Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: Adhara92    28/08/2011    4 recensioni
-Shahrazad domandò al Re:
“Mi permettete di raccontarvi una storia?”
“Si” disse il Re
Tutta presa dalla sua gioia segreta Shahrazad si rivolse a lui.
“Ascoltate…”disse.-
Shahrazad racconta la storia di Altair e di Malik e l'intrecciarsi delle loro vite dopo l'arrivo dei fratelli A-Sayf a Masyaf, la nascita di una forte amicizia.
Dal 9°capitolo: “Altair tolse la cappa superiore, poi si spogliò completamente. Mise le mani a coppa e prelevò dell’acqua per lavarsi il viso poi prese un panno e dopo averlo bagnato cominciò a strofinarlo delicatamente sul tutto il corpo, sentiva la stanchezza lentamente defluire dalle spalle, passò il panno sul petto muscoloso,sugli addominali, sulle gambe e sulle braccia cercando di liberarsi dalla polvere del deserto. Piccole gocce d’acqua precipitavano lentamente verso il basso carezzando la pelle brunita dal sole."
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Al Mualim , Altaïr Ibn-La Ahad , Kadar Al-Sayf , Malik Al-Sayf
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le Mille e una notte cap1 “Il Re Shahriyar prese la seguente decisione: per il futuro non avrebbe tenuto nessuna delle sue mogli oltre la prima notte di nozze; le avrebbe fatte morire l’indomani stesso.
Così non gli sarebbe più toccato subire gli effetti della cattiveria delle donne e i loro stratagemmi.”
 
               
Il Sole tramontava lentamente all’orizzonte illuminando la città di Baghdad di una placida luce aranciata che si rifletteva sui tetti ocra del quartiere ricco. Il palazzo del Re sovrastava in magnificenza e bellezza tutti gli altri edifici, le cupole rivestite in oro riflettevano e accrescevano la luce illuminando gli splendidi fregi blu cobalto dalle volute floreali e arboree. Le guardie sorvegliavano dall’alto le strade che iniziavano a svuotarsi a causa dell’imminenza della notte, i mercanti ritiravano dai loro banchi le merci e contavano le monete.
Nel salone principale della sua reggia il Re Shahriyar attendeva, vestito di meraviglioso broccato di seta di Mossul, l’arrivo della sua prossima sposa. Dopo essersi unito a essa durante la prima notte di nozze l’avrebbe messa a morte, il giorno seguente avrebbe sposato un’altra fanciulla; in questo modo le sue spose non avrebbero potuto disonorarlo unendosi ad altri uomini.
Il corteo nuziale procedeva lento e mesto per le vie della città poiché ormai la consuetudine del Re era assai nota, le fanciulle che accompagnavano la sposa avevano il volto rigato di lacrime e si percuotevano il petto addolorate per la sorte della loro compagna; in mezzo ad esse procedeva la sposa, Shahrazad, essa indossava un abito rosso decorato da ricami in filo d’oro che rilucevano nell’aria della sera, il suo volto era sorridente e il suo sguardo deciso e sicuro.
Il corteo entrò nel palazzo e giunse nella sala dove il Re Shahriyar sedeva su un trono di legno intarsiato incastonato di pietre preziose e decorato a foglia d’oro. La sposa avanzò verso il futuro marito, coloro che l’accompagnavano si sedettero sui preziosi tappeti blu e oro provenienti dalla città di Damasco e si predisposero alla celebrazione delle nozze.
Shahrazad si inchinò ai piedi del Re, egli le prese le mani e la fece sedere su una sedia più piccola ma ugualmente bella e intarsiata di gemme, quindi entrambi gli sposi prestarono i giuramenti e dopo aver recitato le preghiere furono uniti nel nome di Allah. Conclusosi il banchetto nuziale, Shahriyar prese per mano la sua bella sposa e la condusse nella camera nuziale, qui la fece distendere sul letto per consumare il frutto delle nozze. La Luna sorgeva mostrando di sé solo una piccola falce illuminata, le stelle pulsavano nell’infinità del cielo nero, uniche testimoni dell’unione dei due amanti, ignare del triste destino della sposa. Nel giardino del palazzo i Gelsomini notturni fremevano nell’aria carica di rugiada e di passione, schiudendo le loro corolle al vento fresco della notte.
Dopo che le nozze furono consumate Shahrazad domandò al Re:
“Mi permettete di raccontarvi una storia?”
“Si” disse il Re
Tutta presa dalla sua gioia segreta Shahrazad si rivolse a lui.
“Ascoltate…”disse.
 
