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Autore: Pudentilla Mc Moany    23/08/2011    2 recensioni
Beh, spero che tu abbia una buona ragione per avermi convocato in questa parte della città a quest’ora. Per inciso, quello specchio che mi hai dato è terrificante, e ho dovuto dire una bugia a mio padre, e non so si è bevuto che il mio compagno di classe Oliver Twist avesse bisogno di un passaggio per andare a trovare il suo gatto in ospedale. Cristo, mi ha strizzato l’occhio. Pensa che sia andato a fare sesso con qualche ragazza.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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smithsfanfiction  
Direi che qualche precisazione è doverosa. Ho cercato di scrivere una song fiction utilizzando le citazioni del testo come filo conduttore per fare interagire Sirius e Remus, e invece di inserirle come citazioni in senso stretto le riadattate. E' un esperimento, eh. La canzone è There is a light that never goes out degli Smiths. La trovate qui. Il testo è questo.
E' un'A.U. ambientata in un mondo in cui Remus non è un mago né un lupo mannaro. Credo di essermi presa una sola libertà con la timeline, spostando un anno dopo la fuga di Sirius da casa. Lo ammetto, era necessario per i miei sordidi scopi di trama. Ma beh, immagino che il fatto che Remus non fosse lì coi Malandrini abbia cambiato un po' le cose, no?

there is a light that never goes out

Giugno 1977

La pioggia batteva sui finestrini i suoi proiettili d’argento, striando il vetro opaco di tracce traslucide come bava di lumaca. Dall’abitacolo la città non sembrava fatta che di suoni e luci indistinte di locali e minimarket, con l’occasionale beccheggiare della macchina al passaggio di altri veicoli. Mentre aspettava e tamburellava con le dita sul volante Remus aveva la curiosa sensazione di trovarsi dentro una capsula spaziale, solo che non era affatto in una sua capsula spaziale, era dentro la sua Zastava 101 e anche se era Giugno faceva un freddo cane.
Un tamburellare di nocche sul parabrezza lo strappò ai suoi pensieri; sobbalzò così forte che per poco non gli caddero gli occhiali, col risultato che quando aprì il finestrino gli stavano di sghimbescio sul naso troppo lungo e ci mise un po’ a mettere a fuoco il ragazzo fradicio che gli sorrideva al di là del vetro appannato.
<< Go new, go Yugo*.>> Sghignazzò il suddetto ragazzo fradicio facendogli il saluto vulcaniano**. La pioggia gli scendeva giù per gli zigomi alti e sul profilo stretto delle labbra, e aveva negli occhi grigi un luccichio irresistibile.
<< Sirius, la tua padronanza della mia cultura è- beh, in effetti è disdicevole.>> In mancanza di aggettivi migliori, Remus si sporse a sinistra per togliere la sicura allo sportello del passeggero. L’altro scosse la testa. << Bagagliaio!>> Ordinò, e prima che Remus se ne fosse reso conto lo stava aiutando a caricare sul microscopico retro della sua macchina un enorme baule rigido, borchiato e minaccioso che aveva tentato di pizzicargli il sedere quando si era girato per spingerlo con la schiena. Finirono per farcelo entrare solo dopo che Sirius si fu ricordato di un incantesimo veramente affidabile (come ho fatto a non pensarci prima?), e comunque erano entrambi irrimediabilmente fradici e anche la macchina, complice il finestrino lasciato mezzo aperto, era discretamente allagata.
Remus rientrò nell’abitacolo come se ne andasse della sua stessa vita. Si aggrappò all’ancora di salvezza della manovella scricchiolante del finestrino, e solo quando si fu assicurato che entrambi fossero salvi e all’asciutto si sentì libero di parlare, asciugando una lente dei suoi occhiali del national health service sul lembo fradicio del suo cardigan marrone. << Beh, spero che tu abbia una buona ragione per avermi convocato in questa parte della città a quest’ora. Per inciso, quello specchio che mi hai dato è terrificante, e ho dovuto dire una bugia a mio padre, e non so si è bevuto che il mio compagno di classe Oliver Twist avesse bisogno di un passaggio per andare a trovare il suo gatto in ospedale. Cristo, mi ha strizzato l’occhio. Pensa che sia andato a fare sesso con qualche ragazza.>>
<< …Gli hai detto davvero che mi chiamo Oliver Twist?>>

