Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |       
Autore: Shinushio    26/08/2011    10 recensioni
« Ancora con questa storia?? Ve l’ho già detto centinaia di volte: io non ci voglio entrare in quella banda là, il Team Rotter… »
« ROCKET! » lo corressero contemporaneamente i due storcendo le labbra infuriati e alzando gli occhi al cielo.

[...]
Il famoso Team Rocket alle prese con una delle più titaniche, agghiaccianti e rocambolesche prove da superare: il colloquio genitori-insegnanti!
[James/Jessie]
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James, Jessie, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Sons & Parents'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PREFAZIONE:

 

La mia decima storia su EFP *stappa champagne allegra*, bisogna festeggiare!

Originariamente “Pretty, Gentle, Rocket Boy” era nata come shot, un’interminabile shot se posso dirla tutta, ma col senno di poi ho deciso di spezzare il racconto in due perché mi rendo perfettamente conto che i capitoli troppo lunghi possano risultare indigenti ai più (a quanto pare solo io li apprezzo XD): adesso conta sette paginette, spero riusciate a leggerle tutte :D

Dunque dunque, che dire: tanto per cominciare, dopo aver postato Paul's First Time (massì, facciamoci un po’ di pubblicità gratuita: se ve la siete persa, è una shot delirante dove papà - Paul è costretto a cambiare pannolini e asciugare vomito per tutta la notte XD), ho avuto quella che viene comunemente chiamata l’ispirazione divina. Ovvero: scrivere una raccolta di storie (shot, long, flash, drabble…)  su varie coppie, tratte dall’anime, dal videogioco o dal manga, alle prese coi rispettivi figli. Che volete che vi dica? Sarò scaduta, sarò banale, ma scrivere di situazioni familiari è quanto di più bello abbia mai trovato da scribacchiare, quindi sopportatemi. E vi dirò di più: se avete qualche paring o idea da consigliarmi, chiedetemele pure, cercherò di esaudire i vostri desideri XD Al momento la raccolta “Sons & Parents” conta una Paul/Lucinda e una James/Jessie (quella che state per leggere), ma sono previste molte altre storie. Fatemi sapere XD

Allora, per concludere, spero vi piaccia questo piccolo omaggio al Team Rocket, che a mia detta sono i migliori personaggi della serie assieme a Gary, ma questa è un’altra storia. Beh, dato che girano così poche storie su di loro mi sono detta che volevo assolutamente scrivere anch’io qualcosa. Meowth non comparirà perché purtroppo il trio nell’anime si è sciolto e quindi, per seguire la trama e rendere il tutto il più verosimile possibile, ho cercato di attenermi al filo della storia. In ogni caso “Pretty, Gentle, Rocket boy” è ambientato un paio d’anni dopo le rocambolesche avventure dei nostri beniamini, facciamo dieci per convenzione XD

Ah, un’ultimissima cosa: il figlio di Jessie e James si chiama Jeremy e ho scelto questo nome perché mi piaceva l’idea di trovarne uno che cominciasse con la lettera “J” proprio come quello dei suoi genitori.

Ora chiudo davvero, buona lettura XD

 

 

~Pretty, Gentle, Rocket Boy~

 

CAPITOLO 1

 

 

Jeremy Turner stava apportando le ultime correzioni all’ennesimo problema di geometria solida quando udì il portone di casa aprirsi e successivamente richiudersi con ferocia che non avrebbe esitato a definire “brutale”. Poco dopo, come da copione, accade ciò che in fondo, in cuor suo, già si aspettava.

« Jeremy William James Jason Turner vieni qui immediatamente! E’ un ordine. »

Sospirò sconsolato poggiando la matita sul foglio innanzi a sé, dopo essersi premurato di aver asciugato il gommino, sulla capoccia, inumidito dalla propria saliva: in tutti quegli anni aveva sempre pensato che Jessie avesse un’ugola ben lontana dal potersi definire idillica, come tra l’altro potevano confermare le sue povere orecchie dopo ore e ore di esibizioni da parte di questa sotto la doccia. Sospettava fortemente che le sue corde vocali fossero ricoperte da carta vetrata e che fosse proprio quello il motivo per cui ogni volta che parlava, rideva o addirittura sussurrava, i vetri di casa finivano inevitabilmente con il tremare, ma questa tutto sommato era un’altra storia che c’entrava poco o niente con la natura dell’attuale incazzatura cronica dei suoi.

