               
 e ti sogno tutto il tempo
I’m here without you baby                             
sono qui senza te
but your still with me in my dreams              
 ma nei miei sogni tu sei ancora con me
And tonight girl it’s only you and me”           
e stasera siamo solo io e te.”

 

 

 

Three Doors Down

 

 

Nove del mattino.

Ron Weasley dormiva della grossa sul letto, mentre tutte le coperte giacevano per terra stropicciate.

Senza bussare, qualcuno entrò nella sua stanza.

Una ragazza dai lunghi capelli rossi, vestita di tutto punto, lo guardò disgustata.

-         Non dovresti essere a Diagon Alley, a quest’ora? –

Ron mugugnò.

-         Ron. Rooon, datti una svegliata! Oggi non avevi un esame? –

Il ragazzo si voltò dall’altra parte, in silenzio. Dopo qualche secondo scattò a sedere.

-         Che giorno è? –

Ginny Weasley sorrise ironica, incrociando le braccia.

-         Venerdì. –

Ron fece un’espressione terrorizzata.

-         Oh, cazzo! –

Si catapultò giù dal letto, raccolse alcuni vestiti a caso da terra, sorpassò Ginny urtandola e si chiuse in bagno sbattendo la porta.

Ginny scoppiò a ridere e si accostò alla porta del bagno.

-         Che esame hai? Sei sicuro che ti ammetteranno, ormai? –

Sentì l’acqua della doccia cominciare a scorrere. La raggiunse la voce di suo fratello, attutita dalla porta.

-         Ho lavorato come un deficiente per farmi ammettere a quel diavolo di esame! Se non mi prendono sono morti! –

-         Mi sa che sei tu che sei morto, se non lo dai. Ma insomma, possibile che tu non ti sia svegliato? Che hai fatto ieri sera, che non ti abbiamo nemmeno sentito rientrare? – ridacchiò Ginny.

L’acqua della doccia smise di scorrere. Ron uscì come un fulmine dal bagno, con l’accappatoio sopra i jeans ed i capelli ancora bagnati, ed andò a frugare nella sua stanza alla ricerca di una maglietta decente.

Ginny lo seguì allegramente.

-         Allora? Com’è che stai zitto? –

Ron si spazientì, ficcandosi alla bell’e meglio una delle sue quindici magliette dei Chudley Cannons.

-         Senti, perché sei così allegra, oggi? Non avevi una specie di colloquio non so cosa? –

Ginny fece spallucce.

-         Ce l’ho, ma fra due ore. E comunque, è per accedere al corso di Auror, come se non lo sapessi! L’hai fatto anche tu. –

Ron si infilò le scarpe alla velocità della luce e prese lo zaino. Ginny si accorse che aveva un po’ di schiuma da barba sotto il mento, ma per ripicca fece finta di niente.

-         Sì, beh, non sai in che casino ti stai ficcando, cara mia. Ci fanno sgobbare come animali! –

Ginny lo guardò alzando un sopracciglio.

-         Harry non mi sembra così distrutto. –

-         Perché Harry non è un essere umano, è una macchina da guerra. Altrimenti non si sarebbe preso una come te. –

Ginny fece un’espressione indignata, ma prima che potesse tirargli un cuscino in piena faccia, Ron si smaterializzò ridacchiando.

 

Nove del mattino.

Harry tamburellò le dita sul tavolo, guardandosi intorno. Possibile che quel cretino dovesse arrivare in ritardo proprio oggi? Tutti gli altri stavano prendendo posto, con aria nervosa.

Era il secondo esame del corso per Auror: eppure sembrava il decimo, tant’erano difficili. Non scherzava la McGrannitt quando aveva detto che avrebbero fatto una fatica terribile. Harry, a forza di studiare fino a notte inoltrata, si ritrovava spesso a pensare di mollare tutto e mettere su un allevamento di Schiopodi Sparacoda.

Però, ridendo e scherzando, alla fine perfino Ron ce l’aveva fatta ad essere ammesso al corso, nonostante i suoi voti a Hogwarts non fossero certamente eccellenti. In quei tre mesi si era impegnato parecchio: non poteva buttare tutto all’aria arrivando in ritardo al secondo esame, che non si poteva neanche ridare.

Appoggiò la fronte al banco, stremato.

-         Che aria stanca, Harry! Dovresti essere allegro, è già venerdì. –

Lui alzò faticosamente la testa.

L’espressione allegra di una graziosa ragazza dai capelli biondo cenere gli si parò davanti. Strinse gli occhi, come se vedesse d’improvviso un gran sole dopo essere stato delle ore in una stanza buia.

-         Non ho l’aria stanca, Cloe, io sono stanco. –

-         Io per niente. –

-         Forse perché tu sei una specie di genio e se leggi un libro una volta lo sai già a memoria. –

-         Non esagerare, anche tu te la cavi. A proposito, ma dov’è finito Ron? Lo sa che questo esame non si può ridare, se lo si manca? –

-         Lo sa, lo sa. Solo che è un deficiente. –

Cloe sorrise e fece per dire qualcosa, ma entrò una donna sulla mezza età, vestita di un orrido giallo, che proclamò di sedersi ai loro posti.

La ragazza andò a sedersi al suo banco, e Harry si sentì furioso. Dove diavolo era, quell’idiota?

La donna cominciò a distribuire i fogli ed a controllare che non avessero bigliettini o penne magiche nascosti dentro le mutande (beh, in realtà controllò solo nelle giacche).

La porta si spalancò con un botto.

-         Scusi il ritardo! –

Ron, completamente sudato e con il fiatone, si trascinò verso il suo posto poco lontano da Harry e si sedette.

La donna lo squadrò dall’alto in basso come se fosse il peggiore scarto umano che avesse mai visto.