<< Ho pensato fosse più plausibile di Sirius Black.>> E poi esitò prima di chiedere ancora, con la voce più flebile: << Allora, questo valido motivo?>>
Sirius sfuggì alla domanda. Impugnò la bacchetta  e la puntò contro Remus in modo che il vento caldo che produceva gli asciugasse i vestiti e i capelli color topo, e Remus gliene fu così grato che evitò di torchiarlo limitandosi a chiedergli: << Dove ti porto?>>
<< Portami fuori.>> Sorrise Sirius dirigendo il getto d’aria su di sé. << Dove c’è musica e ci sono persone e sono giovani e vivi.>> Remus non potè fare a meno di provare una punta di invidia. Neanche dopo anni di allenamento sarebbe riuscito a conservare un minimo di aplomb in una situazione del genere, in una macchina microscopica e bagnato fino all’osso. Sirius invece sembrava godersela, e il risultato era che come al solito era bello come Alain Delon. Beh, a voler essere precisi era più una versione punk di Alain Delon, che parlava come una canzone e aveva la voce un po’ roca.
<< Agli ordini, Spock.>> Remus alzò le spalle e lottò con la frizione, gettandosi nel traffico alla stratosferica velocità di quaranta chilometri all’ora. Poi, dal momento che Sirius non diceva niente e cominciava a sentirsi un po’ strano, soggiunse: << A che ora devo riportarti a casa?>>
<< Oh, non ci torno mica. Mai più.>> Rispose Sirius con il tono più salottiero possibile, stringendosi nelle spalle larghe, e fu allora che Remus la vide. La crepa nel suo sorriso.
Avrebbe potuto indagare oltre, ma per qualche motivo decise di non farlo, e fissò davanti a sé la strada nero pece che portava fuori dalla cittadina, immergendolo anche coi finestrini chiusi nel profumo di pioggia della campagna inglese addormentata sotto una luna piena e bellissima.
Anche Sirius sembrava godersi la serata. Quando aveva smesso di piovere aveva aperto un po’ il finestrino; teneva la testa appoggiata sul vetro, e con una mano inanellata fra i capelli guardava con le labbra tirate qualcosa di lontanissimo e misterioso, un abisso che gli somigliava.
Sirius era sempre stato un po’ un  mistero per Remus. Non un mistero pauroso, beninteso, ma più il genere di bel mistero che c’è dietro la porta socchiusa di un giardino altrui. Si conoscevano da quando avevano undici anni, eppure era convinto di non sapere poi troppo di lui.
È strano, a undici anni: si è troppo grandi per giocare con le macchinine, ma si è ancora troppo piccoli per contenere tutto quello che verrà dopo, i grandi slanci e le belle speranze e la paura, soprattutto la paura. Per questo a undici anni si è quasi invincibili, e per questo a undici anni, quando lo strano ragazzino che era Sirius Black gli aveva annunciato che quell’anno avrebbe cominciato  frequentare un prestigioso istituto di magia e stregoneria, Remus gli aveva creduto e non aveva avuto paura, nemmeno quando Sirius gli aveva fatto vedere come riusciva a saltare un’intera rampa di scale senza farsi male, semplicemente levitando verso la fine. La mamma di Sirius però sì che gli faceva paura, e aveva imparato a tenersene a distanza quando la vedeva, il che di solito accadeva quando scopriva che Sirius era sgattaiolato via di casa (e lo scopriva sempre) e se lo portava via chissà dove, bianca e pallida e bellissima e distante.
Anche se Remus era solo un babbano (si chiamavano così quelli senza poteri magici, gli aveva spiegato sempre Sirius l’estate dei loro dodici anni) era molto curioso, e anche coraggioso. Avevano passato sere infinite d’estate a scappare di casa per ritrovarsi in qualche posto segreto e parlare e parlare e bere l’occasionale pinta di birra. Remus si era persino adattato sorprendentemente bene a intercettare i gufi di Sirius senza farsi beccare a morte. Questo naturalmente finché l’estate prima non aveva ricevuto lo specchio tramite cui quella sera Sirius l’aveva avvertito, uno specchio di cui Sirius possedeva il gemello. Era un po’ come ricevere un walkie-talkie, ma insomma, a quante persone capitava di ricevere il corrispettivo magico e vagamente disneyano di un walkie-talkie? Quel regalo aveva finito quasi irrimediabilmente per renderlo più imbarazzato e confuso di quanto già non fosse riguardo ogni cosa riguardasse Sirius, e non aveva mancato di portarlo alla confusione in cui versava ultimamente, che allo stato attuale delle cose sembrava esserglisi raggrumata tutta all'altezza della bocca dello stomaco.
