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Autore: Eternal Fantasy    29/04/2006    1 recensioni
Daimonon Eugenichè Pentakis: Dolphin sogna nelle profondità del suo Mare... l'ultima oneshot della pentalogia dedicata ai Dark Lords.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dolphin Deep Sea, Personaggio originale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oneshot Dolphin

Il Pirata di Sua Maestà

Scritta da Eternal Fantasy

 

 

 

 

§Lungo è stato il mio sonno colmo di sogni… presente, passato e futuro si mescolano nelle acque del mio mare… sempre uguali nel loro eterno scorrere, tempo e acqua ondeggiano sereni, indifferenti alle azioni e ai desideri dei viventi, cullandomi dolcemente nel loro abbraccio; i pacifici abissi mi cantano la loro immutabile ninnananna.

Eppure oggi c’è una nota diversa nel coro…

Io, Regina del Mare, col quale condivido l’Essenza più vera, posso avvertire un fremito di gioia nelle correnti… l’attesa esultante per qualcuno che presto arriverà. Il Tempo spalanca di fronte a me le porte del futuro, e la mia Vista si specchia in occhi verdazzurri come le acque cristalline delle isole tropicali…§

 

Dolphin Deep Sea sorrise nel dormiveglia… una carezza di misteriosa allegria, che non svanì dal suo volto enigmatico quando, per la prima volta dalla fine della Kouma Sensou duecento anni prima, riaprì le palpebre diafane. Le sue iridi scure come gli Abissi si contrassero leggermente alla tenue luce soffusa nella Sala del Trono del suo Palazzo sul fondale del Mare dei Demoni. L’istante successivo, ai piedi del mirabile seggio di madreperla comparvero inginocchiati Nerea e Poseidon, rispettivamente General e Priest suoi diretti servitori.

Alla Dark Lady non servivano parole per comunicare la propria volontà; ad un suo cenno la corrente marina di Nord-Ovest fu inviata a convocare colui che, fra gli Otto Capitani, la presiedeva. Pochi attimi dopo, il Demone Maggiore Ichtus comparve al suo cospetto. Vestito impeccabilmente con l’uniforme ufficiale, appariva come un guerriero dall’aspetto severo, alto e robusto con corti capelli blu rigorosamente tagliati a spazzola; si esibì in un inchino militare perfetto, e si pose sull’attenti in attesa di ordini.

Dolphin rivolse verso di lui il suo sorriso sibillino:

“Le mie felicitazioni, Capitano.”

L’interpellato, non sapendo come rispondere alle spesso inesplicabili sentenze della sua Sovrana, si limitò a un neutro: “Mia Signora.”, vagamente interrogativo.

Ella sembrò divertita, per ragioni note solo a lei stessa, dall’atteggiamento compassato del proprio subordinato: “Mio fedele Ichtus, presto tu e la tua nobile compagna darete alla luce il vostro unico figlio ed erede.”

A quelle parole, il guerriero s’inchinò profondamente e con voce che non celava del tutto l’emozione, replicò riconoscente: “I Vostri occhi vedono sempre più lontano di chiunque altro, Mia Regina.”

Dolphin fece un cenno a Poseidon: tra le mani del Priest comparve un piccolo scrigno, ed egli ne estrasse un’ocarina. Si trattava di uno strumento di straordinaria bellezza, ricavato da una conchiglia meravigliosamente lavorata, decorata con raffinate volute azzurre che la impreziosivano come un ricamo di onde marine.

“Consegnerai quest’ocarina a tuo figlio. È il dono che io gli faccio; e un giorno lui la suonerà per me. Fino ad allora, abbi cura di lui.” la sua voce cantilenò misteriosa le ultime parole.

Poi il suo sguardo si rivolse al Generale Nerea e gentilmente le ordinò di collaborare all’istruzione e all’addestramento del neonato Mazoku:

Leviathan; questa sarà la sua natura e il suo nome.”

Lo sguardo della Kai-Ou si perse in lontananza nel vuoto e nel tempo; poi le sue lunghe ciglia delicatamente arcuate scesero di nuovo a celare i suoi occhi abissali.

