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Autore: xNewYorker__    27/08/2011    1 recensioni
«Tra tutte le persone di questo mondo, perché a lui?» Chiese Booth, dando un peso assurdo a tutte quelle lacrime riversate sulla camicia. «Conosco i rischi del mio lavoro, ma non pensavo arrivassero a tanto.» Brennan lo guardò. «Pensi che l'abbiano guardato in faccia? Svegliati, Booth!»
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Parker
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Broken Bones'
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Quando sembrava che tutto si fosse messo a posto, quell’esplosione non fu solo una metafora. Spazzò via qualsiasi cosa, ma in compenso sembrava aver fatto superare a Booth e Brennan la lite precedentemente avuta. Adesso rimanevano lì, immobili sul marciapiede a vedere i ricordi di una vita andare a fuoco. Erano stretti, tanto da formare una sola persona, le loro anime si erano unite, come i loro cuori. Sembrava quella l’unica ancora a cui l’agente poteva ancora appoggiarsi, lei: Temperance Brennan. Ma se anche lei l’avesse abbandonato? Se avesse deciso di lasciarlo lì? Sarebbe stato disposto a lasciarla uscire dalla sua vita a passo di danza? Sarebbe stato disposto ad andare avanti, avendo perso le due persone più importanti della sua vita? No.
Era così…indifeso. Lui, proprio lui, era indifeso. Era una tortura, non poter fare niente ed essere sull’orlo di una crisi di nervi estrema. Eppure decise di rimanere lì ad osservare le vampate rosse e gialle uscire dalle finestre del suo appartamento, impotente. Sembrava paralizzato, non aveva neppure il coraggio di chiamare i vigili del fuoco. Bloccato, semplicemente bloccato. I suoi ricordi gli passarono per la mente come le scene di un vecchio film ricordate a tratti. Sospirò impercettibilmente e cercò sostegno nella dottoressa Brennan, stringendola più forte, facendole capire che era ancora lì, cosciente e presente.
Il silenzio si riempì di respiri e di battiti in un minuto. Erano avvolti dall’atmosfera che li circondava, e per un attimo sembrava che si fossero dimenticati che il fuoco non proveniva da un falò in spiaggia. Erano solo loro, loro contro il mondo intero, niente di più e niente di meno, solo loro.
Sciolsero l’abbraccio per avere maggiore visibilità del fuoco che stava per espandersi. Le sirene ruppero lo stato di equilibrato silenzio tra i due, che sussultarono e rimasero lì a fissare la scena. Sembrava però che il loro sguardo non fosse direttamente rivolto alle fiamme, quanto a qualcosa di più profondo: i ricordi che stavano portando via, tutta la vita di Booth.
«Perché non siete stati voi a chiamarci? Dicono che fissate la scena da un sacco!» Esclamò una voce sicuramente sconosciuta. Loro sembravano in uno stato di trans, e l’uomo non ricevette risposta. Passò loro una mano di fronte agli occhi. «Heylà!» Ancora nessuna risposta, indi si fiondò dentro casa per assicurarsi che non ci fosse nessuno prima di stroncare l’incendio dalle viscere. In poco tempo, della facciata bianco/giallastra di quel piano del condominio rimase solo un po’ d’intonaco malamente gettato in strada, tutto il resto era…buio. I vetri delle finestre erano esplosi, e qualche pezzetto annerito era finito di fronte alle scarpe di Booth, che impassibile li fissava senza la possibilità di voltarsi.
Poté ruotare di poco il capo appena notata l’assenza di qualcosa al suo fianco. I suoi occhi castani non si persero, come previsto, in quelli azzurri della dottoressa, che stava a qualche passo di distanza, a parlare con un vigile rimasto fuori a controllare per assicurarsi che i suoi uomini fossero al sicuro.
«Bones…» mormorò, provando a muovere i piedi per avvicinarsi a lei e non riuscendoci. Iniziò a sentire un dolore lancinante percorrergli il torace, e provò ad aumentare il tono e a muoversi, per scacciarlo, sempre con tentativi vani. «Booones…» non riusciva ad urlare. Temperance si voltò appena in tempo per vederlo cadere agonizzante sull’asfalto.
 
La sala d’aspetto appariva più tetra di quanto la ricordasse. L’ultimo evento che l’aveva legata a quella sala era stata l’esplosione all’interno del suo frigo, quella che aveva fatto finire per la prima volta in sua presenza Booth su un lettino d’ospedale. Era seduta su una sedia blu a fissare il nulla a mente totalmente vuota. Non stava pensando a niente, non voleva ipotizzare. Per una volta non voleva elaborare tesi, sarebbe stata male, più di quanto non lo era già stata fino a quel momento.
Intravide tra le proprie dita un camice bianco. Tolse le mani di fronte agli occhi e sollevò il capo, appena per riuscire a vedere un rivoletto di sudore percorrergli la parte alta della fronte. L’uomo si fermò di fronte a lei sospirando. «E’ fuori pericolo» disse. Lei si lasciò andare all’indietro, pensando che probabilmente il peggio fosse passato, pur non essendone sicura più di tanto.
«E’ stato un infarto, suppongo» eccola, stava ipotizzando. Strinse gli occhi, che vennero riaperti e videro l’uomo in camice che annuiva, con un’espressione ironicamente malinconica.
«Potrà andarlo a trovare tra un paio d’ore, fa meglio a riposare adesso» e detto questo sparì all’interno del corridoio.
Angela le posò una mano sulla spalla. Fu praticamente solo in quell’istante che si accorse della sua presenza, prima era stretta tra due muri di preoccupazione che era persino possibile tagliare a fettine con un coltello. «Tesoro…sta bene» . «Ha avuto un infarto, mica un colpo di tosse» . «Lo so, ma il dottore ha detto che…» . «Non mi interessa cos’ha detto! Ha subito troppi traumi in così poco tempo…e pensare che io stavo per…» l’ultima parte della frase venne inghiottita insieme a quel po’ di saliva che bastava per non lasciarle la bocca asciutta. «Continua…» la invitò l’amica. «per lasciarlo. Non…non avrebbe retto anche a questo» Angela provò a rimanere impassibile, per quanto fosse in realtà palesemente stupita e imbarazzata dalla situazione che si era venuta a creare.
 
