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Autore: JMG    26/08/2011    8 recensioni
Se vi piacciono le storia basate sugli Alternative Univers allora questa fa decisamente al caso vostro. I pairing sono i più svariati, e abbiamo inserito ogni personaggio del telefilm in un contesto decisamente 'diverso'.
Speriamo sia di vostro gradimento!
Questa è una fanfiction scritta a quattro mani da Chemical Lady e Elfomikey.
Ps: prevalentamente Klaine, ma con molti altri pairing.
*
Il ragazzo che la pilotava si sentiva esattamente come ogni volta, eccitato dalla sfida contro il destino e quelli che dovevano essere almeno una quarantina del Clan dei Titans. Eccitato, ma anche lievemente spaventato perché sapeva che se lo avessero preso… Beh.
Era meglio non pensarci e dare più gas, cercando di schivare le dune basse.
“Non hai scampo, Anderson!” ringhiò qualcuno dalla folla, ricevendo in cambio un l’alzata del dito medio. “piccolo stronzetto…!”
Genere: Azione, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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bananissima

Water Eyes.

 

Prologue.

 

 

Part 1.

 

Anno 3012.

 

 

Il calore del sole era così intenso da crear l’illusione di poterlo afferrare.

Ovunque l’accecante luce del giorno irradiava ogni superficie, compresa la  sabbia del deserto, rendendola incandescente al tatto.

Trovare una singola zona d’ombra pareva impossibile, e se mai qualche animale della zona fosse sopravvissuto alle innumerevoli mutazioni climatiche, non si sarebbe mai adattato a quella nuova America.

America…. Quel posto non ne aveva l’aspetto da secoli.

Uno dei continenti più vasto e ricco del mondo era diventato una lunga e deserta distesa di sabbia.

Non rimaneva più nulla se non macerie arrugginite dal tempo e dall’afa. Persino gli abitati di altri pianeti, convinti di trovare ricchezze, erano rimasti a bocca asciutta, distruggendo quel poco che era rimasto, per poi andarsene sulle loro navicelle,  deridendo quella povera gente rimasta, che ancora si faceva la guerra per un arido pezzo di terra.

Gli esseri umani si erano trovati sull’orlo dell’estinzione in più di un occasione. Il futuro, per ironia della sorte, era costellato di tutte quelle paure che avevano attanagliato gli uomini in antichità. Gli spettri striscianti della pestilenza, della carestia e della guerra avevano decimato la popolazione mondiale che ormai si riduceva a brandelli formati da piccole comunità, sparse per il globo in Tribù.

Dell’Europa non era rimasto ormai più nulla.

La culla delle civiltà antiche, la bella Europa, era del tutto andata persa e dove una volta marciavano i possenti Romani ormai non vi era altro che territori inabitabili a causa delle radiazioni.

Le poche comunità esistenti erano sparse per l’America del Nord, il Centr’Africa e l’Oriente.

Non esistevano più sistemi politici da quando le Multinazionali, poi, avevano assurdo ogni controllo non solo sul mercato intergalattico, ma anche sugli scambi tra territori.

Nell’intera America, solo una Multinazionale era riuscita a raggiungere prestigio e potere: la S.C. abbreviazione di Sue Corporation.

Un banale nome, per una grande sede del commercio.

La S.C. controllava ogni genere di scambio di ogni tribù presente sul suolo americano.

Sue Silvester, a comando dell’intera organizzazione, inoltre, teneva in pungo il bene che ogni essere umano bramava più di altri.

Quel bene che aveva portato lotte sanguinose e morti, disperazione e povertà.

L’acqua.

L’acqua che era sparita dalla terra, l’acqua che era solo presente sui suoli alieni.

La Silvester controllava una buona parte dell’importazione,adottando salari pensati per chiunque volesse barattare. La sede dove operava Sue e i suoi collaboratori era situata nella regione Wappinger, un tempo la vecchia New York, sulle rive dell’Hudson.

Si parla di scambi commerciali poiché la moneta era del tutto sparita, perdendo di valore. Quando si tratta di sopravvivere, non di vivere, ogni tipo di confort e lusso viene meno e con esso l’inutilità che i soldi portavano. Erano solo inutili pezzi di carta e metallo nelle tasca della povera gente.

