C’è chi dice che il sangue non ha colore, perché rossa è la
vita comunque tu nasca.
Puoi avere la pelle di miele e occhi come braci ardenti, o il
pallore lunare di un elfo: a scorrerti dentro, densa e dolciastra, è una linfa
che livella tutto.
Eppure il sangue parla e racconta storie.
Il sangue, soprattutto, pesa.
Lo sa bene Draco, che è l’ultimo anello di una catena di
Purosangue implacabili, doppi e astuti; lo sa questo fragile figlio di un clan
condannato dall’ambizione.
Per il più giovane dei Malfoy, è un dovere, un destino, una
missione. Il sangue, come il nome, è una bandiera per cui vivere o morire.
È il sangue che gli scorre dentro che gli ha insegnato a
mentire; a farlo, almeno, con la disinvoltura dei politicanti corrotti.
La verità non esiste; la Storia è un racconto che imbastisce
chi ha più fantasia, più mestiere, più talento: sono le parole di Lucius. È
la voce dell’uomo che più ama e detesta al mondo – suo padre.
Come Florian, combatte un’ombra che è carne e sangue. La sua
carne e il suo sangue.
Se avesse autentica esperienza della vita, tanto basterebbe a
suggerirgli che sta giocando il più pericoloso dei giochi.
Draco simula da sempre, perché è debole, dunque indifeso
davanti agli affetti, alla vita, allo spettro del padre. Ha fatto il possibile
per piacergli in tutti questi anni, indossando una maschera ben aderente ai suoi
effettivi desideri.
Lo odia, perché è schiavo del suo giudizio – ignora che
Lucius si maledirebbe mille volte, se solo immaginasse dove la sua freddezza sta
conducendo un cucciolo amatissimo.
È l’ossimoro della vita; il tragico di una quotidiana
incomprensione.
Negli anni, tuttavia, Draco ha imparato anche che mentire
equivale a manipolare; che costruire una realtà alternativa vuol dire
trasformare tutti gli altri in comparse; che chi scrive le battute è il
Demiurgo.
Che il Demiurgo è invincibile.
Gli occhi di Hermione lo sondano in profondità.
Se distogliesse lo sguardo, perderebbe ogni difesa. Non sa
cosa gli dia questa certezza, ma l’istinto grida – e la sua è una voce di
buonsenso.
“Chi siete davvero?”
E brava Granger.
È un sorriso istintivo che gli increspa le labbra, perché
questa strana ragazza – non bella, non educata, non remissiva – lo sfida senza
paura. Lo provoca. Lo seduce.
A quattordici anni annaspi nel caos delle emozioni
confondendo le etichette, ma Draco no, è quasi sicuro di poter chiamare per nome
la sgradevole morsa che lo stringe alla gola.
È un sasso nello stomaco, Hermione. È un dettaglio rilavante.
“Che?”
“Sai cosa voglio. Rispondi e basta.”
Invece no: non ha capito niente e sta rovinando tutto – tutti
i suoi piani, almeno.
Te. È te che voglio.
Quel pensiero lo trafigge all’improvviso, molesto. Vorrebbe
inghiottirlo, ma è ancora lei a incatenarlo, occhi da cane e una massa informe
di capelli crespi. Bruttina, eppure bella. Inaspettata.
Draco stringe le labbra, sino a ridurle a un’impenetrabile
fessura.
Non può confessarle la verità, ma di certo non mentirle,
perché capirebbe.
Ne è sicuro.
“Siamo allievi di Durmstrang,” replica circospetto.
Hermione solleva ironica un sopracciglio. “Ma che novità! Non
l’avrei mai detto!”
“È per questo che mi sono addentrato nella Foresta.”
“Uh?”
“Krum deve vincere. A ogni costo. Ero pronto a sabotare la
prima prova. D’accordo?”
Hermione apre la bocca, ma non libera un fiato.
“È scorretto, lo so. Non avrei dovuto, ma ti assicuro che ho
imparato la lezione.”
