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Autore: Elendil    30/04/2006    8 recensioni
“ Non mi piace che le persone che uccido ritornino in vita”disse in un sussurro nel suo orecchio.
La sentì ridere piano.
“ Ma io non sono morta...Inuyasha”
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno

Buongiorno!

Eccomi di nuovo qui con un nuovissimo capitolo^^

Spero che vi possa piacere….

Grazie infinite a tutti coloro che hanno letto e commentato….in particolare a Chria ( la solita esagerata -____-)

Per tiger eyes: ti ringrazio davvero molto per i tuoi commenti sempre gentili ed utili….spero solo che le…emhhh…uscite di Chria non ti abbiano offeso….conto di poter leggere anche questa volta un tuo commento.

In caso contrario, va beh, non fa niente^^

Ciao!


La sala del banchetto era gremita di ospiti.

L’odore squisito del cibo proveniente dalle cucine faceva brontolare lo stomaco di inservienti e camerieri mentre le note della dolce melodia di un flauto sembravano vibrare leggere fra le splendenti sale del bianco castello di Zaccar.

Un mezzo demone percorreva imbronciato una vertiginosa scala a chiocciola.

I suoi passi leggeri parevano vibrare nel silenzio intorno a lui.

Completamente costituita dalla madreperla più pregiata che mai artigiano avesse avuto la fortuna di lavorare, quella scalinata sembrava un niveo serpente dai riflessi arcobaleno attorcigliato alla struttura centrale della torre che, per la sua imponenza e posizione, costituiva il corpo centrale del palazzo di Zaccar.

Le finestre erano le sue spire, e le immense sale che davano su queste la sua magnifica struttura.

Il mezzo demone non sapeva chi avesse progettato quella costruzione, ma di sicuro avrebbe dovuto trattarsi di un genio con un senso dell’ego altamente sviluppato: la torre era così alta e slanciata da parere lo stelo di un immenso fiore donato dalla terra stessa agli dei immortali la cui smisurata corolla, invisibile allo sguardo, dava l’idea di ergersi al di sopra delle nubi, oltre la volta celeste.

C’era da chiedersi come facesse a rimanere in piedi senza crollare al primo alito di vento

L’intenso odore di fiori che costantemente impregnava ogni angolo di quella torre, mischiato all’intenso sentore di cibi e bevande, ai raffinati profumi di dame e a quelli un po’ più grezzi delle cameriere, investì il finissimo olfatto del mezzo demone riuscendo, con la sua dolce intensità, a stordirlo per qualche istante.

Si portò una mano al volto, come a difendere i suoi sensi, forse un po’ troppo sviluppati per quell’accozzaglia di fragranze,da quella odorosa aggressione.

Morbide ombre color ambra, ultimi raggi di un sole ormai morente nel cielo, filtravano silenziose dalle sottili pareti di madreperla, proiettando le loro sfuggenti sagome celesti sui perlacei pavimenti delle sterminate sale, sui gradini di quelle scale che, figlie minori della gradinata centrale, si arrampicavano su questo o quell’altro piano, si snodavano attorno ad una colonna portante o costeggiavano un arco riccamente inciso.

Pareva di trovarsi in un mondo a parte, un mondo sospeso al di la del tempo e dello spazio, i cui soli rumori sembravano essere il dolce stormire del vento attraverso le ampie volte, specchi di una realtà relegata oltre la loro eterna sorveglianza, e il morbido fruscio delle vesti del mezzo demone.

Un’imprecazione rimbombò per le vaste sale, infrangendo la sonnolenta atmosfera crepuscolare.

Dannati fiori.

E dannati quelli a cui piacevano e che, per coronare il loro folle e rivoltante gusto dell’orrido, avevano deciso di trasformare un’opera di ingegneria e di architettura senza precedenti come lo era il palazzo di Zaccar in una sottospecie di foresta a più piani.

Le sue dita ora strettamente premute sul naso demoniaco rafforzarono la loro spasmodica presa, quasi temessero che il dolce olezzo potesse entrare in contatto con l’olfatto anche solo per osmosi.

Schioccò stizzito la lingua sul palato.

