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Autore: Lily White Matricide    26/08/2011    22 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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10.

Little Earthquakes

 

How did it happen that their lips came together?  How does it happen that birds sing, that snow melts, that the rose unfolds, that the dawn whitens behind the stark shapes of trees on the quivering summit of the hill?  A kiss, and all was said.”  Victor Hugo

Solo in quell’angolo dimenticato da qualsiasi entità superiore la neve poteva apparire grigia. Si arrivava a sperare nella pioggia, affinché cancellasse quell’ammasso gelido e lurido.

 

Solo in quella schiera di case anonime, tristi, trascurate, il trascorrere del tempo diventava una lenta agonia, un cupo disgregarsi di molecole, di atomi, di particelle infinitesimali. La polvere sembrava composta da un qualsiasi essere vivente in preda al lento erodersi.

 

Solo in quel posto il Natale poteva diventare la festività più squallida e ripugnante al mondo. E Severus lo sapeva bene: neanche quell’anno vi sarebbero state eccezioni.

 

Tuttavia, qualcosa lo teneva aggrappato questa volta: sarebbe andato da Lily, per pranzo e per cena, facendo immensamente felice pure la signora Evans. Avrebbe giusto passato la mattinata con i suoi genitori, con il tremendo presentimento che il solito litigio - con piatti, bicchieri infranti - avrebbe avuto il luogo. Era bizzarro come si fosse abituato ad un avvenimento così terribile. Non era neanche più il caso di chiamarlo avvenimento, probabilmente. Era divenuta routine. Gli scorreva via di dosso, come la pioggia scivola giù dalle tegole di un tetto.

 

Però, dentro di sé, nel profondo, nel suo cuore pulsante, innamorato, aveva voglia di passare un Natale normale. Una volta in quattordici anni, quasi quindici anni, poteva essere una richiesta tutto sommato comprensibile. Doveva lasciarsi alle spalle Spinner’s End e trovare la sua felicità in quel mondo segreto che avevano costruito lui e Lily, a partire da quell’estate in Irlanda. Vi avevano messo amore, complicità, affetto, attenzione in quel luogo ignoto agli altri, soprattutto ai suoi genitori che non capivano, lottando irrazionalmente, aggrappati ai loro puerili capricci. Desiderava cantare, gioire, sentirsi rimpinzato di pietanze natalizie - per quanto il cibo non fosse una passione smodata del ragazzo. 

 

Voleva un posto che potesse chiamare casa, senza contorcere il viso in un’espressione disgustata, senza dover sentire la nausea attanagliargli la bocca dello stomaco ogni Natale.

Osare. Voleva osare per la prima volta in vita sua, alla luce del sole invernale: voleva comportarsi in un modo in cui i suoi genitori non si sarebbero mai comportati. Osare ed amare. Osare ed essere felice.

 

Nessuna decorazione era stata preparata in quella casupola. Il razionale, caustico, cinico Tobias Piton, di professione chimico presso una delle industrie tessili di Cokeworth, non intendeva festeggiare alcunché. Era solito dire di non voler festeggiare matrimoni - probabilmente a causa del suo disastroso - nascite, natali, pasque e funerali - sebbene non ci fosse nulla da celebrare nella perdita di qualcuno caro, evidentemente per l’uomo era una liberazione. Era un babbano ed il fatto di avere una moglie strega ed un figlio mago, l’aveva profondamente inacidito negli anni: aveva desiderato fortissimamente che Severus non fosse uno stralunato come sua madre. Voleva farlo diventare chimico, insegnargli ogni segreto possibile di quella scienza: iniziarlo al mistero delle reazioni chimiche, dei legami forti e deboli tra ciascun atomo. Voleva dimostrargli che niente era magico, nulla era inspiegabile. C’era la Scienza a spiegare tutto. Ed era stato deluso, le leggi della genetica lo avevano tradito ed ingannato: Severus Piton era un mago. Ed era un mago molto potente.

 

In qualche maniera, Sev aveva ereditato lo spirito scientifico del padre nell’affrontare la preparazione e la creazione di pozioni. Era molto curioso, voleva conoscere le proprietà di ogni pianta od erba curatrice, gli effetti benefici, quelli malefici, dove poterle trovare, come poterle coltivare in caso di necessità. Le operazioni richiedevano altrettanto studio, la stessa fatica. Inutile spiegarlo al padre, l’avrebbe visto come un affronto, un insulto. Non c’era un dialogo: Tobias aveva eretto il suo muro, carico di sdegno e rancore, Severus il suo, fatto di pietra scura, ben levigata, carica di indifferenza. E chi pagava in tutto questo, in maniera quasi peggiore e straziante, era la madre, Eileen.

