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Autore: honda    23/08/2011    3 recensioni
Osservo il bicchiere che poco fa ho poggiato sul tavolo, è piccolo, trasparente e rigonfio ai lati..è piccolo e tozzo, non è un bel bicchiere, non è un bicchiere “da prosecco” è più un bicchiere da “succo alla pera” o anche da “acqua rigorosamente liscia che non gonfia la pancia”. Che cazzata bere qui il prosecco.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una bollicina..due bollicine..tre bollicine..quattro bollicine..cinque bollicine..tredici bollicine..sessantaquattro bollicine..centoventitre bollicine..ma quanta cazzo di anidride carbonica contiene questo prosecco? Osservo il bicchiere che poco fa ho poggiato sul tavolo, è piccolo, trasparente e rigonfio ai lati..è piccolo e tozzo, non è un bel bicchiere, non è un bicchiere “da prosecco” è più un bicchiere da “succo alla pera” o anche da “acqua rigorosamente liscia che non gonfia la pancia”. Che cazzata bere qui il prosecco. Un rutto sicuramente poco elegante interrompe i miei pensieri e un odore sgradevole di alcol viene accolto dalle mie narici che, se solo potessero, barricherebbero le loro entrate con porte di ferro e filo spinato. La mia bocca si stringe in una smorfia di disgusto ed i miei occhi roteano scocciati all’ indietro al solo pensiero della reazione che i miei genitori avrebbero avuto nel sentire quello che io chiamo “il sonetto di padre stomaco”. Mio padre avrebbe girato la pagina del giornale in modo eccessivamente rumoroso per rendermi partecipe del suo “è inutile rimproverare una bestia” e guardando dall’ alto in basso mia madre le avrebbe intimato di sgridarmi e lei, da brava cagnolina qual’ è, mi avrebbe detto “Takanori non è questa l’ educazione che ti abbiamo insegnato”. Forse sentendo pronunciare quelle parole avrei riso, memore dei tanti pomeriggi passati in terrazza con mia madre a fare gare di…”sonetti di padre stomaco”. È stata lei la mia maestra..lei..l’ unica donna che se fossi etero e ovviamente non suo figlio potrei scoparmi. Il suo unico difetto? Mio padre. A volte mi chiedo se l’ amore sia amore. Mia madre ha sempre detto di amare mio padre, ma amore è anche umiliarsi, strisciare, invecchiare precocemente per i dispiaceri, avere gli occhi rossi e gonfi, perdere la giusta funzionalità del fegato  e che altro..ah avere il cuoio capelluto indolenzito per le ciocche di capelli strappate troppo violentemente? Con il tempo ho capito che questa è la più sublime forma dell’ amore, mentre far umiliare, far strisciare, far invecchiare precocemente per i dispiaceri, rendere gli occhi gonfi e rossi,  far perdere la giusta funzionalità del fegato e rendere il cuoio capelluto indolenzito per le ciocche di capelli strappate troppo violentemente, questa è la più triste e bassa forma di bestialità umana. Con il tempo ho capito che mia madre amava in modo incondizionato mio padre. Con il tempo ho capito che mio padre al gioco “pesca una qualità” indetto da Dio ha vinto la ferocia.
Centoquarantacinque bollicine..centocinquantadue bollicine..centocinquantotto bollicine..il prosecco sta pian piano diminuendo dentro questo bicchiere comprato in saldo nell’outlet che vendeva articoli in saldo sulle cui confezioni c’ era un enorme stampa in rosso con scritto “IN SALDO”. Forse avevano fretta di vendere. Forte il loro gioco: tappezzare l’ intero negozio con scritte cubitali di questo cazzo di IN SALDO e affiancare alle merci IN SALDO altri articoli con sopra un cartello con la scritta piccola e nera “nuovi arrivi”. Logico che uno è attratto dal rosso esplosivo piuttosto che dal nero rachitico, poi rendendosi conto della grande convenienza della merce in saldo, la compra convinto di aver fatto un grande affare. Così è successo a me almeno, ma ora mi rendo conto della reale bruttezza di questo bicchiere, che poi in realtà…a chi importa dei bicchieri? A me non è mai importato e di sicuro non li ho mai aggettivati, ma se ora persino io mi ritrovo qui con lo sguardo torvo ad osservare questo bicchiere e a definirlo brutto, significa che è davvero orrendo. E allora mi rendo conto che quella scritta IN SALDO non era poi così esplosiva così come quella nera “nuovi arrivi” non era poi così rachitica.