Per ordine degli antichi sovrani del passato, l’intera struttura era stata quasi completamente tappezzata di giardini artificiali, contenenti le più incredibili, meravigliose e, dulcis in fundo, rare specie di piante mai esistite sulla faccia di Yarda, rendendo, a parere di tutti, quello splendido edificio, una delle più famose e ineguagliabili meraviglie mai esistite sulla faccia della terra.

Un’opera senza tempo.

A Inuyasha sembrava solo un inutile spreco di spazio.

Al posto che usare tutte quelle immense sale per addobbarle di inutili piante che, prima o poi, sarebbero miseramente appassite, quei geni del passato avrebbero potuto costruire biblioteche, osservatori, laboratori di astronomia e alchimia ora come ora relegati ad una misera quanto esigua parte della torre…

E invece no.

Fiori.

Fiori.

E ancora fiori.

Inuyasha sbuffò: odiava quella torre.

La odiava con tutto e stesso, e il fatto di essere costretto ad abitarvi, gliela faceva odiare ancora di più.

Già.

Costretto, perché, a parer del generale supremo, nonché padre di Sesshoumaru e Inuyasha, quale esaltazione maggiore della vittoria sulle terre libere se non l’abitare nella città in assoluto più potente e prestigiosa, loro stesso simbolo?

Nessuna, appunto.

Peccato che il semplice chiedere se i due adorati figli in questione desiderassero o meno risiedervi non era stato nemmeno preso in considerazione…

E ora si trovavano lì.

In quella città e soprattutto in quella torre che, a suo parere, avrebbe potuto essere definita con un solo aggettivo: troppo.

Troppo lucente, troppo splendida…troppo luminosa.

Troppo.

Lui amava la notte, l’oscurità, il cupo mondo delle grotte e degli antri…

Non gli fronzoli, i dolci effluvi, le pianticelle appena sbocciate….

Lui era una creatura delle tenebre, Dannazione!

Un demone!

Sbuffò di nuovo.

Ma ultimamente sembrava essere l’unico a considerarsi come tale.

Sesshoumaru, infatti, a discapito della sua fama, si era adattato perfettamente quanto inaspettatamente a quel nuovo palazzo: passava le ore a passeggiare per le vaste sale, percorrendo senza fretta alcuna la nivea scalinata in lungo e in largo.

La sola idea di imitarlo, fece rabbrividire Inuyasha.

Lui nella torre non entrava mai.

Benché fosse aperta solo alla famiglia reale e ai suoi custodi, non ci metteva mai piede.

Mai.

A parte che di notte.

Di notte, quando gli ultimi bagliori del sole morente proiettavano nelle sterminate sale una tenue luce rossastra che man mano si affievoliva tendendo sempre di più al viola, all’indaco ed infine al nero.

Il nero delle tenebre.

Il nero del silenzio e della solitudine.

Era allora che la torre diveniva veramente il luogo di meraviglie e magie di cui tutti parlavano.

Ed era solo allora che Inuyasha vi metteva piede, quando ormai le stanze erano avvolte nel vellutato abbraccio del silenzio, quando ormai la dea della notte vagava leggera per il castello, i suoi vaghi passi accompagnati dal quieto sospirare dei dormienti.

Saliva come un’ombra fino all’ultimo piano e, stendendosi sull’ampio tetto, osservava il mondo avvolto nell’oscurità, coperto da un pesante mantello nero che lasciava intravedere solo qualche debole bagliore di lanterna o falò.

Osservava tutto ciò che un giorno sarebbe stato suo.

E tutto ciò che non avrebbe mai potuto avere.

Era un pensiero strano il suo, visto che praticamente aveva tutto.

Veniva lassù appena l’infinità di impegni che ogni giorno lo assillavano gli concedevano una tregua e solo, poiché nessuno oltre lui vi saliva.

Troppo rischioso, dicevano.

Lui ci andava proprio per quello.

Perché sapeva che nessuno l’avrebbe mai seguito.

Era passato un anno da che lui e suo fratello Sesshoumaru avevano conquistato Zaccar, la potente città delle meraviglie,come la chiamavano ora i soldati, ma ancora quest’ultima creava loro problemi.