Sue Silvester, per quanto abile fosse a mercanteggiare con gli alieni, per quanto fosse furba nel circondarsi di persone fidate e a costringere coloro che voleva sfruttare,  non aveva di certo vita facile o terreno libero per i suoi loschi traffici.

Se esisteva una sola Tribù nel nord America, situata nella zona di Potawatoi, ovvero l’ex Michigan, da questa singola comunità si erano generati poi tre diversi Clan.

Questi gruppi, perennemente in lotta fra loro, avevano come obbiettivo centra l’appropriazione delle riserve idriche provenienti dallo spazio.

Perché senza acqua non c’è sopravvivenza, e il prezzo per il suo totale controllo valeva qualche vita.

Una era già stata sacrificata, ma di questo si parlerà più avanti.

Due dei clan, divisi oramai da un secolo, avevano posto i loro insediamenti sulla costa atlantica

I Titans, vasto numero di energumeni  assettati di potere, avevano i loro accampamenti nelle zone montuose di Melecite, il vecchio Maine. Mentre le Cheerio, amazzoni dalla inusuale bellezza ammaliante, vivevano sulle spiagge deserte di Catawba, nonché la tranquilla North Carolina.

I Warblers, il terzo Clan rimasto a Potawatoi, era conosciuto per le geniali menti che lo componevano. Loro erano rimasti a casa, a consolare quelle madri lasciate sole dai figli troppo incoscienti.

L’astio fra loro era risaputo da tutti e ogni pretesto era buono per alimentare il fuoco ardente del risentimento.

Le loro terre, prese con la forza o spartite con chiari patti di non-fratellanza, erano invalicabili dagli altri Clan. Pena: qualsiasi cosa il proprietario della zona decidesse, dalla morte alla schiavitù.

Le aree esterne, le famose  ‘terre di nessuno’, erano il campo di battaglia sul quale ogni giorno i Clan si sfidavano, cercando anche solo di indebolire gli altri due.

Lì, inizia la nostra storia.

La sabbia ti sembra acqua, quando la guardi da sopra una moto volante lanciata in una folle corsa.

Il ragazzo che la pilotava si sentiva esattamente come ogni volta, eccitato dalla sfida contro il destino e quelli che dovevano essere almeno una quarantina del Clan dei Titans. Eccitato, ma anche lievemente spaventato perché sapeva che se lo avessero preso… Beh.

Era meglio non pensarci e dare più gas, cercando di schivare le dune basse.

Girò il capo per un istante, notando la leggera ripresa ottenuta grazie a quel nuovo motore che quella stessa mattina avevano montato sulla sua moto volante e cacciò un urlo di vittoria, spostandosi con una mano la bandana a righe, legata intorno alla testa, che gli era pericolosamente scesa sugli occhi.

“Non hai scampo, Anderson!” ringhiò qualcuno dalla folla, ricevendo in cambio un l’alzata del dito medio. “piccolo stronzetto…!”

David Karofsky era il capo indiscusso del Clan dei Titans.

In definitiva era un bastardo, senza il minimo cervello.

Blaine sghignazzo senza ritegno, mentre sentiva di acquistare sempre più vantaggio sui Titans. Quella montagna di muscoli senza cervello poteva dire quello che voleva, non lo avrebbe mai e poi mai preso sino a che…

Il sorriso lentamente morì sulle sue labbra quando sentì un primo strattone e la moto che, inevitabilmente, rallentava.

“Oh no…” sillabò lievemente, iniziando a darci pesante sul pedale, sino a sollevarsi appena.

Si metteva male….

Perse di quota progressivamente e quando infine beccò una duna, bastardamente piazzata sulla sua traiettoria, non fu divertente la caduta.

Ruzzolò a terra coprendosi il viso con le braccia e aspettò la sua fine, steso sulla sabbia scottante.

I Titans, dopo un grido piuttosto feroce, diedero gas alle loro auto truccate, pregustandosi la cattura di Anderson. Il malcapitato, strinse le palpebre in attesa, in quei pochi secondi dalla sua caduta.