 

Il tempo non ha significato per le creature che ad esso non sono soggette. Questo è vero in special modo per i Demoni del Mare: immersi nel loro Regno sottomarino, noncuranti di ogni evento che avvenisse sulle terre emerse da dopo la fine della Guerra, non s’interessavano di cose umane tanto futili come il tener conto degli anni.

Per questo motivo neppure il nobile Ichtus, Capitano della Rotta di Nord-Ovest del Mare dei Demoni, avrebbe potuto dire con certezza quanto tempo fosse trascorso dal suo colloquio con la Dark Lady, nel momento in cui decise di condividere le proprie angosce con il Generale Nerea: colei che sicuramente meglio di tutti poteva comprenderne la causa… dato che ne era l’insegnante.

Nerea infatti non appena lo vide non poté che fare un profondo sospiro di comprensione; posò una mano amica sulla spalla del guerriero, che dalla sua espressione in quel momento pareva aver perso ingloriosamente una battaglia.

“Cos’ha combinato Leviathan, oggi?” ripeté stancamente l’ormai abituale ritornello. “Oltre ad aver saltato le lezioni per l’ennesima volta, intendo dire.”

Il viso di Ichtus riprese un po’ di vitalità grazie all’indignazione e alla collera: “Quell’incorreggibile teppista è andato di nuovo in superficie! Non solo! Ha partecipato a una rissa con chissà quale creatura terrestre! Cosa farà la prossima volta? S’intratterrà con degli… esseri umani?!” sputò le parole come disgustato dal loro sapore. Poi il senso di sconfitta ebbe di nuovo la meglio: la terribile sensazione di aver fallito il proprio dovere come padre e come servitore della propria Regina.

“Perché quello scapestrato di mio figlio non può essere un tranquillo, disciplinato Demone del Mare? Come potrà prendere il mio posto un giorno?” gridò, quasi sull’orlo dell’esasperazione.

Nerea cercò di consolarlo; avendo addestrato il giovanissimo mazoku, aveva avuto modo di conoscere il suo carattere irrequieto, ribelle ed anticonformista fino all’eccesso. Pensò che forse Lady Dolphin aveva assegnato loro un compito impossibile… ma, aggiunse rassegnata, molto probabilmente la loro Signora aveva già previsto tutto.

“Dove si trova ora, quell’incosciente?”

“Non ne ho idea, sono venuto da te proprio per sapere se l’avevi visto. Dalla nostra ultima discussione, non è più tornato a casa.” Ichtus cercava di mantenere un tono duro e indifferente, ma Nerea non si fece ingannare: il suo vecchio amico era molto preoccupato per quel maremoto vagante del figlio…

“Ci penso io; può ignorare i richiami di suo padre, ma non quelli del suo Generale.” E tra sé dovette aggiungere: -Per fortuna; altrimenti non sarei mai riuscita a tenerlo fermo abbastanza da insegnargli qualcosa!-

Nerea inviò quindi una categorica convocazione che corse fulminea portata dalle correnti; un attimo dopo, Leviathan comparve davanti a loro con un sorriso smagliante:

“Ciao, papi!”

…e Ichtus stramazzò al suolo svenuto.

I folti capelli azzurro intenso di Leviathan erano stati tagliati cortissimi ai lati della testa per far risaltare al centro quelli un poco più lunghi, pettinati a rovescio verso la fronte, dritti in una bassa cresta; sulla nuca invece la fluente chioma scendeva in una lunghissima coda fino alle caviglie nude. Qualche ciuffo azzurro gli ombreggiava gli occhi verde acqua, ridenti e vivaci, con un piercing che faceva bella mostra di sé sul sopracciglio sinistro. Il braccio e la metà destra del viso erano ricoperti da fitte volute di tatuaggi blu che spiccavano sulla lucida pelle bronzea, le minutissime squame che la ricoprivano scintillanti di riflessi quasi metallici.

L’abbigliamento era quanto di più insolito fosse mai stato visto persino nel fantasioso clan Deep Sea: una canottiera in rete da pesca blu parzialmente coperta da un giubbotto senza maniche in pelle di pesce azzurro iridescente e un paio di pantaloni nello stesso materiale tagliati sotto il ginocchio. Una stringa di cuoio tracciava tre giri attorno al suo collo, reggendo alcuni lunghi denti di barracuda; al polso portava un braccialetto di piccole conchiglie e sassolini colorati, di certo opera sua. Una cintura di alghe verdi intrecciate reggeva un affilatissimo coltello da pesca dalla lama seghettata e l’inseparabile ocarina.

