Water
Eyes.
Prologue
Part II
Becky
non era mai stata in un posto come quello.
Mai Sue aveva osato portarla con sé fuori dalla base e invece,
quel mattino, lei era lì, con il suo capo, che camminavano a passo spedito
nell’ingresso che portava verso un’infinita e bianca stanza, dove, alle due
estremità sorgevano alte scrivanie e uomini distinti lavoravano dietro a i più
tecnologici computer che Becky avesse mai visto.
Il NAGA o meglio il North American Genetic
Archive, era, come diceva la parola stessa l’archivio
di tutti i DNA del nord dell’America. La ragazzina non si intendeva di quelle
cose, ma sapeva che per la Silvester quel posto era
importante tanto quanto un tesoro inestimabile.
CamminarNono
sul marmo bianco a passo svelto e Becky cercò, nel
migliore dei modi, di imitare l’espressione che Sue aveva assunto sul viso.
Era seria, quasi intimidatoria.
Alle scrivanie, gli uomini attendevano che la donna sfilasse
davanti a loro prima di alzare appena gli occhi dagli schermi dei loro computer
in una reverenziale paura.
La biondina si soffermò ad osservarli con genuino interesse,
prima di essere richiamata da Sue ed affrettarsi a seguirla.
Arrivarono davanti alla scrivania più grande e alta di tutte,
alta come quella di un giudice durante un processo, e lì la Silvester
si bloccò schiarendosi la voce e attirando così l’attenzione di un signore
calvo sulla cinquantina che subito smise di controllare dei documenti per
poterla guardare negli occhi.
“Ben arrivata, speriamo che il suo viaggio sin qui sia stato….”
“Bando alle ciance Polly. Sono qui
per prelevare quello che ti ho richiesto, qui c’è la somma pattuita” la donna
lasciò cadere una specie di coupon, con scritti sopra i litri di acqua che ‘ciò
che aveva richiesto’ valeva.
Paul Martinez era sempre stato un
uomo rispettabilissimo, dedito al lavoro, ma non poteva mettersi contro un tale
colosso imprenditoriale e sperare di raccontarlo in giro.
Tutti sapevano che mettersi contro Sue Silvester
era come mandarsi al patibolo.
Paul si aggiustò gli occhiali sul naso e si asciugò il sudore
con un fazzoletto candido.
“Molto Bene, a momenti verrà scortata della sezione B.” rispose, cercando di non risultare
balbettante. “Eryn!” chiamò e in pochi frettolosi
passi, una ragazza, non più di venticinque anni, e con un lungo camice bianco
addosso, fece la sua comparsa con un ampio sorriso di circostanza.
Era bassa, e i capelli chiari e lisci erano sciolti sulle
spalle. Becky
la osservò per un minuto intero, incuriosita dal suo aspetto.
“La dottoressa Emerson vi scorterà fino alla sezione, dov’era
in avanti siete nelle sue mani.”
Eryn
continuò a sorridere mentre Sue le rivolse un’occhiataccia, quasi sprezzante,
ma questo non fece diminuire l’allegria della ragazza.
“Da questa parte signore!” esclamò Eryn,
rivolgendo un piccolo gesto di saluto verso Paul.
“Tappetta il tuo sorriso mi sta
facendo venire l’eritema.” Sbottò la Silvester,
mentre Eryn aveva già cominciato a far strada lungo
un corridoio avvolto nella semi oscurità.
Arrivarono ad un grande ascensore illuminato da calde luci
dorate col quale scesero di un piano sino agli archivi veri e propri. Uscirono
nel grande corridoio, dirigendosi a destra e dando le spalle alla sezione A per
accedere alla B.
Lì, seduto alla scrivani, stava un ragazzo dai capelli neri e
spettinati, intento a leggere quello che pareva un giornalino erotico. Solo
quando Eryn fu abbastanza vicina capì che sì, era un
giornalino erotico “Josh metti giù i piedi” sibilò
sbrigativa, afferrando un mazzo di chiavi da dietro al ragazzo.
Questi sussultò, lanciando uno sguardo a Sue ancora fissa
sulla porta “Non possiamo darle il Dna del nostro amico….
Non possiamo”
Eryn sorrise tristemente, accarezzando i capelli
del moro prima di dargli le spalle.
Non avevano scelta e per quanto facesse male dovevano.
“Allora, comodino? Non ho tempo da perdere io!” sbottò la
donna, mentre Eryn tornava da lei camminando fiera e
ostentando ancora quel sorriso “Se tu fossi lievemente più alta ti prenderei a
sberle per quel sorrisetto, ma se mi chino mi viene a far male la sciatica!”
Eryn
restò il silenzio, quasi affascinata dalla quantità di cattiverie uscite dalla
bocca di quella donna nel giro di pochi minuti. Sospirò e fece roteare le
chiavi sul dito, dirigendosi verso un’ampia porta di un nero lucido. Inserì la
chiave nella toppa e girò tre volte, aprendo con fatica l’imposta.