Poi tutto si arrestò.

 Le urla, i motori rombanti e i Titans si bloccarono come  se, davanti a loro, ci fosse a muro invisibile, e guardando scocciati verso il fuggitivo, iniziarono una ritirata.

“Hai una fortuna sfacciata, nanerotto!” urlò Puckerman, che guidava una delle macchine in testa al gruppo.

Blaine Anderson era un passo da morte certa, ma quella volta, come molte altre, era riuscito a scamparla.

Si alzò, facendo leva sui gomiti e vide, a un paio di metri dalle linea dei suoi piedi, un paio di pietre impilate e tinte di bianco che segnavano, senza dubbio alcuno, l’inizio del territorio dei Warblers.

“Oddio che botta di…” si portò una mano sul petto, prima di scattare in piedi e guardare Karofsky “Ti è andata male anche stavolta, strano” disse con tono sarcastico, senza mai spostare gli occhi di caramello da quelli piccoli e porcini del capo Clan.

“Verrà il giorno in cui la tua stramaledetta fortuna finirà, Anderson…. E noi saremo qui pronti a spezzarti quei dieci centimetri di gambe che hai….” Dave si guardò attorno, facendo poi un cenno a Puck “Andiamocene”

Il ragazzo dalla cresta fischiò e tutti iniziarono a dileguarsi.

Blaine, però, si concesse il lusso di scontrare i suo sguardo con quello di un ragazzo alto, e fissarlo duramente per qualche istante “Ciao Finn …”

Questi però rimase in silenzio, calandosi dal finestrino sul quale si era seduto sin dentro all’auto di Puck, prima di sparire per ultimi.

Blaine rilasciò un sospiro e, inutilmente, spazzolò con la mano la polvere dai suoi jeans. Ricordò, quasi con malinconia, quando Puck e Finn erano ancora nella tribù e di come da piccolo, lui si divertiva a stare con loro, che erano i più grandi. I più forti.

Strinse le labbra con disappunto e lanciò un’occhiata al cartello di legno posto vicino alla linea di confine e  incastrato in malo modo nella sabbia, che indicava, con un’incisione imprecisa e goffa, il nome del loro paese.

Potawatoi.

Ebbe un moto d’orgoglio per quel luogo che, lui e i suoi compagni, difendevano ogni giorno.

Fu distratto da un rumore in lontananza, come un ronzare insistente e sembrava dirigersi proprio dalla sua parte.

Si portò una mano sugli occhi, chiedendosi dove fossero finiti sepolti i suoi occhiali da sole, e vide avvicinarsi qualcuno di non identificato. Non  dovette aspettare poi molto prima di vedere i contorni delle due figure delinearsi e farsi più nitidi e istintivamente sorrise.

I due ragazzi fermarono la moto proprio accanto a lui.

Hey Prof” disse Blaine con un sorriso rivolgendosi al ragazzo seduto dentro il sidecar “Ciao Mike” aggiunse rivolgendosi al ragazzo asiatico che subito si tolse gli occhialoni da aviatore per poterlo guardare.

“Che hai fatto alla mia bambina?” chiese il primo, guardando la moto “Appena ho visto la spia di emergenza illuminarsi sul quadrante siamo accorsi…. Non posso crederci! È la ventesima volta questo mese!”

Il ragazzo riccio si grattò il capo “Scusami Artie….”

“Fortuna che abbiamo installato questa spie” disse Mike, alzando la moto dalla sabbia con l’aiuto di Anderson e premendo un bottone sotto al volante. Immediatamente una piccola lucetta rossa che Blaine non aveva nemmeno notato si spense “O ti sarebbe toccato di farla strisciare sulla sabbia fino a casa”
“Ma anche no” gli rispose il ragazzo, mentre Artie premeva un bottone  davanti a se. Una piccola piattaforma metallica uscì da sotto la moto e il sidecar, e lì venne caricata quella di Blaine, decisamente da riparare “Chiamavo qualcuno che mi venisse a prendere”

Artie borbottò un “che sarà poi, camminare per qualche kilometro sotto il sole”  Mike assottigliò lo sguardò e guardò eloquente le gambe di Artie, nascoste dal sidecar. Blaine sbuffò una risata, ma non commentò.

