PREFAZIONE:
La mia decima storia su EFP *stappa champagne
allegra*, bisogna festeggiare!
Originariamente “Pretty, Gentle, Rocket Boy” era nata come shot, un’interminabile
shot se posso dirla tutta, ma col senno di poi ho deciso di spezzare il racconto
in due perché mi rendo perfettamente conto che i capitoli troppo lunghi possano
risultare indigenti ai più (a quanto pare solo io li apprezzo XD): adesso conta
sette paginette, spero riusciate a leggerle tutte :D
Dunque dunque, che dire: tanto per cominciare,
dopo aver postato “Paul's First Time” (massì, facciamoci un po’ di pubblicità gratuita: se
ve la siete persa, è una shot delirante dove papà - Paul è costretto a cambiare
pannolini e asciugare vomito per tutta la notte XD), ho avuto quella che viene
comunemente chiamata l’ispirazione divina. Ovvero: scrivere una raccolta di
storie (shot, long, flash, drabble…) su
varie coppie, tratte dall’anime, dal videogioco o dal manga, alle prese coi
rispettivi figli. Che volete che vi dica? Sarò scaduta, sarò banale, ma
scrivere di situazioni familiari è quanto di più bello abbia mai trovato da
scribacchiare, quindi sopportatemi. E vi dirò di più: se avete qualche paring o
idea da consigliarmi, chiedetemele pure, cercherò di esaudire i vostri desideri
XD Al momento la raccolta “Sons &
Parents” conta una Paul/Lucinda e una James/Jessie (quella che state per
leggere), ma sono previste molte altre storie. Fatemi sapere XD
Allora, per concludere, spero vi piaccia questo
piccolo omaggio al Team Rocket, che a mia detta sono i migliori personaggi
della serie assieme a Gary, ma questa è un’altra storia. Beh, dato che girano
così poche storie su di loro mi sono detta che volevo assolutamente scrivere anch’io
qualcosa. Meowth non comparirà perché purtroppo il trio nell’anime si è sciolto
e quindi, per seguire la trama e rendere il tutto il più verosimile possibile,
ho cercato di attenermi al filo della storia. In ogni caso “Pretty, Gentle,
Rocket boy” è ambientato un paio d’anni dopo le rocambolesche avventure dei
nostri beniamini, facciamo dieci per convenzione XD
Ah, un’ultimissima cosa: il figlio di Jessie e James
si chiama Jeremy e ho scelto questo nome perché mi piaceva l’idea di trovarne
uno che cominciasse con la lettera “J” proprio come quello dei suoi genitori.
Ora chiudo davvero, buona lettura XD
~Pretty, Gentle, Rocket
Boy~
CAPITOLO 1
Jeremy
Turner stava apportando le ultime correzioni all’ennesimo problema di geometria
solida quando udì il portone
di casa aprirsi e successivamente richiudersi con ferocia che non avrebbe
esitato a definire “brutale”. Poco dopo, come da copione, accade ciò che in fondo, in cuor suo, già si aspettava.
«
Jeremy William James Jason Turner vieni qui immediatamente! E’ un ordine. »
Sospirò sconsolato poggiando la matita sul foglio innanzi
a sé, dopo essersi premurato di aver asciugato il gommino, sulla capoccia,
inumidito dalla propria saliva: in tutti quegli anni aveva sempre pensato che
Jessie avesse un’ugola ben lontana dal potersi definire idillica, come tra
l’altro potevano confermare le sue povere orecchie dopo ore e ore di esibizioni
da parte di questa sotto la doccia. Sospettava fortemente che le sue corde
vocali fossero ricoperte da carta vetrata e che fosse proprio quello il motivo
per cui ogni volta che parlava, rideva o addirittura sussurrava, i vetri di
casa finivano inevitabilmente con il tremare, ma questa tutto sommato era
un’altra storia che c’entrava poco o niente con la natura dell’attuale incazzatura
cronica dei suoi.
Si
alzò, ficcandosi di malavoglia
le mani in tasca e uscendo dalla propria camera con l’entusiasmo tipico di chi
ha appena scoperto di essere condannato alla forca. Se possibile, il suo umore
peggiorò quando entrò in salotto, dove ad attenderlo accomodati sul
divano in pelle trovò i suoi
genitori; sua madre reggeva tra le mani un foglio che aveva tutta l’aria di
essere un documento importante.