Nerea dovette ammettere con se stessa che il cucciolo di leviatano tutto pinne e ossa di un tempo era giunto al pieno sviluppo, diventando proprio un bel ragazzo, slanciato e muscoloso, persino affascinante in quel suo modo un po’ scapigliato e selvaggio. Non riuscendo ad essere arrabbiata con lui, suggerì al suo allievo prediletto:

“Personalmente mi piace molto il tuo nuovo stile, ma è meglio che scappi da qualche parte prima che tuo padre riprenda i sensi; e restaci finché non avrà metabolizzato la sorpresa, altrimenti rischi di essere messo in punizione per i prossimi… due-tremila anni!”

Il sorriso canagliesco di Leviathan dichiarava che *quello* era proprio l’effetto che aveva voluto fare al severo genitore, ma ammiccò con gratitudine alla sua maestra e s’affrettò a seguire il buon consiglio, nuotando via rapido come un lampo ridendo a crepapelle.

 

Leviathan sapeva benissimo dove il suo irato ‘paparino’ non sarebbe mai andato a cercarlo: la superficie. Il mondo oltre il Confine della sua liquida patria esercitava un enorme fascino su di lui; e il fatto che tutti gli altri suoi simili a malapena ne considerassero l’esistenza lo rendeva ancor più desideroso di conoscerlo.

Quel che nessuno sapeva era che lui si era già avvicinato più volte agli esseri umani: seguiva le navi lungo le coste, entrava nei porti e dalle acque spiava la vita degli abitanti della terraferma. Aveva imparato molto su di loro; la cosa che l’aveva colpito di più era il grande valore che gli uomini attribuivano a metalli come l’oro e l’argento, alle gemme e agli oggetti molto decorati: alcuni bellissimi, altri brutti, altri talmente elaborati da essere irriconoscibili; alla fine giunse alla conclusione che per loro le cose fossero più preziose, quanto più erano inutili.

Ciò lo divertì moltissimo. E ancora più divertente era vedere come quei terricoli si agitassero, si preoccupassero e lottassero con tutte le proprie forze per impossessarsi di quelle cose. Questo fatto gli ispirò la decisione che avrebbe segnato il resto della sua immortale esistenza:

“Se questo gioco a loro piace tanto, vi parteciperò anch’io! Diventerò un Pirata! Troverò una nave, solcherò il mare sopra le onde e conquisterò tutti i tesori del mondo! Sarò il più grande filibustiere di tutti i tempi!”

Di Leviathan si potevano dire tante cose, ma non che quando prendeva una risoluzione non la portasse a termine fino in fondo. Quindi nuotò verso il mare aperto alla ricerca di una nave che facesse al caso suo; una volta gli era già capitato di notare un veliero di suo gusto: uno snello tre alberi appartenente alla Marina dell’Alleanza degli Stati Costieri, dalle linee semplici ma eleganti, molto maneggevole e in grado di raggiungere notevoli velocità. Individuata dunque la sua preda, si mise deciso in caccia.

La localizzò mentre esplorava le calde acque del Sud. La Crusade (se questo nome non vi suggerisce nulla, date un’occhiata all’inizio della mia fanfiction “La stirpe del Lupo” ^_= NdA) navigava ignara di tutto a poche miglia dalle coste di un’isola sconosciuta ai mortali ma nota tra i Mazoku come Wolf Pack Island. Tale vicinanza al Confine con il territorio della Beastmaster rappresentò solo un’ulteriore sfida per il temerario Demone del Mare, nonché un motivo in più per compiere bene e in fretta il proprio progetto.

Era ormai sera, e la notte tropicale calò con la consueta rapidità; l’oscurità che accecava gli uomini non era di alcun disturbo agli occhi di Leviathan, abituati al buio delle fosse marine, che ora scintillavano di fosforescenti bagliori a pelo dell’acqua, le pupille sottili fisse sul veliero quasi immobile sulla superficie in bonaccia.

