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Autore: CamBk    23/08/2011    1 recensioni
Ehi, mi chiamo Camilla, e non oso ancora definirmi scrittrice nonostante buttar giù parole su un foglio di carta sia la mia occupazione preferita.
Questa fan fiction si ispira all'amore platonico che provo nei confronti del frontman della band dei Tokio Hotel, Bill Kaulitz.
In questo racconto di pura fantasia, la protagonista Mona, ragazza italiana di origini tedesche, vivrà una tormentata storia d'amore 'al sapore di Germania'.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ mezzanotte e mezza, e il coprifuoco è scattato all’incirca una trentina di minuti fa;
riconosco il McDonald’s a pochi passi dal nostro albergo, e una decina di metri più in là un’insegna luminosa indicante l’Hamburg Hotel obbliga l’autista a fermarsi.
E’ tutto così surreale; spalanco la portiera, e salto giù controllando di continuo l’orologio sul display del mio cellulare. Butto l’occhio all’interno della vettura, Val si è addormentata sui lussuosi sedili in pelle, accanto a Tom che tiene poggiata sulle gambe la sua borsa in pelle.
Faccio segno al maggiore dei Kaulitz di svegliarla, e farla uscire dall’auto; Tom scuote dolcemente il corpo esile della mia amica, sussurrandole una manciata di parole all’orecchio.
Val apre lentamente gli occhi, e si guarda intorno confusa; è decisamente sotto shock, e sono certa che quelli che ci si prospettano sono guai seri.
La prendo per mano, e una volta scesa dalla macchina, faccio sì che si lasci andare completamente su di me, reggendola dalla vita; ho paura.
Ho una dannata, dolorosa, incessante paura.
Val è pallida, fredda come un cadavere e tremante; e io continuo ad avere paura.
Ad un tratto la portiera anteriore si apre, e Bill si precipita fuori con aria traumatizzata, si sfila il giacchetto in pelle nero firmato D&G e lo avvolge attorno alle spalle di Val, che abbozza un sorriso.
Dopodiché mi passa una mano tra i capelli, e mi porge un foglietto di carta su cui è annotato in bella calligrafia un numero di cellulare.
-E’ il mio, scrivimi appena ti va. – aggiunge, provocandomi una gioia talmente immensa, da poter essere paragonata alla paura che s’è infiltrata in me da quando ricevetti la telefonata di Val fuori dal Bunte Nacht.
Sorrido, e annuisco; il mio non è un sorriso genuino, pulito. E’ un sorriso tanto per, buttatoi lì in un momento in cui tutto servirebbe, tranne che apparire felici.
Mi incammino verso l’entrata dell’hotel, la hall è stranamente deserta.
Porgo per un istante lo sguardo alle mie spalle, e scorgo la limousine nera ultimo modello allontanarsi a gran velocità, abbandonando dietro di sé una sporca nuvola grigiastra.
Allungo il passo, scongiurando la fortuna di assistermi, almeno fino alla porta in legno della mia stanza; ci sono quasi, il corpo di Val si fa sempre più pesante, e la mia lucidità scema ogni istante di più.
-Credete di prenderci in giro?- una voce acuta alle mie spalle mi fa sobbalzare.
Non oso girarmi, anche se qualcosa mi dice che sarebbe la cosa giusta da fare.
-Che è successo a Leone?- la voce prosegue con la sua indisponente serie di domande.
-Stanchezza e freddo, mix devastante- borbotto io, di tutta risposta, decisa a non fermarmi.
-Domattina un bel discorsetto vi attende, signorine- conclude in tono severo una voce maschile.
Infilo le chiavi nella serratura, faticando a reggermi in piedi; tiro un calcio alla porta e mi precipito verso il letto di Val, lasciandola cadere sulle morbida lenzuola bianche.
Mi affretto a richiudere la porta, e in lontananza noto la professoressa Sacchi e il professor Venturi parlottare tra loro, animatamente.
Mi avvicino alla finestra, è buio pesto fuori, notte fonda per giunta; infilo una mano in tasca alla ricerca del mio cellulare, e mi ritrovo fra le mani il foglietto di carta un po’ sgualcito con annotato sopra quelle cifre magiche.
Fatico a crederci, e mi odio per amarlo a tal punto; stringo forte al mio petto quel foglietto di carta e comincio a piangere, a singhiozzare, a riversare sul mio viso quel tumulto che mi sconvolge l’esistenza.
Piango lacrime calde, bollenti, amare; i singhiozzi mi impediscono di respirare, e di trovare una ragione per riuscire a smettere.
Mi accuccio ai piedi del letto, stringendomi nelle spalle; infilo nelle orecchie le cuffie del mio ipod, e m’abbandono alla forza della musica, domandandomi: quanto si può moltiplicare un istante?

***

Riapro gli occhi alle sei del mattino, e il mio primo pensiero è Val; sta dormendo, il suo viso stanco e segnato dal trucco sbavato riposa sul cuscino profumato, e il suo respiro è lento, quasi inesistente.
Tempo una decina di minuti, e mi fiondo nella doccia; sotto lo scorrere dell’acqua bollente una miriade di immagini, flashback, suoni e colori si apprestano ad affollare la mia mente.
Ricordi sfuocati ed altri nitidi della nottata appena trascorsa mi pugnalano come coltelli, provocandomi fitte intense al petto; mi sento terribilmente svuotata da ogni sintomo di vita, incapace di provare gioia.
Mi rintano nel mio accappatoio blu cobalto, e nella mia mente riaffiora una domanda;
quanto si può moltiplicare un istante?
Spalanco la porta del bagno, in punta di piedi mi avvicino al comodino, e afferro il mio palmare;
menu-messaggi-crea nuovo messaggio.
‘Quanto si può moltiplicare un istante?’
Opzioni-Invia-Digita numero.
Frugo energicamente nella mia borsa con entrambe le mani, e sospiro soddisfatta appena vedo comparire un angolo bianco del foglietto di carta oramai in pessime condizioni.
Digito qualcosa sulla tastiera, e premo il tasto invio.

***

-La serata di oggi la trascorrerete nella vostra accogliente e confortevole stanzetta, in contemplazione della piazza di Amburgo dalla finestra, è chiaro?- tuona la voce acuta della professoressa Sacchi.
Val annuisce, visibilmente imbarazzata e io mi limito a una smorfia d’approvazione.
Nulla di così malvagio, insomma; una punizione che mi sarei senza dubbio aspettata dopo essere tornata in hotel con più di mezzora di ritardo, con l’aria stravolta e una ragazza sbronza tra le braccia.


***

-Ancora a smanettare con quell’affare?- esclama Val, vedendomi digitare frettolosamente qualcosa sullo schermo del mio cellulare. Siamo sedute a gambe incrociate in un grazioso parco in una zona decisamente chic della città, pausa pranzo.
-Aggiorno il blog, nulla di che- rispondo fredda.
‘Oggi lato est di Amburgo, e questa sera bloccata in prigione. Xoxo M.’

***

Mi trovo seduta sull’autobus in pessime condizioni che ci sta conducendo in un celebre luogo della città; sento vibrare il mio palmare nella tasca destra del cappotto, guardo il display: un nuovo messaggio.
Premo sul tasto leggi, e rimango estasiata sia dal mittente che dal contenuto del messaggio di risposta:
Come si misura un emozione? Firmato, Bill. 

  
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