“E ora io come torno?”

“Hai due opzioni:” iniziò Artie, enfatizzando il gesto con un movimento delle mano. “o te la fai a piedi…” Blaine fece una smorfia di disappunto. “Oppure, genio della lampada, sali dietro insieme alla tua moto.”

Artie e Mike si risistemarono i loro occhiali d’aviatore sugli occhi, con un movimento quasi simultaneo e Anderson salì sulla piattaforma, incrociando le gambe e appoggiandosi alla moto.

Quei due erano in totale simbiosi.

Mike era diventato le gambe di Artie dopo la tragedia, che ne aveva stroncato l’uso, avvenuta anni prima.

L’asiatico fece una veloce inversione e partì spedito verso l’accampamento dei Warblers.

“Prima di perderti in capriole tra la sabbia, ti sei procurato quello che il Capo ti ha chiesto?”

Blaine sbuffò, guardando Abrams come se realmente il giovane non sapesse con chi aveva a che fare “Ovviamente si, non fallisco mai una missione”

Mike rise “Non lo chiamano Pony Express per nulla, dopotutto”

Blaine fece una smorfia contrariata “Odio quando mi chiamano così”

“Ma è quello che sei” rise Artie “Un postino!”

“Vai a rischiare la vita per il bene comune, e ricevi questo…” Blaine sospirò, guardando il paesaggio sfrecciare veloce tutto intorno a lui.

Spostarsi per centinaia di chilometri non era più un problema da quando erano stati inventati i velivoli volanti.

I Warblers a cavallo delle loro moto avevano sempre un certo vantaggio rispetto agli altri Clan in auto, visto che la resistenza all’aria era minore rendendoli così molto più aereodinamici.

O almeno questa era la teoria di Artie, e decisamente nessuno l’aveva ancora sfatata. Era davvero intelligente, il ragazzo. Insieme al meccanico della Tribù riusciva ad ottenere risultati davvero sorprendenti, sentendosi anche realizzato.

Eccetto quando Blaine distruggeva tutto per salvarsi il collo….

Ci misero una quindicina di minuti a raggiungere le porte della Tribù, dove, sotto un’alta baracchina di legno, protetta dal sole cocente, stavano due guardie, armate e con indosso bandane di colore rosso e blu, proprio come quella che Blaine  portava attorno alla sua testa.

Una testa mora e una bionda confabulavano vicine, senza quasi accorgersi dell’arrivo dei ragazzi.

Artie si schiarì la voce un paio di volte, ridacchiando divertito.

Jeffrey Sterling, detto comunemente Jeff e Nick Duvall erano i guardiani delle porte di Potawatoi. Il primo era da poco entrato in servizio, visto la sua giovane età, mentre Nick, era il più esperto sul campo della sorvegliava.

Quando non era impegnato in fitte conversazioni con l’amico, ovviamente.

“Un’altra moto distrutta, Anderson?” commentò sarcastico Nick, mentre Jeff si occupava di inserire il codice opportuno sul tab per l’apertura della porte. Queste si sollevarono, per un solo quarto, facendo passare i ragazzi, e si richiusero alle loro spalle.

La Tribù dei Warblers era una grossa, immensa gola di sabbia, dove sorgevano gli accampamenti.

Blaine sbuffò “Sono io quello che rischia il culo tutti i giorni la fuori. Scommetto che è comodo star seduti tutto il tempo, Duvall”

Nick rise “Siamo di buon umore” disse sarcastico “Thad vuole vederti immediatamente…. Giusto per aiutarti a rilassarti”

Anderson sospirò prima di salutare Artie e Mike, che si stavano dirigendo verso l’officina  dove Burt Hummel, il meccanico, li aspettava. L’uomo guardò verso Blaine, come per controllare le sue condizioni, prima di sfiorarsi la visiera del cappellino in segno di saluto.

Blaine gli sorrise, prima di avviarsi con passo sicuro verso la sede operativa dei Warblers.  Passò davanti alle case degli altri, dei miseri anfratti nei dedali scoscesi della valle, che rivelavano sotto di essa delle vere e proprie case, anche a più piani.