La Granger abbassa il viso, torcendosi le mani in modo
penoso.
“Non c’è nessun segreto: Florian ed io volevamo aiutare
Viktor. Se lo sapesse, per altro, non ci ringrazierebbe!”
Il tono è disteso, modulato ad arte perché simuli l’innocenza
che non possiede.
Il trucco sta nel raccontare la verità, tutta la verità: una
piccola omissione e… Pouff: ecco un’eccellente trasfigurazione delle intenzioni.
“Quindi, le fiale che abbiamo trovato…”
“Te l’ho detto: volevamo dare un contributo alla causa di
Durmstrang. Non è del tutto contro il regolamento, credo.”
Hermione sospira, ma c’è una nuova morbidezza,
in lei, che ha il sapore della resa.
“Vuoi denunciarmi?”
La Granger contrae le dita e scuote il capo. “Dovrei, ma…
Forse hai già avuto la punizione che meritavi.”
Draco accenna un sorriso. “Sì, credo di sì.”
“Tuttavia…”
“Cosa?”
Esita, Hermione, e stringe a sé il libro quasi a cercare
protezione. “Il tuo amico… È molto pericoloso.”
“Florian? Ti ho già spiegato che…”
“Ho il pessimo vizio di guardare ai fatti, non alle parole.
Chiedigli cosa ha combinato nella Foresta Proibita, prima di difenderlo!”
Il registro è secco e tagliente: c’è del risentimento
autentico, nella sua voce – e inquietudine e paura. Draco è abbastanza onesto da
dirsi che sì, se Von Kessel non gli si fosse affezionato con la devozione di un
cane, sarebbe il primo a temerlo.
Florian è fragile, dunque pericoloso: a dire di lui, una
bacchetta dal cuore raro e sinistro.
Biancospino e Thestral. L’illusione e la morte.
“Mi dispiace… Io…”
Hermione si morde le labbra. “Non voglio le tue scuse. Non
voglio niente. So che non mi piace quello che ho visto e so…”
Draco allunga il braccio e le sfiora i capelli. È una carezza
da niente, ma la riduce al silenzio.
“Scusa.”
Hermione stringe i denti.
“C’è qualcosa che posso fare per…”
Le sfugge una risatina stridula. Imbarazzata. “Ti prego. Non
sei tagliato per la parte di Gilderoy Allock!”
“Che?”
Ha le gote rosse e gli occhi brillanti. È così carina, ora,
che potrebbe…
“E Viktor ci sta guardando. In modo inquietante.”
Immobile sulla soglia di Hogwarts, Krum li fissa con la
cupidigia del predatore – ha invaso il suo territorio e vuol farglielo sapere.
Non è un dettaglio che possa turbarlo, tuttavia: un Malfoy cambia pelle mille
volte, e, come i serpenti, ha una lingua di miele e di veleno.
“Ops!” sogghigna. “Dimenticavo che qualcuno ti ha già
premesso un possessivo.”
Hermione gli rifila un’occhiataccia. “Divertente… Sul serio!”
“Non volevo prenderti in giro. Viktor ha molto successo con
le ragazze. Credevo che ti lusingasse ricevere le sue attenzioni.”
“Adesso basta! Sarà già un problema spiegargli che…”
“Cosa?”
Hermione fugge il suo sguardo. Il rossore che le imporpora il
viso, se possibile, si è fatto ancora più evidente. “Mi ha invitato al Ballo del
Ceppo, lo sai?”
Il ballo, già: strategia prevedibile, almeno quanto
provvidenziale.
“Lo immaginavo,” osserva con malcelata ironia. “Qual è il
problema? Il cavaliere non è di tuo gradimento?”
Hermione sbuffa – e non lo guarda.
Carina, sì. Sei carina e ti piaccio e non sai quanto questo
mi torni utile.
“No… È che io…”
“Tu?”