«
Siediti. » Gli intimarono all’unisono seri come non li aveva mai visti.
A
capo chino e sentendosi colpevole di un terribile misfatto a lui sconosciuto,
si limitò ad eseguire quanto
ordinato, prendendo posto sulla poltrona lì
vicino.
Non
ci fu alcuna pausa di completo silenzio, tipica di chi si appresta a pensare ad
un discorso abbastanza intimidatorio o semplicemente per il gusto di incutere
terrore o ansia nella vittima. I due, infatti, presero una generosa boccata
d’aria e cominciarono immediatamente la loro arringa sbattendo sul tavolino il
suddetto foglio, che il bambino scoprì subito
dopo portare il timbro della sua scuola.
«
Esigo delle spiegazioni signorino e spero per te che siano illuminanti. » esordì suo padre James incrociando le braccia al petto e
fingendo un’autorità e una serietà che non gli erano proprie.
Jeremy
studiò preoccupato la causa di
quel putiferio e tese timidamente le mani verso il documento; quando lo
riconobbe e lo ebbe visionato da cima a fondo, finalmente capì e si sentì a metà
tra il rammaricato e il confuso.
«
Cosa dovrei spiegare? » ribatté ostentando un’indifferenza che non poteva
sentire più lontana.
Questa
volta, fu sua madre ad intervenire.
«
Tu SAI vero, cos’è quella carta che stringi tra le mani? »
Che
domanda sce- sciocca.
«
… la mia pagella? » chiese ingenuamente.
La
vena sulla tempia di Jessie cominciò a pulsare.
«
Precisamente. Ora vorrei che tu mi spiegassi un paio di cosette a tal
proposito… » E così
dicendo gli strappò il
foglio dalle mani, scorrendo col dito fino a quando non trovò ciò che le
interessava « Ecco, leggi qui ad alta voce e trova una scusa convincente per
quello che hai combinato. »
Jeremy
sbuffò contrariato, chiedendosi se
tutto questo fosse normale o segno di forte squilibrio da parte dei suoi,
mentre i due presi in causa attendevano che il loro unico figlio giustificasse
la più grande vergogna mai provata da quando ne avevano memoria. Più
mortificante che essere sconfitti per la quattrocentesima volta dai mocciosi ed
essere sbalzati via alla velocità della luce; più oltraggiosa che venire
declassati e costretti a vendere origami per sostenersi economicamente fino a
nuovo ordine; più devastante che sapere che, per quanto ci provassero, Pikachu
non sarebbe MAI caduto in mano loro, specie ora che quell’Ash Ketchum era
diventato Pokemon Master: il colloquio con gli insegnanti e la consegna delle
pagelle.
Jessie e James sbuffarono all’unisono
mentre attendevano, seduti su delle seggiole scomodissime, che la fila innanzi
a loro si dipanasse. Quale onta doversi comportare come genitori modello e limitarsi
a qualche battutina tagliente ogni qualvolta una coppia si avvicinava a loro
col chiaro intento di voler attaccar bottone!
« James non ce la faccio più. Stiamo
aspettando da quasi un’ora e ci sono ancora venti persone davanti a noi! » si
lamentò la donna
ostentando uno sbuffo accorato.
All’udire la voce squillante della
compagna, l’uomo si riscosse dal proprio torpore quasi rischiando di cadere a
gambe all’aria dalla sedia.
« Pazienza Jessie, pazienza. Vedrai
che manca poco. » si limitò a dire stropicciandosi
gli occhi provati coi palmi delle mani, frase copia-incollata che aveva
ripetuto non meno di sei volte negli ultimi quaranta minuti.