Salutò con un sorriso caloroso la signorina Pillsbury, la dottoressa, prima di incamminarsi per un altro sentiero laterale che portava in alto, verso il monte principale. A metà di esso c’era la loro base.

Quando arrivò lì si trovò subito davanti un  bel ragazzo sui venti, che con un sopracciglio alzato lo guardava attentamente.

“Lo so, sono in ritardo. C’è stato un intoppo” si difese Blaine, passandogli un tubo di cartone, dentro al quale, e ne era certo, doveva esserci un qualche documento importante. Thad sospirò, facendogli segno di seguirlo all’interno.

Tutto si poteva dire del Capo Harwood, ma non che fosse umano. Blaine era sicuro che si fosse preoccupato, o almeno ci sperava visto che lo mandava fuori dalle sicure mura della città ogni giorno o quasi. A primo impatto poteva anche sembrare una persona seria, ma in realtà….

“Pensavo che il mio piccolo Pony fosse morto” disse con espressione affranta, lasciandosi cadere a sedere sul quella specie di trono/poltrona/ammasso di stracci che aveva preteso all’inizio del suo mandato “Flint era già pronto a sostituirti”

…. In realtà non era affatto serio.

“Non tutti i messaggeri sono autentici, come il sottoscritto.” Si pavoneggiò Blaine.

Pony express.” Lo corresse Thad, sfilando dal tubo un pezzo di carta bianca arrotolata.

Blaine pensò che si trattasse di nuove ordinanze da parte degli alieni.

Il capo dei Warblers srotolò il foglio, con sguardo serio e le sopracciglia inarcate.

“Puoi andare ora, porta i miei saluti a Burt.”

Ma Anderson non si mosse, curioso di scoprire il frutto della sua fatica.

Thad afferrò una vecchia matita mangiucchiata e la picchiettò sulle labbra, prima di sciogliere l’espressione corrugata in un sorrisetto soddisfatto. Alzò le gambe e le posò su un piccolo tavolino, posto giusto ai suoi piedi.

“Finalmente posso dedicarmi al mio Sudoku!” 

 

~°~°~

 

Brittany amava il tramonto, amava il rosso del sole che si incontrava con il blu tenue della sera e Santana, non poteva scordarsi dello splendore dei suoi capelli oro in mezzo a tutti quei colori. Non riusciva a smettere di pensare al suono delle sue collane, che tintinnavano dopo qualche piroetta fra la spuma in riva al mare, poteva ricordare la dolcezza della sua risata.
Santana poteva ricordare tutto di lei.
Il modo in cui le accarezzava i capelli, quando erano sole in tenda o in spiaggia e lasciavano il mondo alle spalle.
Le sue labbra fresche e lievemente salate sulle sue e il suo sorriso ogni volta che facevano l’amore.
Santana non riusciva a dimenticare, nemmeno quel giorno.
Brittany era scomparsa in mezzo alle macerie di New York, freddata da un colpo di pistola. C’era il sole alto e non tirava un filo d’aria.
Se c’era una cosa ce non può scordare, più di tutte, era il suo corpo riverso a terra sporco di terra e sangue.
“Tana?!”
Santana scrollò la testa, riscossa dal trillo della bambina che aveva davanti.
“Scusa Allies.” Sussurrò, riprendendo a spazzolare i capelli morbidi e biondi della bambina.
Allies dondolava le gambe, seduta su un alto sgabello e stringeva forte fra le braccia un grosso gatto, che miagolava pigramente.
“Tana?”
“sì?”