Krum è a un pugno di passi. Divora la distanza con l’ansia
comica dell’amante tradito, senza sapere che sta giocando un gioco infinitamente
più grande – e pericoloso.
Può darsi che gli tocchi eliminarlo, prima o poi. A Karkaroff
basterà sapere che è successo per una buona causa.
“Non so ballare! Non sono mai stata a un ballo. Non sono una
signora!”
Draco socchiude le palpebre. Sua è la parte del ragno. La
Granger, una farfallina indifesa. “Non mi sembra una tragedia! Se vuoi,
t’insegno io.”
Hermione apre la bocca. Draco sorride. “Digli di sì.”
Assecondami e cadi.
Terrò la tua mano fino in fondo.
***
Il miracolo dell’amicizia sta nel suo inesauribile serbatoio
di opportunità.
L’amore muore, si estingue o diventa odio: l’amicizia, no. Ha
sempre una porta di servizio, una seconda occasione, una scusa golosa, perché di
un amante puoi fare a meno, ma di un fratello, mai.
Lo sanno bene, Harry e Ron, che quella catena hanno forzato
mille volte, salvo scoprire – sollevati – che certi affetti durano una vita.
Spesso, direbbe Sirius, scivolano ben oltre.
Da quando hanno siglato la pace, tuttavia, Potter e Weasley
sono di nuovo una squadra, persino se tanto implica abbandonarsi a trastulli
infantili davanti allo sguardo incredulo di Minerva McGranitt.
“Insomma!” esala esasperata la strega, mentre la classe
rumoreggia e si prepara ad abbandonare l’aula. “Ho un’importante comunicazione
da fare e gradirei che mi ascoltaste. Tutti.”
Harry sbuffa, ma asseconda l’ingiunzione. Ron lo imita, senza
risparmiargli un’occhiata obliqua.
Che altre novità ci aspettano? Un’invasione di fatine
cannibali? suggerisce il suo sguardo seccato.
La McGranitt li squadra critica, libera un colpetto di tosse
e annuncia qualcosa che raggiunge le orecchie del Prescelto come l’ennesima
condanna.
“È ormai imminente il Ballo del Ceppo; evento, come alcuni di
voi sapranno…”
Harry guarda Ron. Weasley scuote il capo. Non sono tra i
fortunati consapevoli, insomma: e tanto non lo rassicura.
“… pensato per favorire la socializzazione tra gli studenti
delle Scuole partecipanti al Torneo. Un’occasione di gioia e letizia da
condividere…”
“Come no,” bofonchia Ron, subito folgorato da un’autorevole
occhiataccia.
Se non altro, pensa Harry, non è stato trasfigurato in un
furetto.
“Al ballo potranno partecipare solo i maghi che frequentano
almeno il quarto anno. Se qualcuno di voi volesse invitare uno studente più
giovane…”
O più grande.
Cho Chang. È lei che vorrebbe al proprio fianco.
Se ha a malapena il coraggio di guardarla, tuttavia, come può
sperare di trovare la voce per farle quell’offerta?
“È di rigore l’abito da cerimonia,” puntualizza ancora la
McGranitt, strappando a Ron un rantolo angosciato. “Quanto alle ragazze, è
concesso di tenere sciolti i capelli, anche se le ragioni di questa deroga
all’eleganza e al buongusto mi sfuggono.”
Lavanda e Calì liberano una risatina chioccia, che l’occhiata
fiammeggiante della professoressa trasforma in un pigolio sommesso.
“Questo, nondimeno, non esclude che rimangano in vigore tutte
le regole che tutelano la decenza e il buon nome di Hogwarts. Considererò
qualsivoglia infrazione come una personale offesa, e sin d’ora mi auguro che
nessuno degli studenti di Grifondoro assuma atteggiamenti deplorevoli.”
“Quali? Flirtare con un Serpeverde?” sogghigna Seamus dal
fondo dell’aula, mentre il suono della campanella annuncia, con la fine della
lezione, anche la liberazione da uno strazio annunciato.