“il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?” ora non posso rispondere a questa domanda, non perché ho dei problemi visivi o sono incapace di misurare le quantità, semplicemente perché ora il mio bicchiere non è a metà. E allora la giusta domanda sarebbe “il bicchiere è per più di metà vuoto o per neanche un quarto pieno?” certo che così la scelta è dura. Ho bevuto troppo per riflettere e darmi un risposta sensata, getto la testa all’ indietro facendo dondolare i capelli che ancora profumano di shampoo alla banana (comprato anche questo IN SALDO) l’ odore è così dolce e nauseante che quasi rimpiango l’ aroma del mio stomaco sentito un attimo prima. Questa è la mia mossa segreta, è il movimento che mi rende irresistibilmente sexy anche vestito da anatra malata di tubercolosi. Questo almeno è quanto Ryo mi ha sempre detto.
Faceva così caldo da desiderare di stare fermo e inerme sulla sedia di quel verde improbabile come a sfidare la noia e ad urlarle “cazzo vuoi? Vieni dai, me ne sbatto di te, ti fotto anche se sei una femmina”. Poi la noia arrivò quasi come mi avesse preso di parola e allora mi alzai e passeggiai senza meta a piedi scalzi per la casa, cercando nervosamente l’ agognato refrigerio che purtroppo neanche il pavimento nudo e freddo mi regalava. Incazzato nero, ma non dandolo a vedere, mi riposizionai sulla sedia verde sta volta facendo una sorta di ode alla noia e pregandola di non raggiungermi o avrei dovuto rialzarmi e cercare qualcos’ altro da fare che avrebbe implicato un consumo di energie e quindi calore e quindi mi sarei letteralmente spellato vivo. Così, non avendo nulla da fare ed essendo bloccato su quella sedia che imparavo ad odiare gradualmente,  iniziai a dondolare la testa all’ indietro e a contare quanti secondi le mie palpebre avrebbero amoreggiato con la forza di gravità riuscendo a rimanere aperte. Il mio passatempo venne interrotto da         quell’ essere seduto sul divano nero in pelle che trasudava calore da ogni parte di quel tessuto mostruoso color catrame, mio acerrimo nemico d’ estate. Ancora non ho conosciuto una persona all’ infuori di Ryo che in pieno agosto riesca a stare comodamente sdraiato in boxer sul mio divano in pelle nera e che si ostini a convincermi che sia addirittura divertente quando alzandosi in piedi sente il rumore della sua pelle che si stacca da quella del divano. Lui comodo, disteso e perfettamente asciutto ed io con la schiena a pezzi, a testa in giù e umidiccio, ridendo si avvicinò a me e bloccò il mio collo costringendomi a rimanere in quella posizione tanto divertente per lui quanto umiliante per me. “ma sai che sei proprio sexy così?” mi guardò fisso negli occhi così che le mie palpebre si trovarono costrette a tradire la forza di gravità con le sue pupille. “mi stai prendendo in giro?! Sembro un’ anatra affetta da tubercolosi!!” “bè effettivamente l’ effetto è anche un po’ quello, eppure sei così sensuale” continuò a guardarmi così intensamente da farmi innervosire, non chiudeva mai le palpebre, così dentro di me avevo indetto segretamente una sfida, non potevo in nessun modo chiudere neanche le mie o avrei perso. Se avesse conosciuto i miei pensieri sicuramente non l’ avrebbe fatto, ma dato che la telepatia non è mai stata il suo forte, chiuse gli occhi e si avvicinò alle mie labbra, allora anche io chiusi i miei, ma sentendo, anzi, non sentendo nulla, li riaprii e con grande sorpresa vidi che anche i suoi occhi erano aperti e fissavano il mio viso alla “che ebete che sono credevo che stesse per baciarmi e ho chiuso gli occhi per più di 10 secondi”. Cazzo avevo perso. Ma quasi sorrisi al pensiero che un tempo sarei sicuramente arrossito in quell’ occasione, mentre ora non c’ era motivo di vergognarsi, non davanti a lui almeno. Sorrise. “con la tubercolosi si tossisce sangue” disse assumendo il tono da dottorino saccente, e io che credevo stesse per dirmi qualcosa di dolce. “attento o potrei tossirti in faccia e ricoprirti di sangue, non saresti più così invitante poi” ecco colpito. “ma così mi sporcheresti e basta taka! Puoi fare di più….puoi…infettarmi..” merda colpito e affondato. Spostò le suo mani da sopra il mio collo a sotto la mia nuca, mantenendola sempre rigorosamente all’ indietro