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Autore: rotinpieces    24/08/2011    1 recensioni
Perché qualcuno stava distruggendo con tanta cattiveria tutti i suoi castelli di carta? Non poteva lasciare che fosse il tempo a farli bruciare con esasperante lentezza, in modo che lei fosse più matura e preparata al momento in cui avrebbe visto tutte le sue certezze crollare inesorabilmente?
E ancora: era davvero possibile essere pronti a qualcosa del genere?

_______
Althea è la figlia illegittima di Abraxas Malfoy.
Ha vissuto un'infanzia costellata di pochi momenti di felicità finché, per un motivo a lei sconosciuto, la signora Malfoy cambia improvvisamente atteggiamento nei suoi confronti e inizia a prendersi cura di lei. A quindici anni, Althea è convinta di avere una vita perfetta: la sua famiglia è fiera di lei; non si sente ferita dall'indifferenza e dalla freddezza di Lucius; è orgogliosa del cognome che porta; riesce a ottenere buoni risultati a scuola. La felicità, però, è un cristallo tanto fragile quanto bello e perciò va trattato con cautela. Basta poco per sgretolarla ed essere travolti da eventi troppo grandi per poter essere affrontati da soli.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, I Malandrini, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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James Potter era cambiato e non c’era anima viva ad Hogwarts che potesse testimoniare il contrario

 

Cadence of Her Last Breath

Capitolo IV: Cowardice & Bravery

 

 

Quella sera, Althea concluse di scrivere il tema di Pozioni molto prima di quello che si aspettava e passò molto del suo tempo in Sala Comune a lanciare occhiate nervose alla sua borsa. A mezzanotte meno un quarto, Judith si decise finalmente ad andare a letto e molti altri seguirono il suo esempio nell’ora successiva. Solo quando la stanza fu vuota ad eccezione di un paio di studenti del settimo anno che lei era sicura non le avrebbero mai prestato attenzione, Althea tirò fuori il libro e se lo mise sulle ginocchia.

A prima vista, sembrava molto antico e fragile: la copertina era di un rosso sbiadito e il titolo, scritto in rilievo, una volta doveva essere stato dorato. Passò una mano sopra alle lettere dell’intestazione, fermandosi sopra ad ognuna con un misto di attenzione e terrore: ‘La pure et vénérable Lignée De La Broquiere’.

Si chiese chi potesse averglielo mandato.

Non erano in molti a sapere il suo segreto, anzi, era piuttosto convinta che l’unica persona al di fuori della sua famiglia che ne fosse al corrente era Sirius.

Cosa le avrebbe consigliato lui se avesse saputo che cosa le era stato recapitato quel giorno?

Se non vuoi leggerlo, almeno sfoglialo, Althea.

Lo aprì e la sua speranza, che non sapeva nemmeno di aver nutrito, di trovarci un biglietto o il nome del mittente venne subito infranta. Quindi lo chiuse, lo rigirò tra le mani e cercò una data di pubblicazione o qualcosa che potesse farle intuire almeno l’età della persona che gliel’aveva mandata. La trovò nella penultima pagina: 1813.

Wow, fu tutto quello che il suo cervello riuscì ad elaborare.

La Casata di Laila era anche più antica di quella dei Black.

Non di molto, certo, ma pur sempre più vecchia.

Althea iniziò a sfogliarlo e si accorse che era completamente scritto a mano e in francese.

Per fortuna, lei era bilingue perché Laila era francese e a volte preferiva parlare nella sua lingua madre piuttosto che in inglese. Era stata la sua matrigna a insegnarle quella lingua straniera e lei, per conto suo, si era interessata alla letteratura della Francia e aveva studiato anche un po’ di francese antico.

Chiunque fosse stato a mandarle quel libro, doveva per forza saperlo, altrimenti perché prendersi il disturbo? Lei non lo avrebbe capito.

