Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: JMG    30/08/2011    9 recensioni
Se vi piacciono le storia basate sugli Alternative Univers allora questa fa decisamente al caso vostro. I pairing sono i più svariati, e abbiamo inserito ogni personaggio del telefilm in un contesto decisamente 'diverso'.
Speriamo sia di vostro gradimento!
Questa è una fanfiction scritta a quattro mani da Chemical Lady e Elfomikey.
Ps: prevalentamente Klaine, ma con molti altri pairing.
*
Il ragazzo che la pilotava si sentiva esattamente come ogni volta, eccitato dalla sfida contro il destino e quelli che dovevano essere almeno una quarantina del Clan dei Titans. Eccitato, ma anche lievemente spaventato perché sapeva che se lo avessero preso… Beh.
Era meglio non pensarci e dare più gas, cercando di schivare le dune basse.
“Non hai scampo, Anderson!” ringhiò qualcuno dalla folla, ricevendo in cambio un l’alzata del dito medio. “piccolo stronzetto…!”
Genere: Azione, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
bananissima

 

 

Water Eyes.

 

 

Prologue

 

 

Part II

 

 

 

Becky non era mai stata in un posto come quello.

Mai Sue aveva osato portarla con sé fuori dalla base e invece, quel mattino, lei era lì, con il suo capo, che camminavano a passo spedito nell’ingresso che portava verso un’infinita e bianca stanza, dove, alle due estremità sorgevano alte scrivanie e uomini distinti lavoravano dietro a i più tecnologici computer che Becky avesse mai visto.

Il NAGA o meglio il North American Genetic Archive, era, come diceva la parola stessa l’archivio di tutti i DNA del nord dell’America. La ragazzina non si intendeva di quelle cose, ma sapeva che per la Silvester quel posto era importante tanto quanto un tesoro inestimabile.

CamminarNono sul marmo bianco a passo svelto e Becky cercò, nel migliore dei modi, di imitare l’espressione che Sue aveva assunto sul viso.

Era seria, quasi intimidatoria.

Alle scrivanie, gli uomini attendevano che la donna sfilasse davanti a loro prima di alzare appena gli occhi dagli schermi dei loro computer in una reverenziale paura.

La biondina si soffermò ad osservarli con genuino interesse, prima di essere richiamata da Sue ed affrettarsi a seguirla.

Arrivarono davanti alla scrivania più grande e alta di tutte, alta come quella di un giudice durante un processo, e lì la Silvester si bloccò schiarendosi la voce e attirando così l’attenzione di un signore calvo sulla cinquantina che subito smise di controllare dei documenti per poterla guardare negli occhi.

“Ben arrivata, speriamo che il suo viaggio sin  qui sia stato….”

“Bando alle ciance Polly. Sono qui per prelevare quello che ti ho richiesto, qui c’è la somma pattuita” la donna lasciò cadere una specie di coupon, con scritti sopra i litri di acqua che ‘ciò che aveva richiesto’ valeva.

Paul Martinez era sempre stato un uomo rispettabilissimo, dedito al lavoro, ma non poteva mettersi contro un tale colosso imprenditoriale e sperare di raccontarlo in giro.

Tutti sapevano che mettersi contro Sue Silvester era come mandarsi al patibolo.

Paul si aggiustò gli occhiali sul naso e si asciugò il sudore con un fazzoletto candido.

“Molto Bene, a momenti verrà scortata della sezione B.”  rispose, cercando di non risultare balbettante. “Eryn!” chiamò e in pochi frettolosi passi, una ragazza, non più di venticinque anni, e con un lungo camice bianco addosso, fece la sua comparsa con un ampio sorriso di circostanza.

Era bassa, e i capelli chiari e lisci erano sciolti sulle spalle.  Becky la osservò per un minuto intero, incuriosita dal suo aspetto.

“La dottoressa Emerson vi scorterà fino alla sezione, dov’era in avanti siete nelle sue mani.”

Eryn continuò a sorridere mentre Sue le rivolse un’occhiataccia, quasi sprezzante, ma questo non fece diminuire l’allegria della ragazza.

“Da questa parte signore!” esclamò Eryn, rivolgendo un piccolo gesto di saluto verso Paul.

Tappetta il tuo sorriso mi sta facendo venire l’eritema.” Sbottò la Silvester, mentre Eryn aveva già cominciato a far strada lungo un corridoio avvolto nella semi oscurità.

Arrivarono ad un grande ascensore illuminato da calde luci dorate col quale scesero di un piano sino agli archivi veri e propri. Uscirono nel grande corridoio, dirigendosi a destra e dando le spalle alla sezione A per accedere alla B.

Lì, seduto alla scrivani, stava un ragazzo dai capelli neri e spettinati, intento a leggere quello che pareva un giornalino erotico. Solo quando Eryn fu abbastanza vicina capì che sì, era un giornalino erotico “Josh metti giù i piedi” sibilò sbrigativa, afferrando un mazzo di chiavi da dietro al ragazzo.