<< Giusto per sapere, hai un posto dove dormire? Perché non vorrei doverti riportare a casa tua domattina all’alba, sai->>
<< Non voglio più tornarci a casa, Remus. Ed è casa loro, non mia. Io non sono più il benvenuto.>>
Per tutta risposta Remus emise un sospirone. << Hai un posto dove andare?>>
<< Ho James, ovviamente, James Potter. Domani vado da James Potter. Gli ho mandato un gufo, sai.>> Si strinse nelle spalle, e per un momento sembrò così sperso. << Non- non che abbia veramente idea di come. Di come…>> Non sapeva come continuare, e così scrollò di nuovo le spalle. Remus lo imitò. << Senti, Remus, si può mica fumare?>> Ridacchiò poi nervosamente, estraendo uno sgangherato pacco di sigarette babbane da una tasca della giacca di pelle.
<< Posso forse impedirtelo?>>
<< No. No, hai ragione.>> Replicò Sirius che già sbuffava fumo denso dal naso e dalle labbra socchiuse.
<< Non so come siete messi voi maghi col fumo, ma sappi che per la salute di noi babbani è molto dannoso.>>
<< Vuoi dire che il fumo uccide e tutte quelle storie?>>
<< Letale come essere investiti da un autobus a due piani.>> Remus ci penso un po’ su, poi aggiunse: << Solo molto, molto lentamente.>>
<< Beh, Remus, se conti di farci investire da un autobus a due piani, sappi che morire al tuo fianco sarebbe un modo celestiale di morire.>>
<< Che ne diresti di quel camion da dieci tonnellate?>> Ghignò Remus accennando col mento al mezzo di grossa cilindrata che procedeva verso di loro nella corsia opposta.
<< Il piacere, il privilegio sarebbe tutto mio.>>
Remus si spinse e gli diede un pugno sulla spalla. Dapprima ridacchiarono soltanto, scuotendo un po’ la testa come si fa con una brutta battuta, ma poi risero e risero sempre più fragorosamente, come un’onda che montava di intensità prima di infrangersi sulla costa. Avevano entrambi i loro buoni motivi per farlo, e nessuno di essi aveva a che fare con autobus a due piani o camion da dieci tonnellate.
<< Dove vorresti andare?>>
<< Non m’importa, davvero.>>
E allora Remus guidò e guidò finché la città non sparì dietro i loro con le sue luci, e guidò ancora quando la notte li avvolse come un mantello tiepido e gonfio di pioggia, e guidò finché non seppe di non potercela più fare. Attivò la freccia che col suo ticchettio di strano insetto li guidò a un sottopassaggio miracolosamente all’asciutto, e accostò con un sospiro grato.
Rimasero in silenzio per un bel po’, con Sirius che fumava sigaretta dopo sigaretta stravaccato sul sedile e Remus che osservava pensosamente l’aria mobile attorno a sé, i murales rossi e neri e i vecchi manifesti accartocciati, e la polvere e le cartacce che nemmeno il vento riusciva a portar via.
Le gocce del diluvio di fuori si erano fermate sul finestrino disponendosi in una catena preziosa attorno ai tergicristalli; Remus poteva sentire le loro strisce d’ombra rigargli il viso come una rete di fitte cicatrici, reali come il respiro di Sirius o il cuore che gli batteva nel petto, quasi osceno in quel silenzio ovattato. Fu per nascondere quel fremito troppo umano che si schiarì la voce. << Vuoi che ti accompagni da James?>> Non sapeva come rendersi utile, e se è per questo nemmeno perché Sirius avesse chiamato proprio lui, con tutti gli amici della sua specie che aveva. Non sapeva come non sentirsi a disagio in una situazione del genere, e questo lo faceva sentire perso.
Sirius scosse la testa. << Ci vado da solo, grazie. Posso smaterializzarmi adesso, sai…>>
<< Il teletrasporto e tutti i vostri privilegi da maghi vulcaniani, certo.>> Remus allungò la mano per rubargli la sigaretta, sperando che quel gesto assolutamente atipico passasse inosservato. E in effetti Sirius, malgrado i boccheggiamenti iniziali, gliela lasciò di buon grado e se ne accese un’altra, lanciandogli di tanto in tanto, in tralice, uno sguardo incuriosito. << Tutta invidia.>> Ghignò. << E comunque non dovresti, perché la tua macchina è davvero fantastica, Remie.>>