Eryn
trovava da brividi l’idea di prelevare DNA delle persone per quel genere di
scopo, ma a quella subdola donna non si poteva negare nulla. “Eccoci qua.”
Annunciò, accendendo le luci.
Sue alzò gli occhi verso l’alto, seguendo la linea degli alti
registri che arrivavano sino al soffitto, situato a circa dodici metri di
altezza.
Eryn
sospirò, prendendo una cartella da dentro un dispenser e leggendo velocemente i
due nomi che tanto sapeva a memoria “Può seguirmi, signora SIlvester?”
“Signorina per te, tappetta” disse
Sue salendo su una pedana subito imitata da Becky.
Eryn
continuò ad ignorare quegli insulti e, una volta preso posto a sua volta sulla
pedana elevatore, si appoggiò alla ringhiera infilando in un quadrante una
delle molte chiavi che aveva nel mazzo, la più piccola di un argento vivo.
Girò una sorta di microfono verso di se e poi a voce chiara
disse “Pierce.”
Subito la pedana partì, rischiando di far cadere sia Sue che Becky e ad un certo punto si bloccò, alzandosi di un paio
di metri da terra. Subito Eryn aprì un cassetto,
sfogliando i molti fascicoli fino a fermarsi a quello che recava la targhetta Brittany S. Pierce.
Lo passò a Sue che subito guardò la foto sulla prima pagina,
che ritraeva una bella e giovane ragazza bionda con degli occhi di un azzurro
intenso, lievemente a mandorla.
“Penso sia…. Perfetta” disse
vittoriosa, prima di strappare una bustina contente quella che sembrava una
fialetta di sangue, appiccicata accanto alla foto nel fascicolo. “Ora lui…”
La pedana si mosse automaticamente in avanti, solo di pochi
metri e Eryn ripeté la stessa procedura.
“Hummel.” Esclamò e la sua voce risultò lievemente inclinata.
Porse il fascicolo a Sue che aveva tramutato la sua espressione dura con un
ghigno soddisfatto. Nuovamente, su una piccola targa bianca, c’era scritto
“Kurt Hummel.”
Il ragazzo era tutto quello che la Silvester
cercava, bello, anch’esso giovane e con degli splendidi occhi azzurri, dalla
forma lievemente allungata.
“Becky.” Disse, la donna “abbiamo i
prescelti.”
Eryn
chinò il capo e fece sparire il sorriso dalle sue labbra, per far spazio a una
smorfia preoccupata.
“Tu, gnomo da giardino, fammi scendere.” Ordinò poi, rivolto
alla ragazza, intenta a fissare il viso di Kurt e Brittany,
con mille pensieri nella testa.
Strappò la fila del Dna restituendo sgarbatamente il fascicolo
a Eryn che lo mise via, prima di riportare Sue
all’entrata dei registri.
Josh
era ancora lì, e stavolta si fece trovare in piedi con addosso la divisa da
addetto alla sicurezza.
Fece un passo avanti, guardando Sue “Lei….
Mi fa schifo”
“JOSH!” Eryn lo prese per un
braccio, come ad impedirgli di dire altro, aspettando timorosa una reazione da
parte della Silvester.
Questa, però, esplose semplicemente a ridere, accarezzando i
capelli a Becky che guardava truce il ragazzo. La
donna lanciò ai piedi di Josh un paio di pezzi di lucente argento “Prendili e vai
da un barbiere, mi ricordi il mio
vecchio Scottish Terrier il giorno che l’ho
accidentalmente chiuso nella porta stagna del laboratorio”
Josh
ringhiò, indignato, ma Eryn gli impedì di ribattere,
trattenendolo per un braccio e lanciandogli un’occhiata d’avvertimento. “ Devo
scortarla verso l’uscita Signorina Silvester.” Disse,
l’espressione severa e lo sguardo carico di disprezzo.
Sue la guardò per
un’ultima volta da capo a piedi, prima di girare i tacchi. “Non ho bisogno di
una ragazzina per uscire da questo posto!” esclamò. “Andiamo Becky! Abbiamo qualcosa da festeggiare.” La bionda lanciò
loro un’ultima occhiata d’avvertimento, proprio in perfetta sincronia con il
suo capo.
Lasciarono la sezione B
camminando fiere verso gli ascensori, fra le mani , Sue stringeva trionfante le
fialette.
I due ragazzi la guardarono sparire oltre l’ascensore, poi Josh si lasciò cadere senza forze sulla sedia “Dobbiamo
avvertire Thad e il Clan”
“Dobbiamo aspettare di tornare a Potawatoi
venerdì…. Non possiamo rischiare che intercettino la
videochiamata” La ragazza prese posto davanti a lui, sulla scrivania,
scostandosi il camice dalle gambe per poterle accavallare prima di accarezzare
le ciocche corvine di Josh “Secondo te cos’è uno Scottish Terrier?”
