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Autore: Astry_1971    25/04/2006    7 recensioni
Impietosamente le parole di Potter lo riportarono indietro, sentì la sua voce mentre pronunciava l’Avada Kedavra e vide il raggio verde scaturire dalla sua bacchetta con una potenza spropositata strappando via la vita del vecchio mago. In quel momento anche quello che restava della sua anima moriva con lui.
Seguito di “Traditore”; Piton sopravvissuto allo scontro con Voldemort decide di affrontare il processo per l’omicidio di Silente. Riuscirà ad evitare il bacio del Dissennatore? Gli avvenimenti narrati si svolgono dopo la caduta di Voldemort, ma prescindono dal settimo libro, ancora inedito quando questa storia è stata scritta.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Minerva McGranitt, Remus Lupin, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Ciao aliceisola La ff è scritta completamente, quindi se non ci saranno altri incidenti di percorso saprai presto come va a finire.
Ciao mavi Mi dispiace che tu debba soffrire fino alla fine, sono quasi tentata di dirti di più ma non lo farò
Ciao Chiara T E’ veramente un bel complimento, sono contenta di sapere che ti piace come scrivo
Ciao illyria93 E sì ho messo Piton in un bel guaio chissà se riuscirà a cavarsela questa volta?
Buona lettura!


CAP. 4: Attesa



Una folata di vento fece oscillare la fiamma della candela: si stava avvicinando un temporale.
Dalla piccola grata, si udiva il fragore del mare. Era poco più di un foro nella parete, posizionato molto in alto, appena sotto al soffitto di quella che assomigliava più ad un pozzo stretto e profondo che ad una vera e propria stanza.
Severus si rannicchiò in un angolo della panca, appoggiandosi al muro annerito dall’umidità. Guardò le pareti della cella: sembravano sciogliersi in miriadi di rivoli melmosi che si raccoglievano in piccole pozze negli avvallamenti del pavimento. Era come se le pietre piangessero e, forse, era proprio così.
Sospirò. Quanto dolore avevano visto? Quanti uomini avevano varcato la soglia di Azkaban e non avevano più rivisto il sole?
Già, il sole, Piton fissò la grata, ma dov’era finito?
Sentiva freddo. Nonostante fossero le prime ore del pomeriggio, il cielo si era fatto scuro e minaccioso e le nuvole gonfie di pioggia avevano ingoiato l’unica cosa bella che si poteva ancora vedere da Azkaban: quei pochi raggi di sole che, malgrado la perenne cappa di umidità che avvolgeva la fortezza, riuscivano faticosamente a penetrare nelle celle, portando un po’ di tepore e un po’ di speranza.
Un ultimo bagliore si aprì caparbiamente un varco tra quelle nere cortine, scintillando e specchiandosi sull’ampolla di veleno, prima di sparire del tutto.
Il mago allungò una mano afferrando la piccola boccetta.
Un sorriso amaro si dipinse sul suo viso: era quella la fine più adatta a lui. Il destino a volte sapeva essere ironicamente crudele.
Quanti uomini aveva ucciso con i suoi veleni? Era bravo in questo, il miglior Pozionista, il miglior distillatore di morte.
Anche quello che stringeva in mano l’aveva preparato lui, era perfetto come tutte le sue Pozioni. Minerva l’aveva preso nel suo studio, era rimasto lì da quando aveva lasciato Hogwarts.
Il mago rigirò l’ampolla fra le dita. Era ben conservato, evidentemente nessuno si era preso la briga di vuotare il suo armadio dopo la sua fuga.