Si alzò, ficcandosi di malavoglia le mani in tasca e uscendo dalla propria camera con l’entusiasmo tipico di chi ha appena scoperto di essere condannato alla forca. Se possibile, il suo umore peggiorò quando entrò in salotto, dove ad attenderlo accomodati sul divano in pelle trovò i suoi genitori; sua madre reggeva tra le mani un foglio che aveva tutta l’aria di essere un documento importante.

« Siediti. » Gli intimarono all’unisono seri come non li aveva mai visti.

A capo chino e sentendosi colpevole di un terribile misfatto a lui sconosciuto, si limitò ad eseguire quanto ordinato, prendendo posto sulla poltrona lì vicino.

Non ci fu alcuna pausa di completo silenzio, tipica di chi si appresta a pensare ad un discorso abbastanza intimidatorio o semplicemente per il gusto di incutere terrore o ansia nella vittima. I due, infatti, presero una generosa boccata d’aria e cominciarono immediatamente la loro arringa sbattendo sul tavolino il suddetto foglio, che il bambino scoprì subito dopo portare il timbro della sua scuola.

« Esigo delle spiegazioni signorino e spero per te che siano illuminanti. » esordì suo padre James incrociando le braccia al petto e fingendo un’autorità e una serietà che non gli erano proprie.

Jeremy studiò preoccupato la causa di quel putiferio e tese timidamente le mani verso il documento; quando lo riconobbe e lo ebbe visionato da cima a fondo, finalmente capì e si sentì a metà tra il rammaricato e il confuso.

« Cosa dovrei spiegare? » ribatté ostentando un’indifferenza che non poteva sentire più lontana.

Questa volta, fu sua madre ad intervenire.

« Tu SAI vero, cos’è quella carta che stringi tra le mani? »

Che domanda sce- sciocca.

« … la mia pagella? » chiese ingenuamente.

La vena sulla tempia di Jessie cominciò a pulsare.

« Precisamente. Ora vorrei che tu mi spiegassi un paio di cosette a tal proposito… » E così dicendo gli strappò il foglio dalle mani, scorrendo col dito fino a quando non trovò ciò che le interessava « Ecco, leggi qui ad alta voce e trova una scusa convincente per quello che hai combinato. »

Jeremy sbuffò contrariato, chiedendosi se tutto questo fosse normale o segno di forte squilibrio da parte dei suoi, mentre i due presi in causa attendevano che il loro unico figlio giustificasse la più grande vergogna mai provata da quando ne avevano memoria. Più mortificante che essere sconfitti per la quattrocentesima volta dai mocciosi ed essere sbalzati via alla velocità della luce; più oltraggiosa che venire declassati e costretti a vendere origami per sostenersi economicamente fino a nuovo ordine; più devastante che sapere che, per quanto ci provassero, Pikachu non sarebbe MAI caduto in mano loro, specie ora che quell’Ash Ketchum era diventato Pokemon Master: il colloquio con gli insegnanti e la consegna delle pagelle.

 

 

 

Jessie e James sbuffarono all’unisono mentre attendevano, seduti su delle seggiole scomodissime, che la fila innanzi a loro si dipanasse. Quale onta doversi comportare come genitori modello e limitarsi a qualche battutina tagliente ogni qualvolta una coppia si avvicinava a loro col chiaro intento di voler attaccar bottone!

« James non ce la faccio più. Stiamo aspettando da quasi un’ora e ci sono ancora venti persone davanti a noi! » si lamentò la donna ostentando uno sbuffo accorato.

All’udire la voce squillante della compagna, l’uomo si riscosse dal proprio torpore quasi rischiando di cadere a gambe all’aria dalla sedia.

« Pazienza Jessie, pazienza. Vedrai che manca poco. » si limitò a dire stropicciandosi gli occhi provati coi palmi delle mani, frase copia-incollata che aveva ripetuto non meno di sei volte negli ultimi quaranta minuti.