I lavori di ricostruzione degli edifici che durante la battaglia erano stati rasi al solo non erano ancora terminati, il subentrare di un nuovo regime di governo stava creando non poche difficoltà e, cosa più grave, i cittadini, scontenti della loro nuova condizione(subordinata ai demoni invasori),davano vita a continue e snervanti rivolte che per la maggioranza dei casi si concludevano in inutili carneficine.

Gruppi di rivoltosi si nascondevano in ogni casa pronti ad insorgere contro il loro operato come se, nel loro governare, non avessero fatto altro che infierire contro di loro, poveri esseri umani sconfitti.

Finalmente Inuyasha raggiunse l’ampio salone della festa.

Preziose sete e tendaggi pendevano sfarzosi dal soffitto mentre ovunque tavoli riccamente forniti delle più ghiotte leccornie offrivano agli ospiti ogni genere di prelibatezze che il loro delicato stomaco avesse potuto contenere.

Demoni di ogni genere e specie affollavano l’ampio salone che riecheggiava ora di un costante brusio misto alla dolce musica dell’orchestra.

Sbuffò.

Se c’era una cosa che odiava erano le feste e i balli in maschera, ed in quella sala, per sua sfortuna, si concentravano entrambe le cose: Ricconi pieni di soldi che si divertivano a coprirsi di ridicolo indossando costumi degni del più fantasioso buffone di corte e ballando come degli idioti su una pista da ballo.

Per non parlare degli abiti che esibivano con tanto orgoglio:stupide esaltazioni della loro ricchezza che la dicevano ben lunga sulla loro intelligenza.

Lui indossava cupi abiti di un anonimo colore nero nascosti da una ampio mantello dello stesso colore, i lunghi capelli argentati portati sciolti lungo la schiena.

Sul viso, come imponeva la regola, una preziosa maschera bianca raffigurante il muso di un lupo con due preziosi rubini ai lati degli occhi e raffinate incisioni disegnate con l’oro e con l’inchiostro sulle orecchie, nascondeva il suo volto ora piegato in una smorfia tesa.

La luce soffusa delle candele rischiarava la sala diffondendo nell’aria un leggero profumo di cera fuso armoniosamente al delicato aroma di fiori e di rugiada portata dalla notte.

Dalle ampie volte che davano verso l’esterno della torre filtrava la pallida luce della luna che, curiosa, sembrava scrutare le strane creature che affollavano quel salone.

Creature che, pensò Inuyasha, avevano molto del…caramelloso.

Sospirò mentre, silenzioso, iniziava a farsi strada fra la folla simile in tutto e per tutto ad un unico scintillante mare di perle, zaffiri, diamanti e sete preziose.

Una mescolanza di opulenza e ricchezza così ostinatamente esibiti da stimolare nell’osservatore un senso di nausea.

Perché era ovvio, evidente, lampante che quelli non erano dei semplici ed innocui travestimenti.

La principessa del deserto, che con i suoi veli color della luna e i suoi trillanti campanellini d’oro intorno alla vita, leggera, si lasciava trasportare da un imponente cavaliere elfico in un turbinio di giravolte, non sembrava rammentarsi di essere la moglie di un conte di recente andato in rovina per la sua avventatezza nelle campagne militari.

E il grasso domatore di draghi in divisa ufficiale, seduto comodamente su una morbida poltrona indaco, pareva non rendersi conto che la sua consorte da che erano iniziate le danze non aveva fatto altro che conversare con un aitante nano dalla barba rosso acceso,la giovane età malcelata da un paio di fulvi baffoni.

Quello non era travestirsi.

Quello era la voglia di essere, almeno per un ballo, per una notte, per un solo, unico istante, qualcun altro.

Qualcos’altro.

E fuggire da se stessi.

Come se il travestirsi avesse veramente potuto nascondere ciò che in realtà si celava dietro quegli orletti pregiati e quelle sete finissime.

Il nano sussurrò qualcosa all’orecchio della fata del bosco, e questa, trillando un risolino divertito gli indicò con un leggero cenno del capo l’uscita della sala.

E dimenticare.

Inuyasha continuò ad avanzare, sfiorando per un istante con lo sguardo le brune sfumature vermiglie del suo abito, i freddi riflessi lunari che pallidi si insinuavano fra le morbide pieghe del mantello: lui era l’unico ad indossare il cupo colore della notte.