<
L’inverno si era posato con le sue ali di argentea neve sulle montagne e su Masyaf; gli abitanti del paese, ormai liberi dal lavoro agreste, riposavano attorno al fuoco nelle loro case accoglienti, narrandosi racconti per passare il tempo. Gli Assassini rimasti nella fortezza sedevano in biblioteca e studiavano gli antichi manoscritti, i più giovani di essi, annoiati dalle letture sedevano in cerchio scherzando tra di loro.
All’esterno il vento freddo del nord trasportava la neve che cadeva incessante ormai da giorni interi. L’atmosfera era satura del bianco nevischio, gli alberi erano ricoperti di neve e la terra era ghiacciata. Nel cortile della fortezza, che durante le altre stagioni risuonava dell’ardore delle armi, si avvertiva un silenzio innaturale, interrotto soltanto dai passi ovattati di due sentinelle.
Una figura vestita di bianco stava in piedi, in mezzo al vento gelido, su una delle passerelle della torre principale, osservava, con gli occhi color dell’oro, un’aquila che si librava nel bel mezzo della tempesta non temendo le fredde e violente raffiche. Era poco più di un ragazzo, Altair era il suo nome, la sua carnagione ambrata risaltava in tutto quel candore, i suoi occhi vivi e penetranti scrutavano tra le nubi, come a voler indagare qualche segreto celato agli uomini. Egli era assai simile a un’aquila: silenzioso, nobile, fiero e, soprattutto, letale; tra gli Assassini della fortezza infatti egli era il più dotato e il favorito dal Maestro. Gli altri provavano invidia nei suoi confronti nonostante ciò lo lodavano in modo servile e subdolo; egli non era amico di nessuno e nessuno lo avvicinava a causa del suo carattere scostante, il cappuccio gli copriva perennemente il volto proteggendolo come uno scudo adamantino e indistruttibile, affinché nessuno potesse scrutarvi attraverso le sue emozioni.
“Nulla è reale, tutto è lecito. Non sono forse gli uomini che fanno la storia? Non sono le loro azioni che cambiano il corso delle cose? Quindi all’uomo tutto è lecito. Egli può governare sui grandi, può sottomettere gli onesti; non deve seguire regole ma imporsi sugli altri. L’uomo è fatto per sopraffare i suoi simili o per soccombere. Coloro che sono forti vengono serviti da individui che mellifluamente li adulano per ricevere su loro stessi un po’ di luce.” Pensava il giovane dal cuore indurito a causa della lunga solitudine.
Mentre la neve continuava a cadere tre figure ammantate di nero si muovevano a stento nella neve fresca dirigendosi verso il cancello della fortezza, ad ogni passo le gambe affondavano nella neve rendendo quasi impossibile l’arrivo al cancello della fortezza, le due figure più piccole camminavano incespicando in continuazione. La sentinella incocco la freccia sull’arco e tese la corda pronta a scagliare il dardo mortale.
“Chi siete e cosa volete?” urlò nevosa dalla cinta delle mura di guardia.
“Sono un abitante di questa regione, sono venuto qui per parlare con il Maestro, ho un dono per lui” rispose il più alto.
La seconda sentinella si avvicinò al cancello principale ed essendosi assicurata che le tre figure non portassero armi, aprì una piccola porta e li fece entrare. “Qual è il vostro nome?” “Sono Sayf ibn Badr e questi sono i miei due figli.” Le due figure più piccole si strinsero al padre tremando per il freddo e per la paura. La sentinella li scrutò con sguardo duro poi voltò le spalle e disse “Seguitemi prima che cambi idea”.
I quattro si avviarono verso la zona principale della fortezza, superarono le sentinelle di guardia alla porta e salirono la lunga scalinata dove furono introdotti da un altro Assassino ad attendere il Maestro.
Le tre figure vennero lasciate sole davanti ad una porta chiusa, un giovane incappucciato aprì la porta, li fece entrare e i lasciò insieme al gran Maestro.
Sayf si buttò in ginocchio trascinando i due figli, poi parlò “Maestro, non sono più in grado di mantenere i miei due figli, l’inverno è stato rigido, mia moglie è morta ed io non ho nulla con cui sfamarli, prendeteli con voi alla fortezza, sono due ragazzini forti, vi serviranno fedelmente.”
Al Mualim lo fissò severamente quasi con disprezzo, poi prendendo un sacchetto di monete dalle sue tasche lo lanciò all’uomo e disse: “Lasciatemi i ragazzi, voi invece andatevene e non tornate più.” L’uomo si alzò e, continuando a inchinarsi in modo servile in direzione del benefattore, abbandonò la stanza, uscito dalla fortezza iniziò a correre; obbedendo all’ordine del Maestro non si fece più rivedere. Al Mualim fissò i due ragazzini, uno aveva 15 anni l’altro doveva averne all’incirca 8, apparivano entrambi sani e robusti nonostante la fame patita durante la stagione rigida. “Alzatevi e mostratemi i vostri volti!” ordinò con tono perentorio.
Il bambino più piccolo alzò la testa e vide la cavità vitrea dell’occhio cieco del Maestro, singhiozzando per la paura si nascose dietro al fratello maggiore. Questi lo abbracciò con forza e gli sussurrò all’orecchio “Non temere Kadar andrà tutto bene, ci sono io insieme a te”.