Aspettare era una perdita di tempo, tempo prezioso che avrebbe potuto essere impiegato cento volte meglio al servizio di Giovanni. Ora che avevano ricevuto una promozione, divenendo entrambi generali, i loro impegni si erano quintuplicati come conigli, costringendoli a rincasare ogni sera ad orari a dir poco inumani e radiare ogni svago o attimo di riposo. Erano orgogliosi del loro lavoro, il suggello di epiche imprese e anni di sfaticate finalmente riconosciute, tuttavia si sentivano in parte in colpa nei confronti del figlio Jeremy, costretto a crescere e imparare l’arte del vivere senza la loro supervisione. Se non altro, il piccolo aveva dimostrato di essere dotato di grande intelligenza e sagacia, doti indispensabili per sapersi destreggiare in quella giungla d’asfalto, palazzi, strade, persone e rapporti chiamata anche “vita”. Ovviamente questo non voleva dire che fosse stato abbandonato a se stesso senza alcun valore, insegnamento o protezione: i week end erano sacri e come tali venivano trascorsi come fossero la più affiatata delle famiglie al mondo. Era in momenti come quelli che si sentivano davvero felici, in grado di esplodere da un momento all’altro di gioia esattamente come quando, ai tempi d’oro, rincorrevano i mocciosi di regione in regione architettando i più rocamboleschi e svalvolati piani per mettere loro i bastoni tra le ruote. Consumare il proprio tempo con Jeremy non era affatto uno spreco e li aiutava a capire che, oltre alla loro prestigiosa carriera, c’era qualcos’altro per cui valesse la pena alzarsi la mattina al canto del gallo e affrontare con determinazione gli impegni della giornata. E non importava quante delusioni sarebbero gravate sulle loro spalle perché le avrebbero sicuramente superate per tornare da Jeremy e trascorrere, anche se corta, una piacevole serata assieme.

Improvvisamente le orecchie di Jessie si tesero captando un sibilo impercettibile al di là della porta. Gli angoli della bocca le si piegarono all’insù in un sorriso mefistofelico mentre, con una mano, cercava disperatamente di strappare suo marito dal mondo dei sogni.

« James tieniti pronto all’azione. » gli sussurrò alzandosi in piedi e fingendo di stiracchiarsi gli arti intorpiditi dal troppo far niente.

L’uomo sussultò svegliandosi di soprassalto.

« Che c’è adesso? » le domandò affiancandosi alla sua figura.

« C’è che mi sono stancata di fare la brava mamma e di sopportare i pettegolezzi di quelle befane – Jessie indicò con un rapido cenno un gruppo di signore intente a cicalare animatamente del più e del meno, lanciando occhiatacce velenose e torve a chiunque si soffermasse a guardarle per più di tre secondi – quindi noi adesso entriamo, non m’importa se non è il nostro turno. »

L’altro annuì con un sorriso complice.

« Team Rocket pronto a partire alla velocità della luce? » le chiese passandosi tra i denti il gambo della rosa prima annodato al taschino della propria giacca.

Lei ridacchiò compiaciuta pronta a ribattere come da filastrocca prestabilito, quando un sussurro non troppo sussurro le giunse alle orecchie strappandole quella punta di buon umore che aveva ritrovato.

« Ma non si vergogna quella Jessie? Andare in giro alla sua età con una permanente del genere! Per non parlare di quel colore poi! Non oso immaginare che razza d’esempio possa dare a suo figlio… »

James non seppe mai quale Dio, o chi per lui ne facesse le veci, ringraziare in quel momento, come d’altro canto non riuscì mai a capire come il piano di sua moglie fosse andato effettivamente in porto. Accadde come in quei film da quattro soldi dove, con il tempismo di un orologio svizzero, una catastrofe veniva sventata perché succedeva qualcosa o arrivava qualcuno che ne rendeva impraticabile l’attuazione. E così ora: la generale Rocket, già sfoderati gli artigli e la bocca costretta in un ringhio feroce, con impressa negli occhi la scritta “stasera mi mangio quattro oche in padella”, dovette rinunciare ai suoi folli e omicida progetti (e grazie al cielo) perché di punto in bianco la porta della sala insegnanti si aprì e una giovane coppia lasciò la stanza con un sorriso sornione e appagato dipinto sui loro volti.

« Jessie… »

Al richiamo di James, quella balzò per aria cogliendo velocemente il messaggio subliminare celato dietro il suo tono di voce: era arrivato il momento di agire!