Almeno era stato onesto, evitando, per decenza, l’acidognolo verde muffa suggeritogli dal fratello in un eccesso di simpatia.

Nero.

Discreto e allo stesso tempo singolare: era l’unico ad indossarlo.

In quella folla, in effetti, staccava come un cadavere in un campo fiorito, pensò, osservando un goffo demone che, fra una giravolta e l’altra infilava un grasso dito al di sotto del parrucchino color neve, grattando con stoica noncuranza la sua sudaticcia cute bianca, nido di pidocchi e pulci.

Finalmente, nel turbinio di volti sconosciuti, una maschera rappresentante un ricco commerciante dagli abiti tempestati di pietre preziose gli si avvicinò silenzioso e, subito dopo, allontanando con una mano artigliata la maschera dal viso si rivelò essere suo fratello Sesshoumaru.

Una strana espressione di rimprovero era stampata sul suo volto.

Inuyasha si tolse la maschera, arrestandosi propri davanti a lui.

“Fratello…” biascicò Sesshoumaru “ Possibile che il tuo concetto di festa sia ciò che di più ricordi un funerale?”

Il mezzo demone inarcò un sopracciglio.

“ Dio mio, stiamo festeggiando l’anniversario della conquista di Zaccar! Non la morte di nostro padre!” continuò il fratello alzando gli occhi al cielo, in un’enfatica espressione di disappunto.

Inuyasha si trattenne dall’informarlo che solo in quel caso si sarebbe vestito dei più sgargianti colori dell’arcobaleno. “Perché diavolo ti sei vestito a quel modo?Sembri uno spirito dell’oltretomba!”insistette il fratello.

“Meglio sembrare uno spirito dell’oltretomba che una meringa vestita a festa” puntualizzò acido Inuyasha.

Sesshoumaru scosse la testa sconsolato e fece per rispondere, ma una sensuale Youkai vestita da fata si intromise fra i due “ Buonasera Inuyasha!” cinguettò mentre si sfilava dal volto la maschera raffigurante una farfalla, rivelando così un viso giovane e provocante.

Inuyasha le sorrise malizioso notando l’abbondante scollatura che lasciava ben poco all’immaginazione del vestito

“ Buonasera Cordelia” disse chinandosi per baciarle la mano “ quale onore avervi qui…”.

Lei scoppiò in una risata argentina notando lo sguardo per niente pudico che lui le rivolse mentre con le labbra le sfiorava la pelle di porcellana.

“Credevo vi trovaste nei vostri possedimenti nelle terre a sud” continuò Inuyasha senza staccarle gli occhi di dosso.

Lei sorrise mostrando una fila di denti bianchissimi “ Lo ero…” trillò con la sua voce sottile e acuta” ma quando mi è giunto l’invito per questa festa in onore della conquista di Zaccar non ho proprio saputo resistere e…come vede sono qui”

Il mezzo spettro le rivolse uno sguardo sornione e, con un movimento fluido, avvicinò le labbra al suo orecchio appuntito “ Mi piace quando sei impulsiva…soprattutto in altri frangenti” le sussurrò appena.

La ragazza divenne improvvisamente rosso fuoco, tossicchiando subito dopo uno sdentato “non capisco a cosa lei si riferisca…”.

Al mezzo demone le sue parole ricordarono lo stonato spezzarsi di una corda di violino.

Le sorrise, aiutandola a ritrovare quel poco di grazia così miseramente smarrita “ Vuole concedermi l’onore di questo ballo?” le chiese.

Lei annuì, gli occhi che brillavano al tenue bagliore delle candele“ Ne sarei entusiasta” cinguettò, la voce tremante di una sfumatura di agitazione.

Subito Inuyasha le circondò con una mano la vita rinforzando con l’altra la presa del suo palmo nel suo e, seguendo la morbida marea di gonne a sbuffo e mantelli ricamati, la guidò sicuro al centro della sala da ballo.

Sentì la schiena della giovane fremere sotto le sue dita.

I battiti del suo cuore vibrare nella fragile cassa toracica.

Sorrise nella penombra.

La lenta melodia della musica accompagnò i movimenti dei loro corpi ora strettamente vicini l’uno all’altro.