Al Mualim fissò il ragazzo più grande e disse: “Il mio nome è Al Mualim e sono il Maestro della fortezza, da oggi voi sarete al mio servizio, ora ditemi i vostri nomi.” Il ragazzo lo fissò timoroso per qualche secondo poi si azzardò a rispondere “Il mio nome è Malik, questo è mio fratello Kadar.” Il piccolino, ancora con le lacrime agli occhi, singhiozzava in silenzio stringendo i vestiti del fratello e tremava per il freddo.
Al Mualim chiamò uno degli Assassini più giovani, questi entrò e si inginocchiò davanti al Maestro.
“Kalim, dà dei vestiti da novizi a questi due ragazzi e portali in una stanza libera. Domani li presenterai ai maestri.”
“Maestro, non ci sono stanze libere nella fortezza eccetto una, quella a fianco della camera di Altair.”
“Risiederanno lì, ora obbedisci al mio ordine! E voi seguitelo!” Tuonò Al Mualim.
Kalim si alzò e i due ragazzini si affrettarono a camminare dietro di lui per non far infuriare ancora di più il gran Maestro.
Usciti dalla porta Kalim si avviò verso un magazzino, seguito sempre dai nuovi arrivati, lì affidò loro dei vestiti asciutti e adatti alla stagione fredda, vestiti da Assassini. Poi li accompagnò nella parte estrema dell’ala est della fortezza, alla penultima stanza, che aprì. All’interno erano sistemati due pagliericci, adagiati su dei tappeti, nell’angolo c’era un armadio in cui erano appoggiate delle coperte.
“Questa sarà la vostra stanza, mi dispiace, dovrete far attenzione a non far infuriare Altair, colui che abita nella camera accanto; non è un ragazzo socievole, tutti nella fortezza lo odiano e lo temono, è il preferito dal Maestro, quindi nessuno può contrastarlo, egli fa ciò che vuole.”
Kalim si voltò verso l’uscita e in quell’esatto momento sbiancò notando la figura che silenziosa percorreva il corridoio. Kadar vista la reazione dell’Assassino si fece ancora più piccolo abbracciando il fratello. Un ragazzo incappucciato stava avanzando a grandi passi verso l’ultima camera, non degnando minimamente di uno sguardo le tre figure, i suoi abiti erano completamente fradici. Il suo viso esprimeva rabbia.
Kalim trovò la forza di balbettare “Sa Salute e pace Altair…” venne fulminato da uno sguardo agghiacciante. Altair proseguì senza rispondergli, entrò nella camera e si chiuse la porta alle spalle. Appena entrato si liberò delle vesti bagnate, si asciugò i capelli castani con un panno e si rivestì con abiti puliti e asciutti. Poi si sedette sul suo pagliericcio, aveva sentito le parole con le quali l’altro Assassino lo aveva descritto. Non erano parole in grado di ferire la sua anima inaridita, eppure era infastidito dal fatto di essere trattato con servilismo da tutti gli Assassini per poi essere disprezzato e insultato quando non era presente. “Gli uomini sono tutti uguali, servi di coloro che sono più forti, sempre pronti a pugnalarli alle spalle in un attimo di distrazione.” Nello stesso momento Kalim, ancora scosso per il pericolo corso, si voltò e dopo aver salutato i fratelli, uscì dalla stanza lasciandoli soli.
Malik avvicinò i due pagliericci in modo che il fratellino potesse dormire al suo fianco, poi si voltò verso di lui e sorridendo gli asciugò i lacrimoni, e gli diede un bacio sulla fronte “Stai tranquillo Kadar, vivremo bene qui, io sarò sempre con te e non avrai niente da temere.” Il piccolo annuì tirando sonoramente su con il naso, poi sorrise.
Dopo qualche minuto bussarono alla porta, Malik andò ad aprire e si trovò davanti ad un uomo anziano, con una lunga barba grigia, che recava in mano una grossa ciotola fumante di zuppa e del pane, la porse sorridendo al ragazzo, Malik lo ringraziò e si inchinò a lui. L’uomo si voltò e li lasciò nuovamente soli. Malik appoggiò la ciotola sul pavimento, divise il pane in due pezzi e diede la parte più grande al fratellino, i due mangiarono famelici la zuppa calda intingendovi dentro il pane.
Il bambino alzò improvvisamente gli occhi dal suo pasto d domandò
“Altair è cattivo Malik?”
“No Kadar, nessun uomo è solo cattivo o solo buono, noi non possiamo giudicarlo prima di averlo conosciuto, forse si comporta in quel modo perché è solo” Rispose accarezzando i capelli del fratellino.
Il piccolo Kadar sbadigliò poi si accoccolò contro la gamba di Malik e ben presto cadde in un sonno profondo e senza sogni.
Malik guardava il paesaggio innevato al di fuori della finestra pensando al misterioso ragazzo, Altair.
“Per quale motivo tutti lo odiano? Per quale ragione un ragazzo che ha circa la mia età vive così solo e non ha amici?”
Sospirando decise di andare a dormire, prese in braccio Kadar e lo appoggiò sul pagliericcio, poi gli si coricò al suo fianco e coprì entrambi. Il bimbo si strinse forte a lui nel sonno, Malik sorrise e ben presto si addormentò.
Altair sedeva nella sua stanza in silenzio mangiando la sua razione di cibo; Il suo udito finissimo gli aveva permesso di ascoltare la conversazione tra i due fratelli, era rimasto molto sorpreso dalle parole del ragazzo che veniva chiamato Malik, non aveva mai sentito nessuno parlare in qual modo. Eppure qualcosa nelle sue parole gli aveva lasciato una forte amarezza nell’anima.
“Non ho bisogno di nessuno, sono forte, sono il più forte degli Assassini” pensò fissando il cielo da cui continuava a cadere incessante la neve. Con un moto di rabbia scostò la ciotola vuota e si coricò continuando a fissare la neve che cadeva finché il sonno non lo liberò dalle sue preoccupazioni.
 