Questi sussultò, lanciando uno sguardo a Sue ancora fissa sulla porta “Non possiamo darle il Dna del nostro amico…. Non possiamo”

Eryn  sorrise tristemente, accarezzando i capelli del moro prima di dargli le spalle.

Non avevano scelta e per quanto facesse male dovevano.

“Allora, comodino? Non ho tempo da perdere io!” sbottò la donna, mentre Eryn tornava da lei camminando fiera e ostentando ancora quel sorriso “Se tu fossi lievemente più alta ti prenderei a sberle per quel sorrisetto, ma se mi chino mi viene a far male la sciatica!”

Eryn restò il silenzio, quasi affascinata dalla quantità di cattiverie uscite dalla bocca di quella donna nel giro di pochi minuti. Sospirò e fece roteare le chiavi sul dito, dirigendosi verso un’ampia porta di un nero lucido. Inserì la chiave nella toppa e girò tre volte, aprendo con fatica l’imposta.

Eryn trovava da brividi l’idea di prelevare DNA delle persone per quel genere di scopo, ma a quella subdola donna non si poteva negare nulla. “Eccoci qua.” Annunciò, accendendo le luci.

Sue alzò gli occhi verso l’alto, seguendo la linea degli alti registri che arrivavano sino al soffitto, situato a circa dodici metri di altezza.

Eryn sospirò, prendendo una cartella da dentro un dispenser e leggendo velocemente i due nomi che tanto sapeva a memoria “Può seguirmi, signora SIlvester?”

“Signorina per te, tappetta” disse Sue salendo su una pedana subito imitata da Becky.

Eryn continuò ad ignorare quegli insulti e, una volta preso posto a sua volta sulla pedana elevatore, si appoggiò alla ringhiera infilando in un quadrante una delle molte chiavi che aveva nel mazzo, la più piccola di un argento vivo.

Girò una sorta di microfono verso di se e poi a voce chiara disse “Pierce.”

Subito la pedana partì, rischiando di far cadere sia Sue che Becky e ad un certo punto si bloccò, alzandosi di un paio di metri da terra. Subito Eryn aprì un cassetto, sfogliando i molti fascicoli fino a fermarsi a quello che recava la targhetta Brittany S. Pierce.

Lo passò a Sue che subito guardò la foto sulla prima pagina, che ritraeva una bella e giovane ragazza bionda con degli occhi di un azzurro intenso, lievemente a mandorla.

“Penso sia…. Perfetta” disse vittoriosa, prima di strappare una bustina contente quella che sembrava una fialetta di sangue, appiccicata accanto alla foto nel fascicolo. “Ora lui…

La pedana si mosse automaticamente in avanti, solo di pochi metri e Eryn ripeté la stessa procedura.

“Hummel.” Esclamò e la sua voce risultò lievemente inclinata. Porse il fascicolo a Sue che aveva tramutato la sua espressione dura con un ghigno soddisfatto. Nuovamente, su una piccola targa bianca, c’era scritto “Kurt Hummel.” 

Il ragazzo era tutto quello che la Silvester cercava, bello, anch’esso giovane e con degli splendidi occhi azzurri, dalla forma lievemente allungata.

Becky.” Disse, la donna “abbiamo i prescelti.”

Eryn chinò il capo e fece sparire il sorriso dalle sue labbra, per far spazio a una smorfia preoccupata.

“Tu, gnomo da giardino, fammi scendere.” Ordinò poi, rivolto alla ragazza, intenta a fissare il viso di Kurt e Brittany, con mille pensieri nella testa.

Strappò la fila del Dna restituendo sgarbatamente il fascicolo a Eryn che lo mise via, prima di riportare Sue all’entrata dei registri.

Josh era ancora lì, e stavolta si fece trovare in piedi con addosso la divisa da addetto alla sicurezza.

Fece un passo avanti, guardando Sue “Lei…. Mi fa schifo”

“JOSH!” Eryn lo prese per un braccio, come ad impedirgli di dire altro, aspettando timorosa una reazione da parte della Silvester.

Questa, però, esplose semplicemente a ridere, accarezzando i capelli a Becky che guardava truce il ragazzo. La donna lanciò ai piedi di Josh un paio  di pezzi di lucente argento “Prendili e vai da un  barbiere, mi ricordi il mio vecchio Scottish Terrier il giorno che l’ho accidentalmente chiuso nella porta stagna del laboratorio”

Josh ringhiò, indignato, ma Eryn gli impedì di ribattere, trattenendolo per un braccio e lanciandogli un’occhiata d’avvertimento. “ Devo scortarla verso l’uscita Signorina Silvester.” Disse, l’espressione severa e lo sguardo carico di disprezzo.