Althea lo sistemò sul tavolino davanti a sé e lo osservò a lungo, provando disgusto e repulsione per quella copertina malandata e per il contenuto di quel volume, qualsiasi esso fosse. Rimase a lungo a riflettere su tutte le persone che l’avevano maneggiato e vi avevano aggiunto, anno dopo anno, generazione dopo generazione, le cronache di personaggi di una nobile famiglia magica francese dalla vena squilibrata tanto quanto quella dei Black o dei Gaunt. Avrebbe potuto leggerci storie di incesti o di torture e rimedi disgustosi; avrebbe potuto trovarci tradizioni terribili o rituali legati alle Arti Oscure.

Un brivido di paura la scosse, ma quella era solo una delle tante emozioni che provava.

Infatti, una parte di lei era assolutamente curiosa di scoprire qualcosa di più; dopotutto, non era l’occasione che aspettava da un sacco di tempo? Era sempre stata così impaziente di scoprire il cognome di Laila fosse così importante, ma ora che ne aveva la possibilità la stava scacciando e si stava precludendo l’opportunità di scoprire tutta la verità.

Perché, Althea lo sapeva e lo aveva capito da tempo, se Laila aveva insistito tanto era perché lei era per forza collegata a quella casata. Non sapeva come né perché lo fosse, ma doveva sicuramente esserci un legame tra la pura e venerabile Casata De La Broquiere e Althea Malfoy.

La ragazza rifletté, come aveva fatto innumerevoli altre volte, su questa questione: era sicura di non essere connessa ai De La Broquiere da parte di madre; sia Laila che Abraxas le avevano assicurato che era inglese tanto quanto lo erano i Malfoy, i Prewett, i Black e le altre famiglie Pureblood che conosceva. Era vero che Althea non era sicura di poter riporre la sua totale fiducia nella matrigna, ma era certa che il padre non le avrebbe mai mentito al riguardo.

Quindi cos’era che la univa a quel cognome?

Qualche parente di cui non conosceva l’esistenza?

L’essere stata promessa in sposa a qualcuno di loro appena dopo la sua nascita?

No, quest’ultima cosa era assolutamente impossibile e impensabile: il Medioevo era finito già da un po’.

E allora, cos’era?

Althea guardò ancora il libro e si rese conto che le era quasi insopportabile fissarlo.

Tutte le risposte erano lì: che aspettava ad aprirlo?

Lo prese in mano per l’ennesima volta e represse a fatica l’istinto di scagliarlo nel fuoco e dimenticarsi di averlo ricevuto. Sapeva che sarebbe stato impossibile cancellare l’immagine di quel tomo, ma era sicura di essere ancora in grado di rilegarla in qualche angusto angolo della sua mente con relativa facilità.

Vigliacca.

Dopo lunghissimi e astiosi minuti di indecisione, si recò in camera e, spostandosi con circospezione per non far svegliare le sue compagne, andò a tentoni verso il suo letto. Quando lo raggiunse, aprì le tende del baldacchino e sussurrò: «Baule Locomotor», puntando la bacchetta sul bagaglio che voleva spostare.

Lo trasportò sopra al letto, dove poi anch’ella salì e poi richiuse i tendaggi.

«Lumos».

Incastrò la bacchetta sulla testiera del letto in modo di poter usufruire della luce che produceva con il più il vantaggio di avere le mani libere e con molta calma e in silenzio, iniziò a svuotare il baule di tutto il suo contenuto. Quando la sua opera fu completa prese il libro e lo depose sul fondo, nell’angolo in alto a sinistra, poi coronò il tutto con un semplice: «Bagaglius!» che rimise al suo posto originario tutto ciò che era stato tirato fuori per far posto al volume. Spinse il baule giù dal letto, stando sempre attenta a non fare troppo rumore e poi si cambiò velocemente nella fretta di mettersi sotto le coperte e cadere nel dolce oblio del sonno, per iniziare a dimenticare.

 

***

 

Due vispi occhi cerulei l’osservavano curiosi e impazienti da circa un quarto d’ora. Lucius, con la coda dell’occhio, la spiava mentre si teneva stretta con le manine al bordo del tavolo e rideva sotto i baffi pensando alla possibilità di far crollare il suo equilibrio precario con un brusco e “casuale” movimento del braccio.