Lanciatisi un’ultima occhiata d’intesa, i due oltrepassarono la fila veloci come il suono, senza badare minimamente ai gridolini di protesta del club del pettegolezzo né tantomeno al malcontento generale che si diffuse a macchia d’olio: ogni lagna, dibattito o rimprovero che fu loro rivolto fu per Jessie e James il più grande degli encomi mai ricevuti e quando si chiusero la porta alle spalle ghignando malignamente ai genitori lì presenti, si sentirono finalmente in pace con loro stessi.

Per quel giorno erano stati anche TROPPO buoni, oltre che pazienti! Per la miseria, se lo fosse venuto a sapere Giovanni sarebbero stati licenziati in tronco nel giro di pochi secondi, senza contare la profonda vergogna di cui si sarebbero dovuti far carico.

« Prego signori, accomodatevi. » disse loro una donna poco distante invitandoli a sedere davanti alla cattedra.

I due ricambiarono soddisfatti un tipico sorriso di circostanza e, per una volta, eseguirono gli ordini impartiti da una comunissima e scialba signora. In altre e più divertenti contingenze le avrebbero fatto notare che il Team Rocket non prendeva ordini da nessuno, meno che meno da una sciacquetta come lei (eccezion fatta per il capo, ovvio!), peccato solo che ora, all’interno di quell’edificio e dato anche il motivo per cui si trovavano lì, non potevano permettersi di esercitare la loro carica e far scoppiare così il terrore.

Peccato.

« Voi siete i signori…? »

« Turner. » rispose James alzando la voce quanto necessario per coprire i borbottii malevoli e indignati della folla fuori. Ahh… mai musica più soave fu udita dalle sue povere e martoriate orecchie! Anche Jessie doveva star pensando la stessa cosa, vista la smorfia vittoriosa che esibiva senza vergogna né lode.

La pedagoga si sciolse in un risolino tutt’altro che rassicurante mentre i suoi occhi si facevano così luminosi da poter essere comparati ai fari di un automobile.

« Oh, e così voi siete i genitori di Jeremy Turner? » fece con voce incrinata dall’emozione.

La coppia annuì attendendo risvolti mentre quella studiava con occhi sereni un documento che doveva essere presumibilmente la pagella del loro fringuello. La prima.

Jessie sorrise nel pensarlo: già, quella era la primissima pagella di Jeremy, prima come il loro colloquio con gli insegnanti. Non sapeva cosa aspettarsi da degli esseri così ambigui: in cuor suo anelava a ricevere solo parole degne di lode sulle capacità intellettive del figlio, ma sapeva anche troppo bene che aspettarsi qualcosa e sperarci con tutto te stesso era il primo passo per rimanere doppiamente insoddisfatti e delusi in seguito, quando assistevi allo sfracello dei tuoi sogni. Lei e James si erano imposti di non avere la benché minima aspettativa nei confronti del figlio e che, qualunque fosse stata la valutazione finale, l’avrebbero accolta a cuor sereno e ne sarebbero stati soddisfatti. Il loro bimbo studiava tanto e a loro bastava sapere questo: se fosse risultato insufficiente, l’avrebbero aiutato a colmare le lacune e l’avrebbero fatto nella maniera più civile e gentile possibile.

« Dunque ci dica: com’è se la cava il nostro Jeremy? » domandò James con l’entusiasmo di un moccioso a Natale: fare il padre lo esaltava e lo riportava indietro negli anni, quando ancora ragazzo e ricco di buoni propositi trascorreva le proprie giornate ad immaginarsi una vita diversa da quella che aveva, chiusa tra quelle soffocanti quattro mura fatte d’oro e di diamanti. Ecco, fare il papà era il coronamento della vita avventurosa che aveva sempre desiderato, un’esistenza che non avrebbe potuto immaginarsi diversa o senza Jessie al suo fianco.

La sua compagna lo guardò e ridacchiò dolcemente, evento più unico che raro.

« Non penso di esagerare quando dico che vostro figlio è uno degli alunni più dotati e intelligenti che mi siano mai capitati… » esordì raggiante la donna aprendo sotto i loro nasi la pagella dello studente « Prego, osservate. »

I due strabuzzarono gli occhi increduli: accanto al nome di ciascuna disciplina troneggiava a lettere cubitali e nere un dieci con tanto di lode. Nessun abbaglio o errore: erano proprio dei dieci pieni e abbondanti, voti così meravigliosi che riempirono d’orgoglio i loro petti costringendoli a pensare frasi del tipo “Eh bravo il mio bambino”, “Domani gli regalo la nave pirata che mi chiede da mesi” oppure ancora “stasera gli cucino il dessert al cioccolato che gli piace tanto”.