Il ragazzo scrollò le spalle, prendendole la mano “Non lo so…. Qualche bestia estinta. Lei viveva già sulla terra al
tempo dei dinosauri tempo” aggiunse poi in tono ironico.
Eryn
rise, prima di perdere di nuovo il sorriso “Non possono fare questo a Kurt…”
Il ragazzo sospirò, sentendo sulle spalle l’opprimente peso
dell’inutilità.
~°~°~
Se di giorno le temperature arrivavano a toccare vette
surreali, la notte si abbassavano così velocemente da suonare impossibile,
inimmaginabile.
Nonostante Puck fosse abituato
all’aria fredda che la notte arrivava all’accampamento direttamente dall’oceano
Atlantico, si strinse maggiormente addosso la giacca mentre si dirigeva a passo
spedito verso lo spiazzo in cui i Titans erano soliti
consumare il rancio e accendere il falò.
Passò davanti alle grotte, in quel momento deserte, scendendo
un sentiero scosceso e in pendenza, fino a raggiungere il resto dei ragazzi.
Così vivevano, in case naturali scavate nella dura roccia,
sempre se quella decideva di non crollare sulle loro teste, in gruppetti di
quattro o cinque persone per grotta.
Eccetto Karofsky che, da quando Puck aveva provato a spodestarlo, condivideva il suo spazio
privato solo con Azimio, convinto che una buona
guardia del corpo fosse ormai fondamentale.
Quegli anfratti
rocciosi e spogli erano freddi la notte, e nonostante tutte le coperte che Puck poteva mettersi addosso non riusciva mai a eliminare
il senso di gelo dal suo petto.
Era come se, costantemente, gli mancasse qualcosa.
Il suono delle risate lo investì, facendolo riscuotere dalla
miriade di pensieri che gli affollavano la mente.
Si sedette accanto ad un ragazzo biondo che immediatamente gli
passò una scodella in terracotta piena di una qualche sottospecie di minestra.
Altro problema dell’essere un gruppo di ragazzi: non mangiava
cose decenti da anni.
“Grazie Sam” disse con un sorrisetto, iniziando a mangiare
estraniandosi dalle chiassose conversazioni dei compagni.
“Tutto ok amico?” chiese di punto in bianco Evans, aggrottando
le sopracciglia.
“Diciamo di si” rispose Noah,
appoggiando la ciotola vuota a terra e svuotando un bicchiere di acqua, prima
di passarsi il dorso della mano sulla bocca “Solo….
Devo parlare con Finn, ora”
Sam fece un cenno dall’altra parte del falò rispetto dove
erano seduti loro due, e subito Puckerman si alzò,
dirigendosi in quella direzione. Trovò Finn intento a
seguire con attenzione una partita a carte tra altri due membri del Clan, e
appena gli picchiettò sulla spalla questi alzò gli occhi nei suoi, capendo
subito che aveva bisogno di lui in privato.
Finn
Hudson non aveva mai brillato in ingegno, ma lui e Puck
erano amici da quando erano solo due monelli, dopo tutti quegli anni era
naturale capirsi anche senza bisogno di specificare tutto.
Camminarono in silenzio fino alla loro grotta, quella che
dividevano con Sam e un paio di altri ragazzi, e Puck
si guardò attorno prima di tirare la tenda di un viola prugna sbiadito, per
tagliare il resto del Clan fuori dai loro affari.
Finn
accese la lampada ad olio appoggiata su un rozzo comò di legno, uno dei pochi
mobili nella stanza, voltandosi poi verso Noah “Che
succede? Non hai una bella faccia”
“Karofsky ci ha affidato un lavoro”
Finn
lo guardò stranito “A me?? Karofsky ha affidato un
lavoro a me??”
Puck
sbuffò “Dobbiamo spiare i Warblers…. Nel loro
accampamento”
Finn
si ammutolì “Ma…. Non
è possibile che abbia scelto me, insomma, nemmeno io mi fiderei di me stesso!” Puck ridacchiò “Sono scoordinato e chiassoso!”
“Ha deciso di mandarmi con te perché spera catturino me” disse
sbrigativo il ragazzo, sbuffando irritato “Insomma, il modo più pratico per
levarmi dalle palle credo” si sfilò le scarpe, calciandole via, mentre si
sedeva sul letto.
Hudson scosse il capo, incredulo “Lui….
non può”
“Certo che può, è il capo…” Puck si stese sulla sua branda, alzandosi la pesante
coperta di rozza lana colorata di una scadente tonalità di arancione sino alle
spalle. Non si cambiò nemmeno “Ora aspettiamo solo che venga a darci l’ordine
di partire…. Credo presto, comunque. Sarà meglio
riposare.”