Essere il prescelto, però, non sempre aiuta.
Vestire i panni gloriosi del campione di Hogwarts, poi, meno
che mai.
“No, Potter. Devo pregarvi di restare.”
La voce della McGranitt lo raggiunge che è già sulla porta.
La salvezza, prima così vicina, è ora il cenno essenziale con
cui Weasley si congeda, abbandonandolo al suo destino.
Se rinasco, voglio essere il signor Nessuno, rimugina
rabbioso.
“Cosa c’è?” domanda con malcelata irritazione.
La vecchia Minerva non si fa cogliere di sorpresa, né accusa
i suoi toni. “Ai campioni del Torneo è richiesto di aprire le danze.”
Harry quasi si sloga la mascella, ma non gli riesce
d’articolare una replica compiuta.
“Il che implica che invitino una dama all’altezza del ruolo.”
“Io… Io non ballo,” balbetta.
“Oh, sicuro che ballerete,” pontifica implacabile la
McGranitt. “E mi aspetto anche che sia un’esibizione all’altezza di Grifondoro.”
***
Caro Sirius,
si può sapere che fine hai fatto?
Non so quanti messaggi ti ho mandato, fino ad ora, e mai una
risposta.
Sei il mio padrino, no? Un padrino non mi costringerebbe a
umiliarmi di brutto proprio il giorno di Natale.
L’ultima volta in cui ti ho scritto, ti ho detto che
affrontare l’Ungaro Spinato era stata la prova più dura che avessi mai
affrontato nella vita. Ora ti dico che no, che c’è molto di peggio: c’è che devo
andare a un ballo e invitare una ragazza.
Come faccio?
Preferirei portarci un drago, te lo giuro! Nemmeno immaginavo
che a Hogwarts ce ne fossero così tante, di ragazze! Mi sento circondato,
osservato, cacciato. È come se tutti si aspettassero qualcosa da me, senza
preoccuparsi di farmi sapere cosa.
Probabilmente sono stupido, ma non so da che parte
cominciare. E poi la verità è che non mi piace questo ruolo: vorrei che una
ragazza mi chiedesse di portarla al ballo perché sono io, non perché sono il
campione di Hogwarts – ammesso, poi, che possa chiamarmi così.
Tutte le volte in cui mi capita di pensare al Ballo del
Ceppo, mi vengono in mente zio Vernon e la zia Petunia. Abbastanza scoraggiante,
non credi?
Che mi consigli?
E rispondimi, una buona volta! Non vorrai che chieda aiuto al
professor Piton, no? Senz’altro, almeno lui, non perderebbe l’occasione di
aiutarmi. Stanne certo!
Ti voglio bene e goditi la libertà.
Harry
Sirius sogghigna, anche se il suo è un riso malinconico,
venato di un sarcasmo autoreferenziale.
Ha nostalgia dei giorni in cui si sentiva come Harry; di
quando invitare una ragazza era una prova di coraggio e di vita. A secoli da
quei momenti gloriosi, sa invece che il coraggio non serve e che la tua vita è
la scommessa di qualcun altro.
Ripiega con cura la pergamena, Sirius, e sfama l’allocco
inviatogli da Harry. Sono così vicini, loro due, che l’obbligata distanza suona
ridicola e crudele. Eppure è necessaria: c’è qualcosa di tossico nel sangue dei
Black, e non può accettare di contaminare il poco che si è salvato dei suoi
affetti.
La sua, ormai, è l’eterna attesa di un riscatto impossibile.
Il sole, che è rimasto nascosto per buona parte della
giornata, è morto in un cupo tramonto dai radi barbagli sanguigni. Buck bello
è venuto a patti con la malefica pulce e ha sonnecchiato fin quando, con un
rapido frullare d’ali, il messaggero del suo figlioccio non gli ha ricordato
l’esistenza del mondo.
Non è cambiato molto dai giorni di prigionia, pensa sgomento.