-         E’ in ritardo. Si rende conto che potrei squalificarla? Così dovrebbe ripetere anche il primo esame. –

Ron riprese leggermente fiato ed ostentò un sorriso.

-         Ma non vede che sono corso qui come un matto solo per lei? Ed ora vuole buttarmi fuori? –

Tutta la classe scoppiò a ridere.

Harry trattenne un sorriso. Notò un’ombra decisamente preoccupata negli occhi di Ron. Non era proprio reale il suo atteggiamento da sbruffone.

La donna comunque gli fece un cenno infastidito e decise di lasciarlo perdere. Ron era piuttosto popolare per le sue uscite spiritose, un po’ come a Hogwarts, con la differenza che adesso parecchie studentesse gli ronzavano attorno con interesse perché giocava tutti i sabati mattina in una squadrucola locale che però dalle parti di Diagon Alley era assolutamente adorata.

Anche Harry aveva la sua dose di ammiratrici, ma per carattere tendeva a non farci particolarmente caso: di solito quando c’era una ragazza che gli piaceva, gli piaceva quella e basta. E ce l’aveva da parecchio, una ragazza che gli piaceva.

Calò il silenzio e gli studenti cominciarono a scrivere.

 

Nove del mattino.

Hermione se ne stava seduta sul letto della sua stanza con cinque o sei libri piuttosto spessi attorno. Leggeva ad alta voce e la bacchetta accanto a lei scriveva su un blocco per gli appunti. Si fermò per sorseggiare un po’ di caffè ma ormai era freddo. Era sveglia da due ore.

L’unico giorno in cui aveva la mattina libera, e lei lo passava a studiare. Il fatto era che non riusciva proprio a dormire fino a tardi. Ad un certo punto le mancava il sonno, ecco. E non aveva niente di particolare da fare, a parte studiare, appunto.

Sentiva al piano di sotto la radio accesa, e sua madre che canticchiava lavando i piatti, mentre suo padre faceva colazione sfogliando il giornale, sicuramente nell’inserto sportivo.

Riprese la bacchetta, sbuffando. Si annoiava. Ormai aveva finito di studiare. Come avrebbe fatto dopo, quando non avrebbe più avuto nulla da fare?

A volte pensava che avrebbe dovuto iscriversi al corso per Auror. Harry e Ron sembravano sempre così indaffarati… ad esempio, quella mattina avevano addirittura un esame importante. A proposito: se Ron ne avesse combinata una delle sue come al solito, lo avrebbe ammazzato. Sperava sinceramente che si fosse svegliato in orario, dato che tutta la sera prima (ed anche le precedenti) le avevano passate praticamente solo studiando. Anche se lui era sempre così dannatamente distratto, da chissà quali pensieri, poi.

Sentì bussare alla porta.

Sua madre fece capolino.

-         Tesoro, hai visite. La tua amica Ginevra sta salendo – abbassò sensibilmente la voce. – santo cielo, ma non potresti chiederle di avvertire prima di comparirmi nel camino così, all’improvviso? Per poco tuo padre non si affogava con una ciambella. –

Hermione sorrise, trattenendo invece una risata.

Sua madre se ne andò lasciando il posto a Ginny.

-         Buongiorno – disse la ragazza, allegramente, reggendo due sacchetti bianchi in mano. – ti ho portato dei cornetti al cioccolato. E del caffè solubile. E delle bustine di thé. –

Lei alzò un sopracciglio.

-         Cos’è, volevi fare la spesa alla babbana? –

-         Oh, io adoro entrare in quei negozietti. I babbani hanno un’aria così ingenua e fra le nuvole… a parte quando il commesso mi ha detto che le monete che gli avevo dato non valevano. –

-         Come te lo devo dire che a Londra si usano le sterline? –

-         Beh, insomma. –

Ginny si sedette sul letto e scartò un sacchetto.

-         Chissà, forse ti dovresti trasferire a Diagon Alley. –

-         Sì, e con quali soldi? Non ho tempo di trovarmi un lavoro. –

-         Non si può mai dire. –

Hermione la guardò stranita, ma decise di lasciar perdere. Addentò un cornetto.

-         Ma tu non avevi un colloquio? –

-         Sì, ma ne manca di tempo. Nel frattempo, non sapevo che fare. Facciamo schifo, quando Ron e Harry sono impegnati noi ci ingozziamo. –

Hermione fece un’espressione altezzosa.

-         Parla per te – disse, però a bocca piena.

Ginny rise.

 

Nove del mattino.

Sotto le lenzuola bianche, Draco dormiva a pancia in giù, tranquillamente, con il respiro lento.

Seduta su una sedia, Pansy appoggiò la tazza piena di caffelatte. Erano già diversi minuti che lo guardava dormire.

Lui fece un lungo sospiro.

Lei sorrise.

Inconsciamente strinse le dita, toccando il cerchietto d’oro che circondava l’anulare sinistro.

Avrebbe dovuto rivestirsi, ma non ne aveva voglia. Stava così bene lì a guardarlo…

D’improvviso, Draco aprì gli occhi grigi.

-         Buongiorno – sussurrò Pansy, alzandosi per andargli a dare un bacio.

Lui non rispose. Si mise a sedere ed afferrò una canottiera da in fondo al letto. Se la infilò in silenzio.

-         Che ore sono? – chiese, andando a prendere i jeans.

-         Le nove. Vuoi fare colazione? –

-         Sì. Ma fuori. Qui dentro c’è tanfo. –

-         Cerca di resistere. Rodolphus ha detto che tra qualche giorno ti sposteranno. –

-         In qualche altra stanza schifosa. Questo castello è uno schifo di per sé. –

Pansy tacque. Evidentemente, era uno di quei giorni in cui Draco non era di buon umore. Cioè, di buon umore non lo era mai. Però, si notava dal suo sguardo, quando ti sopportava e quando ti avrebbe ucciso se avesse potuto.