Finn
scosse il capo, avvicinandosi all’uscita della tenda “Prima devo rinfrescarmi
le idee”
Noah
lo guardò uscire, comprendendolo.
Di tutti loro, Finn era quello che
si era distaccato dalla Tribù più dolorosamente e in ritardo rispetto al resto
del Clan.
Amava molto sua madre, lasciarla era stato così difficile….
E poi c’era Rachel.
Finn
si sedette su una roccia, lasciando che le gambe penzolassero nel vuoto, mentre
si portava le mani al volto.
Tornare a Potawatoi significava
tornare in un certo senso a camminare nel luogo in cui era cresciuto,
riportando alla mente la sofferenza del distacco.
E la convinzione di aver, anche se in minima parte, fatto la
scelta sbagliata.
Lasciò vagare la sua mente, mentre alzava il capo verso
l’orizzonte puntellato dalle cime dei monti, ricordandosi com’era quella
sensazione dolce del sentirsi davvero a casa…
Erano
già passati sei anni da quando, una triste mattina di fine aprile, aveva
lasciato la Tribù.
Aveva
ventitre anni, ma la sua scelta di unirsi ai Titans
era arrivata piuttosto in ritardo visto che i ragazzi e le ragazze che
decidevano di unirsi ai due Clan scissionisti se ne andavano appena compiuti i
diciotto anni.
Lui
aveva preso il suo tempo, complice l’attaccamento alla madre che non desiderava
lasciare sola e quel coraggio che gli era sempre mancato.
Ma
alla fine era stato quasi inevitabile.
La
voglia di dimostrare a tutti chi davvero fosse, intrisa di orgoglio maschile e
la consapevolezza che sua madre fosse ormai accasata con un brav’uomo al pari di Burt Hummel da qualche
anno lo avevano spinto ad accettare le insistenze di Noah.
La
mattina della sua partenza, tutta via, malgrado la decisione, fu davvero
difficile fare tutti i saluti del caso.
Strinse
un’ultima volta Kurt, il suo fratellastro, in un abbraccio triste, mentre sua
madre arrotolava un paio di frutti di uno strano colore blu in uno straccio di
stoffa bianca “Abbi cura di te” disse porgendoglieli, e subito il ragazzo li
mise nel grande zaino che teneva sulla schiena, insieme alle bottiglie di acqua,
i vestiti e le coperte.
Abbracciò
anche lei, salutando poi con un sorriso sincero anche Burt “Mi raccomando
ragazzo, lì fuori non c’è da scherzare”
“Occupati
di mia madre, penserò io alla mia pelle” disse Hudson, prima di lanciare
un’ultima occhiata a Kurt, fermo immobile accanto a Blaine, che a mala pena gli
fece un cenno col capo, stringendo in mano la fascetta rosso/blu del Clan dei
Warblers.
Vivevano
insieme da otto anni, erano amici, quasi fratelli.
Voleva
davvero molto bene a Blaine, quanto ne voleva a Kurt forse, ma tutto era
destinato a finire quel giorno. Ogni legame si sarebbe spezzato una volta
uscito da quel cancello.
Finn sapeva che da quel momento
stati sarebbero nemici, visto che si erano da poco uniti a due Clan opposti, e
mentre usciva dalle mura per l’ultima volta, entrando poi nell’auto di Puck, sentì una morsa al petto.
Prima
si sentiva parte di qualcosa, quando stava alla Tribù, sarebbe stata la stessa
cosa al Clan?
Alzò
gli occhi verso l’alto cancello, e poco prima che Puck
partisse verso Malecite vide su di esso la figura di
una ragazza con i capelli trasportati dall’aria calda del deserto guardarlo
andarsene via.
Erano
già passati sei anni da quella triste mattina di aprile, ma Finn
ricorda benissimo le lacrime di Rachel brillare sotto l’accecante luce del
sole.
~°~°~
La risata
trillante di Brittany ricoprì la piccola e modesta
tenda che le ospitava quella notte. La ragazza aveva un lungo e leggero
straccio legato intorno al corpo nudo, mentre seduta a gambe incrociate, faceva
passare nel foro di una bellissima conchiglia, un laccetto scuro.
“Cosa fai a
quest’ora?” la richiamò Santana, stiracchiandosi soddisfatta.
“Sto finendo la
collana per il compleanno di Allies!” esclamò,
girandosi a regalarle l’ennesimo sorriso. “e poi devo finire di attaccare
queste perline sul cappello di Lord Tabbinton!” la
mora sbuffò una risata e si allungò verso la ragazza, appoggiando il petto alla
sua schiena. “non trovi che questo posto sia troppo bianco e rosso?”
Santana non
rispose, ma iniziò a solleticare con le labbra il collo scoperto di Brittany, che ridacchiò, divertita. “Così non finirò mai e
Lord Tabbinton si arrabbierà se non decoro il suo
cappello preferito!” la rimproverò, muovendo e scoprendosi un poco.