 

Con amarezza, una volta Severus scoprì che il nome di sua madre significava “raggio di sole”. Paradossalmente, la donna era triste, apatica, avvolta in una nube di dolore, di sofferenza. Era come se gli anni l’avessero chiusa in un ovatta dalle tinte buie. Non urlava più con Tobias, non spaccava più niente, non si alzava imperiosa scatenando la sua furia per casa. Aveva perso la forza di lottare contro di lui, contro la sua arrogante prepotenza, il suo umorismo acido e corrosivo, la cattiveria che aveva indurito il suo cuore negli anni. Eileen stava perdendo la voglia di vivere ed aveva già perso qualsiasi interesse nei confronti di Severus. Era già tanto che gli facessero trovare il cibo nel piatto, quando il ragazzo si trovava a casa. Forse era per quello che non mangiava molto e non amava molto il ritrovo a tavola con gli altri, in generale; non glielo avevano mai fatto amare.

 

Anche quel 25 Dicembre, si alzò, cercò di darsi una sistemata, con uno spirito decisamente diverso: oggi sarebbe stato con Lily. Il primo vero e proprio Natale con lei, il suo folletto dai capelli rossi. Fuori da quelle mura squallide, sarebbe stato al settimo cielo, avrebbe corso a perdifiato da lei, avrebbe visto le strade decorate in maniera finalmente festosa e lieta. Avrebbe portato il suo regalo prezioso a Lily, pregando qualsiasi cosa non visibile affinché le sarebbe piaciuto. Lo teneva nella tasca dei pantaloni; estraeva il piccolo cofanetto frequentemente, come per assicurarsi che ci fosse ancora.

 

Scese le scale cautamente, tentando di far meno rumore possibile, di passare inosservato di fronte a suo padre, seduto nell’angusta cucina a sorseggiare il suo caffè annacquato ed a fumare le sue pessime sigarette, che gli ingiallivano le dita. Il fumo saliva verso il soffitto, disegnando disegni astratti, volteggiando e roteando su se stesso. Sua madre sembrava assopita sul divano, in quello stato di dormiveglia disturbante, pareva sofferente. Non fece gli auguri a nessuno. Non ne volevano sapere, d’altronde. Cercò la sua sciarpa ed il suo cappotto tutto nero ed un po’ liso. 

 

“Severus” disse la voce di suo padre, rimbombando dalla cucina. 

Il ragazzo si fermò e fece qualche passo indietro. Che cosa voleva, ora?

“Sì?” fece Severus, calando sul viso la propria maschera d’indifferenza.

“Dove vai?” gli chiese freddo, squadrandolo con gli occhi scuri, identici a quelli del figlio.

Il giovane rispose con una scrollata di spalle. 

“Lo sai dove vado, quando sono qua” aggiungendo ringhiando, tra sé e sé: “Non mi fermerai, non oggi”.

Tobias si alzò in piedi, girò per il tavolo, allo stesso modo in cui una pantera in gabbia si aggira, nervosamente, estraendo gli artigli di tanto in tanto. Severus non disse nulla, perché qualsiasi parola aggiuntiva sarebbe stata un arma a favore del padre. Il fumo che aleggiava per la saletta lo disgustava, era insopportabile. Gli parvero momenti interminabili, stava perdendo la pazienza, voleva uscire di lì il prima possibile.

“Ho deciso che tu e tua madre ve ne andrete di qui al più presto. Non vi voglio più vedere”. 

Quelle parole furono assordanti, un’esplosione improvvisa. Una valanga di neve si era appena staccata dal fianco della montagna ed ora correva giù per la montagna, travolgendo qualsiasi cosa trovasse davanti, cercando di sotterrare Severus, che si voltò verso l’uomo, con gli occhi sgranati. Non aveva parole, non ne aveva mai avute per suo padre, ma ora era sdegnato. gli mancò il respiro.

“C-che cosa hai d-detto?” fece, tentando di riguadagnare disperatamente il controllo. Non doveva dargliela vinta, doveva essere freddo. Tremava di rabbia, di sorpresa.

“Che non vi voglio vedere più, perciò ho deciso che ve ne andrete da questa casa, il prima possibile”.

Lo disse calmo, con sguardo inespressivo, come se avesse detto una cosa qualunque, una constatazione sul meteo.

