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Autore: Callie_Stephanides    27/08/2011    17 recensioni
Quando si incontrano per la prima volta, in occasione della finale della Coppa del Mondo di Quidditch, Draco Malfoy e Hermione Granger devono ancora compiere quindici anni.
E' un rapido sguardo, il loro; la curiosità di un momento.
Qualche settimana più tardi, tuttavia, quando l'unico figlio di Lucius Malfoy arriva a Hogwarts con la legazione di Durmstrang per il Torneo Tremaghi, il Destino stringe il nodo di cui saranno gli estremi.
Puoi innamorarti della ragazza che ha rubato il cuore dello Czar di Durmstrang?
Se è tanto forte da sciogliere la prigione di ghiaccio in cui ti sei nascosto, forse sì.
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton, Sirius Black, Viktor Krum | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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- Questa storia fa parte della serie 'Dum spiro, spero'
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C’è chi dice che il sangue non ha colore, perché rossa è la vita comunque tu nasca.
Puoi avere la pelle di miele e occhi come braci ardenti, o il pallore lunare di un elfo: a scorrerti dentro, densa e dolciastra, è una linfa che livella tutto.
Eppure il sangue parla e racconta storie.
Il sangue, soprattutto, pesa.
Lo sa bene Draco, che è l’ultimo anello di una catena di Purosangue implacabili, doppi e astuti; lo sa questo fragile figlio di un clan condannato dall’ambizione.
Per il più giovane dei Malfoy, è un dovere, un destino, una missione. Il sangue, come il nome, è una bandiera per cui vivere o morire.
È il sangue che gli scorre dentro che gli ha insegnato a mentire; a farlo, almeno, con la disinvoltura dei politicanti corrotti.
La verità non esiste; la Storia è un racconto che imbastisce chi ha più fantasia, più mestiere, più talento: sono le parole di Lucius. È la voce dell’uomo che più ama e detesta al mondo – suo padre.
Come Florian, combatte un’ombra che è carne e sangue. La sua carne e il suo sangue.
Se avesse autentica esperienza della vita, tanto basterebbe a suggerirgli che sta giocando il più pericoloso dei giochi.
Draco simula da sempre, perché è debole, dunque indifeso davanti agli affetti, alla vita, allo spettro del padre. Ha fatto il possibile per piacergli in tutti questi anni, indossando una maschera ben aderente ai suoi effettivi desideri.
Lo odia, perché è schiavo del suo giudizio – ignora che Lucius si maledirebbe mille volte, se solo immaginasse dove la sua freddezza sta conducendo un cucciolo amatissimo.
È l’ossimoro della vita; il tragico di una quotidiana incomprensione.
Negli anni, tuttavia, Draco ha imparato anche che mentire equivale a manipolare; che costruire una realtà alternativa vuol dire trasformare tutti gli altri in comparse; che chi scrive le battute è il Demiurgo.
Che il Demiurgo è invincibile.

Gli occhi di Hermione lo sondano in profondità.
Se distogliesse lo sguardo, perderebbe ogni difesa. Non sa cosa gli dia questa certezza, ma l’istinto grida – e la sua è una voce di buonsenso.

“Chi siete davvero?”

E brava Granger.

È un sorriso istintivo che gli increspa le labbra, perché questa strana ragazza – non bella, non educata, non remissiva – lo sfida senza paura. Lo provoca. Lo seduce.
A quattordici anni annaspi nel caos delle emozioni confondendo le etichette, ma Draco no, è quasi sicuro di poter chiamare per nome la sgradevole morsa che lo stringe alla gola.
È un sasso nello stomaco, Hermione. È un dettaglio rilavante.

“Che?”
“Sai cosa voglio. Rispondi e basta.”
Invece no: non ha capito niente e sta rovinando tutto – tutti i suoi piani, almeno.

Te. È te che voglio.