Aspettare era una perdita di tempo,
tempo prezioso che avrebbe potuto essere impiegato cento volte meglio al
servizio di Giovanni. Ora che avevano ricevuto una promozione, divenendo
entrambi generali, i loro impegni si erano quintuplicati come conigli,
costringendoli a rincasare ogni sera ad orari a dir poco inumani e radiare ogni
svago o attimo di riposo. Erano orgogliosi del loro lavoro, il suggello di
epiche imprese e anni di sfaticate finalmente riconosciute, tuttavia si
sentivano in parte in colpa nei confronti del figlio Jeremy, costretto a
crescere e imparare l’arte del vivere senza la loro supervisione. Se non altro,
il piccolo aveva dimostrato di essere dotato di grande intelligenza e sagacia,
doti indispensabili per sapersi destreggiare in quella giungla d’asfalto,
palazzi, strade, persone e rapporti chiamata anche “vita”. Ovviamente questo
non voleva dire che fosse stato abbandonato a se stesso senza alcun valore,
insegnamento o protezione: i week end erano sacri e come tali venivano
trascorsi come fossero la più affiatata delle famiglie al mondo. Era in momenti
come quelli che si sentivano davvero felici, in grado di esplodere da un
momento all’altro di gioia esattamente come quando, ai tempi d’oro,
rincorrevano i mocciosi di regione in regione architettando i più rocamboleschi
e svalvolati piani per mettere loro i bastoni tra le ruote. Consumare il proprio
tempo con Jeremy non era affatto uno spreco e li aiutava a capire che, oltre
alla loro prestigiosa carriera, c’era qualcos’altro per cui valesse la pena
alzarsi la mattina al canto del gallo e affrontare con determinazione gli
impegni della giornata. E non importava quante delusioni sarebbero gravate
sulle loro spalle perché le avrebbero sicuramente superate per tornare da
Jeremy e trascorrere, anche se corta, una piacevole serata assieme.
Improvvisamente le orecchie di Jessie
si tesero captando un sibilo impercettibile al di là della porta. Gli angoli
della bocca le si piegarono all’insù in un sorriso mefistofelico mentre, con
una mano, cercava disperatamente di strappare suo marito dal mondo dei sogni.
« James tieniti pronto all’azione. »
gli sussurrò alzandosi
in piedi e fingendo di stiracchiarsi gli arti intorpiditi dal troppo far
niente.
L’uomo sussultò svegliandosi di soprassalto.
« Che c’è adesso? » le domandò affiancandosi alla sua figura.
« C’è che mi sono stancata di fare la
brava mamma e di sopportare i pettegolezzi di quelle befane – Jessie indicò con un rapido cenno un gruppo di signore intente a
cicalare animatamente del più e del meno, lanciando occhiatacce velenose e
torve a chiunque si soffermasse a guardarle per più di tre secondi – quindi noi
adesso entriamo, non m’importa se non è il nostro turno. »
L’altro annuì con un sorriso complice.
« Team Rocket pronto a partire alla
velocità della luce? » le chiese passandosi tra i denti il gambo della rosa
prima annodato al taschino della propria giacca.
Lei ridacchiò compiaciuta pronta a ribattere come da filastrocca
prestabilito, quando un sussurro non troppo sussurro le giunse alle orecchie
strappandole quella punta di buon umore che aveva ritrovato.
« Ma non si vergogna quella Jessie?
Andare in giro alla sua età con una permanente del genere! Per non parlare di
quel colore poi! Non oso immaginare che razza d’esempio possa dare a suo
figlio… »
James non seppe mai quale Dio, o chi
per lui ne facesse le veci, ringraziare in quel momento, come d’altro canto non
riuscì mai a
capire come il piano di sua moglie fosse andato effettivamente in porto.
Accadde come in quei film da quattro soldi dove, con il tempismo di un orologio
svizzero, una catastrofe veniva sventata perché succedeva qualcosa o arrivava
qualcuno che ne rendeva impraticabile l’attuazione. E così ora: la generale Rocket, già sfoderati gli artigli
e la bocca costretta in un ringhio feroce, con impressa negli occhi la scritta
“stasera mi mangio quattro oche in padella”, dovette rinunciare ai suoi folli e
omicida progetti (e grazie al cielo) perché di punto in bianco la porta della
sala insegnanti si aprì e una
giovane coppia lasciò la stanza
con un sorriso sornione e appagato dipinto sui loro volti.
« Jessie… »
Al richiamo di James, quella balzò per aria cogliendo velocemente il messaggio
subliminare celato dietro il suo tono di voce: era arrivato il momento di
agire!
Lanciatisi un’ultima occhiata
d’intesa, i due oltrepassarono la fila veloci come il suono, senza badare
minimamente ai gridolini di protesta del club del pettegolezzo né tantomeno al
malcontento generale che si diffuse a macchia d’olio: ogni lagna, dibattito o
rimprovero che fu loro rivolto fu per Jessie e James il più grande degli encomi
mai ricevuti e quando si chiusero la porta alle spalle ghignando malignamente
ai genitori lì presenti,
si sentirono finalmente in pace con loro stessi.