Ebbene sì: il famelico duo del Team Rocket, conosciuto e temuto in ogni angolo del globo –anche se sotto mentite spoglie– era ridotto a un brodo di giuggiole, un impasto spugnoso e privo di spina dorsale. E sapete una cosa? Non glie ne poteva interessare di meno, tanta era la soddisfazione e la gioia che permeava il loro cuore in quel momento.

« Un genio della matematica, calligrafia elegante, temi originali e traboccanti di fantasia, ottimo intuito… sì signori Turner, non riesco a trovare niente nel curriculum di vostro figlio che possa essere catalogato meno che da dieci. »

Più ascoltavano più si sentivano leggeri e ebbri di compiacimento: l’avevano sempre saputo che il loro adorato ragazzo aveva talento da vendere! Di questo passo, con un po’ di fortuna e una buona parola sarebbe diventato presto un’ottima…

« Poi devo dire… » continuò l’insegnante aggiustandosi gli occhiali sul naso e interrompendo il filo dei loro pensieri « …che non solo è un bambino particolarmente dotato, ma è anche un vero e proprio alunno modello. Mai visto ragazzino con un’indole più buona e tranquilla della sua. »

La prima stonatura.

Jessie alzò un sopracciglio visibilmente perplessa, dopo essersi convinta che le sue orecchie dovevano PER FORZA averle giocato un brutto scherzo.

« Come scusi? Credo di non aver capito bene… » mugghiò lanciando un’occhiata titubante a James, il quale ricambiò a sua volta turbato.

La signora studiò meticolosamente i due, con attenzione e precisione quasi chirurgica: ok, forse era solo una sua stupidissima –non avrebbe saputo in quale altro modo definirla – impressione, ma quella bizzarra coppia non sembrava… felice di ciò che stava dicendo loro. Doveva esserci sicuramente uno sbaglio: chiunque sentendosi tessere lodi di tal fatta si sarebbe sciolto d’orgoglio come neve al sole e per loro doveva essere così.

« Dicevo: vostro figlio è uno degli studenti più dotati e… »

« Sì sì, questo lo abbiamo capito, è la parte dell’“alunno modello” che ci è poco chiara. » la interruppe James attendendo trepidamente delucidazioni.

La poveretta guardò ai due come si guarda alla cosa più strana e ineccepibile che vi possa capitare sotto il naso.

« Beh sì, vostro figlio è educatissimo, avete fatto davvero un ottimo lavoro come genitori, su questo c’è ben poco da discutere. » spiegò accennando un sorriso tutt’altro che sicuro e che sembrava destinato ad affondare nelle sabbie mobili della perplessità a breve.

All’udire quelle parole, James impallidì facendosi bianco come un cencio mentre Jessie continuava a strabuzzare gli occhi esterrefatta.

« Ci deve essere un errore… » Sentenziò infine forzando un sorriso scherzoso che però l’altra non si sentì di ricambiare.

« No no, vi posso assicurare che Jeremy è un angelo. Quando arriva a scuola saluta tutti gli insegnanti e i bidelli, aiuta sempre i compagni di classe in difficoltà, cerca di mettere ordine nelle zizzanie dei suoi coetanei. E’ un bambino adorabile che si è fatto amare da tutti, insegnanti e non. E’ impossibile non volergli bene. »

James era letteralmente sul punto di svenire, Jessie di esplodere.

« Io non… riesco a capire. Ma lei ci sta parlando proprio di Jeremy Turner? Ne è sicura? » chiese la rossa tentando quell’ultima spiaggia « Magari si sta confondendo con qualche altro ragazzino… »

« Penso sia proprio impossibile confondere il piccolo Jeremy per un altro… » fu la risposta che ricevette in cambio.