 Sue la guardò per un’ultima volta da capo a piedi, prima di girare i tacchi. “Non ho bisogno di una ragazzina per uscire da questo posto!” esclamò. “Andiamo Becky! Abbiamo qualcosa da festeggiare.” La bionda lanciò loro un’ultima occhiata d’avvertimento, proprio in perfetta sincronia con il suo capo.

 Lasciarono la sezione B camminando fiere verso gli ascensori, fra le mani , Sue stringeva trionfante le fialette.

I due ragazzi la guardarono sparire oltre l’ascensore, poi Josh si lasciò cadere senza forze sulla sedia “Dobbiamo avvertire Thad e il Clan”

“Dobbiamo aspettare di tornare a Potawatoi venerdì…. Non possiamo rischiare che intercettino la videochiamata” La ragazza prese posto davanti a lui, sulla scrivania, scostandosi il camice dalle gambe per poterle accavallare prima di accarezzare le ciocche corvine di Josh “Secondo te cos’è uno Scottish Terrier?”

Il ragazzo scrollò le spalle, prendendole la mano “Non lo so…. Qualche bestia estinta. Lei viveva già sulla terra al tempo dei dinosauri tempo” aggiunse poi in tono ironico.

Eryn rise, prima di perdere di nuovo il sorriso “Non possono fare questo a Kurt…

Il ragazzo sospirò, sentendo sulle spalle l’opprimente peso dell’inutilità.

 

 

 

~°~°~

 

Se di giorno le temperature arrivavano a toccare vette surreali, la notte si abbassavano così velocemente da suonare impossibile, inimmaginabile.

Nonostante Puck fosse abituato all’aria fredda che la notte arrivava all’accampamento direttamente dall’oceano Atlantico, si strinse maggiormente addosso la giacca mentre si dirigeva a passo spedito verso lo spiazzo in cui i Titans erano soliti consumare il rancio e accendere il falò.

Passò davanti alle grotte, in quel momento deserte, scendendo un sentiero scosceso e in pendenza, fino a raggiungere il resto dei ragazzi.

Così vivevano, in case naturali scavate nella dura roccia, sempre se quella decideva di non crollare sulle loro teste, in gruppetti di quattro o cinque persone per grotta.

Eccetto Karofsky che, da quando Puck aveva provato a spodestarlo, condivideva il suo spazio privato solo con Azimio, convinto che una buona guardia del corpo fosse ormai fondamentale.

 Quegli anfratti rocciosi e spogli erano freddi la notte, e nonostante tutte le coperte che Puck poteva mettersi addosso non riusciva mai a eliminare il senso di gelo dal suo petto.

Era come se, costantemente, gli mancasse qualcosa.

Il suono delle risate lo investì, facendolo riscuotere dalla miriade di pensieri che gli affollavano la mente.

Si sedette accanto ad un ragazzo biondo che immediatamente gli passò una scodella in terracotta piena di una qualche sottospecie di minestra.

Altro problema dell’essere un gruppo di ragazzi: non mangiava cose decenti da anni.

“Grazie Sam” disse con un sorrisetto, iniziando a mangiare estraniandosi dalle chiassose conversazioni dei compagni.

“Tutto ok amico?” chiese di punto in bianco Evans, aggrottando le sopracciglia.

“Diciamo di si” rispose Noah, appoggiando la ciotola vuota a terra e svuotando un bicchiere di acqua, prima di passarsi il dorso della mano sulla bocca “Solo…. Devo parlare con Finn, ora”

Sam fece un cenno dall’altra parte del falò rispetto dove erano seduti loro due, e subito Puckerman si alzò, dirigendosi in quella direzione. Trovò Finn intento a seguire con attenzione una partita a carte tra altri due membri del Clan, e appena gli picchiettò sulla spalla questi alzò gli occhi nei suoi, capendo subito che aveva bisogno di lui in privato.

Finn Hudson non aveva mai brillato in ingegno, ma lui e Puck erano amici da quando erano solo due monelli, dopo tutti quegli anni era naturale capirsi anche senza bisogno di specificare tutto.

Camminarono in silenzio fino alla loro grotta, quella che dividevano con Sam e un paio di altri ragazzi, e Puck si guardò attorno prima di tirare la tenda di un viola prugna sbiadito, per tagliare il resto del Clan fuori dai loro affari.

Finn accese la lampada ad olio appoggiata su un rozzo comò di legno, uno dei pochi mobili nella stanza, voltandosi poi verso Noah “Che succede? Non hai una bella faccia”

Karofsky ci ha affidato un lavoro”

Finn lo guardò stranito “A me?? Karofsky ha affidato un lavoro a me??”

Puck sbuffò “Dobbiamo spiare i Warblers…. Nel loro accampamento”

Finn si ammutolì “Ma…. Non  è possibile che abbia scelto me, insomma,  nemmeno io mi fiderei di me stesso!” Puck ridacchiò “Sono scoordinato e chiassoso!”