e poi mi baciò. Durante      quell’ intenso bacio potei riflettere su quanto fossimo diversi, lui così diretto, tranquillo e sereno, viveva alla giornata ed io così irrequieto, lunatico e forse anche mentalmente instabile. Ne era la prova il fatto che anche durante quel momento così eccitante e passionale io mi perdessi nei miei stupidi pensieri mentre lui a chissà cosa pensava, anzi lui semplicemente non pensava, agiva. Infatti senza che mi accorgessi mi aveva privato della mia maglia e pensai a quanto ero stato stupido a rimanere vestito fino a quel momento morendomi di caldo, invece di fare come lui in boxer tutto il giorno. O forse era solo una subdola tecnica per attirarmi a sé? Non mi ci volle molto a dare una risposta, questi in fondo sono i giochetti che faccio io, lui quando ha voglia di fare sesso viene da me, si spoglia, mi spoglia e iniziamo. Siamo diversi. Sentii la sua lingua muoversi sempre più velocemente, era calda e bagnata, sembrava scivolare sopra la mia come pattini a rotelle su un telo pieno di sapone. Poi pensai alla mia di lingua, avevo caldo e sete, sicuramente a lui sarà sembrata ricoperta di calce prossima alla cementazione in confronto alla sua. Però a quanto pare gli piaceva, perché continuava ad andare sempre più veloce fin quando non rallentò. L’ idea che la mia lingua avesse cementato anche la sua mi fece sentire un inetto, così, per scongiurare una tale ipotesi, mi convinsi che gli fosse venuto un crampo. Questo fu uno dei baci più belli della mia vita, non fu un semplice bacio intenso e piacevole, fu anche istruttivo. Baciare è una gran cosa e mi è sempre riuscita naturale, ma baciare a testa in giù non è poi così semplice, o meglio un bacio tra due persone che si trovano nella stessa posizione è quasi sempre grandioso se si impegnano, ma un bacio tra due persone di cui una è a testa in giù non è detto che lo sia anche se entrambe si impegnano. Perciò questa mia salda convinzione in quel momento mi fece comprendere quanta sintonia ci fosse tra me e Ryo, perché quel bacio, seppur la mia testa stesse accumulando al suo interno tutti i litri di sangue del mio corpo, non fu grandioso, ma straordinariamente grandioso.
Centosessantuno bollicine..centosessantanove bollicine..certo non si può dire che io sia una persona furba, bevo prosecco con questo caldo infernale, invece di alleviare l’ arsura della mia bocca con una grande quantità d’ acqua. Non ho mai capito cosa spingesse un qualsiasi individuo a preferire   l’ acqua gassata rispetto a quella liscia e viceversa, l’ una disseta velocemente, ma gonfia, mentre   l’ altra non gonfia, ma disseta lentamente. Il risultato è bere poca acqua, ma dissetante o acqua poco dissetante che per soddisfare deve essere bevuta in grandi quantità. Chiunque sostiene che bisogna bere più acqua possibile, perché costituisce un’ alta percentuale del nostro corpo, quindi in teoria tutti dovrebbero preferire l’ acqua liscia, perché permette di essere bevuta in grandi quantità. Ma allora perché molti preferiscono quella gassata? Io personalmente bevo acqua liscia, ma arrivati a questo punto non sono più sicuro di niente. Certo che se per una qualche assurda ragione non si potesse più produrre acqua liscia, io berrei l’ altra ovvio, anche se so già che mi sentirei un po’ ipocrita e cercherei di sgasarla a costo di agitare velocemente la bottiglia ogni dieci sorsi. Il vero problema ci sarebbe se ad esaurirsi fosse l’ acqua gassata, sarebbe impossibile infatti rendere frizzante l’ acqua liscia. Ma perché essere schizzinosi per qualcosa di così vitale? Tutti dovrebbero bere indistintamente acqua liscia e gassata senza avere preferenze e se un giorno dovesse non esserci più quella liscia io dovrei accontentarmi di bere l’ altra senza fare alcuna operazione ginnica per renderla come vorrei. Sembra la storia della mia vita. Che tristezza..la mia vita in una bottiglietta da mezzo litro, potrei dire anche da un litro e mezzo, ma vorrei essere realistico e rimanere fedele alla mia statura. La mia è la tipica storia da film strappalacrime: lui nasce in una famiglia ricca, è il fratello minore imperfetto di un fratello maggiore perfetto, è il figlio “capitato” di un padre che non voleva dimezzare l’ eredità del suo