Santana non
trovava altra creatura così bella come Brittany.
Allungò le mani
verso quelle della ragazza, facendo cadere il suo lavorato sulle coperte e
intrecciare così le loro dita.
Brittany, abbandonò il capo sulla spalla di Santana con
un sospiro e ascoltò la sua voce calda che si liberava in profonde parole
d’amore.
E la risata di Brittany invase nuovamente il cuore di Santana…
“…Lopez?!”
L’interpellata
si riscosse dai suoi pensieri e lanciò un’occhiataccia alla ragazza che aveva
osato interrompere i suoi ricordi.
“Cosa
vuoi?” soffiò, rabbiosa.
“La
regina vuole conferire con te.” e detto questo
“Regina?”
scosse il capo e sbuffò, divertita. “se la crede peggio di Karofsky!”
Si
alzò da terra e diede uno sguardo al giaciglio, dove Allies
dormiva, finalmente, serenamente, dopo una notte passata fra febbre e deliri.
Prima
di andare da Quinn doveva trovare qualcuno che stesse di guardia alla piccola…
Quinn
Fabrey, seduta composta nel suo letto di stoffe
pregiate, regalate da chissà quale alieno, affascinato dalla sua bellezza,
aspettava, impaziente il suo braccio destro.
Quando
Santana, entrò nel rifugio, il più sfarzoso e il più grande di tutto
l’accampamento, Quinn alzò gli occhi al cielo e cacciò alcune Cheerio intente a sventolarle
davanti al viso lungo ventagli di piume.
Si alzò in piedi e si avvicinò alla mora, appena furono sole,
sistemandosi le pieghe corte della gonna.
“Era
ora Santana.” Soffiò, arcuando
sensualmente le ciglia.
“Scusami,
Allies ha avuto la febbre questa notte e non sapevo a
chi lasciarla.” Si scusò la ragazza, la testa alta e gli occhi rivolti in un
punto impreciso dietro alla bionda.
Non
era mai stata in ottimi rapporti con Quinn, anzi, più di una volta avevano
avuto qualche discussione sulla gestione del clan. “perché mi hai fatto
chiamare?” chiese, controllando, in uno
moto nervoso, se la coda alta fatta di tutta fretta, fosse perfetta.
Il
capo non accettava imperfezioni.
“Devo
parlarti, cara Santana.” Annunciò, posandole una mano sulla spalla e
scortandola fuori dalla sua tenda. Il suo modo di parlare aveva un non so che
di ambiguo e alla maggior parte delle Cheerio, questo
faceva terrore.
L’aria
del mattino era lievemente fresca e il mare, sotto di loro, sembrava in
tempesta. “in privato.” Aggiunse,
lanciando lo sguardo ad alcune ragazze, che ridevano acconciandosi i capelli e
cercando un modo di far diventare i loro abiti succinti ancora più corti.
Scesero
uno stretto sentiero, che portava in riva al mare, dove, i resti del falò della
sera prima bruciavano pigri.
“Allora?”
chiese la mora, impaziente.
Quinn
sorrise dolcemente e i suoi occhi verdi si illuminarono per un attimo.
“Come
stai?”
Santana,
trattenne il fiato e si mordicchiò il labbro.
Brittany non era più con lei da
quattro giorni e stava morendo dentro.
“Bene.”
Mentì, stringendo i pugni, lungo i fianchi.
“Farò
finta di crederci,” disse sorridendo, camminando fluidamente verso la riva.
Alcune gocce salmastre le bagnarono i vestiti e le gambe, ma non vi badò.
“Dimmi
cosa vuoi da me.” Ringhiò, infastidita.
Voleva
tornare da Allies e assicurarsi che tutto fosse
apposto e voleva tornare da Brit e farsi cullare dal
salice che era impregnato della sua essenza.
Quinn
rise e si attorcigliò un boccolo biondo fra le dita affusolate. “Dirti la
verità.”
Santana la
guardò incuriosita e incrociò le braccia al petto. “Quale sarebbe sentiamo?”
La bionda la
guardò di traverso,infastidita dal suo tono indisponente. “Volevo risparmiarti
altro dolore, ma…”
Il capo
delle Cheerio fece una pausa e si finse addolorata.
“so chi ha ucciso Brittany.”
Santana
sgranò gli occhi, sentendoli già umidi. Deglutì e sentì il rimbombo feroce del
suo cuore nel petto.
“Ho cercato
un modo per evitarlo, per evitare la tua collera, ma…”
fece un sospiro. “non si può più nascondere la realtà.”
“Chi è
stato?” domandò, a denti stretti.
Quinn si
prese un momento di silenzio, quasi teatrale, mentre sospirava.
“Thad Harwood”
Infine, per
Santana fu solo rabbia cieca.