Ad ogni giravolta, I serici capelli della donna sfioravano il petto del demone in una morbida carezza al profumo di narciso.

Inuyasha sorrise.

Erano così vicini da far si che i loro respiri si sfiorassero, che i loro sguardi, incontrandosi, si tingessero l’uno delle sfumature dell’altro…

Il morbido braccio di Cordelia circondò in un sensuale abbraccio le spalle del mezzo demone.

Aveva la pelle tiepida.

Inuyasha alzò gli occhi al cielo ora scuro e limpido.

Già si potevano vedere le prime stelle comparire timide nel firmamento.

Senza abbassare lo sguardo, Inuyasha strinse con maggior intensità la sottile vita di Cordelia cercando invano calore attraverso la morbida seta del bustino.

Aveva freddo…

Respirò il dolce profumo della ragazza che ora aveva abbandonato la testa sul suo petto, sospirando all’unisono con i battiti del suo cuore.

Battiti lenti e tranquilli.

Continuarono a volteggiare, come petali mossi dal vento per la sala sempre più fiocamente illuminata.

La musica, morbido sussurro del vento, volteggiava leggera intorno a loro mentre delicate come candidi fiocchi di neve le sue note sembravano lasciarsi trascinare e trascinare a loro volta coloro che, come spighe al vento, si abbandonavano a quella dolce melodia.

Il pallido chiarore lunare filtrava attraverso le pareti di madreperla in un brillante e candido disegno di ombre fluide e sinuose come seta trasportata dal vento.

Inuyasha sentì la sensuale Cordelia abbandonarsi ancor più contro il suo petto, i suoi passi incerti che parevano seguire non più la musica ma il solo volere del mezzo demone.

Un nuovo sorriso deformò il suo volto invisibile.

Sapeva che era pazza di lui.

Lo era lei come lo erano molte altre ragazze che gremivano la sala ballando con i più svariati compagni ma desiderando segretamente di stare fra le sue braccia.

Lo vedeva nei loro sguardi quella muta richiesta, quel tacito desiderio.

Ma questa volta aveva avuto la meglio Cordelia.

E anche lui aveva avuto il meglio.

Già…il meglio…

Guardò distrattamente la folla: sete danzanti e visi obliati si stringevano l’un l’altro dimentichi di ciò che li circondava.

Sospesi in una magica illusione creata dalla musica e dall’oscurità che lentamente si insinuava nella sala affievolendo il fatuo chiarore delle candele.

Il brusio era cessato, lasciando il posto al fruscio degli abiti, al volteggiare della musica.

Alla tiepida morbidezza della seta sotto i polpastrelli, della pelle sulle labbra.

Improvvisamente due occhi catturarono lo sguardo di Inuyasha.

Il mezzo demone si bloccò stordito, la magica illusione a cui si era abbandonato pochi istanti prima svanita per sempre, svegliando così Cordelia dal suo dolce sogno d’amore.

Scomparsi.

“Perché ti sei fermato?” gli bisbigliò lei all’orecchio.

Senza sapere nemmeno che cosa cercare, Inuyasha fece vagare lo sguardo sulla folla.

Poi guardò Cordelia.

Sorrise.

“scusa” le disse nell’orecchio stringendo nuovamente a se quel corpo morbido e provocante.

I suoi occhi però continuarono ad indugiare sulla folla.

Quegli occhi.

Sapeva di averli già visti da qualche parte.

Quegli occhi….

Improvvisamente la sensazione di essere osservato lo fece voltare verso sinistra e li, nuovamente, li trovò fissi ad osservarlo.

Un secondo dopo erano già spariti.

Si bloccò e senza nemmeno soffermarsi a pensare su quello che faceva lasciò andare Cordelia e si immerse nella folla.

Camminando a passo spedito iniziò a vagare senza meta per la sala, incespicando nei lunghi mantelli e strascichi, continuando a guardarsi intorno con febbrile attenzione.

Niente.

Non riusciva a trovarli.

Dannazione!

Per poco non fece cadere a terra una dama vestita da ninfa della pioggia.

Senza nemmeno scusarsi procedette in avanti scandagliando con lo sguardo ogni centimetro della sala ed ogni volto degli occupanti.