“Dov’è la mia sorellona, adesso?”
Santana posò la spazzola su un piccolo ripiano ricavato da un vecchio tronco d’albero e sospirò.
“Tu dove vorresti che fosse?”
“Nel posto più bello del mondo!” esclamò Allies stringendosi ancora di più al gattone.
“Sarà lì sicuramente!” le sorrise, attraverso lo specchio riccamente adornato con delle conchiglie. Gli occhi di Allies erano simili a quelli di Brit, con la stessa luce infantile e gioiosa. “andiamo Ally, metti il papillon nero a Lord Tabbinton, tra poco inizia il corteo.”
Il rito funebre organizzato per Brit era il più colorato che Santana avesse mai visto.
Ma infondo Brit era così.
Era tutti i colori dell’arcobaleno.
Alcune Cheerio avevano formato una sorta di portantina con fresche foglie di palma e Brittany riposava su di essa, con una veste bianca e i capelli intrecciati da fiori e conchiglie. Era bella e pallida anche nel braccio oscuro della morte.
Il corteo era formato da bellissime donne che camminavano a testa alta, con la tristezza negli occhi.
Davanti stavano Santana e Allies, che portava fra le mani una cesta di foglie, contenti alcuni oggetti appartenuti a Brittany.
Piangeva la piccola, confortata dall’abbraccio caldo di Santana, che aveva assunto un’espressione neutra, medesima a quella del suo capo.
Quinn Fabrey era accanto alla mora e marciava lentamente, la testa piena di pensieri.

Quanto furono lontani dal loro accampamento, in una distesa di sabbia e mare deserta, si avvicinarono a un salice maestoso, dove il giorno prima Santana aveva scavato una profonda buca rettangolare e aveva inciso nell’albero il nome della ragazza con un sasso levigato.
Si morse il labbro, per evitare di crollare e osservò, stringendo forte il braccio della piccola Allies, il corpo di Brit che veniva lentamente ricoperto con un lenzuolo bianco e fatto calare nel burrone.
Santana guardò attentamente e per l’ultima volta il tratti teneri e pallidi della ragazza che amava, che gli occhi le si offuscassero per colpa delle lacrime.
Regnava un silenzio rispettoso, rotto solamente dai singhiozzi di Allies e dal rumore della sabbia che cadeva nella fossa.
Poi la spiaggia diventò deserta e Santana fissò il grande salice, ascoltando il rumore del vento che, per qualche stupida ragione, aveva lo stesso suono della risata di Brittany.



Brittany S. Pierce
Nascita 1 febbraio 2988
Morte 24 agosto 3012
Riposa in pace

 

~°~°~

 

La zona di Malecite aveva un non so che di spettrale, vista da lontano.

Il deserto  lì si tramutava in una landa desolata fatta di gole profonde e monti dalle aguzze vette,  decisamente inospitale per chiunque non sapesse addentrarsi per quel labirinto di rocce, ma una fortezza per chi si era insediato lì.

Karofsky si affacciò alla grotta nella quale viveva, osservando attentamente il resto del Clan intento a preparare il rancio serale.

Dietro di lui Puck sedeva scomposto su un cumulo di stracci, che doveva aver la funzione di un modesto letto. Tutto lì era povero, a partire dalla mentalità del gruppo e, in particolare, dello stesso Capo.

Noah lasciò scorrere gli occhi  sulle spalle larghe di Dave, desiderando ardentemente di conficcarvi un pugnale. Se avesse preso il suo posto allora tutto sarebbe cambiato.

I Titans avrebbero ottenuto tutto quello che bramando, passando da bestioni senza cervello ad un gruppo organizzato e vagamente decente.

“A che stai pensando?” domandò, senza levare gli occhi dalla figura ben piazzata di Karofsky, allerta, quasi come se temesse di vederlo dirigersi verso di lui minacciosamente. Come se fosse la prima volta, dopotutto. Da quando aveva provato a prendere le redini del Clan, ormai, il Capo non si fidava più di lui anche se non lo aveva sollevato dall’incarico di gregario.

Solo così poteva mandarlo a compiere le solite, care, missioni ad alto rischio.

Dave fece un paio di passi, misurando l’entrata della grotta a grandi passi, prima di sospirare e guardare Puckerman “I Warblers…. Non che quel imbecille di Harwood mandi un po’ troppo spesso Anderson a fare delle passeggiate, ultimamente?

Noah alzò le spalle, grattandosi dietro un orecchio “No e non mi importa”

“E sai perché?” Karofsky avanzò qualche passo verso di lui, guardandolo tra il divertito e il lievemente irritato “Perché sei un idiota. Quel branco di ragazzini potrebbe essere in combutta con chissà chi per farci la pelle…. E a te non importa?!”