Per quel giorno erano stati anche
TROPPO buoni, oltre che pazienti! Per la miseria, se lo fosse venuto a sapere
Giovanni sarebbero stati licenziati in tronco nel giro di pochi secondi, senza
contare la profonda vergogna di cui si sarebbero dovuti far carico.
« Prego signori, accomodatevi. »
disse loro una donna poco distante invitandoli a sedere davanti alla cattedra.
I due ricambiarono soddisfatti un
tipico sorriso di circostanza e, per una volta, eseguirono gli ordini impartiti
da una comunissima e scialba signora. In altre e più divertenti contingenze le
avrebbero fatto notare che il Team Rocket non prendeva ordini da nessuno, meno
che meno da una sciacquetta come lei (eccezion fatta per il capo, ovvio!),
peccato solo che ora, all’interno di quell’edificio e dato anche il motivo per
cui si trovavano lì, non
potevano permettersi di esercitare la loro carica e far scoppiare così il terrore.
Peccato.
« Voi siete i signori…? »
« Turner. » rispose James alzando la
voce quanto necessario per coprire i borbottii malevoli e indignati della folla
fuori. Ahh… mai musica più soave fu udita dalle sue povere e martoriate
orecchie! Anche Jessie doveva star pensando la stessa cosa, vista la smorfia
vittoriosa che esibiva senza vergogna né lode.
La pedagoga si sciolse in un risolino
tutt’altro che rassicurante mentre i suoi occhi si facevano così
luminosi da poter essere comparati ai fari di un automobile.
« Oh, e così voi siete i genitori di Jeremy Turner? » fece con
voce incrinata dall’emozione.
La coppia annuì attendendo risvolti mentre quella studiava con
occhi sereni un documento che doveva essere presumibilmente la pagella del loro
fringuello. La prima.
Jessie sorrise nel pensarlo: già,
quella era la primissima pagella di Jeremy, prima come il loro colloquio con
gli insegnanti. Non sapeva cosa aspettarsi da degli esseri così ambigui: in cuor suo anelava a ricevere solo parole
degne di lode sulle capacità intellettive del figlio, ma sapeva anche troppo
bene che aspettarsi qualcosa e sperarci con tutto te stesso era il primo passo
per rimanere doppiamente insoddisfatti e delusi in seguito, quando assistevi
allo sfracello dei tuoi sogni. Lei e James si erano imposti di non avere la
benché minima aspettativa nei confronti del figlio e che, qualunque fosse stata
la valutazione finale, l’avrebbero accolta a cuor sereno e ne sarebbero stati
soddisfatti. Il loro bimbo studiava tanto e a loro bastava sapere questo: se
fosse risultato insufficiente, l’avrebbero aiutato a colmare le lacune e
l’avrebbero fatto nella maniera più civile e gentile possibile.
« Dunque ci dica: com’è se la cava il
nostro Jeremy? » domandò James con
l’entusiasmo di un moccioso a Natale: fare il padre lo esaltava e lo riportava
indietro negli anni, quando ancora ragazzo e ricco di buoni propositi
trascorreva le proprie giornate ad immaginarsi una vita diversa da quella che
aveva, chiusa tra quelle soffocanti quattro mura fatte d’oro e di diamanti.
Ecco, fare il papà era il coronamento della vita avventurosa che aveva sempre
desiderato, un’esistenza che non avrebbe potuto immaginarsi diversa o senza
Jessie al suo fianco.
La sua compagna lo guardò e ridacchiò dolcemente,
evento più unico che raro.
« Non penso di esagerare quando dico
che vostro figlio è uno degli alunni più dotati e intelligenti che mi siano mai
capitati… » esordì raggiante
la donna aprendo sotto i loro nasi la pagella dello studente « Prego, osservate.
»
I due strabuzzarono gli occhi
increduli: accanto al nome di ciascuna disciplina troneggiava a lettere
cubitali e nere un dieci con tanto di lode. Nessun abbaglio o errore: erano
proprio dei dieci pieni e abbondanti, voti così meravigliosi che riempirono d’orgoglio i loro
petti costringendoli a pensare frasi del tipo “Eh bravo il mio bambino”,
“Domani gli regalo la nave pirata che mi chiede da mesi” oppure ancora “stasera
gli cucino il dessert al cioccolato che gli piace tanto”.