Non guardò
Quinn, mentre se ne andava a passi veloci.
Si fermò, solo
quando Quinn fu lontana dalla sua vita.
Aveva gli
occhi ricolmi di lacrime rabbiose, mentre pensava solo che la sua Brittany non era più con lei per una stupida guerra fra
clan.
“Brutto
figlio di puttana!” urlò, crollando a terra, fra la sabbia fresca. Desiderava
distruggerlo, annientarlo con le sue stesse mani. Ringhiò, la voce che grattava
con violenza contro la gola secca.
“Considerati
morto, Harwood!”
~°~°~
Il sole era già calato al di là del monte quando Blaine tornò
verso casa, dopo essere passato a trovare il fratello.
Il cielo al tramonto era una delle poche cose belle che ancora
si potevano vedere su quel pianeta martoriato , anche se Blaine ne coglieva la
sua pura semplicità, non avendo mai visto quanto la Terra fosse bella.
Certo, aveva ascoltato i racconti del nonno di Kirk come
tutti, aveva visto immagini da libri, ma tutte quelle piante, quei colori erano
un sogno.
Un autentico viaggio onirico, troppo lontano per poterlo anche
solo desiderare.
Non aveva di che lamentarsi, infondo, della sua vita.
Aveva un tetto sopra la testa, una famiglia, degli amici e un ruolo
nel clan che, per quando a volte potesse essere sopravvalutato, era molto
importante e pericoloso.
Si accorse distrattamente che il coprifuoco era già scattato e
che i bambini avevano lasciato i loro
giocattoli in giro. Blaine tirò un
leggero calcio a una palla di cuoio, soprappensiero.
Passò davanti all’officina
di Burt, trovandola chiusa e si affrettò a raggiungere casa sua, proprio lì
affianco. Aprì la porta, di un vecchio legno scricchiolante, con una spalla,
entrando in una accogliente casetta arreda alla bell’è meglio.
“Sono a casa!” strillò, sciogliendosi la bandana, ancora legata
intorno alla testa, appoggiandola sulla cassettiera di fianco alla porta.
Sentì rumori di passi e la luce che veniva accesa, illuminando la
semioscurità della stanza. “Ben tornato tesoro.” Esclamò con voce gentile, una
donna con tipici abiti da casalinga e il viso sporco di farina.
“Cosa c’è per cena, Carole?” domandò avvicinandosi per posarle un
educato bacio sulla guancia.
“Una zuppa di verdure” rispose lei, sorridendogli “Non è arrivato
il carico di carne, quindi niente di buono temo”
“Andrà benissimo” le disse dolcemente il ragazzo, scendendo per uno
stretto corridoio fatto di cinque gradini fino ad una microscopica stanza.
Così piccola che, per quanto fosse basso, rischiava di urtare il
soffitto con la testa.
C’erano però quattro brande, due a terra e due sopra, e un piccolo
tavolino con sotto un paio di scomparti per i vestiti e i suoi oggetti
personali.
Lì si chinò nel piccolo
catino di acqua che Carole gli aveva preparato e si sciacquò il viso e le mani
levando così le tracce di sabbia e sporco. Si infilò un paio di pantaloni e una
casacca bianca prima ti tornare nel piccolo salotto dove ora sedeva il patrone
di casa, con in mano una delle poche e rare copie del giornale terreste “Devi
passarlo alla signora Febray dopo, o posso leggerlo
anche io?” chiese il ragazzo prendendo posto sulla poltrona davanti all’uomo.
Burt alzò gli occhi guardandolo “Certo che puoi, ragazzo, ma poi
devi portarglielo tu…”
Blaine annuì e aspettò il suo turno, appoggiando il capo sulla
vecchia imbottitura della poltrona. Burt alzò nuovamente lo sguardo e lo fissò
preoccupato.
“Giornataccia?” domandò, “Ho riparato la tua moto oggi.”
Aggiunse.
“Sono solo… Stanco, direi.” Sospirò e chiuse gli occhi caramello per un
momento. “grazie per aver salvato la bimba” concluse facendo un sorrisetto.
Burt fece un cenno e
tornò alla lettura. Entrambi aspettarono in silenzio che Carole li chiamasse
per la cena.
Quando ciò avvenne, per grande sollievo dei loro stomaci
brontolanti, Burt passò il giornale a Blaine permettendogli di leggerlo mentre
consumavano la frugale cena.
“Blaine controlli se…”
Il ricciolo sorrise, guardando la donna “Finn
è vivo, l’ho visto oggi e mi sembra in forma” disse prendendo una cucchiaiata
di zuppa prima di dare comunque un’occhiata alla lista dei morti di quella
settimana.
Alzò gli occhi con sorpresa “Burt, sapevi che è morta Brittany?” chiese, scioccato.
L’uomo gli lanciò uno sguardo “Sul serio? Quando?”