“Ha deciso di mandarmi con te perché spera catturino me” disse sbrigativo il ragazzo, sbuffando irritato “Insomma, il modo più pratico per levarmi dalle palle credo” si sfilò le scarpe, calciandole via, mentre si sedeva sul letto.

Hudson scosse il capo, incredulo “Lui…. non può”

“Certo che può, è il capo…Puck si stese sulla sua branda, alzandosi la pesante coperta di rozza lana colorata di una scadente tonalità di arancione sino alle spalle. Non si cambiò nemmeno “Ora aspettiamo solo che venga a darci l’ordine di partire…. Credo presto, comunque. Sarà meglio riposare.”

Finn scosse il capo, avvicinandosi all’uscita della tenda “Prima devo rinfrescarmi le idee”

Noah lo guardò uscire, comprendendolo.

Di tutti loro, Finn era quello che si era distaccato dalla Tribù più dolorosamente e in ritardo rispetto al resto del Clan.

Amava molto sua madre, lasciarla era stato così difficile….

E poi c’era Rachel.

Finn si sedette su una roccia, lasciando che le gambe penzolassero nel vuoto, mentre si portava le mani al volto.

Tornare a Potawatoi significava tornare in un certo senso a camminare nel luogo in cui era cresciuto, riportando alla mente la sofferenza del distacco.

E la convinzione di aver, anche se in minima parte, fatto la scelta sbagliata.

Lasciò vagare la sua mente, mentre alzava il capo verso l’orizzonte puntellato dalle cime dei monti, ricordandosi com’era quella sensazione dolce del sentirsi davvero a casa…

 

Erano già passati sei anni da quando, una triste mattina di fine aprile, aveva lasciato la Tribù.

Aveva ventitre anni, ma la sua scelta di unirsi ai Titans era arrivata piuttosto in ritardo visto che i ragazzi e le ragazze che decidevano di unirsi ai due Clan scissionisti se ne andavano appena compiuti i diciotto anni.

Lui aveva preso il suo tempo, complice l’attaccamento alla madre che non desiderava lasciare sola e quel coraggio che gli era sempre mancato.

Ma alla fine era stato quasi inevitabile.

La voglia di dimostrare a tutti chi davvero fosse, intrisa di orgoglio maschile e la consapevolezza che sua madre fosse ormai accasata con un  brav’uomo al pari di Burt Hummel da qualche anno lo avevano spinto ad accettare le insistenze di Noah.

La mattina della sua partenza, tutta via, malgrado la decisione, fu davvero difficile fare tutti i saluti del caso.

Strinse un’ultima volta Kurt, il suo fratellastro, in un abbraccio triste, mentre sua madre arrotolava un paio di frutti di uno strano colore blu in uno straccio di stoffa bianca “Abbi cura di te” disse porgendoglieli, e subito il ragazzo li mise nel grande zaino che teneva sulla schiena, insieme alle bottiglie di acqua, i vestiti e le coperte.

Abbracciò anche lei, salutando poi con un sorriso sincero anche Burt “Mi raccomando ragazzo, lì fuori non c’è da scherzare”

“Occupati di mia madre, penserò io alla mia pelle” disse Hudson, prima di lanciare un’ultima occhiata a Kurt, fermo immobile accanto a Blaine, che a mala pena gli fece un cenno col capo, stringendo in mano la fascetta rosso/blu del Clan dei Warblers.

Vivevano insieme da otto anni, erano amici, quasi fratelli.

Voleva davvero molto bene a Blaine, quanto ne voleva a Kurt forse, ma tutto era destinato a finire quel giorno. Ogni legame si sarebbe spezzato una volta uscito da quel cancello.

Finn sapeva che da quel momento stati sarebbero nemici, visto che si erano da poco uniti a due Clan opposti, e mentre usciva dalle mura per l’ultima volta, entrando poi nell’auto di Puck, sentì una morsa al petto.

Prima si sentiva parte di qualcosa, quando stava alla Tribù, sarebbe stata la stessa cosa al Clan?

Alzò gli occhi verso l’alto cancello, e poco prima che Puck partisse verso Malecite vide su di esso la figura di una ragazza con i capelli trasportati dall’aria calda del deserto guardarlo andarsene via.

Erano già passati sei anni da quella triste mattina di aprile, ma Finn ricorda benissimo le lacrime di Rachel brillare sotto l’accecante luce del sole.

 

~°~°~

 

 

 

La risata trillante di Brittany ricoprì la piccola e modesta tenda che le ospitava quella notte. La ragazza aveva un lungo e leggero straccio legato intorno al corpo nudo, mentre seduta a gambe incrociate, faceva passare nel foro di una bellissima conchiglia, un laccetto scuro.

“Cosa fai a quest’ora?” la richiamò Santana, stiracchiandosi soddisfatta.