Quel pensiero lo trafigge all’improvviso, molesto. Vorrebbe inghiottirlo, ma è ancora lei a incatenarlo, occhi da cane e una massa informe di capelli crespi. Bruttina, eppure bella. Inaspettata.
Draco stringe le labbra, sino a ridurle a un’impenetrabile fessura.
Non può confessarle la verità, ma di certo non mentirle, perché capirebbe.
Ne è sicuro.

“Siamo allievi di Durmstrang,” replica circospetto.
Hermione solleva ironica un sopracciglio. “Ma che novità! Non l’avrei mai detto!”
“È per questo che mi sono addentrato nella Foresta.”
“Uh?”
“Krum deve vincere. A ogni costo. Ero pronto a sabotare la prima prova. D’accordo?”
Hermione apre la bocca, ma non libera un fiato.
“È scorretto, lo so. Non avrei dovuto, ma ti assicuro che ho imparato la lezione.”
La Granger abbassa il viso, torcendosi le mani in modo penoso.
“Non c’è nessun segreto: Florian ed io volevamo aiutare Viktor. Se lo sapesse, per altro, non ci ringrazierebbe!”
Il tono è disteso, modulato ad arte perché simuli l’innocenza che non possiede.
Il trucco sta nel raccontare la verità, tutta la verità: una piccola omissione e… Pouff: ecco un’eccellente trasfigurazione delle intenzioni.
“Quindi, le fiale che abbiamo trovato…”
“Te l’ho detto: volevamo dare un contributo alla causa di Durmstrang. Non è del tutto contro il regolamento, credo.”
Hermione sospira, ma c’è una nuova morbidezza, in lei, che ha il sapore della resa.
“Vuoi denunciarmi?”
La Granger contrae le dita e scuote il capo. “Dovrei, ma… Forse hai già avuto la punizione che meritavi.”
Draco accenna un sorriso. “Sì, credo di sì.”
“Tuttavia…”
“Cosa?”
Esita, Hermione, e stringe a sé il libro quasi a cercare protezione. “Il tuo amico… È molto pericoloso.”
“Florian? Ti ho già spiegato che…”
“Ho il pessimo vizio di guardare ai fatti, non alle parole. Chiedigli cosa ha combinato nella Foresta Proibita, prima di difenderlo!”
Il registro è secco e tagliente: c’è del risentimento autentico, nella sua voce – e inquietudine e paura. Draco è abbastanza onesto da dirsi che sì, se Von Kessel non gli si fosse affezionato con la devozione di un cane, sarebbe il primo a temerlo.
Florian è fragile, dunque pericoloso: a dire di lui, una bacchetta dal cuore raro e sinistro.
Biancospino e Thestral. L’illusione e la morte.
“Mi dispiace… Io…”
Hermione si morde le labbra. “Non voglio le tue scuse. Non voglio niente. So che non mi piace quello che ho visto e so…”
Draco allunga il braccio e le sfiora i capelli. È una carezza da niente, ma la riduce al silenzio.
“Scusa.”
Hermione stringe i denti.
“C’è qualcosa che posso fare per…”
Le sfugge una risatina stridula. Imbarazzata. “Ti prego. Non sei tagliato per la parte di Gilderoy Allock!”
“Che?”
Ha le gote rosse e gli occhi brillanti. È così carina, ora, che potrebbe…
“E Viktor ci sta guardando. In modo inquietante.”
Immobile sulla soglia di Hogwarts, Krum li fissa con la cupidigia del predatore – ha invaso il suo territorio e vuol farglielo sapere. Non è un dettaglio che possa turbarlo, tuttavia: un Malfoy cambia pelle mille volte, e, come i serpenti, ha una lingua di miele e di veleno.
“Ops!” sogghigna. “Dimenticavo che qualcuno ti ha già premesso un possessivo.”
Hermione gli rifila un’occhiataccia. “Divertente… Sul serio!”
“Non volevo prenderti in giro. Viktor ha molto successo con le ragazze. Credevo che ti lusingasse ricevere le sue attenzioni.”
“Adesso basta! Sarà già un problema spiegargli che…”
“Cosa?”
Hermione fugge il suo sguardo. Il rossore che le imporpora il viso, se possibile, si è fatto ancora più evidente. “Mi ha invitato al Ballo del Ceppo, lo sai?”
Il ballo, già: strategia prevedibile, almeno quanto provvidenziale.
“Lo immaginavo,” osserva con malcelata ironia. “Qual è il problema? Il cavaliere non è di tuo gradimento?”
Hermione sbuffa – e non lo guarda.