“Non si sa…. Solo che il suo
nome è qui segnato” Blaine ci pensò su
un istante “E il cadavere? Non l’hanno portato qui per seppellirlo al cimitero”
Carole sospirò, affranta “Povera ragazza, quando sono morti i
suoi genitori ha perso tutto…. Chissà la sua povera
sorellina”
“Le Cheerio l’avranno seppellita lì
vicino a loro” commentò aspramente il meccanico, bevendo un bicchiere d’acqua
“Dopotutto non ha nessuno che possa piangere sulla sua tomba, qui…”
Il ragazzo sospirò,
ripensando a quella ragazza così solare e divertente e chiedendosi chi avrebbe
mai potuto portare una simile notizia ad Artie, che
era molto affezionato a lei. Blaine sapeva che, addirittura, il giovane ragazzo
prodigio era riuscito a clonare un gatto, animale da tempo estinto sulla terra,
usando del DNA parecchio usurato, solo per rendere felice la ragazza che ogni
santissima domenica tornava alla Tribù per trovarlo.
Evento straordinario visto che i giovani, una volta lasciata Potawatoi, non tornavano più nemmeno dai genitori.
Eppure lei aveva continuato per diverso tempo, troppo attaccata al
ragazzo con cui aveva condiviso l’infanzia.
Purtroppo però, quei fatti non erano rari e le morti cadevano
costantemente, quasi ogni giorno.
Non c’era ora che i famigliari dei Clan non vivevano in angoscia,
spaventati di leggere il nome dei loro figli fra le liste.
A volte erano anche infinite e il tempo non pareva passare mai fra
un nome e l’altro.
Finirono di cenare in silenzio e Blaine faticò a terminare la sua
zuppa, con lo stomaco improvvisamente chiuso dopo la notizia.
Si alzò da tavola, e svuotò il resto della cena nella pentola di
rame e lavò il suo piatto e il suo cucchiaio, riponendoli poi nella credenza.
Carole, dal tavolo, gli sorrise riconoscente del gesto e Blaine
terminò il suo mezzo bicchiere di liquore, che Burt gli aveva versato e che si
gustava ogni sera, con insolita velocità, afferrando il giornale per portarlo
dalla signora Fabrey prima di uscire
dall'accampamento.
“Non gingillarti fuori dalla città Blaine” disse, come ogni sera,
Burt, guardandolo avviarsi alla porta e rimettersi la fascia attorno ai capelli
“Torna presto, mi raccomando”
“E prendi la giacca, stasera fa più freddo del solito” terminò
Carole, alzandosi per prendere la ciotola ormai vuota del marito.
Blaine li salutò con un sorriso prima di uscire da casa con il
giornale sotto braccio e la giacca in mano. Se la infilò immediatamente, appena
una fredda brezza, che pareva provenire dal centro del deserto, lo investì.
Camminò spedito verso casa Febray, buttando un occhio
in giro e notando che Thad, come sempre, se ne stava
appoggiato al piccolo muro di roccia davanti all’entrata della sua dimora, con
gli occhi puntati verso le stelle.
Blaine si era sempre chiesto cosa mai potesse pensare, ma poi si
ricordava che essendo il Capo del Clan e della Tribù non doveva essere facile
per un ragazzo poco più che ventenne tenere sulle spalle tutti i doveri che un
simile incarico portava.
Lui non credeva ci sarebbe mai riuscito al suo posto, e per quanto
potessero litigare nutriva un sincero rispetto per lui.
Arrivò davanti alla casa della signora Fabrey
e bussò tre volte. Dovette aspettare qualche minuto prima che la signora
aprisse la porta.
Era avvolta in una lunga veste color sabbia e i capelli biondi
erano raccolti in un chignon perfetto. Più il tempo passava e più sembrava non
toccarla, rendendola sempre perfetta.
“Oh, Blaine!” esclamò sorpresa.
“Le ho portato il giornale!”
disse il ragazzo con un sorriso gentile. “si assicuri che lo abbiano i signori
Cohen entro sta sera.” Le ricordò.
La donna annuì e ricambiò il sorriso. “Vuoi entrare? Stavo giusto
bevendo qualcosa di forte.”
Blaine, allettato dalla richiesta, dovette declinare l’offerta. “Non
vorrei fare tardi…” aggiunse con piccolo sorriso
imbarazzato.
La donna strinse le labbra
comprensiva e annuì, salutandolo.
Quando il volto della signora Fabray
sparì dietro l’imposta, Blaine si diresse a passo lento verso il portone
principale, scacciando qualche sasso.
A quell’ora nessuno girava per i sentierini
scavati nella sabbia, il coprifuoco era ormai scattato ed eccetto quelli del
Clan nessuno se la sentiva di abbandonare la propria dimora, nonostante la
città fosse un posto sicuro.