“Sto finendo la collana per il compleanno di Allies!” esclamò, girandosi a regalarle l’ennesimo sorriso. “e poi devo finire di attaccare queste perline sul cappello di Lord Tabbinton!” la mora sbuffò una risata e si allungò verso la ragazza, appoggiando il petto alla sua schiena. “non trovi che questo posto sia troppo bianco e rosso?”

Santana non rispose, ma iniziò a solleticare con le labbra il collo scoperto di Brittany, che ridacchiò, divertita. “Così non finirò mai e Lord Tabbinton si arrabbierà se non decoro il suo cappello preferito!” la rimproverò, muovendo e scoprendosi un poco.

Santana non trovava altra creatura così bella come Brittany.

Allungò le mani verso quelle della ragazza, facendo cadere il suo lavorato sulle coperte e intrecciare così le loro dita.

Brittany, abbandonò il capo sulla spalla di Santana con un sospiro e ascoltò la sua voce calda che si liberava in profonde parole d’amore.

E la risata di Brittany invase nuovamente il cuore di Santana…

 

…Lopez?!”

L’interpellata si riscosse dai suoi pensieri e lanciò un’occhiataccia alla ragazza che aveva osato interrompere i suoi ricordi.

“Cosa vuoi?” soffiò, rabbiosa.

“La regina vuole conferire con te.” e detto questo la Cheerio se ne andò, facendo svolazzare la veste.

“Regina?” scosse il capo e sbuffò, divertita. “se la crede peggio di Karofsky!”

Si alzò da terra e diede uno sguardo al giaciglio, dove Allies dormiva, finalmente, serenamente, dopo una notte passata fra febbre e deliri.

Prima di andare da Quinn doveva trovare qualcuno che stesse di guardia alla piccola…

Quinn Fabrey, seduta composta nel suo letto di stoffe pregiate, regalate da chissà quale alieno, affascinato dalla sua bellezza, aspettava, impaziente il suo braccio destro.

Quando Santana, entrò nel rifugio, il più sfarzoso e il più grande di tutto l’accampamento, Quinn alzò gli occhi al cielo e cacciò alcune Cheerio intente a sventolarle davanti al viso lungo ventagli di piume.  Si alzò in piedi e si avvicinò alla mora, appena furono sole, sistemandosi le pieghe corte della gonna.

“Era ora Santana.”  Soffiò, arcuando sensualmente le ciglia.

“Scusami, Allies ha avuto la febbre questa notte e non sapevo a chi lasciarla.” Si scusò la ragazza, la testa alta e gli occhi rivolti in un punto impreciso dietro alla bionda.

Non era mai stata in ottimi rapporti con Quinn, anzi, più di una volta avevano avuto qualche discussione sulla gestione del clan. “perché mi hai fatto chiamare?”  chiese, controllando, in uno moto nervoso, se la coda alta fatta di tutta fretta, fosse perfetta.

Il capo non accettava imperfezioni.

“Devo parlarti, cara Santana.” Annunciò, posandole una mano sulla spalla e scortandola fuori dalla sua tenda. Il suo modo di parlare aveva un non so che di ambiguo e alla maggior parte delle Cheerio, questo faceva terrore.

L’aria del mattino era lievemente fresca e il mare, sotto di loro, sembrava in tempesta.  “in privato.” Aggiunse, lanciando lo sguardo ad alcune ragazze, che ridevano acconciandosi i capelli e cercando un modo di far diventare i loro abiti succinti ancora più corti.

Scesero uno stretto sentiero, che portava in riva al mare, dove, i resti del falò della sera prima bruciavano pigri.

“Allora?” chiese la mora, impaziente.

Quinn sorrise dolcemente e i suoi occhi verdi si illuminarono per un attimo.

“Come stai?”

Santana, trattenne il fiato e si mordicchiò il labbro.

Brittany non era più con lei da quattro giorni e stava morendo dentro.

“Bene.” Mentì, stringendo i pugni, lungo i fianchi.

“Farò finta di crederci,” disse sorridendo, camminando fluidamente verso la riva. Alcune gocce salmastre le bagnarono i vestiti e le gambe, ma non vi badò.

“Dimmi cosa vuoi da me.” Ringhiò, infastidita.

Voleva tornare da Allies e assicurarsi che tutto fosse apposto e voleva tornare da Brit e farsi cullare dal salice che era impregnato della sua essenza.

Quinn rise e si attorcigliò un boccolo biondo fra le dita affusolate. “Dirti la verità.”

Santana la guardò incuriosita e incrociò le braccia al petto. “Quale sarebbe sentiamo?”

La bionda la guardò di traverso,infastidita dal suo tono indisponente. “Volevo risparmiarti altro dolore, ma…

Il capo delle Cheerio fece una pausa e si finse addolorata. “so chi ha ucciso Brittany.”

Santana sgranò gli occhi, sentendoli già umidi. Deglutì e sentì il rimbombo feroce del suo cuore nel petto.