Nuotò verso lo scafo senza alcun rumore, scivolando nell’acqua che si apriva a lui, complice compiacente. Avrebbe voluto compiere un arrembaggio in grande stile, ma dato che il suo obiettivo era la nave, intendeva arrecarle meno danni possibile. I suoi piedi nudi atterrarono sul ponte di legno, percependone ogni fibra, ascoltandone ogni scricchiolio. Conquistandolo per sé ad ogni passo.

Scivolò silenzioso come un filo d’acqua fin dietro le sentinelle poste di guardia a prua; il suo coltello recise le loro gole prima ancora che potessero accorgersi della sua presenza.

Uno stentoreo grido dall’alto, inaspettatamente, diede l’allarme: Lev sollevò lo sguardo verso la coffa, da dove la vedetta, volgendo per caso lo sguardo verso il basso, s’era accorta del suo operato. In men che non si dica il ponte superiore brulicò di marinai armati. Il Demone sogghignò tra sé: volevano rendergli le cose difficili? Peggio per loro.

Tra le sue mani si materializzò un arpione d’orialchon, la lama finemente lavorata e affilatissima dalla seghettatura micidiale. Il primo lancio attraversò la nave da un capo all’altro, e trapassò il petto del comandante inchiodandolo alla porta della sua cabina. Dopo di che, Leviathan si lanciò all’attacco verso la prima linea di assalitori… saltandola con un balzo, e piombando tra le retrovie cominciando a far strage tra i marinai disorganizzati, favorito dalla sua inumana forza, velocità e tecnica. Nessuno di quegli uomini poteva resistere all’imperversare di quel ciclone marino, che si spostava rapido e turbinoso come le più spaventose tempeste, spezzando arti, balzando agilmente da un pennone all’altro come se fossero trampolini, scaraventando in pasto ai pesci gli sventurati gabbieri mentre ondeggiava tra una sartia e l’altra come un miracoloso funambolo.

Giunto alla coffa, regalò il suo sorriso più piratesco alla vedetta, che scambiando il contorcersi dei tatuaggi sul suo volto come una maschera di morte, decise di buttarsi di sotto di sua spontanea iniziativa. Lev rise e saltò a sua volta, riatterrando a poppa; recuperò il suo arpione, incastrato nel cadavere dell’ex-comandante, ma l’estrazione gli causò un attimo di distrazione fatale: il primo ufficiale vibrò un fendente che tagliò in due il busto del demone.

Lev spalancò gli occhi stupefatto… e il suo corpo tranciato a metà si tramutò in acqua, che si riversò sulle assi del ponte. L’ufficiale, cinereo in volto, abbassò la sciabola ancora tremante; cercò di riacquistare il controllo e si volse a dare istruzioni all’equipaggio: ignaro che, dalla pozza di acqua salata alle sue spalle, un istante dopo riemerse il Demone del Mare, perfettamente illeso e con un ghigno poco rassicurante sulle labbra. L’uomo prese fiato per richiamare all’ordine la ciurma, ma una fulminea fitta al petto lo bloccò: abbassò lo sguardo e si accorse che all’altezza del proprio sterno spuntava la lama seghettata di un arpione.

Leviathan ritirò l’arma, e il corpo senza vita dell’ufficiale crollò ai suoi piedi.

Il mazoku dal volto tatuato rivolse nuovamente il suo miglior sorriso ai marinai che lo fissavano, pietrificati, prima che le acque intorno alla nave si animassero guidate da una volontà soprannaturale.

Coloro che morirono subito, quella notte, potevano definirsi fortunati.

 

Quando il sole sorse all’orizzonte rivide la nave, ribattezzata Thalassa, dirigersi rapidissima verso la costa; nessun equipaggio la manovrava, ma si scorgeva *qualcosa* di enorme sott’acqua a prua, che trainava l’imbarcazione a una velocità che nessun mezzo umano poteva raggiungere, sollevando grandi schizzi di bianca spuma attorno allo scafo.

Quando il fondale marino si innalzò nell’approssimarsi della piattaforma continentale, la corsa s’interruppe e la nave rallentò per forza d’inerzia fino a galleggiare placidamente in vista di una cittadina portuale, protetta dall’alto da una roccaforte posta su una ripida scogliera. Leviathan balzò fuori dall’acqua con un arcobaleno di schizzi, atterrando in piedi dietro la murata di babordo; attraversò la nave con dipinta sul viso un’espressione di enorme orgoglio, e s’appollaiò seduto sul trinchetto a osservare il porto davanti a sé. Quello era senz’altro un ottimo posto dove reclutare una ciurma ai suoi ordini.