Arrivò al portone salendo le scale che conducevano alla guardiola,
per avvisare Jeff e Nick, e una volta lì incappò in una scena che ormai si
ripeteva da un po’.
Essendo gay non lo disturbava molto, ma beccare Jeff e Nick mentre
si baciavano con eccessiva enfasi durante
il turno di guardiola non era proprio il massimo della vita. Non tanto perché
Flint, il ragazzo di Jeff, era un suo amico, e nemmeno perché Nick era appena
diventato papà, ma perché la cosa gli metteva ansia. Non avevano gli occhi
fissi sul pericolo, ecco.
Fece retrofront, scendendo un po’ di
gradini e risalendoli battendo su di essi i piedi molto forte, per farsi
sentire.
Tutta la vallata, poteva sentire.
Ciò serviva a permettere ai due amanti di staccarsi ‘in tempo’ e
ricomporsi.
Li salutò con un sorriso mentre Jeff arrossiva di botto, già ben
lontano dal collega “Non stavamo facendo niente!” squittì nervoso mentre Duvall
si portava una mano al viso, disperato.
“Ok.” Rispose con un alza di spalle il morettino “Mi aprite le
porte?”
Nick annuì, guardandolo comprensivo “Certo Blaine….”
Il ragazzo li salutò un’ultima volta, prima di incamminarsi verso
una lunga distesa di deserto, illuminata solo da poche fiaccole che segnavano
un percorso prestabilito. S’infilò la giacca e rabbrividì di freddo, mentre affondava
le mani dentro le tasche.
Quell’uscita serale era ormai diventata abitudine che, nonostante
gli anni, non aveva mai perso.
Sorrise tristemente verso qualche ricordo e imboccò una curva
ripida fino a trovarsi davanti a una grande distesa di deserto e qualche secco
arbusto.
Il cimitero di Potawatoi, anch’esso poco
illuminato, solo grazie ai lumini sulle tombe, contava centinai di morti, tutti
solo dopo l’inizio dell’epidemia aliena.
Camminò tra le file di lapidi tenendo lo sguardo basso, mentre ripensava
a quanto era stato male quando aveva a sua volta contratto quel morbo.
Continuò a camminare, tristemente, ricordando di quanto dolore
aveva portato quella maledetta malattia.
Artie
aveva perso l’uso delle gambe, salvandosi per miracolo.
Brittany,
Jeff, e molti altri avevano perso i loro genitori, i loro parenti….
I loro amici.
Arrivò al limitare del piccolo cimitero, dove solitaria sorgeva una
piccola lapide totalmente bianca, che lo stesso Blaine aveva cercato e
levigato.
Vi si inchinò davanti, spazzando via un po’ di sabbia che il vento
del deserto aveva portato sulle lettere lì sopra incise.
Sorrise tristemente, accarezzando quel nome con la punta delle
dita, prima di prendere un respiro profondo.
Ancora una volta, come ogni sera, gli parve quasi che il vento
freddo del deserto si fosse fatto di improvviso più caldo, e che esso gli fosse
arrivato sul viso come una dolce carezza.
Erano passati quattro anni da quanto la malattia glielo aveva
portato via, ma quando si trovava lì da solo il
petto gli doleva come il primo giorno senza di lui…
Abbassò la mano, appoggiandosela sulle ginocchia.
“Ciao Kurt….”
Continua….
Nda.
E in questo capitolo finalmente appare anche Kurt.
Ora, sappiamo cosa state pensando…. ‘
Kurt morto, Britt morta…. E
mo?’
Don’t despair! Ci sarà sia Klaine che Brittana all’interno
della storia (e non solo…. Non per dare altri indizi
sui pairing ma pensate un po’ a quanti personaggi ci
sono sviluppati e capirete….). Senza contare che
questo capitolo spiana la strada all’immaginazione! Tenete conto della storia
del Dna e del discorso che hanno fatto Holly e Will nella prima parte ;)
Bene, detto questo ringraziamo le cinque fantastiche persone che
hanno recensito e vi invitiamo un po’ tutti voi che leggete a lasciare un
commento spassionato :D
Un piccolo appunto: qui appaiono due personaggi, Josh e Eryn, abbastanza
importanti per la narrazione. Loro due hanno rispettivamente i volti di Joey Ritcher e Lauren Lopez degli Starkid! Siamo
entrambe due fan sfegatate di questi giovani, non potevamo non metterli!
A presto col prossimo aggiornamento e l’ufficiale inizio ‘delle
danze’!
Ricordate, niente è come ve lo aspettate in questa storia… ;)
Un bacione
Jessy&Grè.
Ps.
Per chi volesse seguire più attivamente gli sviluppi della storia, gli
aggiornamenti e possibili fanart mettete mi piace
alla pagina Facebook di una delle due autrici (Jessika). Eccovi il link:
http://www.facebook.com/#!/pages/Chemical-Lady-EFP/212620025460195