prediletto, è l’ unico amico di una madre e di una sposa i cui sogni sono stati venduti e traditi. Il fratello maggiore troppo occupato a studiare per divenire il futuro capo dell’ azienda familiare, il padre che ama incondizionatamente il figlio maggiore e nega anche solo un dolce sorriso al minore e la madre succube del padre che si emoziona nel raccontare al figlio minore la storia di quella ballerina che lasciò la danza per amore della sua famiglia. Così il figlio minore cresce figlio unico, orfano di padre e amico di una madre che trasforma in favola la morte dei suoi sogni. Il film strappalacrime si trasforma in tragedia quando il figlio maggiore muore e il padre per il grande dolore vorrebbe rendere quello minore perfetto come il suo defunto ed amato figlio. Ma come si può rendere gassata l’ acqua liscia? È impossibile. Mio padre annunciò la mia morte che, stando a quanto disse, non ero neanche suo figlio e così, data l’ impossibilità di rendermi “acqua gassata”, mi cacciò dalla sua casa e dalla sua famiglia sotto lo sguardo triste e vuoto di quella che smise di essere mia madre e la mia migliore amica. Del resto “smettere di essere” era la sua specialità,  aveva smesso di essere libera, bella, una ballerina ed ora smetteva anche di essere madre e amica. Eppure mai una parola d’ odio contro il suo orco, mai uno sguardo di dissenso nei riguardi di chi la calpestava come si fa con una foglia secca solo per il gusto di sentirne il suono, mai uno schiaffo o uno sputo sul viso di quella belva che la privò del ballo rendendola zoppa. Amava mio padre. Lei è un tipico esempio di acqua liscia che, non potendo diventare acqua gassata come lui la voleva, è finita per evaporare. Ma perché non si può semplicemente bere? Perché lui non poteva semplicemente amarci?
Centosessantanove bollicine..centosettantatre bollicine..i miei capelli stanno crescendo troppo velocemente, di quel ruggente taglio che tanto amavo  è rimasto solo un patetico e acuto grido, come quando degli ospiti vengono in casa tua regalandoti una pianta verde e profumata con un grande fiocco rosso, dopo tre mesi rimane poco meno di un’ alga avvolta da un nastro sfilacciato e scolorito. “Tagliali” direbbe così Ryo, del resto lui mi ha sempre spinto ad agire, a fare ciò che volevo per ottenere ciò che volevo, lui mi ha sempre spinto..ad essere.
Ero al parco a guardare la gente, molti potrebbero rompersi le palle stando più di un’ ora e mezza seduti su una panchina, ma guardare è sempre stato uno dei miei passatempi preferiti. Un bambino castano chiedeva al padre di comprargli un gelato, una donna anziana dava da mangiare ai piccioni, due adolescenti erano al loro primo appuntamento. Guardavo indisturbato ogni persona che passava davanti alla panchina su cui ero solito sedermi, era come guardare la tv, ma ero io ad essere il regista del film. Ero io a dirigere la scenografia, e allora il bambino castano diventava una povera vittima presa in ostaggio in cambio di un riscatto, la donna anziana una spacciatrice in incognito e i due adolescenti i “Romeo e Giulietta” dei nostri tempi. Un giorno accadde qualcosa di incredibile. Ero seduto sulla mia solita panchina al parco intento a guardare due uomini d’ affari discutere che io avevo reso agenti segreti russi affamati che litigavano su cosa mangiare per pranzo. Ad un tratto sentii la panchina abbassarsi leggermente e un respiro affannato interruppe il mio lavoro di regista. Nessuno si era mai seduto accanto a me su quella panchina in quel parco, incuriosito mi voltai. Osservai quel corpo dal basso verso l’ alto, una tuta celeste ricopriva le sue gambe ed un’ aderente canottiera bianca ripercorreva il fisico asciutto e muscoloso di questo tipo amante dello sport. Già immaginavo la sua storia, doveva essere un marine appena congedato dopo essere stato beccato a giocare d’ azzardo e ora cercava di mantenersi in esercizio per non abbandonarsi alla noia. Fine. Strano, ma qualcosa mi bloccava, non riuscivo ad andare avanti con la mia storia, era come se tutto d’ un tratto non potessi più inventare. Che mi succedeva? Il problema era proprio quel marine amante del gioco, si era seduto accanto a me, lui, il protagonista del mio film, si era seduto accanto al regista ed ora mi guardava. I