Sentiva dentro di sé una sensazione mai provata prima, un senso di soddisfazione, di trionfo, che prevedeva essere solo il preludio a successi sempre maggiori. Voleva esprimere in qualche modo questa enorme… gioia, si, poteva definirla davvero così. La sua mano corse istintivamente all’ocarina legata alla cintura. Non l’aveva mai provata, ma era certo che il suo suono melodioso avrebbe espresso esattamente i propri sentimenti. Così, posizionò le dita, l’avvicinò alle labbra e soffiò.

Dal piccolo strumento provenne una nota allegra e straordinariamente forte, che riecheggiò sulle onde. Onde che quietarono improvvisamente ogni sciabordio, divenendo piatte come l’olio, quasi… sospese in ascolto. Leviathan sorrise felice, le sue dita danzarono sullo strumento e da esso provenne un’armonia completa di note vivaci. Quei suoni si diffusero sulla superficie del mare come un brivido titanico e vi rispose un rombo di tuono: le acque si sollevarono all’improvviso, una inimmaginabile massa liquida che, come rispondendo a un richiamo, si precipitò verso la costa, creando un’onda anomala più alta di qualunque altra mai vista da occhio mortale.

Sotto lo sguardo allibito di Leviathan, lo tsunami s’abbatté sul porto, distruggendo ogni cosa sul suo cammino, lasciando dietro di sé dopo il deflusso unicamente rovine devastate.

Il giovane Demone del Mare deglutì faticosamente, e con uno stentato sorrisetto incredulo riuscì solo a commentare:

“Ecco, *adesso* sono davvero nei guai.”

Infatti la guarnigione della fortezza, rimasta incolume grazie alla propria posizione sopraelevata, si mobilitò all’istante; pochi minuti dopo, da un’insenatura nascosta e protetta dalla scogliera, uscirono parecchi piccoli vascelli colmi di marinai che puntarono decisi e apparentemente molto infuriati verso la Thalassa.

Qualunque persona normale si sarebbe un po’ preoccupata del proprio futuro imminente; ma Leviathan, per chi non l’avesse ancora capito, NON era un tipo normale. Nemmeno per i mazoku. Un sorrisetto compiaciuto s’allargò sulle sue labbra:

“Non è andata così male, in fondo. Magari riesco lo stesso a procurarmi un equipaggio!”

Dopo di che fece quello che nessun altro avrebbe rifatto vista l’esperienza precedente: suonò ancora una volta l’ocarina donatagli da Lady Dolphin.

Era una melodia diversa però, più soffusa e avvolgente; i flutti risposero con una danza di cordoni d’acqua che avvolsero le imbarcazioni avversarie come liquidi serpenti e le trascinarono sul fondale senza che gli occupanti potessero fare nulla per impedirlo.

Leviathan, con espressione sorniona, diresse la propria nave verso i marinai rimasti a mollo:

“Buongiorno signori: dovreste aver capito ormai che non potete contrastarmi in alcun modo. Quindi vi consiglio di ascoltare la proposta che vi faccio: ho bisogno di un equipaggio che segua i miei ordini, fedelmente e ciecamente; in cambio, garantisco a chi farà parte della mia ciurma tutti i vantaggi e le ricompense che la pirateria possa fruttare. E chi teme i pericoli… beh, ripensi un po’ a cosa ho fatto a quel porto, o alle vostre barchette!” concluse con una risata.

La prospettiva pareva davvero convincente, poiché parecchi marinai accolsero l’offerta, impressionati ed entusiasti di servire un capitano tanto potente e deciso… seppur evidentemente non umano. Leviathan esaminò con lo sguardo coloro che salirono a bordo: gente dall’aspetto duro, esperta della vita di mare; di certo la sua ‘presentazione’ li aveva colpiti, ma ci sarebbe voluto del tempo per conquistarsi il loro autentico rispetto. Anche questa era una sfida interessante; Lev non dubitava che ci sarebbe riuscito.

