C’era solo una cosa
oltre alla mia casa, che mi teneva legato ai miei genitori. La mia vecchia
auto. Una scassata Audi A4 Avant del ’96 o giù di lì, che mi portava però dove
volevo io senza particolari problemi. Soprattutto piaceva a Francesco per la
comodità dei sedili, dato che immancabilmente, tutte le volte che andavo con
lui a ballare, si portava dietro qualche ragazzino. Se pensate che ero
invidioso? Eccome, se lo ero.
- Questo qui è nuovo.
Ha appena diciotto anni, ma mi sembra abbastanza intelligente. – disse
Francesco, accomodandosi sul sedile passeggero con la stessa grazia di un
imprenditore che s’accende un sigaro in limousine.
- Come si chiama? –
domandai io, guardando la strada per dare la precedenza. Passarono una
Cinquecento nuova ed una Lancia Ypsilon.
- Si chiama Simone. È
molto carino, sai? – lo disse con una nota di felicità. Era incredibile come
Francesco riusciva a sembrare innamorato quando invece non lo era per niente.
Lui aveva appena vent’anni, io venticinque, e mentre io di esperienze sul curriculum
ne vantavo poche e fallimentari, lui poteva vantare un’esperienza consolidata e
testimoniata dal sottoscritto, che quasi ogni sera si vedeva arrivare in casa
ragazzi sconosciuti, a volte anche molto belli. Questi suoi compagni di giochi
mi guardavano e mi schifavano dentro di loro, solo perché ero un po’
sovrappeso. Solo una volta ricordo che uno di loro, incuriosito forse dal
tavolo da disegno, entrò in camera mia e si mise a guardare con me i disegni
che stavo facendo.
- Che fai? – mi
chiese, gentilmente.
Con la matita ancora
in mano, mi girai e lo guardai (non ricordo come si chiamasse, forse
Mattia...), quindi con molta calma risposi – Oh, niente. Stavo solo preparando
i nuovi disegni… -
- E lo chiami niente?
– disse “Mattia”. – Questi disegni sono favolosi – dichiarò, prendendone un
foglio in mano senza che io gli avessi nemmeno dato il permesso esplicito. Come
previsto, le sue dita macchiarono le tavole di grafite, ed io dentro di me
bestemmiai perché avrei dovuto toglierle prima dell’inchiostrazione a china.
- Sei un fumettista?
– mi chiese ancora Mattia.
- No… non
ufficialmente, almeno. Diciamo che è una passione. I miei mi vorrebbero
avvocato. – e mentre dicevo quelle parole, feci un cenno con il sopracciglio ai
miei libri di diritto sullo scaffale alto della libreria.
- Ah capisco… - disse
annuendo Mattia, poi mi sorrise – Senti, il tuo amico è di là con il mio amico…
che ne dici se io resto un po’ qui? –
Non sapendo bene cosa
dire, mi strinsi nelle spalle. Era un ragazzo molto carino, biondo chiaro e
dagli occhi celesti e curiosi. Lui interpretò il mio stringermi nelle spalle
come un cenno affermativo, quindi si mise comodo sul letto, si tolse le scarpe
e mi sorrise.
Io lo guardai, e gli
sorrisi.
Ma quella notte non
ci fu niente. Mattia si addormentò nel mio letto, ed io andai a dormire sul
divano dell’altra stanza, quella che di solito rimaneva sfitta. Chiamatemi
fesso, ma proprio non ce l’avrei fatta. È più forte di me, quando ho
un’occasione tra le mani, non riesco a prenderla al volo. Davvero, chiamatemi
fesso.
- Sai cosa penso? –
la voce di Francesco interruppe il corso dei miei pensieri mentre guidavo. –
Cosa? – domandai io, spingendo la frizione e cambiando marcia.
- Pensavo di
presentarti un mio amico. A lui piacciono gli orsi, e magari… -
- Fra, ma devi per
forza vedermi accasato, per essere felice? – lo presi in contropiede. Per la
verità non mi piaceva l’idea che un ragazzo potesse provare dei sentimenti per
me solo in base al mio fisico. Io ero qualcosa di più di un semplice ragazzo
gay. Cazzo, ero un fumettista! Dilettante, ma pur sempre un fumettista.
Contrariamente alle
mie aspettative, il buon Fra (che era un tipo parecchio alla mano), si mise a
ridere.
- Eh ma come sei
orso. Bravo, così mi piaci! E comunque no, non mi serve vederti accasato per
essere felice – disse, con un tono un po’ più serio – voglio solo sdebitarmi
con te per tutti i ragazzi che mi porto nel tuo letto. –
- Non sapevo ci fosse
una clausola nel contratto che prevedesse che mi devi procurare da scopare per
appianare i tuoi affitti… - dissi, sarcasticamente. Questa volta Francesco non
rise.