C’erano stati giorni, specialmente all’inizio della sua vita nel castello, che Draco non sopportava niente e nessuno. Era capace di alzare la voce perfino con Rodolphus, che era stato praticamente assegnato a ‘tutore dei nuovi’. I nuovi erano Draco e Pansy, naturalmente.

Gli unici con cui non sembrava mai perdere la pazienza anche con l’umore nero erano suo padre ed il Signore Oscuro.

Anche perché, se avesse fatto una cosa del genere, entrambi non ci avrebbero pensato due volte ad ucciderlo.

Poi, però, sembrava che con il passare del tempo si fosse adattato. Smetteva di trattare chiunque come se fosse feccia. Giusto in tempo per il matrimonio.

Cioè, matrimonio. Niente celebrazioni, figuriamoci. Si erano solo messi gli anelli ed anagraficamente, a partire da una domenica di giugno, erano sposati.

Però, in realtà, non era cambiato un bel niente tra loro. Dormivano in camere separate, lei spesso si infilava nella sua, ma non rimaneva mai a dormire. Sapeva che era una delle cose a cui Draco era intollerante. Odiava dormire con qualcuno.

Pansy lo guardò legarsi la cintura.

-         Allora, stasera… -

Draco andò allo specchio, la mascella contratta, si pettinò i capelli.

-         Stasera cosa? –

-         Andiamo. E’ tutto pronto? –

-         Non me ne occupo io, Pansy, è inutile che me lo chiedi. Ci hanno chiesto di andare e noi ci andiamo, come abbiamo sempre fatto. –

Pansy non si scompose.

-         Tuo padre? –

-         Non viene. Insomma, non è mica una missione di importanza mondiale. Andiamo solo a spaventarli un po’. –

Lei lo guardò, inclinando leggermente la testa.

-         L’altro giorno… cosa ti ha detto il Signore Oscuro? Ha convocato solo te. –

-         Se ha convocato solo me, vuol dire che non sono cazzi tuoi. –

Lei ancora non rispose. Proprio di umore pessimo. Forse aveva solo bisogno di una boccata d’aria, in quella stanza davvero c’era un orribile odore di chiuso.

Draco aprì la porta.

-         Il mantello, Draco… -

-         Non ne ho voglia. E smettila di controllarmi. –

Uscì. Scese le scale del castello, non salutò quelli che incrociò.

Ma nel giardino vide che era una giornata di sole e si sentì ancora più irritato.

Fumò una sigaretta chiedendosi perché si era scelto quella merda di vita monotona.

 

Suonò la campana.

Hermione chiuse il libro, soddisfatta.

Ora che si era fatta due ore buone di Cura delle Ferite Interne (sotto materia di Cure da Veleno) si sentiva di umore decisamente più positivo. Prese la borsa e ci ficcò dentro libri, appunti e bacchetta. Adorava il ritmo dell’Università. Poteva metterci ore ad andarsene dall’aula ma non arrivava nessun professore a urlare di darsi una mossa.

Percorse i corridoi affollati dell’edificio ed arrivò fuori. Era stata una bella giornata soleggiata: perfetta per l’inizio della primavera. Faceva ancora piuttosto freddo, specialmente ora che il sole stava per tramontare: però, le giornate così le mettevano allegria comunque.

Lui era seduto sugli ultimi gradini della scalinata fuori dalla scuola, che si leggeva un libro… no, un fumetto. Beh, si sarebbe stupita del contrario.

-         Sei fra i piedi, Ron – disse, quando gli arrivò alle spalle. Effettivamente, ostruiva un po’ il passaggio.

Lui si voltò, pronto a tirare uno o due insulti, poi vide che era lei e fece un sorriso ironico.

-         Ma come siamo carini, oggi. Cos’è, non hai preso mille ad un esame? –

-         Anche tu sei molto simpatico, oggi. E comunque, no, niente esami – si sedette sul gradino accanto a lui.

-         A proposito di esami, non ne avevi uno tu, stamattina? – chiese, casualmente, anche se lo sapeva benissimo. Rabbrividì sotto una folata di aria fredda.

Ron scrollò le spalle e si slegò un po’ la sciarpa che aveva annodato al collo.

-         Sciarpa? – fece, offrendogliene metà.

-         Risultato dell’esame? – ribatté lei, prendendola comunque per riscaldarsi un minimo.

-         Che hai da fare stasera? –

Hermione roteò gli occhi.

-         Niente, a parte cercare di capire perché eludi le mie domande. –

-         Bene. Quando hai finito, Harry ha prenotato una tavolata al ristorante. –

-         Ron, se non mi dici subito il risultato di quell’esame, impazzisco. Dimmelo! – esclamò lei, perdendo la pazienza. Per rafforzare la sua domanda tirò violentemente un lembo della sciarpa nel tentativo di strangolarlo.

Ron tossì e si allentò frettolosamente la stretta sghignazzando.

-         Va bene, va bene, non c’è bisogno di uccidermi! Sono passato. –

-         Cosa? –

-         Oltre che violenta sei pure sorda? Sono passato. –

Hermione batté le mani, assolutamente entusiasta.

-         Ma è fantastico, Ron! Questo era uno degli esami più difficili! Non sei contento? –

Evidentemente lui aveva fatto uno sforzo immane per non tradire un’enorme soddisfazione con l’espressione, che però in quel momento gli sfuggì in un sorriso beato.

-         Abbastanza – disse, però con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

-         Ma quanto sono stata brava e paziente? Se non fosse stato per me, non avresti studiato neanche se te l’avessero chiesto in ginocchio. A questo punto, urge un premio! –

Ron fece un’espressione disgustata.