miei personaggi non mi avevano mai guardato prima d’ ora e questo mi aveva consentito di portare a termine le mie storie, ma sta volta non mi era possibile, lui era accanto a me e mi guardava, io non ero più solo regista, lui mi aveva risucchiato nel mio stesso film o, a questo punto, nel suo. “Ti senti bene?” mi chiese dopo qualche minuto, “si io…stavo solo pensando alla tua storia” “ma di che storia parli?” mi chiese giustamente un po’ confuso. Allora gli indicai una giovane donna incinta e gli dissi che il marito l’ aveva abbandonata per un uomo, poi gli feci vedere un uomo anziano e gli spiegai che aveva appena scoperto di non avere il cancro ed infine quando davanti a noi passò un bambino gli dissi che la sera prima aveva scoperto i genitori fare sesso e ne era rimasto sconvolto e schifato. Mi aspettavo che se ne sarebbe andato pensando che fossi pazzo o mi avrebbe ignorato ritenendomi uno sfigato dalla fantasia instabile. Invece rimase e incuriosito mi chiese “tu non li hai mai incontrati?” “no, non ho mai parlato con nessuno di loro, non mi hanno neanche mai guardato negli occhi.” “tu non compari nei tuoi film?” “no, io sono solo un regista” “praticamente mi stai dicendo che fai vivere loro, mentre tu ti lasci vivere o per meglio dire..vivi guardando film in cui altri sono i protagonisti?” “si in fondo che c’ è di male?!” “ma dai così è una tristezza!! Allora facciamo così..entra nel mio film..sii il mio protagonista”. Cazzo aveva ragione. Con il tempo mi sono accorto che essere un personaggio è di gran lunga migliore che essere il regista delle storie degli altri, se poi il personaggio in questione fa parte del film di Ryo bè..il paragone non sussiste. Ritornammo in quel parco e ci sedemmo su quella panchina altre volte, improvvisammo anche qualche storia sui passanti, ma, seppur da registi, non abbandonammo mai il nostro film. Da quando lo incontrai iniziai finalmente ad essere, amavo essere, non l’ avevo mai fatto prima d’ ora, amavo essere insieme a lui.
Centosettantacinque bollicine…centosettantanove bollicine..merda ho proprio voglia di un ghiacciolo al limone..ora come ora con il caldo che ho ne mangerei anche uno alla menta. Che poi non capisco, io adoro la menta, mi piace il suo profumo, mi piace il gelato alla menta, così come latte e menta o cioccolata e menta, ma il ghiacciolo alla menta è davvero orribile. Ora che ci penso mangiare menta mi piace solo se questa è accompagnata da qualche altro ingrediente che ne ammorbidisce il sapore, ecco perché il ghiacciolo alla menta, essendo costituito solo da acqua e menta, non riesco a mangiarlo. La menta è amara. Ryo ha sempre saputo di questo mio rapporto particolare con la menta eppure si ostinava a comprare i dannati ghiaccioli amari. Quel giorno ero nervoso, cosa che capita molto spesso, ma sta volta era un nervoso diverso, infatti mi giravano irrimediabilmente le palle senza che io sapessi il perché. Così decisi di mangiare un ghiacciolo anche se era inverno e fuori ci fosse un metro e mezzo di neve. Il mio obiettivo era sentire freddo, così almeno mi sarei incazzato per qualcosa e avrei ripreso il potere delle mie emozioni, ho sempre odiato non sapere il perché dei miei sentimenti. Volevo incazzarmi? Eccomi accontentato. Nel freezer trovai solo ghiaccioli alla menta e Dio solo sa quanto iniziai ad innervosirmi. Non era quello che volevo. Volevo rimpadronirmi delle mie emozioni causando il motivo della mia rabbia, almeno sarei stato a conoscenza del perché mi rodesse così tanto. Quando ci riuscii però non ero contento, infatti ero riuscito ad arrabbiarmi e sapevo anche il perché, ma non ero stato io a causare il motivo di tutto ciò e questo mi faceva imbestialire. “Donnina isterica in pre-ciclo” così mi chiamava Ryo in questi momenti ed effettivamente l’ atteggiamento era più o meno quello, ma a questo punto si può anche dire che il mio solito umore fosse sempre quello da “donnina isterica in pre-ciclo…che ama ordinare le riviste in base al colore delle copertine” aggiungerei. Chiamai, anzi..gridai così forte il nome di Ryo che lui si capitolò in cucina con i jeans abbassati fino alle caviglie e i boxer neri alzati con i bordi azzurri arrotolati, era chiaro cosa stesse facendo e il fatto di averlo