Un uomo particolarmente robusto si pose di fronte a lui; aveva un’aria seria e responsabile, forse era stato un ufficiale; a Lev ricordò subito suo padre, e un ghigno obliquo si dipinse sul suo volto. Ma l’uomo non aveva intenzione di sfidare la sua autorità: “Gli uomini che vedete sono i migliori elementi che abbiano mai navigato queste acque; ora siamo ai vostri ordini, Capitan Tsunami!”

Le iridi d’acquamarina di Leviathan scintillarono a quel nome: gli piaceva. Un nuovo nome, una nuova nave, una nuova ciurma, una nuova vita. Era tutto quello che desiderava.

“Bene, allora. Giuratemi la vostra lealtà come membri del mio equipaggio, e io vi prometto in cambio gloria e ricchezze oltre ogni vostra immaginazione!”

Quasi tutti eseguirono senza esitare, ma Lev notò in disparte un giovane titubante:

“Hai forse qualche dubbio sulla tua scelta, ragazzo? In questo caso nessuno ti trattiene.” Ghignò indicando le acque oltre la murata.

L’interpellato, un mozzo appena adolescente, sembrava dibattuto tra l’entusiasmo per la nuova avventura e il timore di non esserne all’altezza; sotto lo sguardo minacciosamente verdeazzurro del mazoku riuscì solo a balbettare: “Io… non… cioè… se non riuscissi… a mantenere la promessa…”

Leviathan gli si avvicinò ad un passo, fissandolo negli occhi con le sue pupille feline più spietate e demoniache che mai: “Lo sai cosa succede alle persone che dicono le bugie?”

Il mozzo terrorizzato sbiancò, si gettò in ginocchio e supplicò: “Vi prego, giurerò, farò tutto quel che vorrete, ma non uccidetemi!!”

“...Veramente stavo per dire ‘gli cresce il naso’... ma va bene lo stesso!” e scoppiò in un’allegra risata a crepapelle.

Anche il resto degli astanti si unirono alla risata, e quello fu l’inizio dei festeggiamenti che durarono tutto il giorno e la notte tra canti, risa e bevute. Così fu battezzata la nascita della nuova, temibilissima ciurma di bucanieri del Capitano Tsunami, la cui fama presto sarebbe stata conosciuta sopra e sotto  il mare… fino a entrare nella leggenda.

 

Trascorsero tre anni (in superficie lo scorrere del tempo era docile e misurabile), tra arrembaggi e scorrerie che resero Capitan Tsunami e la sua ciurma i pirati più ricchi e celebri del Mare dei Demoni, prima che il passato tornasse a bussare alla porta di Leviathan (più precisamente quella della sua cabina) nella persona del Generale Nerea.

La sua reazione alla visita insolita non fu particolarmente sorpresa:

“Ce ne avete messo di tempo ad accorgervi di quel che stavo facendo.” E con nonchalance invitò la sua passata maestra ad accomodarsi.

Nerea osservò con curiosità la piccola camera, il cui arredamento spartano creava uno spiazzante contrasto con le monete d’oro e i gioielli sparpagliati con noncuranza sul pavimento, o usati come fermi per le carte nautiche; senza contare le preziose opere d’arte accatastate alla rinfusa in un angolo o sotto la cuccetta.

“Il solito disordinato.” Commentò celando un sorriso materno. “Perché ti impadronisci di tutte queste ricchezze, se non sai che fartene?” chiese, non riuscendo a spiegarsi l’ennesimo controsenso di quel ragazzo che sembrava vivere di contraddizioni. Nobile Demone del Mare divenuto ribelle, che viveva con degli umani per depredarne altri, accumulando tesori che per lui non avevano significato.

Leviathan le sorrise: “Amo i tesori. Amo il doverli conquistare; più sono difesi e protetti, più è difficile prenderli, più rappresentano trofei preziosi ai miei occhi. Gli umani, gli elfi, i draghi e tutte le altre razze li bramano per il valore materiale che attribuiscono loro, ma io li voglio perché dimostrano che sono stato più abile, forte e astuto di loro a sottrarglieli.”

Nerea scrollò la testa: “Nonostante tutto, sei sempre il solito ragazzino.”

Le rivolse un’occhiata incollerita: “Se mio padre ti ha mandato a farmi l’ennesima ramanzina, poteva venire di persona! Che c’è, alla fine mi ha disconosciuto come figlio e non si degna neppure di venirmelo a dire in faccia?”