“Secondo me, come al solito, Harwood spedisce Blaine a prendergli il giornale come si fa con tutti i bravi cagnolini, tutto qua” sbottò infastidito il ragazzo, passandosi una mano sulla cresta “Hai in mente qualcosa vero?”

Dave si sedette su quello che pareva una piccola sedia incavata dal vecchio tronco di un albero morto, guardando con attenzione Noah negli occhi “Sì. Tu, dovrai fare una cosa per me…

L’altro rise senza colore “Perché non mi stupisce che tu abbia deciso di mandare proprio me? Provo ad indovinare…. È qualcosa di pericoloso?”

Dave lo guardò sempre più divertito “Dovevi battermi, allora avresti dato tu gli ordini” appoggiò il viso ad una mano, guardando attentamente il ragazzo e facendosi improvvisamente serio “Devi spiarli, capire cosa tramano. Porta con te Finn.”

Puck si alzò con un movimento veloce anche se poco fluido, uscendo dalla tenda dopo aver scambiato uno sguardo pieno di odio con Dave.

No, non poteva sopportare di essere il suo zerbino, il suo animale da macello.

Doveva esserci lui al suo posto.

Se solo avesse vinto quella sfida…. E invece no, aveva perso, e Karofsky lo aveva graziato solo per spedirlo poi a morire in chissà quale lotta fra Clan.

O a venir imprigionato a vita.

Ma funzionava così, a Malecite: si lotta fino alla fine e uno solo vince.

Aveva sfidato il Capo e le aveva prese, ora poteva solo chinare la testa ed obbedire, prendere Finn e andare fino a Potawatoi, sperando nella sua buona stella.

 

~°~°~

 

 

 

 

 

 

 

La base operativa della Sue Corporation era uno degli edifici più intricati che la mente umana avesse mai progettato. Quel luogo aveva la nomea di ‘impenetrabile’ per chiunque tentasse di entrarvi senza esserne autorizzato.

Dislocato su sette piani che la Silversten si divertiva da matti a chiamare ‘gironi’: Il primo era adibito alla sorveglianza e ai controlli. Se ne dovevano fare tre prima di accedere alla struttura, uno sui dati personali per il riconoscimento del soggetto, uno al metal detector e l’ultimo si ulteriore identificazione tramite la lettura della retina. Il secondo piano era quello degli uffici per le trattative con i commercianti alieni, il terzo e il quarto consistevano nella distillazione e nella purificazione delle acquee aliene per eliminare tutti i batteri sconosciuti, il quinto come magazzino, il sesto conteneva i lavoratori e l’ultimo, il settimo, era il regno di Sue Silvester , il suo ufficio.

Vicino al centro della terra, come la dimora di Lucifero.

Gli uomini che lavoravano per la Silvester erano solo povere anime ridotte al lavoro forzato, quasi come dei manichini nelle sue mani.

C’era chi, però, aveva la fortuna o sfortuna, dipendeva dai casi, di lavorare come scienziati.

All’interno della Sue Corporation esercitavano quel ruolo solo una decina di persone, più o meno stabili.

 Nella sezione dei laboratori era fisso però, il Dottor William Schuester, con la sua fidata assistente Miss Holly Holliday. Erano addetti agli esperimenti più pericolosi, proposti dal loro capo.

Nonostante la follia delle richieste, non potevano far altro che stare a capo chino e assecondarle.

C’era anche chi, con orgoglio, serviva la magnate con riverenza e costanza, come Becky Jackson.

 Becky era una ragazzina minuta, affetta dalla sindone di Down e per questo emarginata dal mondo. Aveva le fattezze di un piccolo angelo, con quei occhietti azzurri e i boccoli biondi. Non si allontanava mai da Sue se non su ordine.

Un vero e proprio cagnolino da compagnia, pensava spesso Schuester, guardando con affetto la ragazza.

L’accesso ai laboratori era severamente vietato per chiunque, eccetto per gli addetti e il capo in persona.

Nessuna eccezione.