Erano in biblioteca, in un caldo pomeriggio dell’estate del ’67: Abraxas e Laila erano usciti e la piccola Althea era stata affidata al fratello maggiore, un quindicenne già molto responsabile. Quando i suoi genitori erano in casa, Lucius era solito ignorare l’esistenza della sorella, semplicemente perché non la considerava tale. Ricordava bene il giorno in cui quella bimba era entrata a far parte della famiglia, ma nella sua memoria era ancora più vivo il monito di sua madre.

Lei non è tua sorella. Non è mia figlia. È feccia. Trattala come più ti pare e piace.

Lucius non aveva certo disobbedito e spesso aveva abusato della sua posizione di fratello maggiore e figliol prodigo della madre per divertirsi ai danni della sorellina.

Si limitava ad imitare il comportamento di Laila e lasciava che fosse Abraxas a occuparsi di dare alla bimba l’affetto di cui necessitava –cosa che naturalmente non era stato in grado di fare, visti gli innumerevoli impegni e la sua scarsa disponibilità.

Althea, dal canto suo, aveva sempre dimostrato una grande curiosità nei suoi confronti, probabilmente perché lo vedeva per poco tempo all’anno e anche perché desiderava scoprire come conquistarsi il favore della matrigna. L’aveva sorpresa più volte a guardarlo di nascosto o ad imitarlo in qualche movimento; anche se non avrebbe mai osato ripeterlo a voce alta, tutta quell’attenzione da parte della sorella gli piaceva e a volte lo faceva sentire orgoglioso di se stesso per essere in grado di suscitare tanta ammirazione in un’altra persona.

La bimba si schiarì rumorosamente la voce. Lucius venne distolto dai suoi pensieri e si voltò verso di lei. Non sapeva perché, ma era curioso di sentire che cosa volesse Althea da lui; da quando lei aveva iniziato a parlare, non le aveva mai rivolto la parola durante le poche settimane all’anno che passava al Manor.

«Voglio chiederti una cosa».

La voce della sorella era chiara, ferma e decisa. In quel momento, Lucius ebbe l’impressione di parlare con una ragazzina di almeno dieci anni e non con una bambina di sei.

«Parla».

«Chi è la mia mamma?»

Il giovane Malfoy stette in silenzio e ripose a se stesso la domanda: in effetti, chi era la mamma di Althea? Era sicurissimo del fatto che fosse un’amante fissa di suo padre o qualcosa del genere, visto che sua madre supponeva di conoscerla da molto tempo e ne aveva sempre parlato in termini molto sgarbati, ma non avrebbe saputo dire altro. A volte, durante i litigi più furiosi, Laila parlava di Parigi e sostituiva all’inglese la sua lingua madre, il francese. Lucius lo comprendeva, pur non parlandolo benissimo, ma quando la madre era molto arrabbiata utilizzava spesso delle espressioni dialettali tipiche della sua regione di provenienza di cui lui non conosceva il significato.

Decise di essere sincero con la sorella, nella speranza che lei andasse ad indagare da Abraxas e poi venisse a chiarire anche i suoi dubbi.

«Non lo so,» disse «ma non credo sia inglese».

Il viso di Althea non rivelò alcuna emozione nel sentire la risposta del fratello. La bimba lo ringraziò per la disponibilità che le aveva dimostrato e poi tornò ai suoi esercizi di lettura e scrittura.

 

***

 

Il mattino dopo, Althea si alzò di buonumore, con l’impressione di aver goduto di un lungo e bellissimo sonno ristoratore. Non sapeva se aveva sognato e, anche nel caso in cui fosse successo, non ricordava nulla. Sostituì la divisa al pigiama, preparò la borsa dei libri e svegliò Judith.

«Buongiorno! Sorgi e splendi!»

L’amica la guardò, gli occhi ancora impastati dal sonno, facendo evidentemente molta fatica per metterla a fuoco.

«Cos’è tutto questo entusiasmo?»

«Perché, non posso essere di buonumore?»