Le parole gli erano uscite dalla bocca spinte dall’ira, ma quando la sua mente si soffermò su tale evenienza, provò una fitta nel petto: non aveva mai realmente pensato a come le sue azioni sarebbero state accolte nel Clan Deep Sea. Conoscendo poi la rigida mentalità del padre, le conseguenze potevano davvero essere quelle che aveva prospettato: non sopportando la vergogna di avere un figlio come lui, l’aveva ripudiato. Questo pensiero gli fece più male di quanto avrebbe mai creduto.

L’espressione cupa di Nerea gli fece temere il peggio; e le sue parole lo confermarono:

“Tuo padre non c’entra. È stata Lady Dolphin in persona a mandarmi. Devi presentarti davanti a lei, immediatamente.”

Leviathan non riuscì a trattenere un fremito. La Regina Azzurra si destava dal suo sonno secolare solo in casi eccezionali, di estrema importanza e gravità; essere convocati al suo cospetto era un onore più unico che raro… forse l’ultimo.

ESILIO.

Questa la parola che comparve nella sua mente. Al pensiero di essere scacciato per sempre dal Regno del Mare, bandito da quello che considerava sempre e per sempre il *proprio* mondo, si sentì venire meno. Ora comprendeva perché, nell’antica Legge dei Demoni che ancora era seguita rigorosamente nel Regno del Nord, l’espatrio era considerata la pena peggiore, più grave persino della morte.

L’angoscia folle che provava fuoriuscì dalle sue labbra livide in una risatina isterica: “Perché? Cos’ho fatto di male per meritarmi questo a parte saccheggiare, affogare, imprecare, barare a poker, ammazzare, depredare, demolire ed ubriacarmi?”

Nerea gli posò una mano sulla spalla per calmare il suo tono delirante, ma fu allontanata con fermezza; un duro sguardo d’acquamarina fredda come la corrente del nord si rispecchiò nel suo, di nuovo perfettamente in sé: “No, Generale. Non si addice a un carnefice confortare chi va al patibolo. Datemi il tempo di comunicare gli ordini al mio equipaggio, e verrò subito con voi.”

Tsunami assegnò al proprio secondo le necessarie disposizioni per la navigazione in sua assenza, e quelle da eseguire nel caso non fosse tornato. Fatto questo, raggiunse Nerea, sentendo su di sé gli sguardi colmi d’apprensione dei propri fedeli marinai. Sorrise amaramente dentro di sé: ironico che degli umani provassero una tale devozione verso un Demone, un affetto maggiore di quanto avesse mai ricevuto tra i propri simili; ma lui non era più un Mazoku ai loro occhi, capì in quel momento: lui era il *Capitano*, e gli umani erano in grado di provare una venerazione che rasentava il fanatismo per coloro che se ne dimostravano degni. Sperò con tutto se stesso di non doverli deludere.

 

Un tuffo, e l’abbraccio delle acque fu di nuovo tutto intorno a lui, caldo e accogliente come se non se ne fosse mai andato. Seguì Nerea, nuotando più veloce di qualsiasi altra creatura che popolasse il mare, sempre più in profondità negli oscuri abissi, fino a scorgere, nel cuore vivo del Mare dei Demoni, il Castello ove dimorava Lady Dolphin.

Il piatto fondale appariva come un cuscino di scuro velluto su cui dominava una corona di gioielli che splendessero di luce propria. Un delicatissimo merletto di coralli e conchiglie, rifulgente di una fosforescenza naturale dalle infinite sfumature multicolori, tanto intensa e nello sesso tempo soffusa, come acquarelli sciolti da una pioggia primaverile.

Leviathan, ammirato dalla vista di quel luogo che andava oltre ogni immaginazione, stentò a seguire Nerea in quel labirinto sfaccettato, desiderando e temendo di perdersi per sempre tra i suoi ammalianti meandri. Nuotarono fino alle camere più interne; solo davanti alle porte della Sala del Trono si ritrovarono nuovamente all’asciutto, come se le acque fossero trattenute da un muro invisibile. Il grande portale di corallo rosa s’aprì, e Leviathan avanzò alle spalle della sua guida, inchinandosi ai piedi dei gradini che portavano al trono di madreperla, senza osare alzare gli occhi verso colei che lo occupava.