- Dio, che palle di
uomo sei. Ma hai idea di quanti nelle tue condizioni farebbero a gara per avere
un amico come me, che gli presenta persone e porta a casa gente? Cavolo, non
sei riuscito ad impapocchiare nulla nemmeno con Mattia, che è tanto un bel
ragazzo! –
Evitai di
rispondergli, non già perché la mia risposta sarebbe stata un sonoro
“vaffanculo”, o perché nonostante la mole fossi un ragazzo pacifico, quanto
perché sarebbe stato meglio non demolirgli la faccia a pugni proprio in quel
momento. Eravamo arrivati.
Mi credereste se vi
dicessi che posti come quello non fanno per me? La discoteca gay ha un qualcosa
di strano, un’aura che soltanto quelli grossi come me riescono a percepire. Ti
guardi intorno e ti senti guardato da tutti, per come sei vestito, per come ti
muovi, per quanto pesi. Credete che sia facile per me entrare in un posto come
quello senza essere preso dalle smanie di confronto? Come ho detto tante volte
a Fiorella (la mia psicologa), in discoteca io mi sento un alieno!
- Ciaaaaao Fra! –
sento dire all’improvviso. Questo era un ragazzetto sui ventitré, con i capelli
castani sparati su con il gel ed un piercing a pallino al labbro inferiore, che
si aggrappò a Francesco e lo baciò tre volte sulle guance.
- Ma ciao, puttanona
– replicò Francesco, ridacchiando. Un altro ragazzo sopraggiunse, questo era
più chiaro di carnagione e portava i capelli biondi pettinati alla moda Emo,
ovvero con un frangione che copriva tutto l’occhio sinistro. Francesco salutò
anche l’altro e poi, come per magia, si ricordò di me, dato che nemmeno le sue
due “amiche” si erano degnate di salutarmi. Funziona così, nel mondo gay: se
non sei attraente, puoi anche andare all’Eni, cospargerti di benzina e poi
accenderti una sigaretta, che tanto non ti vedranno mai.
- Questo è il mio
padrone di casa, Donatello. Donatello, i miei amici, Andrea e Gabriele. –
questi ultimi mi guardarono con quella tetra indifferenza che una ricca signora
userebbe quando passa un euro di elemosina ad un povero marocchino, e mi
porsero la mano allo stesso modo. La stretta di mano era poco convinta, come al
solito… Piacere, piacere… ed ecco che si erano di nuovo dimenticati di me, per
concentrarsi sul vero bocconcino della serata: Francesco.
Secondo voi, è
possibile che un ragazzo di vent’anni riesca a farsi tante avventure, senza che
nessuna di esse possa influenzarlo a tal punto da fargli perdere la testa?
Teoricamente è possibile, specie se questo ragazzo di vent’anni è carino e
tutti lo vogliono. Se proprio dovesse entrare in crisi per via di uno che ama
ma senza essere ricambiato, saprebbe di sicuro come consolarsi. Avanti un altro
e via andare. Osservavo Francesco ballare dal cantuccio che mi ero scelto, su
un divano nero di pelle. Tracannavo il mio drink e vedevo ogni scena
strutturata come in uno dei miei fumetti. Francesco che ballava con questi due,
questi che gli dicevano corbellerie in uno strano alfabeto muto, e lui che
baciava prima uno e poi l’altro. Scossi la testa, sospirando. Per non cedere
allo sconforto, spostai l’inquadratura più a desta, dove torme di uomini
ultraquarantenni ballavano… soli. Oppure in gruppi di età omogenea. Mentre li
guardavo, mi venne in mente che non sapevo disegnare bene le persone avanti con
gli anni. Ero più portato alla perfezione, e le imperfezioni che sono
patrimonio dell’età non mi appartenevano. Questo mio piccolo difetto mi
spaventava non poco. E se un giorno fossi stato contattato da un grande
editore, mi sarebbe stata sottoposta una storia da disegnare in cui c’erano
degli uomini anziani? Cos’avrei potuto fare? Cercai di non pensarci,
ripromettendomi ancora una volta di provare e riprovare a disegnare più persone
anziane.
E un altro gruppetto
che mi guardava.
Beh, e allora? Sono
seduto, che c’è di strano. Non avete mai visto un ragazzo seduto su un divano?
Mi chiesi che
cos’avrebbero mai fatto tutti questi qui se adesso ci fosse stato Dandy Landy
al mio fianco. Avrebbero sorriso? Avrebbero riso? O forse sarebbero schiattati
d’invidia?
Optai per la terza.