-         No, un momento. Sono io quello che è stato bravo e paziente. Sono io che ho studiato. Sono io che merito un premio! –

Hermione si alzò, togliendosi la sciarpa con indifferenza.

-         Beh, allora spero che tua madre ti dia un galeone come paghetta. –

Lui scoppiò a ridere e la seguì. Imboccarono una stradina che portava alla via principale di Diagon Alley. Passarono anche davanti alla Scuola per Auror di Ron.

-         Allora, ci vieni stasera? Anche Harry è passato. Festeggiamo, no? –

Hermione fece spallucce.

-         Spero solo che i miei non facciano storie. Ultimamente si lamentano un sacco perché torno tardi la sera, come se non sapessero che vengo solo da te ad aiutarti a studiare. Pensano sempre male, quelli lì, e non mi va di rivoltarmeli contro. –

Ron schioccò la lingua con netta disapprovazione. I genitori di Hermione gli erano sempre stati simpatici e la cosa era anche reciproca, però negli ultimi tempi erano incredibilmente sospettosi sul suo conto.

-         Hermione, hai diciotto anni. Non dovrebbero intromettersi così nella tua vita… -

-         Parla quello che non si muove da casa senza l’approvazione della mamma. –

-         Ma mia madre è un demone… -

-         Beh, anche la mia può diventarlo. -

-         Allora, digli che stanotte vai a dormire da Ginny. –

Hermione trattenne un sorriso.

-         Ron, quella è anche casa tua. –

-         Oh! Già, è vero… beh, due piccioni con una fava. –

Lei gli lanciò un’occhiataccia.

-         Comunque, per stasera non credo ci siano problemi. Cercherò solo di non fare troppo tardi. –

Ormai erano a Diagon Alley. La gente camminava allegramente guardando le vetrine dei negozi, ed i lampioni si stavano lentamente accendendo.

Hermione si voltò verso Ron.

-         Bene, allora vado. Sei troppo stanco per Smaterializzarti alla Tana? –

-         Uhm, non sono stanco. E poi vado a casa di Harry. Ti vengo a prendere? –

Lei scosse la testa.

-         Ma no. Uso la Polvere Volante. –

-         Sicura? Lo sai che di sera non si può andare in giro da soli. –

-         Ti dico che uso la Polvere Volante, arrivo dritto dritto nel ristorante. –

-         La tua indipendenza è estremamente irritante. –

Anche se pensava che fosse irritante, questo non gli impedì di chinarsi a baciarla, ma lei si voltò di scatto e le sue labbra finirono a baciare il suo orecchio.

Hermione era rossissima in viso.

-         Siamo nel bel mezzo di Diagon Alley. –

Ron alzò gli occhi al cielo.

-         Infatti. Se avessi voluto molestarti ti avrei portato in un posto deserto. –

Hermione, suo malgrado, rise.

-         Ci vediamo stasera – disse, e prima che Ron potesse protestare lei si Smaterializzò.

Sospirò. Uffa. Le poche volte che lui prendeva l’iniziativa (quel giorno era particolarmente di buon umore, ed era stato ardito), o era il momento sbagliato, o il posto sbagliato.

Stavano insieme da due anni, ormai: eppure sembrava che il loro rapporto non si fosse evoluto per niente. Per strada non si tenevano mai per mano; figurarsi se si baciavano davanti a qualcuno. Forse avevano una sorta di ‘deformazione professionale’… in fondo, erano stati più tempo amici che ‘ragazzo e ragazza’. Però, insomma… va bene che Hermione per lui era anche un’amica, ma lui mica era di pietra. Se lui provava a spingersi solo leggermente un po’ più ‘in là’ del soliti baci… lei lo respingeva subito. La cosa più che farlo arrabbiare o stupire, lo faceva impazzire. Capiva che dopo le esperienze al sesto anno, avesse bisogno di tempo per riadattarsi a fare un’esperienza ‘da grandi’, per questo non insisteva mai più di tanto. Però, cioè. Voi capite.

Si diresse verso l’appartamento di Harry. Uhm, chissà, magari anche lui se la poteva trovare una casa.

 

Ginny si lisciò i jeans e si alzò dal letto. Si diede un’occhiata allo specchio mentre indossava un paio di orecchini d’oro.

Non si piacque. I lunghi capelli rossi incorniciavano un viso stanco ed aveva l’espressione spenta. Di solito, quando era con gli altri, il suo viso era totalmente diverso: era sorridente, aveva le guance rosee e gli occhi vispi, come suo solito, peraltro. Però, forse perché non sopportava rimanere da sola, in momenti come quello era come se si spegnesse di botto.

Mise sotto gli occhi un prodotto per alleviare le occhiaie. C’era anche da dire che aveva studiato parecchio per il colloquio, quindi non è che avesse passato notti molto tranquille. Poi a lei piaceva anche andare in giro, quindi si stancava anche di più.

Andò alla scrivania e dal cassetto estrasse una scatola di latta. La aprì con uno schiocco e si mise a cercare qualcosa da mettere alle mani. Alla fine decise di indossare un grazioso e semplice cerchietto d’oro bianco.

Lanciò un’occhiata molto veloce all’unico anello che non aveva toni chiari. Un anello nero.

Richiuse la scatola ed andò a pettinarsi, senza pensare a niente.

 

Al ristorante cominciava a raccogliersi parecchia gente.

Harry era arrivato in anticipo, visto che era stato lui ad organizzare i ‘festeggiamenti’. Poco dopo era arrivato qualche compagno di corso, e si erano messi animatamente a chiacchierare sull’esito delle Finali ai Mondiali di Quidditch.

Luna Lovegood arrivò puntualissima, alle otto spaccate.

-         Ciao, Luna. – disse Harry, andandole incontro mentre i suoi compagni di corso lo guardavano strano.