Ebbene sì: il famelico duo del Team Rocket, conosciuto e
temuto in ogni angolo del globo –anche se sotto mentite spoglie– era ridotto a
un brodo di giuggiole, un impasto spugnoso e privo di spina dorsale. E sapete
una cosa? Non glie ne poteva interessare di meno, tanta era la soddisfazione e
la gioia che permeava il loro cuore in quel momento.
« Un genio della matematica,
calligrafia elegante, temi originali e traboccanti di fantasia, ottimo intuito…
sì signori
Turner, non riesco a trovare niente nel curriculum di vostro figlio che possa
essere catalogato meno che da dieci. »
Più ascoltavano più si sentivano
leggeri e ebbri di compiacimento: l’avevano sempre saputo che il loro adorato
ragazzo aveva talento da vendere! Di questo passo, con un po’ di fortuna e una
buona parola sarebbe diventato presto un’ottima…
« Poi devo dire… » continuò l’insegnante aggiustandosi gli occhiali sul naso e
interrompendo il filo dei loro pensieri « …che non solo è un bambino
particolarmente dotato, ma è anche un vero e proprio alunno modello. Mai visto
ragazzino con un’indole più buona e tranquilla della sua. »
…
…
La prima stonatura.
Jessie alzò un sopracciglio visibilmente perplessa, dopo
essersi convinta che le sue orecchie dovevano PER FORZA averle giocato un
brutto scherzo.
« Come scusi? Credo di non aver
capito bene… » mugghiò lanciando
un’occhiata titubante a James, il quale ricambiò a sua volta turbato.
La signora studiò meticolosamente i due, con attenzione e precisione
quasi chirurgica: ok, forse era solo una sua stupidissima –non avrebbe saputo
in quale altro modo definirla – impressione, ma quella bizzarra coppia non
sembrava… felice di ciò che stava
dicendo loro. Doveva esserci sicuramente uno sbaglio: chiunque sentendosi
tessere lodi di tal fatta si sarebbe sciolto d’orgoglio come neve al sole e per
loro doveva essere così.
« Dicevo: vostro figlio è uno degli
studenti più dotati e… »
« Sì sì, questo
lo abbiamo capito, è la parte dell’“alunno modello” che ci è poco chiara. » la
interruppe James attendendo trepidamente delucidazioni.
La poveretta guardò ai due come si guarda alla cosa più strana e
ineccepibile che vi possa capitare sotto il naso.
« Beh sì, vostro figlio è educatissimo, avete fatto davvero
un ottimo lavoro come genitori, su questo c’è ben poco da discutere. » spiegò accennando un sorriso tutt’altro che sicuro e che
sembrava destinato ad affondare nelle sabbie mobili della perplessità a breve.
All’udire quelle parole, James
impallidì facendosi
bianco come un cencio mentre Jessie continuava a strabuzzare gli occhi
esterrefatta.
« Ci deve essere un errore… »
Sentenziò infine
forzando un sorriso scherzoso che però l’altra non si sentì di ricambiare.
« No no, vi posso assicurare che
Jeremy è un angelo. Quando arriva a scuola saluta tutti gli insegnanti e i
bidelli, aiuta sempre i compagni di classe in difficoltà, cerca di mettere
ordine nelle zizzanie dei suoi coetanei. E’ un bambino adorabile che si è fatto
amare da tutti, insegnanti e non. E’ impossibile non volergli bene. »
James era letteralmente sul punto di
svenire, Jessie di esplodere.
« Io non… riesco a capire. Ma lei ci
sta parlando proprio di Jeremy Turner? Ne è sicura? » chiese la rossa tentando
quell’ultima spiaggia « Magari si sta confondendo con qualche altro ragazzino…
»
« Penso sia proprio impossibile
confondere il piccolo Jeremy per un altro… » fu la risposta che ricevette in
cambio.
La maestra espirò a fondo raccogliendo tutto il pudore e il rispetto
che aveva in corpo e cestinandoli all’istante, pronta per chiedere cosa ci
fosse che li rendesse così…
scontenti, sì, nei
confronti di ciò che aveva
appena riportato. Ora era semplicemente impossibile credere di aver preso
fischi per fiaschi, non con una donna in preda a un violento tic all’occhio,
che si stava divertendo a graffiare il bracciolo della seggiola sulla quale era
seduta, e un uomo sul punto di svenire innanzi a lei!