* * *



Ricordava perfettamente il giorno in cui l’aveva preparato: Voldemort era appena tornato e Silente gli aveva fatto la sua richiesta, qualcosa che si aspettava, qualcosa che temeva, poche parole che, però, non avrebbe mai voluto sentire e poi aveva aggiunto: “se sei pronto?”
Pronto? Pronto ad uccidere ancora? Pronto a morire? Come poteva essere pronto? No, non lo era affatto, eppure aveva semplicemente obbedito.
“Lo sono!” quelle poche sillabe gli erano scivolate dalle labbra. Aveva pronunciato la propria condanna, freddo, distaccato, come se gli fosse indifferente.
Aveva risposto alla chiamata del Signore Oscuro e l’aveva convinto della sua fedeltà.
Aveva recitato la sua parte alla perfezione, nessun cedimento, neppure di fronte alla tortura. Ogni sua parola, ogni suo pensiero era stato una menzogna, ma il suo Signore non aveva avuto modo di dubitarne.
Era entrato prepotentemente nella sua mente e aveva visto solo un servo fedele, un Mangiamorte pronto a servirlo, aveva visto quello che lui voleva che vedesse.
Severus si era sentito nauseato dalle sue stesse parole, aveva ascoltato la sua voce, mentre forniva spiegazioni credibili al suo ritardo, ma a tuonargli nelle orecchie era stato il suo cuore che urlava la verità: lui non era un Mangiamorte, non più.
Una parte di lui sperava che Voldemort lo sentisse, avrebbe voluto morire pur di non affrontare quello che certamente sarebbe venuto.
Quella notte stessa, tornato a Hogwarts, si era trascinato faticosamente fino allo studio di Silente e aveva fatto rapporto.
Il vecchio mago lo aveva ascoltato in silenzio. Non gli aveva fatto domande sulle sue condizioni fisiche, anche se i segni delle torture subite erano evidenti e il tremore che scuoteva il suo corpo magro era inequivocabilmente causato da una cruciatus prolungata.
Silente sapeva che il suo interessamento lo avrebbe umiliato ulteriormente. Si era semplicemente congratulato con lui: ancora una volta, la sua spia era riuscita ad ingannare il più potente legilimante vivente, e non lo aveva trattenuto oltre.
Piton gliene era stato grato: desiderava solo tornarsene al suo sotterraneo, la sua casa, e restare solo.
Giunto lì, era rimasto sulla soglia fissando la sua scrivania: il calamaio, una pila di compiti da correggere, i suoi libri. Tutto ordinato e catalogato.
Tutto, tranne la sua vita.
Sentiva che ogni cosa gli stava sfuggendo dalle mani, anche il suo corpo martoriato non rispondeva più alla sua volontà. Aveva fatto qualche passo barcollando verso il suo tavolo, guardando quegli oggetti, testimoni di una facciata rispettabile, con crescente disgusto.
Professore? Insegnante alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts? Solo un’illusione, una dolorosa illusione.
Aveva creduto di poter dimenticare il suo passato, quel passato che ora gli era ripiombato dolorosamente addosso.
Era stato uno stupido: il suo maledetto passato non l’avrebbe mai abbandonato.
Aveva cercato la redenzione, ma come poteva pensare di lavare le sue mani sporche di sangue lordandole con altro sangue?
Aveva urlato la sua rabbia, mentre con furia scaraventava per terra ogni cosa. Un grido colmo di disperazione e di odio per se stesso, per quello che era diventato e per quello che sarebbe stato ancora una volta: un assassino.
Sentiva la nausea salirgli in gola ricordando la gioia che aveva visto negli occhi di Voldemort, mentre assaporava la piacevole sensazione di avere di nuovo un corpo, e sentiva ancora la sua disgustosa presenza nella testa: per troppe ore la sua mente aveva scandagliato i suoi più intimi pensieri, lasciandolo svuotato e umiliato.