La maestra espirò a fondo raccogliendo tutto il pudore e il rispetto che aveva in corpo e cestinandoli all’istante, pronta per chiedere cosa ci fosse che li rendesse così… scontenti, sì, nei confronti di ciò che aveva appena riportato. Ora era semplicemente impossibile credere di aver preso fischi per fiaschi, non con una donna in preda a un violento tic all’occhio, che si stava divertendo a graffiare il bracciolo della seggiola sulla quale era seduta, e un uomo sul punto di svenire innanzi a lei!

« Scusate se mi permetto signori ma… » raccolse le idee onde evitare malintesi ed incomprensioni « …ecco, come dire, non sembrate particolarmente felici di quello che vi ho detto. Forse mi sono espressa male, forse non avete capito, non saprei… »

I due rimasero in silenzio, assorti in chissà quale amletico pensiero, continuando a crogiolarsi nella propria sofferenza ancora per un po’, fino a quando la signora Rocket non riprese la parola.

« Lei ci sta dicendo che nostro figlio è una specie di… paladino della giustizia – storse le labbra nel pronunciare tali parole come stesse masticando bile -, un ragazzo attento, che non fa il più piccolo dispetto o sgambetto ai suoi compagni, educato, rispettoso delle regole… »

« Esatto! » si intromise non riuscendo a trattenere un sospiro di sollievo nel constatare che finalmente la coppia sembrava aver capito, sollievo che si dissolse poco dopo quando udì la risposta che quella aveva già pronta sulla lingua.

« E DI COSA DOVREMMO ESSERE FIERI PRECISAMENTE?!? » strillarono all’unisono con voce garrula e furibonda « FORSE DI AVERE UN FIGLIO SMIDOLLATO?? »

Ammutolì facendosi piccola piccola, costernata e spaventata dalla reazione alquanto stravagante dei due, specie della signora, Jessie.

« I-io non direi smidollato: il vostro Jeremy è così sensibile, così buono… è una be-bella cosa, o no? » domandò con voce tremante sperando in un cenno d’assenso che ovviamente non arrivò.

Per tutta risposta, Jessie agguantò malamente la pagella del figlio e si alzò, facendo segno a suo marito di imitarla: sembrava non intenzionata a trascorrere un solo minuto in più lì dentro, ad ascoltare bislaccherie del genere e sopportare la presenza di quell’inetta.

- Questa sera giuro che mi sente… - aveva borbottato avviandosi verso la porta con una cadenza di passi sgraziata e pesante, seguita da un pallido James ancora a rischio di un possibile mancamento.

E mentre l’insegnante rimaneva seduta, inebetita, a fissare il vuoto che si era venuto a creare davanti a lei, i coniugi Rocket marciavano a passo di guerra verso casa, furibondi e delusi come mai prima d’ora.

E per fortuna che non si erano fatti nessuna aspettativa…  

 

 

   

« Dieci e lode in comportamento?? Ma non ti vergogni??? » sbraitò sua madre saltando per aria come una molla precedentemente tenuta compressa.

Jeremy la guardò continuando a non capirci niente.

« Ma… non è forse una bella cosa? Insomma, è un dieci, no? »

« NO CHE NON E’ UNA BELLA COSA!! » ribatté lei poggiandosi teatralmente una mano sulla fronte; James, sedutole accanto, annuiva con la testa fornendole spiritualmente supporto morale « Avere dieci in comportamento equivale a dire che sei uno smidollato, un ragazzino senza spina dorsale! Scommetto che i tuoi amici ti prendono in giro e si approfittano di te! »

« Non è vero, non si approfittano mica! » controbatté furioso perfettamente conscio di non meritarsi un trattamento del genere.

« Va bene, non se ne approfittano, ma rimane comunque un bel problema! Mi spieghi come speri di poter entrare nel Team Rocket un giorno con dei precedenti simili?? »

Finalmente il piccolo Jeremy capì e si arrabbiò ulteriormente: ecco il motivo di quel malcontento senza logica! Come aveva fatto a non arrivarci prima? E sì che non facevano altro che parlargli di quella organizzazione da qualche mese a questa parte!

« Ancora con questa storia?? Ve l’ho già detto centinaia di volte: io non ci voglio entrare in quella banda là, il Team Rotter… »

« ROCKET! » lo corressero contemporaneamente i due storcendo le labbra infuriati e alzando gli occhi al cielo.