«Mi fai paura quando sei così esuberante,» ammise l’altra, aggrottando le sopracciglia, senza comprendere il motivo per cui Althea potesse essere tanto contenta «mi sono persa qualcosa?»

La domanda fece sparire il sorriso dal viso della ragazza che improvvisamente rivide vivida nella sua mente l’immagine del libro che quella notte, con prudenza, aveva nascosto.

Tutte le risposte erano lì: che aspettava ad aprirlo?

Judith si accigliò ancora di più al cambio repentino dell’umore dell’amica.

«E ora che c’è?»

«Niente,» mentì Althea e ostentò altre manifestazione di un entusiasmo ormai spento «muoviti, dai!»

Vigliacca.

 

***

 

Nel corso dei primi quattro mesi di scuola, James Potter era cambiato e non c’era anima viva ad Hogwarts che potesse testimoniare il contrario.

Dall’inizio dell’anno fino all’ultimo giorno prima delle vacanze di Natale, era stato in punizione solamente cinque volte. Poco importava che la durata di ognuno di quei castighi variasse dai sette ai quindici giorni; erano comunque sole cinque misere circostanze.

Ovviamente, tutta la scuola era in subbuglio per questa singolare novità: ogni Casa –addirittura Slytherin- non poteva dirsi stupita di tale cambio di condotta e si vociferava che Potter avesse avuto qualche serio problema durante l’estate. Ad un certo punto, venne anche confermata la notizia che era stato ricoverato per un intero mese al San Mungo e che alcuni Guaritori fossero riusciti a mettere a freno la sua voglia di cacciarsi nei guai.

I suoi compagni Gryffindor, dal canto loro, sapevano benissimo che cosa stava succedendo al Capitano della loro squadra di Quidditch, ma trovarono molto più divertente l’idea di fomentare le dicerie piuttosto che di raccontare a tutti che cosa frullava davvero per la testa del fulcro di tutto quello scompiglio. Inoltre, tutti i membri della Casa di Godric mettevano in giro storie assurde e testimoniavano per le voci più improbabili soprattutto perché spesso erano inventate da James stesso e faceva sperare loro che non avesse perso la testa del tutto: nessuno avrebbe potuto sopportare di perdere la finale contro Slytherin.

La triste realtà era che James Potter era davvero innamorato del Prefetto Gryffindor dalla fulva chioma, Lily Evans, e che, tra il quinto e il sesto anno, era pertanto inceppato in uno strano e misterioso processo che prima o poi colpiva tutti gli adolescenti di questo mondo: la maturazione.

Il Gryffindor aveva vagliato e analizzato con estrema minuzia tutti i suoi gloriosi cinque anni di istruzione magica e si era reso conto di aver perso molto più tempo a scontare punizioni che non a seguire lezioni. Non che questo gli recasse qualche genere di dispiacere, tutt’altro; uno dei frutti del suo cammino verso la responsabilità era proprio la sua accettazione di ciò che era stato fino ad allora. Riconosceva di aver fatto cose davvero stupide che avevano compromesso non solo la possibilità di concludere più brillantemente la sua carriera accademica, ma anche di accaparrarsi le simpatie della ragazza che le aveva rubato il cuore da tempo immemore. In particolare, si era reso conto che l’essere stato complice di uno scherzo che aveva rischiato di concludersi molto male per un caro amico d’infanzia di quest’ultima, l’aveva fatto rinsavire e pian piano lo stava indirizzando nella giusta carreggiata.

Rimaneva comunque un ragazzo molto divertente, estroverso e senza peli sulla lingua; la differenza sostanziale stava nel fatto che ora era decisamente meno vivace, appena più rispettoso nei confronti dei professori e delle loro lezioni e che s’impegnava per cercare di far perdere alla sua Casa meno punti possibili. Per ora, questo non sembrava aver impressionato più di tanto Lily perché, molto probabilmente, era ancora convinta che lui si stesse solo prendendo un periodo di pausa e che poi sarebbe tornato con qualche progetto epico, come far saltare in aria il bagno di Moaning Myrtle.

Quello che avrebbe scatenato un vero putiferio.