Aveva afferrato la maniglia dell’armadio spalancandolo e, dopo aver gettato a terra tutto quello che non serviva al suo scopo, aveva iniziato ad ammucchiare disordinatamente sul tavolo erbe e ampolle.
Era furioso, era disgustato. Con uno scatto rabbioso della mano, aveva acceso il fuoco sotto il calderone. Ogni gesto gli procurava dolore, la testa pulsava, e le sue mani tremavano così tanto che più di una volta aveva rovesciato le piccole ampolle, spargendone il contenuto sulla scrivania immacolata, tuttavia, aveva continuato febbrilmente a sminuzzare e mescolare gli ingredienti.
Doveva riprendere il controllo della sua vita: quella Pozione era l’unica soluzione, l’unica possibilità di fuggire per sempre da quell’incubo.
Dopo alcune ore, il liquido si era fatto così denso che mescolarlo era diventato un vero tormento. Severus aveva stretto i denti mordendosi il labbro: doveva ignorare il dolore.
Non poteva smettere: la Pozione sarebbe divenuta inservibile.
Aveva proseguito quel supplizio, soffocando anche il più piccolo lamento.
I muscoli erano divenuti così rigidi che gli sembrava di non riuscire più a controllarli, i continui spasmi stavano rischiando di vanificare il suo lavoro, la Pozione si addensava troppo in fretta.
“No! Non adesso!”
I movimenti della sua mano si erano fatti più rapidi, poi un sospiro di sollievo: la sostanza stava diventando del colore giusto.
“…ecco, così.” il mago era fradicio di sudore, aveva smesso di mescolare e fissava ansante il calderone.
La pozione era quasi pronta, mancava solo un ingrediente e avrebbe avuto ciò che più desiderava.
Aveva dato via la sua anima, ma voleva ancora essere padrone del suo corpo, aveva bisogno di sapere che aveva ancora una scelta: poteva scegliere di morire.
Una morte facile, sarebbero bastate poche gocce. O, forse, una morte da vigliacco?
Era quello che sarebbe stato? Un vigliacco?
A questo pensiero la sua mano aveva esitato, si era bloccata a mezz’aria, mentre si accingeva ad aggiungere l’ultimo ingrediente.
Era rimasto immobile per qualche istante, fissando la pozione che gorgogliava.
Sì, doveva fermare la sua mano assassina, quello era l’unico modo.
“Io non sono un vigliacco!” aveva poi mormorato fra i denti, mentre la sua mano si apriva lentamente lasciando scivolare il suo mortale contenuto dentro il calderone.
Una nuvola di vapore violaceo si era sollevata dalla Pozione, il viso del mago era stato investito dal calore sprigionatosi, un calore quasi piacevole, aveva chiuso gli occhi, assaporando quel momento, un breve, meraviglioso istante, che si era immediatamente dissolto con il vapore, insieme al suo sogno.
“No! Non posso… non devo.” era stata la sua mente a gridare, mentre le parole erano sgorgate dalla sua bocca come un roco lamento.
La Pozione era pronta. Il mago aveva respirato i suoi vapori gustandone il profumo, forte e dolce insieme, il profumo della libertà, una libertà che non avrebbe mai potuto avere, almeno finché non fosse riuscito a pagare il suo debito. Lo sapeva, ma era bello vederla vorticare dentro quel calderone.
Era sfinito, la vista si annebbiava, poi un dolore alla mano ed il buio.
Era scivolato a terra e, in un vano tentativo di frenare la caduta, si era aggrappato al paiolo rovente che, fortunatamente, non si era rovesciato.
Era stato Silente a trovarlo parecchie ore dopo, ancora svenuto sul pavimento, mentre la Pozione, ormai fredda, riposava nel calderone.
Anche quella volta il preside non aveva fatto domande. Lui si fidava di Severus, conosceva il suo passato e gli aveva creduto, conosceva i suoi pensieri, i suoi dubbi e i suoi rimorsi anche senza ricorrere alla Legilimanzia; li conosceva come solo un padre avrebbe potuto conoscerli.
Aveva visto la Pozione, sapeva di cosa si trattava, ma forse sapeva anche che lui non l’avrebbe usata.