Le cicatrici del ricordo, tuttavia, sono carceri senza chiavi.
“Non mi sembra che ti stia dando molto da fare.”
La voce di Piton, allusiva e detestabile, spezza il silenzio.
“Ho una ricca vita interiore,” replica in motteggio, mentre
il pozionista chiude la porta. “Hai qualche novità per un vecchio cane?”
Severus non raccoglie. La loro complicità forzata gli riesce
penosa, oppure è una parte che recita, perché gli anni hanno costruito maschere
che è conveniente portare. Senza, sarebbero costretti a cercarsi in uno specchio
cieco.
L’odio, a volte, è tutto quello che resta a dire di te.
“Sì e no,” replica Piton, porgendogli un involto – pane e
prosciutto affumicato: meglio della sbobba di Buck bello.
“Intendi?” mugugna, la bocca ingolfata da quell’imprevista
epifania di sapori.
“Ho trovato l’assassino dell’unicorno. È Florian Von Kessel
oltre ogni ragionevole dubbio.”
“L’hai costretto a confessare?”
Mocciosus solleva ironico un sopracciglio. “Non ne ho
bisogno; i silenzi parlano: basta saperli ascoltare.”
Sirius mastica un ghiotto boccone, senza dargli la
soddisfazione di una replica. Alla fine di quest’avventura, cosa resterà di
loro? Saranno ancora nemici o riporranno in una vecchia cassapanca l’abito
usurato dei ragazzi che sono stati?
“Era un silenzio loquace? L’hai capito, questo Von
Kessel, che intenzioni ha?”
Piton, appollaiato come una cutrettola spennata su una
vecchia sedia di paglia, tiene gli occhi bassi. Le labbra, sottili, sono
un’invisibile cicatrice.
“È un Mangiamorte.”
Secco, come un colpo di fucile.
Sirius quasi si strozza. “Che?”
Severus non ha espressione, come non ha calore la sua voce.
“Andiamo! È un ragazzino! Da quando…”
“Secondo te, al Signore Oscuro interessa?”
Non è una vera domanda, quanto una terribile affermazione.
“Chi sacrificheresti, tu? L’ariete o l’agnello?”
Non è il solito Severus: Sirius apre la bocca, ma non dice
nulla.
“Non chiedermi come lo so: lo so e basta. Lo sa anche
Silente.”
Black rinuncia al pasto. Chi avrebbe ancora fame, al suo
posto?
“E… Cosa conti di fare? Può rappresentare un pericolo per
Harry?”
Piton gli regala un sorriso crudele. “Harry, sempre Harry…
Non c’è che lui, no? Come non c’eravate che voialtri, a Hogwarts, quando si
trattava di dettare le regole!”
Quella di Severus è la rabbia ancestrale della vittima: un
risentimento storico che annichila ogni possibilità di confronto.
“È un pericolo per se stesso, prima di tutto, perché
Chi-Tu-Sai sta tornando e cerca carne fresca!”
Sirius stringe i pugni. “Non puoi farne una questione
personale! I tempi sono…”
“I tempi corrono e ricorrono! Solo gli stupidi credono che la
Storia sia una retta. È una curva, invece… E non vedi mai l’inizio.”
Piton freme. Il suo tono monocorde stride ora di mille
accenti diversi.
Black vorrebbe obiettare, ma sa che ha ragione.
In questo contesto, più che mai, il pozionista è la voce
della verità.
“Sai già come salvarlo?” offre mite.
Severus lo guarda e, d’improvviso, gli sembra di vedere
Mocciosus com’era allora: un adolescente silenzioso, dagli occhi disperati.
“Sarà lui ad avere l’ultima parola in merito. Io posso solo
dirgli come finisce.”
Sirius non lo tocca, ma nella sua voce c’è una lieve carezza
e Piton, forse, capirà.
“Mi sembra abbastanza,” mormora.
Lo spera sul serio.