E anche qualche urla di gioia da parte delle ragazzine del primo anno che non sapevano che non si può far morire un fantasma e che non avevano ancora imparato ad evitare quel posto.

Per fortuna della popolazione di Hogwarts, c’era ancora Sirius Black ad allietare le noiose giornate scolastiche, anche se lui stesso ammetteva di sentire la mancanza del suo migliore amico a dargli man forte. Non che non girassero sempre insieme, con Remus Lupin a fianco e Peter Pettigrew al trotto, ma ora James non lo intratteneva nei momenti di noia come un tempo e ogni tanto aveva nostalgia di quei diversivi. Soleva quindi crearseli da solo, a volte in compagnia di Remus, e quindi finiva comunque per dover scontare punizioni su punizioni, settimana dopo settimana.

Sirius, però, era diverso da James, molto di più di quanto non lo fossero dal punto di vista estetico. Con un po’ di fantasia e una buona dose di distrazione, qualcuno avrebbe anche potuto dire che avessero qualche genere di parentela alla lontana: entrambi avevano capelli corvini, erano di bell’aspetto e avevano modi di fare e abitudini molto simili. Tuttavia, una volta che l’incauto osservatore avesse apprestato più attenzione, avrebbe notato che i tratti di Sirius erano molto più aristocratici di quanto non lo fossero quelli di James e che ogni suo minimo movimento era accompagnato da una eleganza, quasi trascurata. Inutile dire che la combinazione di queste due particolarità aveva sempre permesso a Black di riscuotere un successo leggermente maggiore rispetto al suo migliore amico, tra la popolazione femminile s’intende.

Poi, c’erano altre peculiarità, legate soprattutto alla natura dei due, che li rendeva profondamente diversi, seppure uniti in un rapporto intimo che ricalcava in tutti i sensi la connessione che esiste tra due fratelli.

Mentre James, nel corso degli anni, si dimostrò essere una persona fondamentalmente semplice, onesta, coraggiosa e davvero generosa, pur essendo stato viziato in modo quasi increscioso dai genitori; questa parte della natura di Sirius, che con lui condivideva, si manifestava in maniera assai più mite.

Non che Sirius fosse cattivo, non lo era mai stato e mai aveva intenzione di esserlo in futuro, aveva solo un’indole molto più complessa dell’amico. Nonostante provenisse da una famiglia su cui le Arti Oscure avevano sempre esercitato un certo fascino e che aveva tendenze sconsiderate e vari casi di follia da annoverare tra le sue progenie, non aveva mai mostrato né segni di instabilità né alcuna propensione a fare del male.

Se si escludeva quell’incidente riguardante Snape, certo.

Ma Snape, con la sua cricchia di amici, era ambiguo e gli stessi Slytherin a volte preferivano non averci a che fare. I pupilli di Salazar erano privi del valoroso spirito Gryffindor che li avrebbe spinti a scoprire in che cosa si stesse ficcando il loro compagno. Preferivano salvarsi la pelle piuttosto che deperire in battaglia per essersi ficcati in mezzo a cose che non li riguardavano direttamente, loro.

Trascurando l’incidente con Snape, che poteva anche essere considerato uno dei tanti frutti della rivalità millenaria tra le due Case e condotto senza intenzioni tanto crudeli, Sirius era a posto. In linea di massima era gentile e disponibile, soprattutto se si trattava di ragazze, anche se molto riservato per quanto riguardava le sue faccende personali. Ciò che lo distingueva, era il singolare entusiasmo con cui si lanciava in una sfida o in una battaglia, di qualsiasi genere esse fossero.

A Sirius piaceva combattere.

A Sirius piaceva ottenere quello che voleva.

A Sirius piaceva vincere, anche mettendosi completamente in gioco e rischiando la pelle.

Non vincere alla maniera delle Serpi, strisciando e calcolando.

Lui si esponeva ed era disposto a sacrificare anche se stesso.

Era vero che il fine era sempre quello di avere successo, ma lui aveva sempre saputo che tra impegnarsi per i suoi ideali e che seguire alla cieca valori imposti da decenni di follie familiari c’era tutta la differenza del mondo.