Effettivamente, Luna, come suo solito, non aveva potuto lasciarsi sfuggire l’occasione di vestirsi in modo... ehm, fuori dai canoni. Sarebbe stata carina se avesse avuto soltanto quel grazioso vestito lilla al ginocchio, solo che ci aveva aggiunto bracciali di forme assurde (ma quelle che le pendevano dal polso erano piccole ossicine?), degli stivali di materiale sospetto ed i suoi inconfondibili orecchini enormi. Quella sera erano a forma di mappamondo. E c’erano veramente tutti i continenti e gli Stati.

-         Ciao, Harry! Congratulazioni! –

-         Grazie. –

-         Cosa festeggiamo? –

Harry sorrise trattenendo una risatina. Era proprio da lei, probabilmente.

La cosa assurda era che dopo la scuola avrebbe benissimo potuto perderla volutamente di vista, ma per qualche motivo lui, Ron ed Hermione (naturalmente anche Ginny, ma lei era notoriamente una sua amica) avevano continuato a frequentarla. Sarà stato l’evento di due anni prima, comunque pareva proprio che fossero diventati tutti amici. E ormai Harry non faceva nemmeno più caso alle frasi imbarazzanti od all’abbigliamento eccentrico di Luna. Anche se ancora, a volte, si chiedeva veramente se ci fosse o ci facesse.

-         Io e Ron abbiamo passato un esame importante al corso di Auror. Non te l’avevo detto? –

-         Oh, sicuramente me l’hai detto, ma io mi dimentico le cose. Hai letto il mio articolo sugli Ippogrifi Scarlatti? –

Harry si versò un po’ d’acqua.

-         Sì. Esaltante – mormorò. Vero che l’aveva letto, falso che lo trovava esaltante, anzi, era spaventoso.

Luna faceva gavetta al Cavillo, era dipendente di suo padre. C’erano ottime probabilità che in qualche anno lei stessa sarebbe diventata la nuova direttrice. Nel frattempo, si divertiva parecchio ad andarsene in giro per i boschi e per i posti più strani alla ricerca di strane creature, che puntualmente non trovava mai, allora finiva che i suoi articoli diventavano vaghi viaggi mentali su quello che avrebbe potuto trovarsi nel tal lago o nella tal caverna.

Neville e Ginny arrivarono chiacchierando.

-         Ciao, ragazzi – disse allegramente lei, baciando Harry su una guancia e sorridendo a Luna. Indossava una bella camicia bianca sopra i jeans. – io e Neville ci siamo incontrati all’entrata. –

-         Pensavo di aver sbagliato ristorante – disse Neville, con aria sollevata. – ciao, Harry. Ciao, Luna. –

Pochi minuti dopo arrivò Hermione. Aveva i capelli sciolti e sembravano un po’ più domabili del solito. Non aveva azzardato quanto Ginny: indossava un discreto dolcevita a collo alto.

-         Complimenti, Harry! – disse, abbracciandolo con un sorriso. – non avrei scommesso niente su voi due, ed invece ce l’avete fatta. Forse state maturando un po’… -

Ginny scoppiò a ridere.

-         Chi, maturo? Lui? – disse, tirando con un po’ troppa violenza una guancia ad Harry deformandogli la faccia.

-         Ahia! –

-         Oh, poverino, gli ho fatto male alla guancina – ridacchiò Ginny, mentre lui si massaggiava contrariato la parte lesa.

Hermione si guardò intorno.

-         Ron non è ancora arrivato? Non doveva venire con te, Harry? –

-         Sì, ma ci metteva troppo per mettersi in tiro e l’ho lasciato a casa mia. –

Lei alzò gli occhi al cielo. Ron, per sua fortuna, arrivò un attimo prima che tutti si mettessero a tavola per ordinare.

 

- E allora le dico: ma se ho fatto tutta questa corsa solo per lei? E mi vuol buttare fuori? – diceva Ron, a voce un po’ troppo alta, quando tutti finirono di mangiare e stavano arrivando i caffè.

 - Ron, questa l’hai raccontata troppe volte, ci hai stufato! – esclamò Harry, ma se la rideva un sacco. – vi devo raccontare di quando… -

Hermione e Ginny si lanciarono un’occhiata rassegnata. Ormai erano tutti parecchio brilli e parlavano a voce altissima. Neville si era fatto i capelli dritti con della gelatina. Non lo reggeva per niente bene, l’alcool. Perfino Luna, che era sempre stata astemia, aveva bevuto appena un po’ di vino ed era totalmente fuori gioco. Se ne stava zitta a guardare nel vuoto.

A quanto pareva, le uniche lucide erano proprio Hermione, che per principio non beveva mai troppo (in realtà, non faceva mai troppo di niente: a parte che studiare, ma per lei non era mai troppo), mentre Ginny quella sera non poteva bere perché se Molly la beccava appena un po’ brilla gliele suonava (questo perché una volta era tornata da una festa delle sue compagne del corso di preparazione ubriaca fradicia: comunque, anche se sua madre non l’avesse sgridata a morte, avrebbe deciso lei stessa di non fare mai più una cosa del genere; al solo ricordo di come si era sentita male dopo, le si rivoltava lo stomaco).

Quando Harry, Ron e Neville cominciarono ad intonare il vecchio inno di Hogwarts abbracciati, Ginny non ne poté più e si alzò.

-         Vado a prendere una boccata d’aria. Vieni? – fece, rivolta ad Hermione.

Lei sospirò, guardando di sbieco i ragazzi.

-         No, voglio godermi il momento in cui il loro divertimento cesserà di botto. In una decina di minuti si fionderanno tutti in bagno a vomitare. –

Ginny sorrise. Indossò la giacca ed uscì dal ristorante, seguita ancora dai canti di giubilo degli amici.

L’aria era fredda e pungente: però, era quello che ci voleva dopo una serata passata in quel caldo asfissiante.