“Ho cercato un modo per evitarlo, per evitare la tua collera, ma…” fece un sospiro. “non si può più nascondere la realtà.”

“Chi è stato?” domandò, a denti stretti.

Quinn si prese un momento di silenzio, quasi teatrale, mentre sospirava.

Thad Harwood

Infine, per Santana fu solo rabbia cieca.

Non guardò Quinn, mentre se ne andava a passi veloci. 

Si fermò, solo quando Quinn fu lontana dalla sua vita.

Aveva gli occhi ricolmi di lacrime rabbiose, mentre pensava solo che la sua Brittany non era più con lei per una stupida guerra fra clan.

“Brutto figlio di puttana!” urlò, crollando a terra, fra la sabbia fresca. Desiderava distruggerlo, annientarlo con le sue stesse mani. Ringhiò, la voce che grattava con violenza contro la gola secca.

“Considerati morto, Harwood!”

 

~°~°~

 

 

Il sole era già calato al di là del monte quando Blaine tornò verso casa, dopo essere passato a trovare il fratello.

Il cielo al tramonto era una delle poche cose belle che ancora si potevano vedere su quel pianeta martoriato , anche se Blaine ne coglieva la sua pura semplicità, non avendo mai visto quanto la Terra fosse bella.

Certo, aveva ascoltato i racconti del nonno di Kirk come tutti, aveva visto immagini da libri, ma tutte quelle piante, quei colori erano un sogno.

Un autentico viaggio onirico, troppo lontano per poterlo anche solo desiderare.

Non aveva di che lamentarsi, infondo, della sua vita.

Aveva un tetto sopra la testa, una famiglia, degli amici e un ruolo nel clan che, per quando a volte potesse essere sopravvalutato, era molto importante e pericoloso.

Si accorse distrattamente che il coprifuoco era già scattato e che  i bambini avevano lasciato i loro giocattoli in giro.  Blaine tirò un leggero calcio a una palla di cuoio, soprappensiero.

 Passò davanti all’officina di Burt, trovandola chiusa e si affrettò a raggiungere casa sua, proprio lì affianco. Aprì la porta, di un vecchio legno scricchiolante, con una spalla, entrando in una accogliente casetta arreda alla bell’è meglio.

“Sono a casa!” strillò, sciogliendosi la bandana, ancora legata intorno alla testa, appoggiandola sulla cassettiera di fianco alla porta.

Sentì rumori di passi e la luce che veniva accesa, illuminando la semioscurità della stanza. “Ben tornato tesoro.” Esclamò con voce gentile, una donna con tipici abiti da casalinga e il viso sporco di farina.

“Cosa c’è per cena, Carole?” domandò avvicinandosi per posarle un educato bacio sulla guancia.

“Una zuppa di verdure” rispose lei, sorridendogli “Non è arrivato il carico di carne, quindi niente di buono temo”

“Andrà benissimo” le disse dolcemente il ragazzo, scendendo per uno stretto corridoio fatto di cinque gradini fino ad una microscopica stanza.

Così piccola che, per quanto fosse basso, rischiava di urtare il soffitto con la testa.

C’erano però quattro brande, due a terra e due sopra, e un piccolo tavolino con sotto un paio di scomparti per i vestiti e i suoi oggetti personali.

 Lì si chinò nel piccolo catino di acqua che Carole gli aveva preparato e si sciacquò il viso e le mani levando così le tracce di sabbia e sporco. Si infilò un paio di pantaloni e una casacca bianca prima ti tornare nel piccolo salotto dove ora sedeva il patrone di casa, con in mano una delle poche e rare copie del giornale terreste “Devi passarlo alla signora Febray dopo, o posso leggerlo anche io?” chiese il ragazzo prendendo posto sulla poltrona davanti all’uomo.

Burt alzò gli occhi guardandolo “Certo che puoi, ragazzo, ma poi devi portarglielo tu…

Blaine annuì e aspettò il suo turno, appoggiando il capo sulla vecchia imbottitura della poltrona. Burt alzò nuovamente lo sguardo e lo fissò preoccupato.

“Giornataccia?” domandò, “Ho riparato la tua moto oggi.” Aggiunse.

“Sono solo… Stanco, direi.”  Sospirò e chiuse gli occhi caramello per un momento. “grazie per aver salvato la bimba” concluse facendo un sorrisetto.

 Burt fece un cenno e tornò alla lettura. Entrambi aspettarono in silenzio che Carole li chiamasse per la cena.

Quando ciò avvenne, per grande sollievo dei loro stomaci brontolanti, Burt passò il giornale a Blaine permettendogli di leggerlo mentre consumavano la frugale cena.

“Blaine controlli se…

Il ricciolo sorrise, guardando la donna “Finn è vivo, l’ho visto oggi e mi sembra in forma” disse prendendo una cucchiaiata di zuppa prima di dare comunque un’occhiata alla lista dei morti di quella settimana.