Carina, sì. Sei carina e ti piaccio e non sai quanto questo mi torni utile.

“No… È che io…”
“Tu?”

Krum è a un pugno di passi. Divora la distanza con l’ansia comica dell’amante tradito, senza sapere che sta giocando un gioco infinitamente più grande – e pericoloso.
Può darsi che gli tocchi eliminarlo, prima o poi. A Karkaroff basterà sapere che è successo per una buona causa.

“Non so ballare! Non sono mai stata a un ballo. Non sono una signora!”
Draco socchiude le palpebre. Sua è la parte del ragno. La Granger, una farfallina indifesa. “Non mi sembra una tragedia! Se vuoi, t’insegno io.”
Hermione apre la bocca. Draco sorride. “Digli di sì.”

Assecondami e cadi.
Terrò la tua mano fino in fondo.

***

Il miracolo dell’amicizia sta nel suo inesauribile serbatoio di opportunità.
L’amore muore, si estingue o diventa odio: l’amicizia, no. Ha sempre una porta di servizio, una seconda occasione, una scusa golosa, perché di un amante puoi fare a meno, ma di un fratello, mai.
Lo sanno bene, Harry e Ron, che quella catena hanno forzato mille volte, salvo scoprire – sollevati – che certi affetti durano una vita. Spesso, direbbe Sirius, scivolano ben oltre.
Da quando hanno siglato la pace, tuttavia, Potter e Weasley sono di nuovo una squadra, persino se tanto implica abbandonarsi a trastulli infantili davanti allo sguardo incredulo di Minerva McGranitt.
“Insomma!” esala esasperata la strega, mentre la classe rumoreggia e si prepara ad abbandonare l’aula. “Ho un’importante comunicazione da fare e gradirei che mi ascoltaste. Tutti.”
Harry sbuffa, ma asseconda l’ingiunzione. Ron lo imita, senza risparmiargli un’occhiata obliqua.
Che altre novità ci aspettano? Un’invasione di fatine cannibali? suggerisce il suo sguardo seccato.
La McGranitt li squadra critica, libera un colpetto di tosse e annuncia qualcosa che raggiunge le orecchie del Prescelto come l’ennesima condanna.
“È ormai imminente il Ballo del Ceppo; evento, come alcuni di voi sapranno…”
Harry guarda Ron. Weasley scuote il capo. Non sono tra i fortunati consapevoli, insomma: e tanto non lo rassicura.
“… pensato per favorire la socializzazione tra gli studenti delle Scuole partecipanti al Torneo. Un’occasione di gioia e letizia da condividere…”
“Come no,” bofonchia Ron, subito folgorato da un’autorevole occhiataccia.
Se non altro, pensa Harry, non è stato trasfigurato in un furetto.
“Al ballo potranno partecipare solo i maghi che frequentano almeno il quarto anno. Se qualcuno di voi volesse invitare uno studente più giovane…”

O più grande.
Cho Chang.
È lei che vorrebbe al proprio fianco.

Se ha a malapena il coraggio di guardarla, tuttavia, come può sperare di trovare la voce per farle quell’offerta?

“È di rigore l’abito da cerimonia,” puntualizza ancora la McGranitt, strappando a Ron un rantolo angosciato. “Quanto alle ragazze, è concesso di tenere sciolti i capelli, anche se le ragioni di questa deroga all’eleganza e al buongusto mi sfuggono.”
Lavanda e Calì liberano una risatina chioccia, che l’occhiata fiammeggiante della professoressa trasforma in un pigolio sommesso.
“Questo, nondimeno, non esclude che rimangano in vigore tutte le regole che tutelano la decenza e il buon nome di Hogwarts. Considererò qualsivoglia infrazione come una personale offesa, e sin d’ora mi auguro che nessuno degli studenti di Grifondoro assuma atteggiamenti deplorevoli.”
“Quali? Flirtare con un Serpeverde?” sogghigna Seamus dal fondo dell’aula, mentre il suono della campanella annuncia, con la fine della lezione, anche la liberazione da uno strazio annunciato.
Essere il prescelto, però, non sempre aiuta.
Vestire i panni gloriosi del campione di Hogwarts, poi, meno che mai.