Sapeva che teoricamente non era prudente che uscisse da sola per la strada di sera: ma per una volta che Harry non se ne accorgeva, aveva voluto cogliere l’occasione.

La strada terrosa era deserta. Erano ai confini di Diagon Alley, e tutto era molto tranquillo. Il cielo era sereno: significava che avrebbe fatto freddo ancora per qualche giorno. Si vedevano tantissime stelle, e la luna era al primo quarto.

Camminò un po’. Attorno c’erano poche case, e tutte con le luci spente.

Mentre camminava, sentì improvvisamente uno scricchiolio. Si voltò si scatto, trasalendo.

Un gatto nero la guardò, immobile.

Ginny tirò un sospiro di sollievo. Faceva tanto la coraggiosa, però a volte sudava freddo. Si avvicinò al gatto, che la guardò malissimo e se ne zampettò oltre la staccionata di una casa buia.

-         Cattivo – mormorò lei.

Fece per tornarsene indietro al ristorante, ma all’improvviso, una luce fioca fioca attirò la sua attenzione.

Una persona assennata se ne sarebbe andata e di corsa: di quei tempi indugiare e fare i curiosi non era mai una buona idea. Ma Ginny, assennata?

Guardò meglio. Veniva da dietro la casa dove era sparito il gatto.

Le parve di sentire delle voci.

E se fosse stato qualcuno che aveva bisogno d’aiuto? In quella parte di Diagon Alley non c’era molta gente disposta ad aiutare uno sconosciuto.

Deglutì, indecisa. Poi si disse che in fondo a Diagon Alley in un innocente venerdì sera non poteva esserci niente di male.

Scavalcò la staccionata, finendo con i piedi in una pozzanghera. Borbottò ma continuò a camminare, con cautela.

Le voci si facevano sempre più chiare, anche se erano sussurrate.

-         … dopo, potrete scappare. Però, tornate al castello entro domattina. Vorrà sapere com’è andata. –

Era una voce maschile. Le suonava strana alle orecchie. Già la conosceva, quella voce. Ed ebbe un pessimo presentimento, ma ormai le sue gambe andavano da sole, e la curiosità era troppo forte.

Si accostò ad un muro e, con estrema attenzione, fece leggermente capolino.

Sì sentì il cuore mancare un battito. Anzi, pensò che avesse totalmente smesso di battere per la paura.

Stretti attorno ad una bacchetta che produceva quella luce fioca, c’erano delle persone. Erano in tre, tutte vestite di nero… e, naturalmente, incappucciate. Chiunque li avesse visti lì, così all’improvviso, si sarebbe spaventato, Ginny era pronta a garantirlo. Era impossibile spiegare la sensazione terrificante che quelle figure le davano, nonostante sapesse perfettamente che erano normali esseri umani.

Non riusciva a vederli in viso. Vide il gatto nero, o meglio, i suoi occhi gialli, accarezzare con la coda le gambe di uno dei Mangiamorte.

-         Tesoro, non è il momento – disse una voce femminile, affettuosamente, ed il gatto venne accarezzato da un paio di mani sottili.

Stavolta la voce la riconobbe, e bene. L’aveva sentita tante volte, anche se distrattamente, l’aveva irritata tante volte, e pensava che non avrebbe dovuto sentirla mai più.

Rimase ghiacciata sul posto, come se non potesse scappare.

-         E tu cerca di non essere innovativo come tuo solito – disse la voce maschile di prima, sprezzante.

Qualcuno schioccò la lingua.

-         Come no. – disse.

Bastarono quelle due parole per riconoscere quella, di voce.

Si scostò di scatto e si appiattì contro il muro, con gli occhi sgranati nel buio ed il cuore che le batteva all’impazzata. Le gambe sembravano faticare enormemente per tenerla in piedi.

Doveva scappare. Doveva correre.

Fece a fatica un passo.

Il gatto nero guardò verso di lei e miagolò furiosamente.

Tutti e tre si voltarono.

Ginny non ebbe il tempo di nascondersi né scappare né respirare che loro la videro.

Improvvisamente, le gambe ripresero a funzionarle.

Non riusciva a pensare a nient’altro. Corri, corri, corri.

E lo fece.

- Ci hanno sentiti! – esclamò la voce femminile. La voce di Pansy Parkinson, che era riconoscibilissima.

Nel corso di preparazione per Auror tenevano molto alla corsa. Perché se si era Auror bisognava saper rincorrere e trovare, e saper scappare e non farsi trovare. Per questo negli ultimi mesi Ginny era diventata particolarmente veloce, tanto che per un attimo speranzoso pensò sinceramente di averli seminati, o comunque che avessero rinunciato a rincorrerla.

Anche se non aveva mai sentito di Mangiamorte che rinunciano a fare del male a qualcuno.

Ma ebbe appena il tempo di sentire dei passi veloci dietro di lei che qualcuno le tappò la bocca con la mano così violentemente che sentì il labbro spezzarsi. Cercò di liberarsi e urlare, ma la tenevano ferma per le braccia e si sentiva soffocare.

Venne strattonata in una strada secondaria, dove era particolarmente buio.

Ginny aveva talmente tanta paura che ormai non riusciva neanche più a capire quanta. Eppure la sua bacchetta era lì, nella tasca posteriore dei jeans.

Magari non era un genio in incantesimi, ma era rapida. Bastò che per un attimo la persona che la teneva ferma estraesse la propria bacchetta che riuscì, anche se facendosi parecchio male al braccio, a prendere la bacchetta ed a spingerlo lontano.

Si sentì quasi salva fino a quando lui non parlò.

-         Ehi, come siamo agitati. Stai buona, voglio solo cancellarti la memoria. –

Era quella voce. Non si sentì più salva. Non aveva la forza di dire nulla, e quasi sembrava che non respirasse proprio più. Il labbro le sanguinava ed il braccio le faceva incredibilmente male, ma non era per quello che aveva paura.