Quegli occhi.

Dannazione.

Probabilmente si sbagliava.

Non poteva essere….

Improvvisamente si sentì toccare dolcemente la spalla.

Si voltò con uno scatto stizzito pronto a mandare al diavolo Cordelia e le sue assidue quanto assillanti pretendenti.

Ma non lo fece.

Lei era li.

Avvolta in un lungo vestito nero che lasciava scoperte le fragili spalle dal niveo colore della porcellana.

Un tessuto trasparente punteggiato da lacrime di diamante ricopriva come un velo la nera stoffa dell’abito mentre i lunghi capelli corvini ricadevano in fluide onde lungo la schiena che Inuyasha immaginò essere scoperta.

Il viso era coperto da una anonima maschera da gatto.

La ragazza gli si avvicinò.

Lentamente.

I suoi passi che, soli, riecheggiavano nell’oscurità della sala ormai silente all’udito del mezzo demone.

Si fermò solo quando gli fu così vicino da far si che i loro corpi si sfiorassero.

Si alzò sulle punte avvicinando così le sue labbra all’orecchio canino del mezzo demone.

“Inuyasha…”sussurrò piano.

Come rispondendo ad un ordine lui la strinse a se, perdendosi nella morbidezza dei suoi fianchi.

“ Non mi piace che le persone che uccido ritornino in vita”disse piano nel suo orecchio.

La sentì ridere appena.

“ Ma io non sono morta…”

Poi tutto accadde in una frazione di secondo.

Improvvisamente la sala si riempì di grida di terrore e la folla che un secondo prima seguiva fluida, simile ad una lenta marea, la musica dell’orchestra sembrò prima immobilizzarsi e poi aggrovigliarsi su se stessa.

In un istante i preziosi abiti e le suntuose acconciature si sfaldarono, i bianchi pizzi si stracciarono, le collane di perle vennero strappate, lasciando che le preziose gocce marine si spargessero sul pavimento sotto l’urto di spintoni, cazzotti, scontri inconsulti.

Inuyasha alzò lo sguardo verso il soffitto.

Dalle ampie volte che fungevano da finestre, stavano accucciate centinaia di figure in nero che immobili scagliavano contro la folla urlante miriadi di frecce che, seminando il panico fra gli invitati, avevano già iniziato a mietere le prime vittime.

Riabbassò stordito lo sguardo sulla donna che con un gesto fluido si tolse la maschera.

Dannazione!

Non era lei!

Era la ragazza del boomerang!

Era convinto di averla uccisa!

Quest’ultima, con maestria infilò la mano nella veste e ne estrasse un lungo pugnale che immediatamente puntò contro di lui.

Il mezzo demone lo fermò stringendo il polso di lei, evitando così che questa potesse aprirgli uno squarcio nel ventre.

Vide la rabbia divampare nei suoi occhi.

Sorrise, anche se, si accorse, c’era veramente poco da ridere.

Spiacente carina.

Oggi proprio non aveva tempo per giocare.

Con un movimento fluido glielo sfilò di mano, preparandosi subito dopo a colpirla.

Qualcuno fu più veloce di lui.

Qualcosa trafisse la schiena del mezzo demone con così tanta forza da farlo barcollare.

Dannate frecce!

Fu un attimo.

In un secondo la folla impazzita lo travolse calpestandolo.

Si sentì schiacciare da una marea infinita di piedi, tacchi e suole che lo fecero urlare di dolore.

Nessuno lo sentì.
Non era l’unico.

Lottando contro la furia del panico rotolò di lato e, trovando un punto in cui nessun piede lo calpestasse, si alzò in piedi.

Un dolore lancinante lo fece cadere in ginocchio.

Aveva qualche costola rotta.

Si portò una mano ormai segnata dai lividi alla schiena e, trovando la sottile asta di una freccia conficcata proprio all’altezza delle scapole, ne circondò il flessibile corpo ligneo.

Un grido di dolore si aggiunse allo sciame di strida terrorizzate.
Si tirò nuovamente in piedi.

Doveva fermare la pioggia di frecce.

Subito.

Quella era la festa in onore della conquista di Zaccar, non l’avvento della resistenza ribelle!

  
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