 

***

 

Fiocchi candidi e grossi vorticavano sospinti da un rigido vento al di fuori delle mura del castello, ma erano solo un fischio lontano per Sirius, che si trovava seduto accanto al fuoco, sulla sua poltrona prediletta, e ne osservava le fiamme guizzare allegre, perso nei suoi pensieri.

Era molto tardi, la mezzanotte era già passata da diversi minuti e normalmente avrebbe iniziato a salire le scale del dormitorio per andare a coricarsi, ma quella sera era l’ultima prima delle vacanze di Natale quindi si stava permettendo di allungare il suo coprifuoco.

Da qualche tempo, Sirius aveva notato qualcosa di diverso nel suo amico James, una cosa che era sicuramente sfuggita a tutti i suoi compagni di Casa che non lo conoscevano come lui e soprattutto avevano lo stesso spirito di osservazione di un sasso. Per questo motivo in quel momento era ancora in Sala Comune invece di infilarsi tra il guanciale e le coperte del suo letto; era l’unica occasione in cui poteva parlare con l’amico a faccia a faccia prima che tornasse a casa Potter per le vacanze. James l’aveva invitato a passare con lui quelle due settimane di riposo dall’attività accademica, ma Sirius aveva rifiutato l’invito con una scusa; in realtà aveva delle faccende ben precise da sbrigare.

Per sua fortuna, la persona da lui desiderata si affacciò giusto in quell’istante dal buco del ritratto della Fat Lady, custode della Torre dei Grifoni, reduce dall’ultima punizione prima delle vacanze.

«Buonasera Prongs» lo accolse con calma, stando ben comodo nella sua poltrona preferita vicino al fuoco «Com’è andata?»

«Sai com’è Slughorn: sono passato dalle cucine prima di andare da lui, gli ho portato un po’ di ananas candito e mi ha alleggerito il lavoro» rispose l’altro, lasciandosi cadere su un divanetto di fronte a lui.

Sirius lo guardò con occhio critico e James non gli parve per niente rilassato, nonostante avesse appena ammesso di non aver scontato uno dei suoi peggiori castighi.

«A me sembri distrutto, però» osservò.

Il suo amico fece per ribattere, ma lui lo interruppe, non volendo sentire altre scuse.

Ogni volta che cercava d’indagare su quello che lo affliggeva davvero, James era solito cambiare discorso o giustificare tutto con la Evans, esattamente come faceva con gli altri compagni Gryffindor. Sirius si dispiaceva sinceramente di questa reticenza dell’amico e per un po’ era riuscito a rispettarla perché era leale a chi era stato in grado di volergli bene senza riserve, anche se questo lo escludeva dai suoi pensieri e dalle sue preoccupazioni. A lungo andare, però, quella situazione lo aveva stancato e ora desiderava mettere bene in chiaro che poteva benissimo non renderlo partecipe delle sue angherie, ma non poteva prenderlo in giro rifilandogli le stesse giustificazioni che dava a chiunque altro.

Erano fratelli, dopotutto.

Non di sangue, ma erano fratelli.

«James non raccontarmi balle, è da un po’ che sei così giù. Non voglio costringerti a parlarne, ma sappi che ci sono se hai bisogno di una mano, capito?»

«Se ti dico che cosa mi frulla per la testa da qualche tempo a questa parte come minimo mi riderai in faccia».

Sirius si sentì ferito da questa considerazione dell’amico: lo credeva insensibile e poco maturo?

Solo perché non mostrava quella parte di se stesso, non stava certo a significare che non esisteva per niente, e Prongs avrebbe dovuto saperlo bene.

«Mettimi alla prova».

James lo guardò a lungo, soppesando le alternative e alla fine decise di dar fiducia a Padfoot.