Strinse forte la bacchetta, e non appena lui fece per avvicinarsi gli lanciò contro uno Schiantesimo, rabbiosamente.

-         Scudo! – gridò lui, e l’incantesimo le si rivoltò contro sbattendola con violenza contro il muro.

La bacchetta le scivolò dalle mani e lei cadde a terra, dolorante. Non aveva mai provato tanto dolore tutto insieme. Sembrava che tutte le ossa del suo corpo si fossero spezzate.

Lui raccolse la bacchetta e le si avvicinò. Si chinò puntandogliela alla tempia.

Lo sentì sogghignare.

-         Obliv…-

Improvvisamente, la luce al secondo piano di una casa poco lontana si accese.

E non fu più così buio.

Gli occhi grigi la fissarono, ma non ebbero alcun tentennamento. Fu la fermezza con cui teneva la bacchetta a tradirlo: la punta della bacchetta dalla tempia di Ginny si allontanò impercettibilmente.

Si fissarono per un lungo istante e lei ebbe una paura folle che avrebbe terminato l’incantesimo.

Però poi si ricordò di com’era fatto lui, e capì che non l’avrebbe fatto. Non per riguardo; non c’era una ragione particolare. Era solo che lui era fatto così: non avrebbe saputo spiegarselo meglio.

Si allontanò da lei e rimise la bacchetta in tasca.

-         Sparisci – le intimò.

Ginny si alzò a fatica. Il braccio le faceva male da morire. Il sangue del labbro doveva essersi seccato.

Lei lo sapeva benissimo che avrebbe dovuto solo andarsene, ed in fretta, senza dire una parola. Però… erano due anni che non lo vedeva. Ora, non che si fosse distrutta a pensare a lui per tutto quel tempo. C’era stato un periodo in cui il solo pensiero l’aveva fatta impazzire, ma quando la ferita era ancora fresca ed i ricordi erano ancora veri.

Ora come ora, i ricordi che le venivano alla mente erano molto vaghi, come la trama di un libro che si ha solo sfogliato. Però i ricordi c’erano, e lei non gli voltava mai le spalle.

-         Malfoy – mormorò, sentendosi vagamente stupida. Sperò che non l’avesse sentita.

Lui non la guardò, come se lei non esistesse. Ma era chiaro che aveva fatto solo finta di non averla sentita.

-         Cosa stavate facendo qui? –

-         Non te ne sei ancora andata? – chiese, con una tale freddezza che Ginny rabbrividì.

Era parecchio tempo che qualcuno non la trattava con tanta freddezza.

-         No, anche perché mi devi aver spezzato qualcosa – disse, imitando il suo tono gelido.

Draco si voltò a guardarla, inarcando le sopracciglia.

-         Dovresti ringraziarmi per non averti uccisa. –

Ginny non poté trattenersi.

-         Non credo l’avresti fatto. –

Lui la guardò malissimo.

-         Vedo che sei insopportabile come al solito. Non mi hai sentito? Ti ho detto di sparire. –

Lei esitò. Ma capì che non era una conversazione che poteva andare avanti.

Ormai per lei era come parlare con un estraneo.

Con il cuore che per qualche motivo le batteva all’impazzata, sopportò il dolore e corse via, reggendosi il braccio.

Corse via con il respiro affannoso e gli occhi strani e la paura.

Qualcuno la vide uscire dal vicolo e sparire nella strada verso il ristorante.

Vide anche Draco uscire da quello stesso vicolo, rimettendo la bacchetta in tasca.

-         Dovevi ucciderla – disse Rodolphus Lestrange, mostrando un ghigno nell’ombra del cappuccio nero.

Draco non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

-         Non ne valeva la pena. Le ho cancellato la memoria. –

Rodolphus lo fissò con un sorrisetto incredibilmente odioso che gli si allargava in viso.

-         Sbaglio o era Ginny Weasley? –

Lui si voltò a guardarlo, non rispose.

-         Oh, andiamo, Draco, non c’è in giro nessun’altra ragazza con i capelli così rossi – sogghignò Rodolphus, che sembrava gongolare del silenzio di Draco. – pensavo l’avessi rincorsa apposta. –

Lui gli lanciò un’occhiata gelida.

-         Perché avrei dovuto? –

-         Perché una volta eravate… come dire?... amici è la parola giusta? –

-         No. – sbottò Draco.

Rodolphus rise. Rodolphus, se mai ti ricapiterà di vedere Ginny Weasley, perché non le chiedi di unirsi a noi? In fondo, all’epoca del diario di Tom Riddle non mi parve poi così dalla parte dei ‘suoi’. Una ragazza sola ha più probabilità di cambiare idea.

Chissà, forse il Signore Oscuro aveva ragione. Forse era il caso di lavorarci sopra. In fondo, con tutta probabilità era al corrente di parecchi segreti dell’Ordine della Fenice.

Poi, naturalmente, la uccideremo.

Quando Draco si voltò, non poté impedirsi di sorridere.

 

Hermione era in piedi, con la schiena appoggiata alla porta del bagno degli uomini. Da dentro provenivano rumori molto spiacevoli di qualcuno che non si sentiva affatto bene.

Quando ritornò il silenzio, bussò.

-         Tutto bene? Sei ancora vivo? –

La serratura fece un clak e la porta rivelò un Ron parecchio verde in faccia.

-         No – mormorò, ed effettivamente non sembrava molto tra i vivi.

-         Tu non lo reggi l’alcool. Te lo dicevo che non dovevi bere. –

-         E’ stato Harry a costringermi… -

-         Beh, Harry lo regge molto meglio di te, si è già ripreso – vedendo il viso in stato comatoso di Ron, l’espressione di Hermione si addolcì un po’. – dai, adesso ripeschiamo Ginny che ti riporti a casa. –

Ron si appoggiò con la fronte al muro.