« Quel che è, io comunque non voglio averci a che fare. »

James intervenne prontamente, facendo cenno a Jessie di calmarsi e di lasciargli il testimone: sarebbe riuscito a giostrare quel capriccio in maniera magistrale, poco ma sicuro; lui ci sapeva fare coi mocciosi…

« Figliolo… » esordì fingendo una calma e una disponibilità tutt’altro che sincere « …adesso sei giovane ed è ovvio che tu non riesca a comprendere le gloriose gesta e le nobili intenzioni dell’organizzazione, ma un giorno… »

« Macché un giorno! Io non voglio fare l’agente del Team Rocket da grande! » ribatté Jeremy sbattendo i piedi per terra.

« Ah sì? E cosa vorresti fare allora? Il truffatore? Il contrabbandiere? »

James e Jessie attesero pazientemente una risposta cercando di sedare la rabbia che stava montando alla testa, tentativo andato definitivamente a farsi benedire quando udirono ciò che neanche nei loro più mirabolanti sogni si sarebbero MAI aspettati.

« Io voglio aiutare l’agente Jenny, diventare un poliziotto!! » rispose innocentemente il bimbo inconsapevole del profondo shock che avrebbe causato al povero cuore dei suoi vecchi.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Jessie afferrò il primo cuscino che le capitò sotto mano e lo strappò in preda all’ira mentre James sveniva cadendo a terra, proprio davanti ai piedi del ragazzo il quale, spaventato, balzò indietro di qualche metro: il loro Jeremy voleva fare il… piedipiatti?? E loro che avevano ingenuamente pensato che il dieci e lode in comportamento fosse la vergogna più grande che si fosse abbattuta su di loro! Quella notizia era un cataclisma!

« Scordatelo giovanotto, dovrai passare sul mio cadavere! Tu entrerai a far parte del Team Rocket, che ti piaccia o no! » sentenziò la donna cercando inutilmente di far rinvenire suo marito « E anzi, sai che ti dico? Domani stesso provvederemo a far sì che quel dieci in comportamento cali a picco! Ti insegneremo personalmente a comportarti come si deve! Preparati, avrai una grande lezione di vita, e ora fila a letto! »

« Non voglio imparare a fare il criminale! »

In quella, James aprì nuovamente gli occhi tirandosi su con una certa difficoltà. Barcollò un po’ in preda alla confusione che gravava sulle sue spalle, poi guardò il sangue del suo sangue e quasi scoppiò in un pianto dirotto.

« Ma dove abbiamo sbagliato? » frignò mettendosi le mani tra i capelli e tirandoseli un po’.

« E’ tutta colpa tua! Tua e della tua famiglia! » gli rinfacciò Jessie prendendosela a morte « Scommetto che ha preso da quei smidollati dei tuoi! »

« Non è vero! »

« E invece sì! »

« Ti ho detto di no! Smettila di scaricare le colpe su di me, guarda che è anche tuo figlio! »

La situazione si era inspiegabilmente capovolta e ora i coniugi Turner si dilettavano a punzecchiarsi l’un l’altro ignorando il figlio. Ingenuamente, Jeremy sperò che questo bastasse a dissuaderli dal loro folle piano, far di lui un futuro criminale, ma ancora non poteva sapere cosa gli sarebbe toccato sopportare l’indomani e cos’avrebbero avuto il coraggio di tirar fuori.

Ancora non sapeva niente…

 

 

 

 

Continua

 

 

 

NOTE SCONCLUSIONATE DELL’AUTRICE:

 

Beh, penso che per Jessie e James non possa esserci vergogna più grande di un figlio poliziotto XD

Giusto una piccola precisazione: ecco, ovviamente non so se sia vero o possa avvicinarsi ad esserlo, ma non so quanto dei genitori possano essere scontenti di una pagella come quella del piccolo Jeremy, specie se è tutta dieci. Ovviamente trattandosi di criminali, mi sono sforzata di esagerare un po’ le cose per accentuare la comicità del quadretto, spero non risulti sgradevole alla lettura.

Beh, per il momento è tutto. Prima o poi posterò il seguito, che potrebbe essere anche più corto del primo ma con un finale del tutto inaspettato… ah, non vi anticipo nulla! Per il momento continuate a seguirmi e magari a recensirmi. Mi farebbe tanto tanto piacere.

Un bacio <3

 

 

 

 

Shin

 

 

   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Shinushio