« Scusate se mi permetto signori ma…
» raccolse le idee onde evitare malintesi ed incomprensioni « …ecco, come dire,
non sembrate particolarmente felici di quello che vi ho detto. Forse mi sono
espressa male, forse non avete capito, non saprei… »
I due rimasero in silenzio, assorti
in chissà quale amletico pensiero, continuando a crogiolarsi nella propria
sofferenza ancora per un po’, fino a quando la signora Rocket non riprese la
parola.
« Lei ci sta dicendo che nostro
figlio è una specie di… paladino della giustizia – storse le labbra nel
pronunciare tali parole come stesse masticando bile -, un ragazzo attento, che
non fa il più piccolo dispetto o sgambetto ai suoi compagni, educato, rispettoso
delle regole… »
« Esatto! » si intromise non
riuscendo a trattenere un sospiro di sollievo nel constatare che finalmente la
coppia sembrava aver capito, sollievo che si dissolse poco dopo quando udì la risposta che quella aveva già pronta sulla lingua.
« E DI COSA
DOVREMMO ESSERE FIERI PRECISAMENTE?!? » strillarono all’unisono con voce
garrula e furibonda « FORSE DI AVERE UN FIGLIO
SMIDOLLATO?? »
Ammutolì facendosi piccola piccola, costernata e spaventata
dalla reazione alquanto stravagante dei due, specie della signora, Jessie.
« I-io non direi smidollato: il
vostro Jeremy è così
sensibile, così buono… è
una be-bella cosa, o no? » domandò con voce
tremante sperando in un cenno d’assenso che ovviamente non arrivò.
Per tutta risposta, Jessie agguantò malamente la pagella del figlio e si alzò, facendo segno a suo marito di imitarla: sembrava
non intenzionata a trascorrere un solo minuto in più lì dentro, ad ascoltare bislaccherie del genere e
sopportare la presenza di quell’inetta.
- Questa sera giuro che mi sente… -
aveva borbottato avviandosi verso la porta con una cadenza di passi sgraziata e
pesante, seguita da un pallido James ancora a rischio di un possibile
mancamento.
E mentre l’insegnante rimaneva
seduta, inebetita, a fissare il vuoto che si era venuto a creare davanti a lei,
i coniugi Rocket marciavano a passo di guerra verso casa, furibondi e delusi
come mai prima d’ora.
E per fortuna che non si erano fatti
nessuna aspettativa…
«
Dieci e lode in comportamento?? Ma non ti vergogni??? » sbraitò sua madre saltando per aria come una molla
precedentemente tenuta compressa.
Jeremy
la guardò continuando a non capirci
niente.
«
Ma… non è forse una bella cosa? Insomma, è un dieci, no? »
«
NO CHE NON E’ UNA BELLA COSA!! » ribatté lei poggiandosi teatralmente una mano
sulla fronte; James, sedutole accanto, annuiva con la testa fornendole
spiritualmente supporto morale « Avere dieci in comportamento equivale a dire
che sei uno smidollato, un ragazzino senza spina dorsale! Scommetto che i tuoi
amici ti prendono in giro e si approfittano di te! »
«
Non è vero, non si approfittano mica! » controbatté furioso perfettamente
conscio di non meritarsi un trattamento del genere.
«
Va bene, non se ne approfittano, ma rimane comunque un bel problema! Mi spieghi
come speri di poter entrare nel Team Rocket un giorno con dei precedenti
simili?? »
Finalmente
il piccolo Jeremy capì e si
arrabbiò ulteriormente: ecco il
motivo di quel malcontento senza logica! Come aveva fatto a non arrivarci
prima? E sì che non facevano altro che
parlargli di quella organizzazione da qualche mese a questa parte!
«
Ancora con questa storia?? Ve l’ho già detto centinaia di volte: io non ci
voglio entrare in quella banda là, il Team
Rotter… »
«
ROCKET! » lo corressero contemporaneamente i due storcendo le labbra infuriati
e alzando gli occhi al cielo.