Severus irruppe nella cucina, in preda a quel fuoco oscuro che lo ghermiva ogni qualvolta sentiva suo padre aprire bocca. Angosciato, i suoi pensieri vagarono, brancolando nella confusione. Dove sarebbero andati lui e sua madre? Sua mamma non aveva un lavoro fisso, viveva di qualche lavoro occasionale, rigorosamente non magico, secondo il volere del marito. Dove potevano rifugiarsi? Come si sarebbero mantenuti?

Aveva il sangue agli occhi ed in meno che non si dica, aveva estratto la bacchetta magica. Non li avrebbe umiliati così. Lo avrebbe fatto soffrire, anche a costo di rimetterci un’espulsione da Hogwarts.

“Tu non lo farai, lurido bastardo!” ringhiò, con un tono di voce sconosciuto anche a se stesso.

Tobias si voltò, con gli occhi gelidi ed arricciò le labbra in un sorriso sarcastico.

“Io posso tutto, ricordatelo, Severus. Io decido ed io dispongo. Ed io non voglio avere più a che fare con dei malati di mente”.

Gettava benzina sul fuoco, buttava combustibile nell’animo impazzito del mago Severus, che era prossimo ad una devastante ed irrimediabile deflagrazione. Era prossimo al punto di non ritorno, era sull’orlo di compiere azioni di cui si sarebbe pentito amaramente. Si sentiva umiliato, offeso, schiaffeggiato in pieno volto da un padre che non aveva mai sopportato e che avrebbe voluto cancellare, avrebbe voluto vederlo morto.

La ragione si era spenta, stava sorgendo il drago tra i vapori acidi e sulfurei. Un drago nero come la notte, che affondava, eliminava la purezza di quel ragazzo tranquillo. L’arte oscura lo affascinava, la conosceva, l’aveva sempre studiata con interesse, ma mai avrebbe immaginato che sarebbe arrivato al desiderio di usarla. Sapeva benissimo a cosa andava incontro, la sua voce interiore, quella del ragazzo buono e tranquillo, continuava ad implorarlo di fermarsi, ma stava soffocando, stava annegando nel magma viscoso e corrosivo che era pronto ad incenerire qualsiasi cosa, persino il cuore di Severus. Era irriconoscibile.

Il mago oscuro era pronto a lanciargli la Maledizione Cruciatus. 

 

Lo voleva torturare.

Torturare per tutti gli anni di litigi, di soprusi nei confronti di sua madre.

Torturare per la tristezza causatagli in quelle quattro mura marce. 

Torturarlo, torturarlo ancora, per vederlo soffrire e fargli sparire una volta per tutte quell’aria strafottente, quella presunta “superiorità babbana” che palesava ad ogni piè sospinto.

Non avrebbe avuto pietà. 

 

Alzò la bacchetta e la puntò verso Tobias, che scoppiò in una risata secca e roca.

“Forza, maghetto, fallo ora finché puoi. Dopo non vedrò mai più la tua faccia odiosa, né quella di quella là, né mai più vedrò uno della vostra razza ...”

Un rimbombo sordo riecheggiò nel petto di Severus. Il drago ruggiva, dispiegando le ali nere e sinuose e squamate, pronto ad attaccare con i suoi artigli eburnei.

“TACI, MOSTRO! CRUC ...”

“EXPELLIARMUS!” urlò Eileen, puntando scattante e veloce la bacchetta verso Severus. Era stata svegliata dalla lite tra i due e comprese in qualche modo le intenzioni di suo figlio. L’amore di una madre, negligente od affettuosa che fosse, non avrebbe mai permesso al proprio figlio di macchiarsi di inutili delitti o reati, per colpe che non erano sue. Severus doveva crescere, lontano da lì, alla larga dalle beghe tra moglie e marito. Quell’incantesimo sarebbe stato il suo avvertimento, ma anche il suo modo silenzioso di proteggerlo dal fare atti incoscienti, più grandi dei suoi quattordici anni.

La bacchetta di Severus, lunga, esile e scura, cadde a terra, nel silenzio più totale. Rotolò e fermò la sua corsa, come tutti i ramoscelli di legno qualunque.

Severus si voltò a guardare sua madre, con uno sguardo indecifrabile. La mano destra, disarmata, tremava vistosamente. Il drago si era dissolto nell’aria, ora tornata mite e quieta, trafitto da un dardo di luce e di amore materno, un amore incondizionato e puro. Severus sembrava un bambino, un pulcino spaventato, un infante che, preso dalla foga, si era messo a giocare tra le onde più forti di lui, per poi finire cappottato e fradicio sul bagnasciuga.

Era sul punto di piangere, come se si fosse reso conto dell’onda distruttrice che avrebbe creato, se avesse proseguito. Voleva sotterrarsi, voleva sparire. Ma l’odio non era sopito, non era stato spento, ardeva nella cenere. Sentiva delle lacrime pure come il diamante pungergli gli occhi, lavandogli via il sangue bollente e rabbioso.