«Sirius, io voglio impegnarmi seriamente. Non voglio più perdere tempo fra punizioni e divertimenti. Hai presente quello che sta succedendo là fuori? Strane sparizioni, casi sparsi di Caccia ai Muggles, gente come Snivellus che parla di un Signore Oscuro, di ripristino del potere dei Pureblood... Sono sinceramente preoccupato. Non credo siano solo sciocchezze messe in giro da uno stupido Slytherin o notizie relativamente allarmanti, ma che riflettono una situazione di timore momentaneo e risolvibile come le solite del Daily Prophet. Sono convinto che ci sia qualcosa di grosso e di pericoloso in arrivo e io voglio prepararmi al meglio per questo. Riuscire anche a combatterlo se posso».

Sirius, che si era aspettato qualche inquietudine di natura decisamente più futile, si stupì nel confutare a quale grado fosse arrivata la maturità del suo migliore amico.

Sorrise, si dichiarò d’accordo e poi aggiunse: «Cerchiamo di tenerci lontani dai guai, allora, così la smetteremo di far impazzire Moony».

James rise e poi piegò le labbra in una finta espressione innocente: «E dai, Padfoot, dovresti saperlo che sono i guai a trovare me».

Sirius si lasciò andare alla sua risata simile a un latrato, felice che l’amico si fosse confidato con lui e soddisfatto nel ritrovarsi ancora una volta sulla sua stessa lunghezza d’onda. Ora, sentiva il cuore infinitamente più leggero e già pregustava il momento in cui avrebbero detto a Remus che non l’avrebbero più fatto andare fuori di testa e che si sarebbero dati una calmata.

Lui non ci avrebbe mai creduto, lo sapevano entrambi, ma la loro intesa non li avrebbe fatti cadere in tentazione: dovevano prepararsi a qualcosa di più grande ed era utile conoscere il più possibile per poterlo affrontare.

Sirius sarebbe stato al fianco di James in questo come lo era stato negli scherzi e in tutte le altre vicende che li avevano uniti.

Avrebbe combattuto con lui, qualsiasi cosa fosse quella che gravava minacciosa su di loro.

Leale fino alla fine.

«Speriamo che domani Remus sia della luna giusta così potremo sorprenderlo per bene con questa notizia dei Marauders che si prendono una vacanza».

«Sirius, domani torno a casa,» gli ricordò Prongs, senza nascondere un certo rammarico «ma perché non vuoi venire a passare il Natale da me? Anche tu mi stai nascondendo qualcosa».

Padfoot ghignò.

«Ma che ragazzo attento e intelligente che sei diventato: siamo sicuri che tutto questo discorso di ideali, battaglie e conoscenze non sia un altro modo per arrivare alla Evans?» ipotizzò, malizioso.

«No,» rispose l’altro, risoluto «ci credo davvero in quello che ti ho detto e l’unica cosa che posso fare riguardo a lei è sperare che dimostrarle che non sono un idiota la convinca ad uscire con me» sorrise, ma solo per un attimo perché poi guardò serio l’amico, dietro le lenti tonde degli occhiali «Tu invece stai eludendo la mia osservazione».

Sirius ricambiò il suo sguardo in silenzio, nessuna ombra di divertimento sul suo volto.

Avrebbe voluto parlare a James di quello che aveva in mente, ma lo avrebbe fatto a tempo debito.

Quello, non era il momento giusto e Sirius voleva rimuginarci su ancora un po’ prima di farne parola con anima viva –o morta, perché ad Hogwarts non si poteva mai sapere- che fosse.

Si alzò dalla poltrona.

«Non ti preoccupare, Prongs, lo saprai» si avviò verso le scale del dormitorio maschile, le mani intrecciate sulla nuca «Buonanotte e buone vacanze,» si girò per fargli l’occhiolino «sii bravo con la mammina e il paparino Potter e salutali da parte mia».

James fece una smorfia fintamente infastidita e non riuscì a non sorridere: gli tirò dietro la prima cosa che gli capitò in mano, la quale fortunatamente era un cuscino.

A Sirius piaceva combattere.

A Sirius piaceva ottenere quello che voleva.

A Sirius piaceva vincere, anche mettendosi completamente in gioco e rischiando la pelle.

Ma soprattutto, a Sirius piaceva prendere in giro James e godere della sua compagnia.

  
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