-         Non voglio andare a casa… - mugolò.

-         Ah, sì? E dove vuoi andare? –

Lui la guardò con gli occhi lucidi per il post sbronza.

-         Fammi dormire a casa tua. –

Hermione sbuffò.

-         Ron, in che lingua te lo devo spiegare che casa mia per te è off limit? Io vivo con i miei genitori, santo cielo. –

Ron fece un’espressione sofferente e le si avvicinò, appoggiando il mento sulla sua massa di capelli castani.

-         Allora metterò da parte dei soldi e cercherò una casa. Se l’ha fatto Harry… -

Hermione rise contro il suo petto.

-         Harry aveva un’eredità da parte, Ron. –

-         Non mi rovinare i miei viaggi mentali, Hermione… -

-         Ragazzi, avete visto Harry? –

Hermione guardò oltre la spalla di Ron. Ginny aveva i capelli tutti spettinati, un labbro sanguinante e si reggeva il braccio sinistro con la mano destra. In più, era pallida come un cencio.

-         Ginny, ma cosa ti è successo? – disse Hermione, scrollandosi di dosso Ron con somma disapprovazione di lui. Poi anche Ron si accorse che c’era qualcosa che non andava.

Ginny parve imbarazzata.

-         Ehm… ero fuori da sola, e… beh… - cercò di far lavorare la sua mente il più possibile. – mi hanno rapinata. –

-         Che cosa? – esclamò Ron, ritornando improvvisamente lucido e guardando furiosamente alle spalle della sorella come se i rapinatori potessero spuntare da un momento all’altro dalla porta del bagno delle donne.

Ginny si vergognava tantissimo a mentire così spudoratamente.

-         Ecco… ho opposto resistenza, così mi sono fatta un po’ male. Comunque, sono scappati poco dopo, anche perché non avevo nulla con me. – sperò ardentemente che nessuno notasse che avrebbero benissimo potuto toglierle l’anello e gli orecchini d’oro.

-         Se li vedo gli spacco la faccia… - disse Ron, digrignando i denti, poi però dovette di nuovo correre al bagno a vomitare.

Hermione aveva un’espressione molto preoccupata ma non diceva niente. Ginny si chiese se a lei poteva dire la verità, ma sapeva che non era il caso. Che poi, in fondo non era successo poi niente… va bene, era stata aggredita da un Mangiamorte, ma niente di più, e poi quel Mangiamorte lo conosceva, quindi tecnicamente non… va bene, il ragionamento faceva acqua da tutte le parti. Ma sapete quando uno si impunta che non vuol fare una cosa? Così Ginny si impuntò a non voler dire la verità.

Harry arrivò con addosso il giaccone, seguito da una Luna ancora un po’ scossa dalla sbronza ma con gli occhi finalmente normali.

-         Ah, Ginny, ti… beh, cosa ti è successo? –

Lei improvvisamente ammutolì. Oh, non aveva per niente voglia di mentire a Harry, proprio per niente.

-         Era uscita a fare una passeggiata, e l’hanno aggredita per rapinarla – la precedette Hermione, con suo sommo sollievo.

Harry parve furioso, e cominciò a chiedere un sacco di particolari ed a guardarla e controllarle il braccio e dirle che doveva andare al San Mungo a farselo sistemare. Ginny annuiva, o rispondeva a monosillabi.

Alla fine Hermione riuscì a convincere Harry che non c’era bisogno di andare all’ospedale, ma che bastava che cercasse alla Tana una pozione per l’aggiustamento delle ossa (in una famiglia con sei figli ce ne doveva per forza essere un po’) e si facesse una bella dormita.

Harry però insistette per accompagnarla a casa. Lui ed Hermione andarono nel bagno degli uomini per trascinare via Ron di peso.

Luna sorrise a Ginny.

-         Sai che una volta ho letto che quando una persona risponde solo ‘sì’ o ‘no’ vuol dire che non dice la verità? –

Lo disse senza la minima traccia di malizia od allusione, anche se Ginny ebbe la spaventosa impressione che sapesse, ma l’espressione di Luna era assolutamente sincera, l’aveva detto solo per parlare.

Però, quando Luna era così sincera, faceva venire sensi di colpa così forti che per un attimo si finiva per odiarla.

-         Bene, allora cercate di riposarvi – disse Hermione, squadrando Ron e Ginny con attenzione.

-         Devo accompagnarla a casa, Harry? – biascicò Ron, che faticava a reggersi in piedi.

-         Sì, certo Ron, adesso la accompagniamo a casa… - disse, trascinandolo via e salutando Hermione.

Lei sorrise e si Smaterializzò.

 

-         Draco? –

La porta si socchiuse lasciando uno spiraglio di luce.

Lui era da un po’ che teneva gli occhi aperti al buio. Non era che non riusciva a dormire, era che non aveva voglia di dormire.

Tuttavia, non rispose.

Lei aspettò un po’ sulla soglia, poi pensò che dormisse e richiuse la porta.

Non era che non riuscisse a dormire, era che non aveva voglia di dormire.

A volte si tengono gli occhi aperti al buio e ci si abitua, ma quando arriva la luce ti accorgi che è tutta un’altra cosa.

E tutto iniziava lì, da quella sera, da quel buio e da quella luce.

 

 

 

**

 

Allora?._. Come vi è sembrato?._. Spero vi sia piaciuto (logicamente)… fatemi sapere!

A presto!

 

Miwako__

 

P.S. Come al solito, se ne avete l’occasione, vi consiglio di ascoltare la canzone Here without you dei 3 Doors Down, che mi ha ispirato questo capitolo>_<

 

 

 

  
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