Tobias era rimasto terrorizzato nel suo angolo: data la sua avversione per la magia, aveva visto incantesimi molto di rado. 

Il suo viso si colorò, divenne paonazzo in un attimo. Cercò di ergersi in tutta la sua altezza, di ricomporsi.
“Sparisci. ORA.” sibilò al figlio con voce strozzata.

Severus continuava a fissare la madre, desiderando che si avvicinasse a lui, che lo proteggesse, che facesse fronte comune contro quell’uomo meschino. La donna lo guardava, pallida, debole, impotente. Era come se in quell’atto disperato di protezione avesse consumato tutte le poche energie che possedeva. Lo fissava come si fissava il soffitto, un muro, il nulla.

Il ragazzo disperato ed abbandonato, si chinò e raccolse la bacchetta, per poi fuggire da quella sala, senza guardare nessuno dei due, afferrando convulsamente il cappotto, senza neppure metterselo, ed uscì sbattendo la porta. 

Aveva un bisogno disperato di vedere la luce degli occhi di Lily. Di sentirsi amato, di sentirsi completo.

 

Lo aspettava, guardando la strada con impazienza dalla finestra del salotto. Petunia non perdeva occasione per punzecchiarla con acidità, ma Lily la ignorava, bruciando nell’attesa che Sev comparisse, sbucando come di consueto da una via minore. Sua mamma ultimava i preparativi del pranzo, destreggiandosi tra il forno e le pentole in cucina, dalla quale proveniva un profumo invitante. La giovane aveva faticato a dormire dalla felicità, ed anche lei, come il suo ragazzo, aveva continuato a rimirare i regali che aveva in serbo. Ad un certo punto, nel cuore della notte, si era resa conto che non gli aveva preparato nessun biglietto da mettere sui pacchetti, quindi, facendosi luce con la bacchetta, prese la pergamena e la piuma nuova fiammante e si era messa a scrivere. Non soddisfatta, aveva gettato via qualche piccola pergamena, sentendosi estremamente impacciata a scrivere biglietti di auguri. Si poteva essere estremamente abili a scrivere, ma quando si trattava di preparare un biglietto per una ricorrenza, Lily era fortemente convinta che anche il miglior poeta sarebbe andato in crisi, stracciando pergamene e strappandosi i capelli dalla disperazione.

 

Stava arrivando. Camminava piano, con la testa lievemente chinata verso terra. Lily si accorse che non aveva il cappotto addosso, reggendolo distrattamente tra le mani. Era impazzito ad andare in giro così, in quel freddo polare, con la neve che sarebbe caduta a breve? La ragazza urlò alla mamma che Severus era in arrivo ed istintivamente si buttò fuori, precipitandosi ad accoglierlo. Senza cappotto, chiaramente, ignorando le urla concitate della sorella e della madre. Lily indossava un abitino a mezze maniche di lana morbida, lungo fino alle ginocchia, di un color vino scuro; le gambe erano coperte da scuri e spessi collant neri e delle scarpine graziose dello stesso colore. Non si curò del freddo e del ghiaccio, che avrebbe potuta farla cadere rovinosamente per terra, e gli corse incontro. Il suo respiro saliva in cielo, in candidi filamenti leggeri. 

Appena si avvicinò a Sev, lo vide sconvolto in faccia, come se avesse corso a perdifiato. Era un po’ rosso in volto, il viso era contorto in un’espressione addolorata. Essa svanì all’istante, appena il ragazzo vide Lily. Non voleva rovinarle in nessun modo la giornata e desiderava buttarsi alle spalle tutto. La luce lo aspettava, anche se qualche traccia di buio rimase nei suoi occhi. La sua ragazza vedeva tutto, non si perdeva alcun dettaglio di Sev e si convinse che quelle scintille nere andassero spente. 

Sorrise timidamente alla meravigliosa giovane, che raggiante lo abbracciò, dandogli un bacio inaspettato, sulla punta ghiacciata del suo naso un po’ adunco. Il contatto con le sue labbra morbide e calde gli diede conforto e lo sciolse. Si sentiva meglio.

“Sei matto a camminare senza cappotto! Vieni con me, ti stavamo aspettando!” disse Lily e lo prese per un braccio, camminando con cautela verso la casa della famiglia Evans.