* * *



Severus abbassò lo sguardo, fissando il suo riflesso deformato sul vetro dell’ampolla. Quell’oggetto era il simbolo di ciò che era diventato: un dispensatore di morte, ma era anche il dono più grande che avesse mai ricevuto, il dono della libertà. Un dono che solo una vera amica aveva avuto il coraggio di offrirgli, anzi, era molto di più, era l’ultimo dono di una madre; Minerva McGranitt era stata questo per lui.
“Perdonami, Minerva, se ti ho deluso.” sussurrò, rivolgendosi a quell’oggetto inanimato, come se vedesse impresso in quel vetro il volto della donna che gliel’aveva dato, ma la superficie lucida dell’ampolla gli restituì solo il suo sguardo e il mago si perse nei suoi stessi occhi: un baratro tenebroso, un’oscurità senza fine, un infinito dolore.
A quegli occhi, Minerva non aveva saputo negare il suo aiuto.
Anche lei sapeva del veleno, l’aveva scoperto per caso.
Era una sera come tante, da quando Voldemort era tornato, una sera nella quale si era versato sangue innocente.
Piton non aveva rivolto la parola a nessuno al ritorno dalla sua missione. Si era chiuso nel suo sotterraneo ed era rimasto lì per ore, immobile, fissando il vuoto e stringendo la piccola boccetta di vetro tra le dita.
Lei l’aveva trovato così, seduto alla sua scrivania, con l’ampolla in mano. Aveva sempre avuto un grande intuito quella donna, era stato sufficiente uno sguardo per capire che Piton non stava esaminando l’ultimo miscuglio fatto dai suoi allievi.
“Severus!” aveva balbettato, rimanendo impietrita sulla porta.
Il mago aveva sollevato stancamente il viso, rivolgendo alla donna uno sguardo colmo di tristezza. Lei aveva fatto qualche passo verso di lui, continuando a fissare il buio dei suoi occhi.
Minerva li conosceva bene, avevano perso la loro luce da quando avevano visto il primo sangue macchiare le sue mani di ragazzo, ma ogni volta ne restava turbata.
Per un po’ il mago non aveva detto niente poi, alzatosi dalla sua poltrona, si era avvicinato all’armadio, riponendo con cura il suo tesoro.
“Non la userò… non ora.” aveva mormorato senza voltarsi.
Lei non aveva smesso di fissarlo, c’era un’ombra di terrore nel suo sguardo, tremava e una lacrima era scivolata ad imperlarle la guancia.
Severus si era voltato lentamente, contemplando quegli occhi spaventati. Non voleva che soffrisse per lui. Si era obbligato a sorridere e si era avvicinato.
Nel cuore di quella donna austera c’era sempre stato un posto per tutti, anche per lui. Lei e Silente erano diventati la sua famiglia.
Il mago aveva sollevato la mano, sfiorando con la punta delle dita quel viso scolpito dagli anni e dalla saggezza.
“Non preoccuparti.” aveva sussurrato dolcemente.
Per tre lunghi anni, quell’ampolla sarebbe rimasta solo un desiderio, il suo sogno e il suo incubo.
L’ultima volta che aveva preso la Pozione dal suo armadio era stato il giorno della discussione con Silente, il giorno di quel suo ultimo terribile ordine.
Quella volta non avrebbe avuto neppure bisogno del suo veleno, sarebbe stato sufficiente non agire e sarebbe morto a causa del giuramento. Quella volta, più che mai, avrebbe voluto mettere fine all’inferno che era diventata la sua vita. Quella volta, meno che mai, avrebbe potuto tirarsi indietro: era in gioco futuro del mondo magico.
Se solo ci fosse stato un altro modo!
Non poteva, non voleva eseguire quell’ordine.
Si era ribellato, aveva gridato e aveva persino supplicato Silente, ma la sua vita non gli apparteneva da quando l’aveva donata al vecchio mago per riscattarsi dalle sue colpe.
Silente gli aveva ordinato di vivere e lui, alla fine, avrebbe obbedito, ancora una volta.
Non aveva il diritto di fuggire, non si sarebbe rifugiato in una dolce, pietosa morte.
Aveva un dovere da compiere e lo avrebbe portato a termine, avrebbe dato fino all’ultima goccia del suo sangue, pur di distruggere l’uomo che aveva portato nel mondo tanto dolore e per proteggere un ragazzo nel quale aveva rivisto se stesso. Per lui avrebbe lacerato nuovamente la sua anima e questa volta l’avrebbe persa per sempre, uccidendo la persona che gli era più cara. Doveva farlo, doveva obbedire.