<< Orgoglio di ingegneria yugoslava. Ammortizzatori resistenti per virili strade esteuropee.>> Commentò Remus mettendo su un improbabile accento simil-russo.
<< No, davvero. È un’invenzione geniale, non so se voi babbani ve ne accorgete. Non sai quante famiglie di maghi farebbero carte false pur di averne una.>>
<< Non la tua famiglia, immagino.>>
<< No, loro no.>> Sospirò Sirius, ed ecco, era fatta. Erano a quel punto. A Remus sarebbe bastato spingere un altro po’, sporgersi verso Sirius per guardarlo negli occhi e chiederglielo. Perché te ne sei andato di casa? O ancora, perché hai chiamato proprio me? O con un coraggio che nemmeno si sognava di avere, ti piaccio come tu piaci a me?
Erano tutto sommato domande legittime, perché era lui che Sirius aveva chiamato quand’era già ora di andare a letto, e se non voleva essere condannato al ruolo dell’autista mezzo muto per quello che restava della notte gli conveniva parlare, togliersi il dubbio, prendere il toro per le corna.
Sfortuna volle che Remus Lupin non fosse un matador credibile.
Prese una boccata dalla sigaretta con la mano a coppa attorno alla bocca, l’aria fredda e umida che entrava dal finestrino e almeno gli dava un po’ di fiato. Si rigirò quelle domande in testa per più tempo di quanto fosse ragionevole, o necessario, o dignitoso. Le snocciolò una per una finché non persero completamente il loro significato e avrebbe potuto canticchiarle come filastrocche per bambini, Humpty-Dumpty è caduto dal muro. Pensò distrattamente a cosa sarebbe successo se il suo, di guscio, si fosse rotto. Sicuramente, se avesse permesso a Sirius di crepare la sua barriera, tutti i cavalli e gli uomini del re non sarebbero bastati per rimetterlo assieme***. Per questo stava lì e taceva, aspirando fumo e collera; aveva preferito lasciare che quella strana inquietudine si impadronisse di lui.
Non era come se avesse deciso di non fare la domanda, però. Era qualcosa di diverso, come un istinto animale che l’aveva avvertito che proprio non poteva. L’attanagliava e lo rassicurava, e si cullava dentro quel mostro gentile di dubbio e incertezza come una speranza. Perché in fondo di quello si trattava, del barlume che andava mantenuto vivo come una fiaccola antica contro tutti i rifiuti possibili. Quella luce troppo bella e forte era anche l’ultimo rantolo della sua infanzia, e come una nova brillava così luminosa che sembrava impossibile potesse mai andar via (ma oh, sarebbe andata via prestissimo, e questo se possibile la rendeva soltanto più bella).
<< C’è una luce che non si spegne mai.>> Balbettò nel dormiveglia, buttando la cicca dal finestrino per sprofondare meglio nel sedile reclinato del guidatore. Intendeva la luce che gli bruciava dentro, ma Sirius, che non poteva saperlo e sorrideva alla sua sinistra, pensava a quanto fosse innamorato di Remus e che chissà, forse un giorno, quando fossero stati entrambi più grandi, avrebbe trovato il coraggio di dirglielo.
Fuori dal finestrino le macchine scorrevano sulla superstrada lucida e nera; la notte respirava il suo alito fresco, e dentro una macchina in un sottopassaggio due ragazzi dormivano.

 

 

* Go new, go Yugo è lo slogan di una campagna pubblicitaria degli anni ‘70 per il mercato inglese della Zastava 101, una marca yugoslava di automobili che era più conosciuta come Yugo. Adesso me la tiro, eh. La verità è che ho fatto appassionate ricerche dopo aver visto Nick and Norah’s infinite playlist, dove il protagonista guida appunto una Yugo.

** Proprio quello di Spock. Non so perché Sirius dovrebbe farlo, ma suppongo fosse un grande appassionato della serie.

*** Humpty Dumpty sat on a wall/ Humpty Dumpty had a great fall./ All the king's horses and all the king's men/ Couldn't put Humpty together again.

  
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