interrotto proprio durante “l’ atto sacro” fece scorrere nelle mie vene la dolce sensazione di pura soddisfazione. Quando però si accorse di quale fosse il problema e dell’ importanza che questo avesse divenne una belva e tirandosi su i jeans si diresse verso il freezer, prese il ghiacciolo e iniziò a mangiarlo ignorandomi completamente. Ora si che mi stavo incazzando. Mi posizionai di fronte a lui, che mi degnò di uno sguardo solo dopo essersi tolto dalla bocca in modo volutamente volgare quel mostro verde “che vuoi Takanori?” lo disse sorridendomi, come se la sua immagine di tigre rabbiosa di pochi minuti prima fosse stata semplicemente frutto della mia immaginazione. “cosa voglio?? Cosa voglio???????? Cazzo Ryo i ghiaccioli alla menta mi fanno schifo, ma quante volte devo dirtelo?! Sembra veleno per quanto è amaro” “allora non mangiarlo, tanto non fa neanche caldo, non è mica necessario” anche questo lo disse sorridendo, non riuscivo più a contenere la rabbia “fottiti!! Volevo un ghiacciolo cazzo chiedevo solo un ghiacciolo in questa giornata di mer…” non potei finire la frase perché mi ritrovai improvvisamente la sua lingua in bocca. Con la mano destra aveva preso ciocche dei miei capelli che tirava sempre più forte, questa era la punizione per averlo fatto correre dal bagno per “le mie solite perdite di senno”. Mi baciò per qualche minuto e riuscii ad apprezzare il sapore del ghiacciolo alla menta, perché si..il sapore della lingua di Ryo ammorbidiva l’ amarezza della menta. Poi proseguì e dopo avermi completamente spogliato mi diede ciò che avevo chiesto, ovvero un ghiacciolo…il suo ghiacciolo.
Centottantuno bollicine..centottantacinque bollicine..centottantanove bollicine..c’ è un momento nella vita di ogni essere umano in cui si raggiunge la felicità. Forse sarebbe meglio parlare di serenità, dato che sono fermamente convinto che la felicità non possa esistere. La felicità è una condizione di perfezione a cui l’ uomo ambisce, ma che non riesce a raggiungere. Il perché? Credo che sia perché l’ uomo è cattivo. E non parlo del mio vicino di casa che insulta il mio cane quando abbaia, né della signora alla cassa del super mercato che tenta di fregarmi con il resto, parlo anche di me. Tutti sono cattivi in fondo, poi c’ è chi lo dimostra di più, ma non c’ è uomo che possa definirsi privo di un pizzico di cattiveria. La cattiveria ci rende imperfetti e l’ imperfezione non ci offre il libero accesso alla felicità. Con questo non intendo dire che l’ uomo è infelice, io parlerei più di assenza di felicità, di insoddisfazione data dal mancato raggiungimento di un obiettivo. Il modo che gli uomini hanno per avvicinarsi quanto più possibile alla felicità è essere sereni. Quando una persona è serena persino la sua cattiveria diminuisce, certo..non scompare, ma si..diminuisce. La serenità è sentirsi in pace con il mondo, è riuscire ad accantonare i propri problemi, è respirare profondamente e pensare “ora vorrei fermare il tempo”. Tutti prima o poi raggiungono la serenità, questo è il momento in cui la gran parte dei tuoi problemi non vengono risolti, ma senti che ti stai abituando a conviverci, è il momento in cui ti rendi conto che in passato non sorridevi così ed è anche il momento in cui pensi “cazzo anche i miei difetti non sono poi così male”.
Ryo era la mia serenità. Lui metteva le bottiglie d’ acqua nel frigo quando io dimenticavo di farlo, lui mi prendeva il barattolo di marmellata sullo scaffale quando io non ci arrivavo, lui mi riscaldava la notte quando avevo freddo, lui mi preparava il pranzo quando io dopo aver bruciato l’ ennesima padella rinunciavo a mangiare. Con lui accanto non ho più bevuto acqua calda, non sono più salito su una sedia per prendere la marmellata sullo scaffale, non ho più sentito freddo la notte, non ho più saltato il pranzo. Si, era la mia serenità, era la mia acqua fresca, la mia sedia, la mia coperta, il mio cibo..e non so se per tutti la serenità corrisponde a questo, ma per me era Ryo. La maggior parte delle persone però dimenticano che la serenità non è come la felicità, non è perfetta e quindi neanche eterna. Come arriva il momento della pace interiore ed esteriore, così arriva anche quello in cui l’ estasi è destinata a terminare.