* * *



Le dita del mago presero a stringere spasmodicamente l’ampolla fino quasi a spaccare il vetro.
“Perché?” mormorò. “Non dovevi chiedermelo, non dovevi.”
La cella era diventata sempre più fredda, da quando il sole e l’ultima speranza l’avevano abbandonata. I Dissennatori si facevano più vicini e bramosi. Piton era scosso da continui brividi, sentiva l’angoscia togliergli il respiro.
Guardò le sue mani: stavano tremando.
Aveva paura? Sì, forse Potter aveva ragione: lui era un vigliacco.
Dov’era finito Severus Piton? In quella cella, ora c’era solo un uomo che non aveva più orgoglio, era arrivato a supplicare una ragazzina, si sarebbe buttato in ginocchio davanti a Hermione. Non aveva mai temuto la morte, anzi l’aveva desiderata, quello che temeva era l’orrore della sua vita, vederla attraverso gli occhi del Dissennatore.
Un incubo ripetuto all’infinito, i volti delle persone che aveva ucciso, i loro occhi, le loro grida disperate e poi il silenzio, ugualmente assordante, quando l’ultimo alito di vita le abbandonava.
Aveva visto tra le esili dita di Hermione l’unica via d’uscita, aveva visto una possibilità di pace, la possibilità di evitare quella fine orrenda.
Voleva solo che tutto finisse, voleva chiudere gli occhi e non vedere quelle immagini strazianti che non lo lasciavano mai, voleva il sogno che aveva inseguito per tre lunghi anni, voleva finalmente morire.
Così aveva afferrato la fiala strappandogliela dalle mani, aveva afferrato quel sogno.
Si raggomitolò su quello scomodo giaciglio, stringendo ancora l’ampolla come in un abbraccio.
Sospirò, forse avrebbe dovuto affrontare la condanna. Era una pena giusta, lui era un assassino, non avrebbe pagato mai abbastanza per i suoi crimini.
Come aveva potuto pensare di meritare quella misericordia che non aveva saputo concedere alle sue vittime?
Eppure quella misericordia gli era stata accordata ed era lì nella sua mano.
Il cielo era stato clemente, gli aveva concesso la possibilità di scegliere.
In fondo era quello che aveva sempre desiderato: poter scegliere.
Ma cosa avrebbe scelto? La morte o l’incubo? Doveva concludere la sua vita come un vigliacco, caricandosi di quest’ultima ignominia o doveva affrontare l’umiliazione del bacio, continuando a vivere come un vegetale precipitato nell’orrore del suo passato?
Dubbi, rimorsi, paure affollavano la sua mente.
Si portò una mano ad afferrare i capelli sudici e scompigliati. Gli sembrava di impazzire.
Scosse il capo, forse stava veramente perdendo il senno, doveva essere l’effetto dei Dissennatori, erano troppo vicini.
Lasciò scivolare la fiala a terra afferrandosi la testa con entrambe le mani.
“Dannati mostri, andate via… andate via…” gemette e si rannicchiò ulteriormente, portandosi le ginocchia al petto, mentre con le mani si turava con forza le orecchie in un vano tentativo di allontanare quelle presenze dalla sua mente.
“Lasciatemi in pace!” la sua voce diventava sempre più debole, quasi un soffio.
“Vi prego… lasciatemi in pace!” chiuse gli occhi.
“Albus… aiutami!” mormorò.
Poi la stanchezza lo vinse e il mago sprofondò in un sonno agitato.



Continua…


Posterò il prossimo capitolo fra circa una settimana s’intitola, ahimè, “ll bacio del Dissennatore”.Uhm! Sarà il caso di preoccuparsi?
Mi raccomando recensite
Ciao a presto!


  
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