“No, Potter. Devo pregarvi di restare.”

La voce della McGranitt lo raggiunge che è già sulla porta.
La salvezza, prima così vicina, è ora il cenno essenziale con cui Weasley si congeda, abbandonandolo al suo destino.
Se rinasco, voglio essere il signor Nessuno, rimugina rabbioso.
“Cosa c’è?” domanda con malcelata irritazione.
La vecchia Minerva non si fa cogliere di sorpresa, né accusa i suoi toni. “Ai campioni del Torneo è richiesto di aprire le danze.”
Harry quasi si sloga la mascella, ma non gli riesce d’articolare una replica compiuta.
“Il che implica che invitino una dama all’altezza del ruolo.”
“Io… Io non ballo,” balbetta.
“Oh, sicuro che ballerete,” pontifica implacabile la McGranitt. “E mi aspetto anche che sia un’esibizione all’altezza di Grifondoro.”

***

Caro Sirius,
si può sapere che fine hai fatto?
Non so quanti messaggi ti ho mandato, fino ad ora, e mai una risposta.
Sei il mio padrino, no? Un padrino non mi costringerebbe a umiliarmi di brutto proprio il giorno di Natale.
L’ultima volta in cui ti ho scritto, ti ho detto che affrontare l’Ungaro Spinato era stata la prova più dura che avessi mai affrontato nella vita. Ora ti dico che no, che c’è molto di peggio: c’è che devo andare a un ballo e invitare una ragazza.
Come faccio?
Preferirei portarci un drago, te lo giuro! Nemmeno immaginavo che a Hogwarts ce ne fossero così tante, di ragazze! Mi sento circondato, osservato, cacciato. È come se tutti si aspettassero qualcosa da me, senza preoccuparsi di farmi sapere
cosa.
Probabilmente sono stupido, ma non so da che parte cominciare. E poi la verità è che non mi piace questo ruolo: vorrei che una ragazza mi chiedesse di portarla al ballo perché sono io, non perché sono il campione di Hogwarts – ammesso, poi, che possa chiamarmi così.
Tutte le volte in cui mi capita di pensare al Ballo del Ceppo, mi vengono in mente zio Vernon e la zia Petunia. Abbastanza scoraggiante, non credi?
Che mi consigli?
E rispondimi, una buona volta! Non vorrai che chieda aiuto al professor Piton, no? Senz’altro, almeno lui, non perderebbe l’occasione di
aiutarmi. Stanne certo!
Ti voglio bene e goditi la libertà.
Harry

Sirius sogghigna, anche se il suo è un riso malinconico, venato di un sarcasmo autoreferenziale.
Ha nostalgia dei giorni in cui si sentiva come Harry; di quando invitare una ragazza era una prova di coraggio e di vita. A secoli da quei momenti gloriosi, sa invece che il coraggio non serve e che la tua vita è la scommessa di qualcun altro.
Ripiega con cura la pergamena, Sirius, e sfama l’allocco inviatogli da Harry. Sono così vicini, loro due, che l’obbligata distanza suona ridicola e crudele. Eppure è necessaria: c’è qualcosa di tossico nel sangue dei Black, e non può accettare di contaminare il poco che si è salvato dei suoi affetti.
La sua, ormai, è l’eterna attesa di un riscatto impossibile.
Il sole, che è rimasto nascosto per buona parte della giornata, è morto in un cupo tramonto dai radi barbagli sanguigni. Buck bello è venuto a patti con la malefica pulce e ha sonnecchiato fin quando, con un rapido frullare d’ali, il messaggero del suo figlioccio non gli ha ricordato l’esistenza del mondo.
Non è cambiato molto dai giorni di prigionia, pensa sgomento. Le cicatrici del ricordo, tuttavia, sono carceri senza chiavi.