Alzò gli occhi con sorpresa “Burt, sapevi che è morta Brittany?” chiese, scioccato.

L’uomo gli lanciò uno sguardo “Sul serio? Quando?”

“Non si sa…. Solo che il suo nome  è qui segnato” Blaine ci pensò su un istante “E il cadavere? Non l’hanno portato qui per seppellirlo al cimitero”

Carole sospirò, affranta “Povera ragazza, quando sono morti i suoi genitori ha perso tutto…. Chissà la sua povera sorellina”

“Le Cheerio l’avranno seppellita lì vicino a loro” commentò aspramente il meccanico, bevendo un bicchiere d’acqua “Dopotutto non ha nessuno che possa piangere sulla sua tomba, qui…

 Il ragazzo sospirò, ripensando a quella ragazza così solare e divertente e chiedendosi chi avrebbe mai potuto portare una simile notizia ad Artie, che era molto affezionato a lei. Blaine sapeva che, addirittura, il giovane ragazzo prodigio era riuscito a clonare un gatto, animale da tempo estinto sulla terra, usando del DNA parecchio usurato, solo per rendere felice la ragazza che ogni santissima domenica tornava alla Tribù per trovarlo.

Evento straordinario visto che i giovani, una volta lasciata Potawatoi, non tornavano più nemmeno dai genitori.

Eppure lei aveva continuato per diverso tempo, troppo attaccata al ragazzo con cui aveva condiviso l’infanzia.

Purtroppo però, quei fatti non erano rari e le morti cadevano costantemente, quasi ogni giorno.

Non c’era ora che i famigliari dei Clan non vivevano in angoscia, spaventati di leggere il nome dei loro figli fra le liste.

A volte erano anche infinite e il tempo non pareva passare mai fra un nome e l’altro.

Finirono di cenare in silenzio e Blaine faticò a terminare la sua zuppa, con lo stomaco improvvisamente chiuso dopo la notizia.

Si alzò da tavola, e svuotò il resto della cena nella pentola di rame e lavò il suo piatto e il suo cucchiaio, riponendoli poi nella credenza.

Carole, dal tavolo, gli sorrise riconoscente del gesto e Blaine terminò il suo mezzo bicchiere di liquore, che Burt gli aveva versato e che si gustava ogni sera, con insolita velocità, afferrando il giornale per portarlo dalla signora Fabrey prima di uscire dall'accampamento.

“Non gingillarti fuori dalla città Blaine” disse, come ogni sera, Burt, guardandolo avviarsi alla porta e rimettersi la fascia attorno ai capelli “Torna presto, mi raccomando”

“E prendi la giacca, stasera fa più freddo del solito” terminò Carole, alzandosi per prendere la ciotola ormai vuota del marito.

Blaine li salutò con un sorriso prima di uscire da casa con il giornale sotto braccio e la giacca in mano. Se la infilò immediatamente, appena una fredda brezza, che pareva provenire dal centro del deserto, lo investì. Camminò spedito verso casa Febray, buttando un occhio in giro e notando che Thad, come sempre, se ne stava appoggiato al piccolo muro di roccia davanti all’entrata della sua dimora, con gli occhi puntati verso le stelle.

Blaine si era sempre chiesto cosa mai potesse pensare, ma poi si ricordava che essendo il Capo del Clan e della Tribù non doveva essere facile per un ragazzo poco più che ventenne tenere sulle spalle tutti i doveri che un simile incarico portava.

Lui non credeva ci sarebbe mai riuscito al suo posto, e per quanto potessero litigare nutriva un sincero rispetto per lui.

Arrivò davanti alla casa della signora Fabrey e bussò tre volte. Dovette aspettare qualche minuto prima che la signora aprisse la porta.

Era avvolta in una lunga veste color sabbia e i capelli biondi erano raccolti in un chignon perfetto. Più il tempo passava e più sembrava non toccarla, rendendola sempre perfetta.

“Oh, Blaine!” esclamò sorpresa.

 “Le ho portato il giornale!” disse il ragazzo con un sorriso gentile. “si assicuri che lo abbiano i signori Cohen entro sta sera.” Le ricordò.

La donna annuì e ricambiò il sorriso. “Vuoi entrare? Stavo giusto bevendo qualcosa di forte.”

Blaine, allettato dalla richiesta, dovette declinare l’offerta. “Non vorrei fare tardi…” aggiunse con piccolo sorriso imbarazzato.

 La donna strinse le labbra comprensiva e annuì, salutandolo.

Quando il volto della signora Fabray sparì dietro l’imposta, Blaine si diresse a passo lento verso il portone principale, scacciando qualche sasso.

A quell’ora nessuno girava per i sentierini scavati nella sabbia, il coprifuoco era ormai scattato ed eccetto quelli del Clan nessuno se la sentiva di abbandonare la propria dimora, nonostante la città fosse un posto sicuro.