Tre ore dopo, Brennan era nella stanza del collega, che dopotutto riposava come un angelo che si era appena salvato per miracolo da un’esplosione. A volte farfugliava qualcosa, e sembrava agitato, lo si vedeva dalle sporadiche gocce di sudore, e dal fatto che si girava di continuo. Quando lui parlava, lei era lì. Quando si rigirava a destra e a sinistra, lei era ancora lì. Quando la ignorava, o la nominava durante un incubo, lei era ancora una volta lì. E sarebbe sempre stato così, sempre. Lo sapeva, e voleva dirglielo in qualsiasi modo. Trovò un quaderno ed una penna sul comodino, e quei due oggetti furono come la sua ancora di salvezza in un mare di sentimenti inespressi. Si sedette sulla sedia, usando il comodino stesso come supporto. Lo aprì e iniziò a scrivere.
“Iniziare una lettera con un freddo e convenzionale “caro” non mi sembra adeguato in questo caso, ammesso che l’abbia già fatto. Preferisco scrivere questa lettera in modo informale, in uno stile che sicuramente non m’appartiene ma che spero ti faccia arrivare quello che provo scrivendola. Immagina che ti stia parlando, perché sono proprio qui, accanto a te, mentre probabilmente sei in una situazione critica post-infarto. Sono state le due ore peggiori della mia vita, sommate a quella in cui sono rimasta lì ad aspettare i risultati dell’operazione a New York. Questa però è un’altra storia che non voglio riportarti alla mente. Voglio che tu legga questa lettera con un sorriso dei tuoi sulle labbra. Promettimelo, Booth, non accetto obbiezioni, questa volta davvero. La situazione sembra essersi stabilizzata, e anch’io in un certo senso sto meglio. In un certo senso questo tuo malore ha fatto in modo che non facessi la scelta peggiore della mia vita. Non per questo lo ringrazio, naturalmente, no. Tu mi hai insegnato a mettere il cervello da parte e a fare lavorare quell’organo involontario che è il cuore. “Fatti guidare, Bones, e farai la scelta giusta” sono le parole che hai usato per provare a convincermi. Ti avevo detto che non avrei mai potuto seguire questo consiglio, che il cuore andava messo in una scatola durante determinate situazioni, e che i sentimenti erano una cosa che non mi apparteneva. Ho dovuto ricredermi. Beh si, mi sono ricreduta e non te l’ho detto, spero mi perdonerai. Questa volta il mio cuore ha lavorato piuttosto bene, direi. Il tuo un po’ meno. Battuta triste, si, ma sai, non sono brava con queste cose. Anzi, perdonami in partenza, perché probabilmente questa lettera finirà nel cestino della stanza e non la leggerai mai, e me lo auguro. Più che altro è indirizzata a me stessa, è una riflessione personale su quello che vorrei dirti, ma non sono capace di scrivere altro, perdonami ancora. Troverò le parole, lo sento, e quando le troverò promettimi che mi ascolterai come hai sempre fatto da quando mi conosci. Inutile, so che lo farai. Grazie di tutto.”
Appena finito richiuse il quaderno e ci posò la penna in mezzo, allontanandosi bruscamente dal comodino per non destare sospetti ad un Booth che aveva appena aperto l’occhio destro e sembrava sorriderle dalla sua postazione a qualche centimetro di distanza.
«Ti sei svegliato…» . «Già. Ho avuto paura, Bones» Il suo sguardo era più serio che mai, così come il tono, appariva davvero intimorito da qualcosa, qualcosa che non se n’era andato. Il sogno che aveva fatto qualche notte/mattina prima continuava a tormentarlo, e l’aveva tormentato durante l’operazione, continuando fino a cinque minuti prima.
«Cosa è successo?» Chiese lei, con un filo di voce, quasi senza far sentire la sua domanda all’altro, che invece sospirò e sollevò di poco il capo per poterla guardare meglio, quasi ad accertarsi che fosse davvero lei, e che non la stesse solo immaginando.
«Un…niente, Bones, niente. Sta’ tranquilla» Sorrise, provando a toglierle la preoccupazione di dosso, invano. Lei però finse di essere rassicurata da quelle parole, ricambiando il suo sorriso com’era solita fare in questi momenti. Non voleva allarmarlo, né tantomeno metterlo sottopressione. «D’accordo. Senti…adesso faccio entrare Hodgins, ci tiene. Ci vediamo dopo» sorrise nuovamente, alzandosi dalla sedia e voltandosi direttamente, camminando verso l’uscita della stanza. Appena fuori, richiuse la porta ed indicò la via all’entomologo, che si apprestò a seguirla, bloccandosi appena davanti al legno bianco, e voltandosi di scatto verso il corridoio, dal quale proveniva un continuo urlo isterico e acuto. Angela, intanto, non era più accanto agli altri, e Cam correva a gambe levate in direzione del rumore.
«ANGELA!» urlò Jack, precipitandosi al seguito della donna, per controllare.
 
 
Spazio autrice:
Mi spiace averlo sospeso per tanto tempo…beh, relativamente tanto.
Ringrazio chi finora ha recensito, chi ha messo la storia tra le seguite e chi tra le preferite. Grazie di cuore, spero continuiate a seguirmi.
   
 
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