“Non mi sembra che ti stia dando molto da fare.”

La voce di Piton, allusiva e detestabile, spezza il silenzio.
“Ho una ricca vita interiore,” replica in motteggio, mentre il pozionista chiude la porta. “Hai qualche novità per un vecchio cane?”

Severus non raccoglie. La loro complicità forzata gli riesce penosa, oppure è una parte che recita, perché gli anni hanno costruito maschere che è conveniente portare. Senza, sarebbero costretti a cercarsi in uno specchio cieco.
L’odio, a volte, è tutto quello che resta a dire di te.

“Sì e no,” replica Piton, porgendogli un involto – pane e prosciutto affumicato: meglio della sbobba di Buck bello.
“Intendi?” mugugna, la bocca ingolfata da quell’imprevista epifania di sapori.
“Ho trovato l’assassino dell’unicorno. È Florian Von Kessel oltre ogni ragionevole dubbio.”
“L’hai costretto a confessare?”
Mocciosus solleva ironico un sopracciglio. “Non ne ho bisogno; i silenzi parlano: basta saperli ascoltare.”
Sirius mastica un ghiotto boccone, senza dargli la soddisfazione di una replica. Alla fine di quest’avventura, cosa resterà di loro? Saranno ancora nemici o riporranno in una vecchia cassapanca l’abito usurato dei ragazzi che sono stati?
“Era un silenzio loquace? L’hai capito, questo Von Kessel, che intenzioni ha?”
Piton, appollaiato come una cutrettola spennata su una vecchia sedia di paglia, tiene gli occhi bassi. Le labbra, sottili, sono un’invisibile cicatrice.
“È un Mangiamorte.”
Secco, come un colpo di fucile.
Sirius quasi si strozza. “Che?”
Severus non ha espressione, come non ha calore la sua voce.
“Andiamo! È un ragazzino! Da quando…”
“Secondo te, al Signore Oscuro interessa?”
Non è una vera domanda, quanto una terribile affermazione.
“Chi sacrificheresti, tu? L’ariete o l’agnello?”
Non è il solito Severus: Sirius apre la bocca, ma non dice nulla.
“Non chiedermi come lo so: lo so e basta. Lo sa anche Silente.”
Black rinuncia al pasto. Chi avrebbe ancora fame, al suo posto?
“E… Cosa conti di fare? Può rappresentare un pericolo per Harry?”
Piton gli regala un sorriso crudele. “Harry, sempre Harry… Non c’è che lui, no? Come non c’eravate che voialtri, a Hogwarts, quando si trattava di dettare le regole!”
Quella di Severus è la rabbia ancestrale della vittima: un risentimento storico che annichila ogni possibilità di confronto.
“È un pericolo per se stesso, prima di tutto, perché Chi-Tu-Sai sta tornando e cerca carne fresca!”
Sirius stringe i pugni. “Non puoi farne una questione personale! I tempi sono…”
“I tempi corrono e ricorrono! Solo gli stupidi credono che la Storia sia una retta. È una curva, invece… E non vedi mai l’inizio.”
Piton freme. Il suo tono monocorde stride ora di mille accenti diversi.
Black vorrebbe obiettare, ma sa che ha ragione.
In questo contesto, più che mai, il pozionista è la voce della verità.
“Sai già come salvarlo?” offre mite.
Severus lo guarda e, d’improvviso, gli sembra di vedere Mocciosus com’era allora: un adolescente silenzioso, dagli occhi disperati.
“Sarà lui ad avere l’ultima parola in merito. Io posso solo dirgli come finisce.”
Sirius non lo tocca, ma nella sua voce c’è una lieve carezza e Piton, forse, capirà.
“Mi sembra abbastanza,” mormora.
Lo spera sul serio.

   
 
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