L’alba si era svegliata dal suo letto di tenebra indossando sul capo il suo velo rosso, porpora, arancio e oro. I cittadini di Baghdad uscivano dal tepore del sonno per vivere una nuova giornata e intraprendevano ciascuno il proprio mestiere.
Nel palazzo delle mille delizie Shahrazad aveva interrotto il suo racconto, attendendo l’ordine del re che l’avrebbe messa a morte.
Shahriyar la fissò negli occhi “compagna dalla dolce favella, come finisce questa storia?”
Essa rispose “se mi risparmierete oggi, finirò di raccontarvela questa sera.”
“Così sia allora.”
 
 
 
 
 
 
Ciao a Tutti,
Questa storia è un pochino particolare, nasce nel solco dell’antica tradizione delle “Mille e una Notte” e cerca di mantenerne lo stile nella prosa.
Eccovi una breve sintesi dell’antefatto: Il Re di Baghdad, Shahriyar, grazie all’aiuto di suo fratello Shahzaman, scopre che le tra le sue venti ancelle si nascondono dieci schiavi mori vestiti da donna che approfittano delle sue assenze per unirsi con le sue serve; scopre inoltre che la sua sposa approfitta di queste occasioni per tradirlo con un uomo: Sa’d al-Din detto Mas’ud “il fortunato”. Infuriato, fa uccidere la moglie e tutte le ancelle e decide che sposerà delle fanciulle e si unirà a esse per una sola notte, poi le metterà a morte.
La saggia Shahrazad chiede al padre di divenire la sposa del Re perché spera con uno stratagemma di poter porre fine all’eccidio di giovani ragazze. Così ogni notte racconta una storia al re rimandando però la conclusione alla notte seguente.
La frase in grassetto è tratta dal libro “le Mille e una Notte” Volume primo, I Grandi Romanzi, Corriere della Sera pg 40.  Ho inserito anche una citazione all’opera poetica “il Gelsomino notturno” di Giovanni Pascoli.
Il nome del padre di Malik e Kadar me lo sono deliberatamente inventato perché non sono riuscita a scoprire come si chiama (se qualcuno lo sa mi avvisi che lo cambio!) anche l’Assassino Kalim è una mia personalissima invenzione.
Beh se volete scoprire come va a finire, dovete concedermi la vostra benevolenza e continuare a leggere; sarei molto onorata di sapere cosa pensate di questa storia quindi se qualcuno avesse voglia di recensire… (tranquilli accetto anche le critiche!) lo faccia pure.
Grazie a tutti per l’attenzione!                                                                                                    
 
                                                                                                                                                          Adhara92     
 
 
PS. Vorrei precisare che non condivido in alcun modo la visione “misogina” del Re Shahriyar, che purtroppo essendo stato punto nel suo orgoglio tende a enfatizzare le astuzie del genere femminile.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: Adhara92