Arrivò al portone salendo le scale che conducevano alla guardiola, per avvisare Jeff e Nick, e una volta lì incappò in una scena che ormai si ripeteva da un po’.

Essendo gay non lo disturbava molto, ma beccare Jeff e Nick mentre si baciavano con eccessiva enfasi  durante il turno di guardiola non era proprio il massimo della vita. Non tanto perché Flint, il ragazzo di Jeff, era un suo amico, e nemmeno perché Nick era appena diventato papà, ma perché la cosa gli metteva ansia. Non avevano gli occhi fissi sul pericolo, ecco.

Fece retrofront, scendendo un po’ di gradini e risalendoli battendo su di essi i piedi molto forte, per farsi sentire.

Tutta la vallata, poteva sentire.

Ciò serviva a permettere ai due amanti di staccarsi ‘in tempo’ e ricomporsi.

Li salutò con un sorriso mentre Jeff arrossiva di botto, già ben lontano dal collega “Non stavamo facendo niente!” squittì nervoso mentre Duvall si portava una mano al viso, disperato.

“Ok.” Rispose con un alza di spalle il morettino “Mi aprite le porte?”

Nick annuì, guardandolo comprensivo “Certo Blaine….”

Il ragazzo li salutò un’ultima volta, prima di incamminarsi verso una lunga distesa di deserto, illuminata solo da poche fiaccole che segnavano un percorso prestabilito. S’infilò la giacca e rabbrividì di freddo, mentre affondava le mani dentro le tasche.

Quell’uscita serale era ormai diventata abitudine che, nonostante gli anni, non aveva mai perso.

Sorrise tristemente verso qualche ricordo e imboccò una curva ripida fino a trovarsi davanti a una grande distesa di deserto e qualche secco arbusto.

Il cimitero di Potawatoi, anch’esso poco illuminato, solo grazie ai lumini sulle tombe, contava centinai di morti, tutti solo dopo l’inizio dell’epidemia aliena.

Camminò tra le file di lapidi tenendo lo sguardo basso, mentre ripensava a quanto era stato male quando aveva a sua volta contratto quel morbo.

Continuò a camminare, tristemente, ricordando di quanto dolore aveva portato quella maledetta malattia.

Artie aveva perso l’uso delle gambe, salvandosi per miracolo.

Brittany, Jeff, e molti altri avevano perso i loro genitori, i loro parenti….

I loro amici.

Arrivò al limitare del piccolo cimitero, dove solitaria sorgeva una piccola lapide totalmente bianca, che lo stesso Blaine aveva cercato e levigato.

Vi si inchinò davanti, spazzando via un po’ di sabbia che il vento del deserto aveva portato sulle lettere lì sopra incise.

Sorrise tristemente, accarezzando quel nome con la punta delle dita, prima di prendere un respiro profondo.

Ancora una volta, come ogni sera, gli parve quasi che il vento freddo del deserto si fosse fatto di improvviso più caldo, e che esso gli fosse arrivato sul viso come una dolce carezza.

Erano passati quattro anni da quanto la malattia glielo aveva portato via, ma quando si trovava lì da solo il  petto gli doleva come il primo giorno senza di lui…

Abbassò la mano, appoggiandosela sulle ginocchia.

“Ciao Kurt….”

 

 

Continua….

 

 

 

 

Nda.

 

E in questo capitolo finalmente appare anche Kurt.

Ora, sappiamo cosa state pensando…. ‘ Kurt morto, Britt morta…. E mo?’

Don’t despair! Ci sarà sia Klaine che Brittana all’interno della storia (e non solo…. Non per dare altri indizi sui pairing ma pensate un po’ a quanti personaggi ci sono sviluppati e capirete….). Senza contare che questo capitolo spiana la strada all’immaginazione! Tenete conto della storia del Dna e del discorso che hanno fatto Holly e Will nella prima parte ;)

 

Bene, detto questo ringraziamo le cinque fantastiche persone che hanno recensito e vi invitiamo un po’ tutti voi che leggete a lasciare un commento spassionato :D

 

Un piccolo appunto: qui appaiono due personaggi, Josh e Eryn, abbastanza importanti per la narrazione. Loro due hanno rispettivamente i volti di Joey Ritcher e Lauren Lopez degli Starkid! Siamo entrambe due fan sfegatate di questi giovani, non potevamo non metterli!

 

A presto col prossimo aggiornamento e l’ufficiale inizio ‘delle danze’!

 

Ricordate, niente è come ve lo aspettate in questa storia… ;)

 

Un bacione

Jessy&Grè.

 

 

Ps. Per chi volesse seguire più attivamente gli sviluppi della storia, gli aggiornamenti e possibili fanart mettete mi piace alla pagina Facebook di una delle due autrici (Jessika). Eccovi il link:

http://www.facebook.com/#!/pages/Chemical-Lady-EFP/212620025460195

 

  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: JMG