Ricevetti la notizia della morte di mia madre da una lettera che una cameriera della casa in cui abitavo con la mia famiglia mi inviò, probabilmente se lei non si fosse preoccupata di avvisarmi io non lo avrei neanche mai saputo. Ryo mi accompagnò al funerale e mio padre, o quello che in teoria sarebbe dovuto essere, fu sorpreso di vedere proprio me lì e di vedere proprio me lì mano nella mano con un uomo. Ovviamente nessuno ha mai detto che le sorprese sono sempre piacevoli. Infatti la mia non lo fu affatto, ma, arrivati a quel punto, lui poteva benissimo ficcare la sua faccia sorpresa nel culo di un cavallo, ne sarebbe uscito per quello che e cioè un grande stronzo. Provavo odio per lui e mi rendo conto che il solo fatto di provare qualche sentimento per lui dimostrasse quanto in realtà mi mancava, quanto ancora io desiderassi renderlo fiero di me, ma, data l’ impossibilità di tutto ciò, era subentrato l’ odio..come si dice “quando la volpe non arriva all’ uva”. Quando mi vide si voltò schifato da un’ altra parte. Durante la cerimonia piansi, fu come perdere mia madre e la mia migliore amica una seconda volta, solo che sta volta lei non mi guardò di nascondo andare via, né  c’ era la possibilità che dopo qualche mese potesse chiamarmi al telefono per poi riattaccare non appena io avessi alzato la cornetta. Si perché in questi anni lo fece spesso, non mi diceva nulla, ma io sapevo che era lei, riconoscevo il suo respiro..era come vento tra i petali dei fiori, leggero e delicato, come poteva non esserlo? Se avesse respirato più intensamente i petali sarebbero caduti a terra. La mano di Ryo strinse la mia ancora di più. Ho sempre amato le sue mani così grandi, quante volte mi hanno accarezzato, avvolto e protetto. Ed io? Cosa ho fatto io per lui? Ogni volta ero io quello da accarezzare, da avvolgere e da proteggere. Siamo diversi. Come potrebbe la mia piccola mano stringere così forte la sua tanto grande? In quel momento mi resi conto che non era giusto, non era giusto che Ryo si sacrificasse per me come mia madre aveva fatto per mio padre. Non era giusto che lui fosse costretto a vivere come vento tra i fiori, solo per paura di farmi cadere a terra debole come i petali.
Finito il funerale mi portò al mare, sapeva quanto io amassi il mare in tutte le sue forme, sapeva che persino un po’ d’ acqua torbida di mare rinchiusa in una bottiglietta avrebbe potuto rendermi felice, quindi mi portò lì. Ovvio che non si aspettava che mi tornasse subito il sorriso, in fondo avevo subito una grave perdita, ma si sorprese quando, sedutomi a terra, iniziai a piangere come non mi aveva mai visto fare. Si sedette davanti a me e con un dito raccolse le goccioline di muco che scendevano dal mio naso. Avvertivo un dolore intenso all’ altezza degli occhi, forse in tutta la mia vita non aveva mai pulsato così tanto sangue e così velocemente a quell’ altezza della mia testa. Non riuscii a fare un respiro profondo, ma comunque iniziai a parlare “Ryo non ho mai amato nessuno come te e nessuno mi ha mai amato come te, eppure ho deciso che è meglio se la nostra storia finisca” lui mi guardò per un secondo e poi sorridendo mi disse “Taka capisco che ora devi affrontare un grande dolore e so già che nella tua testolina vuoi convincerti di potercela fare da solo, ma il fatto che io ti aiuti non significa che tu sei debole, significa solo che ti amo e che vorrei che tu stessi bene al più presto” no non era assolutamente questo quello che intendevo “senti io ho preso la mia decisione, ascolta seriamente le mie parole, non sorridere ti prego, perché non sto parlando perché sono sconvolto dal dolore, è così Ryo..io non voglio più stare con te”. Quando pronunciai queste parole le lacrime smisero di scendere dalle mie guance ormai piagate, non perché avessi smesso di soffrire, ma perché il mio dolore in quel momento era così grande che piangere ormai non era più abbastanza. “stai dicendo che hai smesso di amarmi?” chiese con il viso incredulo e la voce tremante “no Ryo..sto dicendo che voglio smettere di amarti”. Salimmo in macchina e mentre ci allontanavamo osservai il mare. In quel momento svanì la mia convinzione che il mare riuscisse a rendermi più contento quando ero contento e meno triste quando ero triste.