Le decorazioni, le luci variegate, l’albero di Natale nel piccolo ma accogliente salotto, furono in grado di rasserenare l’animo di Severus. Era entrato in un altro mondo, fatto di tranquillità, di battibecchi sereni, e persino Petunia quel giorno pareva vagamente sopportabile. La signora Evans lo abbracciò e gli diede due baci, solleticandogli il volto con quel rossetto e con i capelli rosso scuro, dicendogli come prima cosa che gli aveva preparato tanto buon cibo, dato che stava crescendo a vista d’occhio. Le lacrime erano pronte a fare capolino, per la commozione. Era così che ci sentiva ad essere amati? Era quello che non avrebbe mai ottenuto a casa Piton.

Lily aveva intuito che qualcosa a casa dell’amato fosse andato storto, non era una novità, ma non voleva indagare inutilmente. D’altronde, era Sev che doveva parlarne, lo conosceva troppo bene: gli dava fastidio quando si tentava di estrargli le parole di bocca. In ogni caso, lei era lì per farlo felice e fargli passare una festività memorabile. Il resto, sarebbe rimasto fuori dalla porta, a congelare. I ricordi brutti dovevano morire di freddo, in una lenta agonia.

 

Il pranzo fu estremamente piacevole, a parte quando Lily rischiò di volare dalla sedia, mentre apriva  il suo Christmas Cracker con Severus, che non si accorse di aver tirato troppo forte. Le piccole Cioccorane e le Gelatine Tutti i Gusti +1 ivi contenute si sparsero per il tavolo, scatenando l’ilarità generale. Quelle piccole bon-bon di carta erano state fatte da Lily, ed i dolci al suo interno erano stati acquistati da Mielandia. I genitori iniziavano ad apprezzare molto i dolci magici che la figlia portava da Hogsmeade, specie per le gelatine dai gusti imprevedibili ed agghiaccianti, così come avevano cominciato a mostrare un caldo interesse nei confronti degli studi magici della figlia e chiaramente non poterono non parlare di magia durante il pranzo, con buona pace di Petunia, che cercava di essere a tutti i costi al centro dell’attenzione, con la scuola, con le sue amiche del cuore e con i loro pettegolezzi e le prime “simpatie” per i ragazzi di Cokeworth. Quell’ultimo argomento lo affrontò scoccando occhiatacce alla sorella più piccola.

Lily e Sev si guardarono bene dal baciarsi o dal prendersi per mano o dal compiere qualsiasi gesto eccessivo sotto gli occhi dei genitori, ma qualche occhiata affettuosa se la scambiarono. La Grifondoro, mentre aspettava di assaporare lo squisito Christmas Pudding o la Scottish Christmas Cake di sua mamma, allungò un piede verso quello di Severus e lo toccò con gentilezza. Il Serpeverde la guardò, con un sorriso appena accennato e rispose a quel gesto affettuoso e un po’ clandestino. Lily gli mandò un bacio, muovendo in maniera impercettibile le labbra. Severus amava la forma della bocca della ragazza, con quel labbro superiore più fine rispetto a quello inferiore, più carnoso e sensuale. Con la mano, mimò il gesto di prendere quel piccolo regalo di Lily, il cui volto s’illuminò immediatamente di un sorriso radioso. 

Tuttavia, sembrava ancora amareggiato, con qualche velo di dolore negli occhi, ma la ragazza era convinta che tutto gli sarebbe passato non appena si sarebbero scambiati i regali. Finì rapidamente i suoi dolcetti, scalpitando per salire al piano di sopra con lui. Aiutarono la mamma di Lily e Petunia a sistemare la tavola e le stoviglie, riponendo gli avanzi di cibo nel piccolo frigorifero. Petunia sarebbe uscita per andare a trovare la sua amica del cuore, che abitava qualche casa più avanti, mentre i genitori avrebbero aspettato la visita di qualche parente od amico di famiglia. Era arrivato il momento tanto atteso dai due giovani. Lily si sentiva emozionata, Severus provava un leggero brivido nelle mani.

“Sev, andiamo su! Ho i regali per te!”. Non fece in tempo a finire la frase, che le sue gambe l’avevano già portata su per le scale; il ragazzo si affrettò a seguirla, tastandosi la tasca per l’ennesima volta in pochi minuti: l’anello c’era ancora.

Lily aprì la porta della sua graziosa quanto semplice cameretta. Era ordinata e ben tenuta, la proprietaria ci teneva particolarmente ad avere tutto in ordine. La libreria era colma di libri di magia e non, e sulla grande scrivania si poteva trovare il giradischi con la propria pila di vinili ben disposta e spolverata. Sui muri, erano appesi dei piccoli poster in bianco e nero dei The Beatles. Sev si guardò attorno, incuriosito come sempre, quella stanza sembrava riflettere la studentessa diligente e seria di Hogwarts ed allo stesso tempo, la ragazza frizzante e piena di vita e di curiosità per qualsiasi cosa. Si sentiva il benvenuto. Era così diversa dalla sua camera angusta e cupa.

