Sherlock.
Era un nome strano.
Fu la prima cosa che pensò Watson quando Sherlock Holmes gli
fu presentato nel
laboratorio dell’ospedale da Stamford – uomo che
avrebbe ringraziato tutta la
vita per quell’incontro.
Era un nome molto
strano, unico
(senza dubbio in tutta l’Inghilterra non esisteva
un’altra persona con lo
stesso nome) e si chiese più di una volta dove lo avesse
pescato la madre.
Gli piaceva, però. Era originale, esattamente come il suo
proprietario. Si
chiedeva come avrebbe reagito Holmes a sentirsi chiamare
così da qualcuno che
non fosse il fratello, ma il rispetto nei suoi confronti e l’alta probabilità che Holmes
fraintendesse quel cambiamento glielo impedivano.
Scoprì, in seguito, che era meglio che non avesse mai
provato a chiamarlo con
il nome di battesimo.
Il giorno in cui, seduti sulle loro poltrone, Holmes aveva sbeffeggiato
il nome
del dottore, Watson aveva scoperto che al suo collega il proprio nome
non
piaceva affatto. Aveva detto che gli ricordava il verso di una papera
malata e
lui, che era cresciuto in campagna, sapeva
che verso facesse una papera malata.
Permetteva al fratello di chiamarlo così semplicemente
perché ormai c’era
abituato, e lo permetteva a Irene Adler perché dirle che gli
dava fastidio era
stato inutile.
Tuttavia, quando la voce spezzata del dottore chiamò per la
prima volta il suo
nome, non si lamentò.