«
Quel che è, io comunque non voglio averci a che fare. »
James
intervenne prontamente, facendo cenno a Jessie di calmarsi e di lasciargli il
testimone: sarebbe riuscito a giostrare quel capriccio in maniera magistrale,
poco ma sicuro; lui ci sapeva fare coi mocciosi…
«
Figliolo… » esordì
fingendo una calma e una disponibilità tutt’altro che sincere « …adesso sei
giovane ed è ovvio che tu non riesca a comprendere le gloriose gesta e le
nobili intenzioni dell’organizzazione, ma un giorno… »
«
Macché un giorno! Io non voglio fare l’agente del Team Rocket da grande! »
ribatté Jeremy sbattendo i piedi per terra.
«
Ah sì? E cosa vorresti fare
allora? Il truffatore? Il contrabbandiere? »
James
e Jessie attesero pazientemente una risposta cercando di sedare la rabbia che
stava montando alla testa, tentativo andato definitivamente a farsi benedire
quando udirono ciò che
neanche nei loro più mirabolanti sogni si sarebbero MAI aspettati.
«
Io voglio aiutare l’agente Jenny, diventare un poliziotto!! » rispose
innocentemente il bimbo inconsapevole del profondo shock che avrebbe causato al
povero cuore dei suoi vecchi.
Fu
la goccia che fece traboccare il vaso.
Jessie
afferrò il primo cuscino che le
capitò sotto mano e lo strappò in preda all’ira mentre James sveniva cadendo a
terra, proprio davanti ai piedi del ragazzo il quale, spaventato, balzò indietro di qualche metro: il loro Jeremy voleva fare il… piedipiatti??
E loro che avevano ingenuamente pensato che il dieci e lode in comportamento
fosse la vergogna più grande che si fosse abbattuta su di loro! Quella notizia
era un cataclisma!
«
Scordatelo giovanotto, dovrai passare sul mio cadavere! Tu entrerai a far parte
del Team Rocket, che ti piaccia o no! » sentenziò la donna cercando inutilmente di far rinvenire suo
marito « E anzi, sai che ti dico? Domani stesso provvederemo a far sì che quel dieci in comportamento cali a picco! Ti
insegneremo personalmente a comportarti come si deve! Preparati, avrai una
grande lezione di vita, e ora fila a letto! »
«
Non voglio imparare a fare il criminale! »
In
quella, James aprì
nuovamente gli occhi tirandosi su con una certa difficoltà. Barcollò un po’ in preda alla confusione che gravava sulle
sue spalle, poi guardò il
sangue del suo sangue e quasi scoppiò in un
pianto dirotto.
«
Ma dove abbiamo sbagliato? » frignò
mettendosi le mani tra i capelli e tirandoseli un po’.
«
E’ tutta colpa tua! Tua e della tua famiglia! » gli rinfacciò Jessie prendendosela a morte « Scommetto che ha
preso da quei smidollati dei tuoi! »
«
Non è vero! »
«
E invece sì! »
«
Ti ho detto di no! Smettila di scaricare le colpe su di me, guarda che è anche
tuo figlio! »
La
situazione si era inspiegabilmente capovolta e ora i coniugi Turner si
dilettavano a punzecchiarsi l’un l’altro ignorando il figlio. Ingenuamente,
Jeremy sperò che
questo bastasse a dissuaderli dal loro folle piano, far di lui un futuro
criminale, ma ancora non poteva sapere cosa gli sarebbe toccato sopportare
l’indomani e cos’avrebbero avuto il coraggio di tirar fuori.
Ancora
non sapeva niente…
Continua
NOTE SCONCLUSIONATE DELL’AUTRICE:
Beh, penso che per Jessie e James non possa
esserci vergogna più grande di un figlio poliziotto XD
Giusto una piccola precisazione: ecco, ovviamente
non so se sia vero o possa avvicinarsi ad esserlo, ma non so quanto dei
genitori possano essere scontenti di una pagella come quella del piccolo
Jeremy, specie se è tutta dieci. Ovviamente trattandosi di criminali, mi sono
sforzata di esagerare un po’ le cose per accentuare la comicità del quadretto,
spero non risulti sgradevole alla lettura.
Beh, per il momento è tutto. Prima o poi posterò
il seguito, che potrebbe essere anche più corto del primo ma con un finale del
tutto inaspettato… ah, non vi anticipo nulla! Per il momento continuate a
seguirmi e magari a recensirmi. Mi farebbe tanto tanto
piacere.
Un bacio <3
Shin