Lily chiuse la porta, con discrezione.

“Sev, guardami negli occhi, per favore” gli chiese con gentilezza, non c’era cattiveria nella sua voce: voleva solo assicurarsi che andasse tutto bene.

Il ragazzo si voltò con estrema lentezza, non sapendo bene cosa fare, trovandosi colto di sorpresa. Non aveva senso indossare maschere di fronte a Lily e non era in grado di farlo. Con lei non aveva senso nascondersi. Non voleva più nascondersi: lei era il suo rifugio naturale; poteva aggrapparsi a lei, poteva essere sorretto dalle sue braccia esili, poteva nascondere il suo viso tra le ciocche di capelli rossi, come se fossero fronde d’alberi. 

Rimaneva ipnotizzato da quegli occhi verdi che tanto amava, ogni volta, come il primo giorno.

Lei lo guardò, entrando nel suo cuore, scrutando le iridi scure, pronta a spegnere qualsiasi fiammata  repentina. Lui sostenne il suo sguardo, lasciando che entrasse nella sua mente e nei suoi ricordi, senza ostacoli. Però non le avrebbe voluto rivelare in dettaglio quanto successo, non voleva farla spaventare, l’ultima cosa che voleva era di farla fuggire. Di perderla, per quell’inclinazione alle Arti Oscure. Avrebbe gestito lui e lui soltanto il drago interiore, non gli avrebbe mai permesso di bruciarle anche un solo capello. Si sarebbe fatto bruciare vivo, piuttosto.

 

Lily sospirò, con gli occhi lucidi. Dapprima, aveva potuto solo supporre qualcosa; ora, ne aveva la conferma.

“I tuoi genitori hanno litigato di nuovo, vero?” chiese in un soffio.

Severus si sedette sul bordo del letto ed annuì, senza guardarla. Una fitta di dolore gli prese il cuore. Sanguinava ancora per quanto accaduto qualche ora prima. Con lucidità aveva capito che avrebbe compiuto un errore imperdonabile, se non fosse stato per il disperato intervento di sua madre. Ma dopo quel gesto, si era sentito comunque incredibilmente solo, nel suo cuore aveva sentito come uno strappo, un taglio netto, nello stesso modo in cui un fiore viene reciso in maniera irreversibile dal proprio gambo. Era stato, forse, l’ultimo gesto d’amore di una madre stanca di vivere, di lottare contro il marito e di prendersi cura di un figlio, lasciato già da tempo al suo destino.

Lily non sopportava di vederlo così. Si sedette accanto a lui e gli posò una mano sul ginocchio.

“Tuo padre ti ha detto ... Le solite cose?” sussurrò.

Severus esitò, s’ingarbugliò. Le lacrime gli pungevano gli occhi, come spilli arroventati. Ancora, sentiva il desiderio irrefrenabile di piangere, ma come poteva, davanti a Lily, in quella giornata felice? Si sentiva fuori posto in quell’istante. Con chi altro poteva aprirsi così? Con chi altro avrebbe potuto piangere a dirotto? Non aveva mai pianto così di fronte a lei. Non era solito a lasciarsi andare alle lacrime, non più. Anni prima, prima di conoscere Lily, aveva versato abbastanza lacrime per quella situazione, poi, aveva bruscamente chiuso il rubinetto.

 

Voleva essere forte.

Voleva essere fiero.

Voleva rinchiudersi nel suo orgoglio, nella sua torre di granito.

 

Non ci riusciva. Era più forte di lui.

Tutta quella volontà si piegò di fronte alle lacrime inarrestabili. Fu questione di un attimo, non ebbe neanche il tempo di filtrare tutto quel dolore, di fermare la diga inarrestabile, di contenere lo strazio di sentirsi abbandonato una volta per tutte.

Singhiozzò vistosamente, ogni singulto portava via le braci di quel fuoco devastante ed incontrollabile che lo aveva preso. 

Lily era esterrefatta, senza parole. Non aveva mai visto il suo ragazzo crollare così. Non era normale. Si sentiva agitata, travolta da un’accozzaglia di sensazioni violente. Voleva fare qualcosa per lui, ma doveva lasciare che piangesse così. Doveva raccogliere le sue lacrime, come il fiore che raccoglie la rugiada del mattino. Gli circondò le spalle e lentamente, lo fece sdraiare e gli fece appoggiare la testa sul cuscino. Rimase accanto a lui, distesa, tenendogli le mani, non abbandonando per un solo istante. Ascoltò ogni singhiozzo, ogni gemito che tentava di divenire parola, ma si fermava lì, abbozzato, inintelligibile.