Un morbido sussurro, ondivago, sfiorò la sua mente più che il suo udito soprannaturale:

“Tanto ardito in battaglia, eppur tanto timido ora, Capitan Tsunami?”

La voce era dolce, ma vi si avvertiva un intimo divertimento. Punto nell’orgoglio, Leviathan raccolse tutta la propria fierezza per rivolgere alla propria Sovrana uno sguardo colmo di dignità… ma quando vide per la prima volta il viso di Dolphin Deep Sea, ogni pensiero scomparve dalla sua mente, come scritte sulla sabbia cancellate dalla risacca. I suoi occhi affondarono nelle sconosciute profondità di quelli scuri e indescrivibili di lei, che celavano in sé misteri ignoti anche agli immortali, il dono e la condanna del futuro che solo a lei concedeva la conoscenza delle sue meraviglie e dei suoi orrori. Quegli occhi, infinitamente antichi incastonati in un volto da bambolina di porcellana senza età, potevano scrutare l’anima come uno specchio d’acqua limpida.

Infine, un vago sorriso comparve sulle labbra sottili della Regina Azzurra:

“M’immaginavi diversa.”

Leviathan riemerse dal mutismo estatico che l’aveva colto per sussurrare, con voce colma di stupita ammirazione: “Si. Ma ora che vi ho vista, non potrei mai sognarvi in altro modo.”

Lei parve sinceramente incuriosita: “Come pensavi che fossi? Io non so come dovrebbe essere una Dark Lady; quindi mi limito ad essere quel che sono.” Si sporse leggermente verso il giovane, il fruscio dei veli di seta azzurra che l’avvolgevano quasi coprirono il sussurro che gli rivolse con tono quasi complice, da dietro una cortina di ondulati capelli blu quanto l’oceano: “Finora mi sembra di essermela cavata abbastanza bene, non trovi?”

Leviathan, ancora inchinato in rapita contemplazione, poté solo portarsi una mano al petto e giurare, con tutta l’intensità del suo spirito ardente e della sua appassionata determinazione:

“Mia Signora e mia Regina, io v’appartengo. La mia vita e la mia anima sono vostre. D’ora in poi io dedicherò a voi ogni mia azione. Vi prego, se tale è il vostro volere, consentitemi di servirvi anche *sopra* il mare ch’è vostro dominio; permettetemi di fregiarmi del titolo di vostro Corsaro: conquisterò tutti i tesori più belli del mondo solo per voi, e diffonderò la vostra gloria ben oltre il confine delle onde!”

Dolphin si compiacque del suo impeto, ma aveva ancora una prova a cui sottoporlo:

“Tanto grande è il tuo amore per il Regno del Mare e per me… eppure desideri abbandonarci di nuovo.” Sussurrò con tristezza.

Leviathan sentì la propria anima spezzarsi a metà davanti alla malinconia della sua Lady; ma sapeva di non poterle nascondere la verità: “Il mio altrove nasce oltre le onde del mare… perché esistere non basta… è quello che fai che dice chi sei…”.

I lineamenti delicatamente cesellati della Kai-Ou s’illuminarono, come se avesse udito la risposta che da lungo aspettava, e sentenziò:

“Nella sua grandezza, il genio disdegna le strade battute da altri e cerca regioni ancora inesplorate.” (veramente questa è una frase di Abrahm Lincoln ^^ NdA)

Lev rimase per un attimo incerto, ma subito lesse nell’espressione comprensiva della sua Regina il consenso alla sua richiesta. Lei però aveva ancora un’ultima verità da rivelargli, e la sua voce fece sì che gli rimanesse impressa nell’anima:

“Ricorda sempre le mie parole, Leviathan Tsunami: la vera libertà è sapere che dovunque tu andrai… avrai sempre un posto dove tornare.”

Lui chinò il capo, infinitamente felice e riconoscente. Non aveva idea di come esprimere tali incredibili sentimenti alla Dark Lady, ma sentiva di doverlo fare, in qualche modo. Le sue dita scivolarono come guidate da volontà propria sull’ocarina che ancora e sempre portava al fianco.

 

Quel giorno, i marinai che solcarono le acque del Mare dei Demoni giurarono di aver udito le onde intonare una musica degna di una Dea…

  
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