Centonovantatre bollicine…centonovantasei bollicine….duecentoquattro bollicine….duecentosette bollicine….è assurdo come all’ improvviso io inizi a fissare un oggetto e da qui mille pensieri prendono vita. Non importa se quest’ oggetto sia bello o brutto. Mi capita di fissare sedie, fogli, cavatappi, strisce pedonali, fiori secchi, penne senza inchiostro. Ora sono circa dieci minuti che fisso questo bicchiere di prosecco. Se Ryo mi vedesse lo prenderebbe e lo sposterebbe per vedere se lo seguo con lo sguardo. Che scemo il mio Ryo. Sono passati nove da quella giornata al mare e da allora ci siamo visti solo una volta. Entrambi facevamo la spesa e quando i nostri sguardi si sono incrociati io mi sono abbassato a prendere un barattolo di pelati. Avendo perso lui ho anche perso la mia serenità e da quel momento ho aggiunto una coperta sul mio letto, ho saltato molti più pranzi e sulle sedie della mia cucina ci sono sempre le impronte dei miei piedi. Volevo smettere di amarlo, ma non ci sto riuscendo, mi mancano persino quei ghiaccioli alla menta, mi manca il sapore della sua bocca che rendeva gradevole anche l’ amaro. Potrei rintracciarlo, potrei presentarmi anche ora  a casa sua, magari lo troverei in accappatoio intento a tagliarsi le unghie dei piedi. Mi farebbe sedere sul divano e mi farebbe aspettare la fine della sua pedicure, poi si siederebbe di fronte a me e mi guarderebbe come se quella situazione fosse la più normale in assoluto, come se quei nove mesi di distanza fossero stati in realtà solo nove minuti. Mi farebbe parlare e mi ascolterebbe attentamente come se ciò che dico fosse la ricetta segreta che da anni tutti tentano di rubare           all’ azienda della Coca-Cola. Io farei un respiro profondo e poi inizierei a parlare toccandomi ripetutamente il naso “senti io credevo di non essere abbastanza per te, credevo che tu fossi sprecato accanto a me, che fossi il tuo handicap. Mi chiesi come la mia mano avrebbe potuto stringere la tua il giorno in cui tu avessi avuto bisogno di conforto e protezione e mi accorsi che la mia mano era troppo piccola. Feci un sunto della nostra relazione e mi resi conto che molte anzi migliaia erano le volte in cui tu eri accorso in mio aiuto e quasi zero quelle in cui ero stato io ad aiutare te. In questi nove mesi ho pensato molto e ho capito. Ho capito che la mia mano è più piccola della tua e quindi per stringertela io userò entrambe le mie mani. Ho capito che se io per vivere ho bisogno di essere accarezzato e protetto, tu per farlo hai bisogno di accarezzare e proteggere”. Allora lui si alzerebbe e rimanendo in piedi mi guarderebbe dall’ alto solo per il gusto di farmi sentire più basso. Poi mi prenderebbe in braccio e mi porterebbe in camera sua per recuperare i nove mesi persi. Potrei….potrei fare tutto questo se solo quel giorno durante la spesa dopo essermi chinato per prendere quel barattolo di pelati non lo avessi visto allontanarsi abbracciato ad un tale alto, esile e dalla capigliatura castana.
 Ha trovato la sua montagna, potrà soffiare anche impetuosamente, ma questa non si piegherà, né tanto meno cadrà. Ed io…mantengo i petali saldi alla corolla, ma quando piove..non c’ è vento che possa asciugare le gocce che si poggiano su di me..e allora mi chiedo se sia meglio essere un fiore asciutto, ma privo di petali o uno integro, ma completamente bagnato.  
Duecentonove bollicine..duecentodiciassette bollicine..



Ok..non so se ho fatto tutto bene dato che non avevo mai scritto una storia prima d’ ora. Mi chiedo quanto persone hanno resistito fino alla fine, quante si sono fermate a metà e quante invece hanno apprezzato solo il titolo. Bè in ogni caso io mi sono divertita a scrivere e non so se a questa seguiranno altre storie, ma è stato divertente. Quello che ho scritto non è tutto inventato, i pensieri di Takanori infatti corrispondono ai miei pensieri ed è stato un onore per me impiantare il mio cervello nel suo corpicino :) spero sia stato tutto di vostro gradimento e grazie di avermi dedicato un po’ del vostro tempo :)
  
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