Per ogni lacrima di Sev, il cuore di Lily si contorceva addolorato. 

“H-ha detto ... C-che ... C-che non ci vuole più a c-casa” riuscì a dire faticosamente.

La ragazza aprì la bocca, ma impallidì di fronte a quella frase, e non fu in grado di dire nulla di sensato.

“I-io mi sono ar-arrabbiato. N-non c-ci può definire degli e-esseri i-inferiori ... E ...” gli morì la voce in gola, incapace di descrivere altro. La sua energia comunicativa si era esaurita, solo in un ultima frase strozzata riuscì a condensare tutto quanto.

“A-avevo la bacchetta in m-mano, e-ero fuori di m-me ... Mia ma-madre mi ha d-disarmato”. Con quel pianto gli pareva di liberarsi di tutte quelle frecce che l’avevano trafitto. Se le stava togliendo a mano, ad una ad una.

Lily era affranta. Aveva sentito abbastanza. Non voleva giudicarlo, in nessuna maniera, perché sapeva che aveva avuto tutt’altro che un’infanzia felice, aveva a malapena una famiglia. Sev aveva reagito così perché l’ultimo affronto lo aveva ferito nell’orgoglio, si sentiva certa di questo nella maniera più assoluta. Qualsiasi cosa fosse successa, non gli avrebbe mai fatto mancare il suo sostegno ed il suo amore incondizionato. Era l’unica cosa che potesse fare.

Anche lei stava piangendo, sommessamente, per empatia. Ma come poteva quell’uomo gretto e meschino arrivare a voler cacciare lui e sua madre di casa? Avrebbe voluto schiantarlo lei stessa. Quell’uomo aveva il cuore di pietra, se mai avesse avuto un cuore in quella cavità.

Sev continuava a piangere, come se volesse esaurire tutti i suoi liquidi; o forse, voleva ripulirsi del fango che si sentiva addosso. Sul cuscino di Lily si erano formate due enormi pozze umide.

Ed in quel momento, istintivamente, lei fece qualcosa che non aveva mai creduto possibile prima.

Accarezzò il viso di Sev, inumidendosi le dita di lacrime preziose.

“Sev, ci sono io. Va tutto bene” gli sussurrò con tenerezza. Lui per un attimo aprì gli occhi, lievemente arrossati e gonfi.

Lily allungò un braccio e lo usò come leva per alzarsi leggermente, solo per avere il suo viso a contatto con quello del ragazzo. I capelli rossi si confusero e s’intrecciarono con quelli neri.

Appoggiò quelle labbra asimmetriche, tanto amate, sulle palpebre chiuse del ragazzo. Le baciò entrambe, prima di passare ad ogni lacrima che aveva inondato le guance di Sev. Posò le sue labbra sotto gli occhi, sugli zigomi, sulla mascella, vicino alle orecchie del ragazzo. Ogni bacio era lieve, come se gli stessero tamponando con gentilezza il fazzoletto più morbido e delicato mai tessuto. Sev trattenne il respiro, non si voleva muovere, e si sentì rigenerato, bacio dopo bacio. Nessuna parola l’avrebbe consolato più di quel gesto stupefacente, coraggioso, di Lily. I morbidi petali del giglio erano la cura, la chiave, per sentirsi immediatamente meglio. Si rilassò grazie ai lenti movimenti di Lily, delicati ed attenti. La ragazza assaporava il gusto salmastro delle lacrime del ragazzo che amava, ma poco le importava: voleva solo farle sparire dal suo viso pallido Non poteva sopportare Sev in una simile condizione.

Quel gesto intenso venne suggellato da un delicato bacio sulle labbra.

Aprì gli occhi e si ritrovò davanti il viso di Lily ed il suo sorriso dolce. Si guardarono per qualche attimo e la ragazza gli accarezzò una guancia.

“Stai meglio, Sev?” gli chiese con gentilezza.

Lui annuì. Lily era la sua panacea. Si rimisero a sedere, sistemandosi un attimo i capelli e pulendosi il viso.

“S-scusa ... Ti ho bagnato il ...” esordì il ragazzo, sistemando goffo il cuscino di Lily. Aveva un dolce profumo di vaniglia. E se non fosse stata vaniglia, per lui sarebbe stato sempre quel sapore.

“Shh. Non fa niente. Sai quante volte ci ho pianto su io”.

Lily si alzò per aprire il baule ed estrarre i regali per Severus. Erano due pacchetti piuttosto voluminosi. Finalmente, l’atmosfera natalizia riprese il sopravvento, in maniera decisa e repentina. Con Lily il tempo, le atmosfere, cambiavano esattamente come quella benefica pioggia irlandese, mutevole, ma purificante. Era un’emozione indescrivibile.

Era il momento tanto atteso. E Sev pregava che il regalo fosse di suo gradimento.

“Prima i miei regali!” disse ridendo la ragazza, mettendoglieli davanti.

Sev prese i pacchetti ed aprì il primo, stando attento a non sgualcire la carta. Voleva goderseli centimetro per centimetro.

Il primo pacco conteneva dei libri rarissimi, provenienti da un paese lontanissimo ... Non capiva i caratteri, erano a lui sconosciuti. Era un testo di portentose pozioni velenose e pozioni curative in russo, gli spiegò Lily, e non venivano insegnate ad Hogwarts. Ma non doveva preoccuparsi, era scritto sia in russo, sia in inglese. Sev lo guardò come i babbani credenti osservano le reliquie dei santi. Era senza parole.

“Così diventerai il pozionista più abile di tutti. Ora apri il secondo, è importante anche quello!”. Sev non se lo fece ripetere due volte, e si trovò in mano dei sacchetti piccolissimi in velluto, di vari colori, con ricamate delle parole sempre in quell’alfabeto sconosciuto e nella propria lingua. Questi piccoli sacchetti erano accompagnati da un libro illustrato.
“Questi sono dei semi che non si trovano qua nel nostro continente. Vengono dalla Russia, dalla Siberia, dalla Cina, da paesi lontanissimi, là, dove abitano dei maghi potentissimi! E per fare quelle pozioni descritte nel libro, dovrai far crescere le piante da qualche parte, magari ad Hogwarts la Professoressa Sprite sarà ben felice di aiutarti a coltivarle nella sua serra”.

Sev aveva gli occhi luccicanti. Aveva nuova cose, rare, ambiziose, portentose, da imparare. Si sentiva fortificato. Abbracciò Lily, quasi stritolandola, al colmo della felicità. Non era ancora totalmente soddisfatto, mancava un tassello importante. Era il suo turno.

Tirò fuori dalla tasca il cofanetto e lo mise davanti a Lily, che si lasciò sfuggire un gridolino di sorpresa.

Lei allungò una mano e se lo rigirò tra le dita. Gli occhi le brillavano estasiata.

Nel momento in cui aprì la scatolina, sobbalzò.

“SEV!!! MA SEI MATTO!?” urlò, saltandogli in braccio, tenendo l’anello tra le mani. Sev sentì un macigno sollevarsi dallo stomaco ed era come se gli avessero dato ben una bottiglia intera di Guinness da bere in quel momento.

“Ma ... Ma ... Ma, è meraviglioso!” lo guardò meravigliata e cercò di capire a quale dito metterselo e prima di tutto, sulla mano destra, o sulla mano sinistra? E poi, faceva differenza su quale mano l’avrebbe indossato?

Optò per la sinistra e se lo mise sul dito medio, quello più grosso, così era sicura che non le sarebbe scivolato via. Fortunatamente le stava, ma si sarebbe portata dietro una catenella per metterselo al collo, per evitare che si rovinasse durante Erbologia o Pozioni.

“Lo terrò sempre con me. Sarà come averti accanto in ogni momento!” e lo ringraziò infinitamente, stringendolo forte a sé. 

Se questa era la sensazione che si provava ad ogni Natale trascorso felicemente, Severus Piton giurò solennemente a se stesso che avrebbe voluto festeggiare quell’evento tre volte al mese.

“Era ... Era un gioiello di famiglia” esordì Sev prendendo le mani di Lily, ed accarezzando il dito con l’anello.

“Non so quale storia abbia alle spalle, quest’anello. Ma non potevo farlo finire in mani migliori ... Tu, per me, sei ....” si sentì mancare il respiro per un istante. Sapeva che quello che avrebbe detto non sarebbe stato qualcosa di leggero. Ma a partire da quella frase, proveniente dal cuore, non si sarebbe più voltato a pensare a quella casa di Spinner’s End, dalla quale era stato definitivamente tagliato fuori.

“Tu, Lily, sei la mia famiglia”.

L'attirò a sé, baciandola con tutta la foga adolescenziale che aveva, prima che Lily potesse obiettare qualcosa. Tuttavia, a giudicare da come lo ricambiò, non aveva nulla da ridire.

   
 
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