Per accedervi si doveva passare per gli ascensori che collegavano ogni piano, fino a ritrovarsi in un lunghissimo corridoio bianchissimo, illuminato da luci al neon azzurre che rendevano difficile avere un’esatta misura di quanto lungo fosse.

Tutto quel bianco era insano, e lo credeva anche il Dott. Schue, mentre lo percorreva velocemente, desideroso di raggiungere le ‘confortanti’ pareti del laboratorio nel quale era praticamente stato segregato da anni.

Il ticchettio veloce di un paio di tacchi lo fece voltare quasi di scatto “Miss Holliday, speravo arrivasse prima…. Ha letto i nuovi ordini di quella pazza?!”

Poco si sapeva di William Schuester, in quel inferno, ma era certo che non era lì di sua iniziativa.

Era stato condotto lì dalla stessa Sue, costretto a sottomettere il suo genio alle sue richieste folli. Costretto ad abbandonare gli amici e la fidanzata.

Tutto, e ancora poteva ricordare, dopo tutti quei anni, la sua Potawatoi, quella regione così vasta, dove era nato e cresciuto.

“Nulla di nuovo dal solito, Will.” Holly si ostinava a dargli del tu. “anche se devo ammettere, questa volta ha seriamente  superato sé stessa in maniera impeccabile. Le farò i miei complimenti.”

Il dottor Schue le lanciò uno sguardo d’avvertimento e la donna ridacchiò, sfogliando svogliatamente le pagine ingiallite di un tomo.

“Non le conviene mettersi nei guai, Miss.” L’avvertì Schue con sguardo preoccupato.

“Io me la so cavare benissimo!” esclamò con un enorme sorriso. “Queste sono le scartoffie che la Silvester ha preteso che controllassi!” porse all’uomo il tomo e senza smettere di sorridere si sedette, accavallando le gambe, su no degli sgabelli, aspettando le richieste dello scienziato.

Schuester prese a leggere una pagina, poi una seconda, una terza, sempre più veloce.

Fino a bloccarsi e sbuffare “Questo è un lavoro di criogenia avanzatissima. Non credo di esserne in grado, va oltre le mie conoscenze!”

“Suvvia non essere modesto” disse la bionda, incastrando una matita tra i lunghi capelli biondi per tenerli sollevati.

“Qui si parla di manipolare del DNA alieno” precisò subito l’uomo “Una razza estinta, per giunta! Quindi mi correggo: manipolazione di DNA alieno mitocondriale! Perché non fabbricare noi stessi l’acqua allora?? Sarebbe più semplice!” fece una pausa, passandosi una mano tra gli intricati capelli ricci.

“E’ così impossibile da realizzare?” chiese, Holly, aggiustandosi le pieghe del vestito nero. “o è solo paura per una cosa più grande di te?” Schue le lanciò una breve occhiata, ma non rispose subito.

“In via del tutto sperimentale…. Potrebbe esserci un modo” l’uomo fece una pausa, sfilandosi gli occhiali dal naso per poter osservare attentamente la sua assistente, come a volerle fare una confessione in via del tutto confidenziale “Ma sarebbe antietico…. Parecchio anti-etico. E ne ho già parlato con Sue, che è impazzita all’idea…

“Perché vuole farlo a tutti i costi?” insistette Holly, “non ha tutto il controllo che le serve? Non è la donna più potente di questo mondo deserto e a pezzi?” la donna non riusciva a concepire la nuova trovata della Silvester. Era solo un capriccio? O c’era altro sotto tutte quelle richieste?

“Non sia sciocca, Miss Holliday, e ci pensi. Pensi a che vantaggio sarebbe sfruttare le ultime riserve idriche della terra, disperse chissà dove, invece di comprarla da altri mondi. Se Sue ci riuscisse davvero, nessun altra Multinazionale starebbe al passo e lei…. Lei avrebbe il controllo totale del pianeta.” Will si alzò, iniziando a misurare a grandi passi la stanza “E noi non abbiamo scelta…. Tenteremo la sola via possibile”

L’assistente sospirò, guardandolo contrariata. “E quale sarebbe? Assecondare questa follia e stare a vedere che succede?” sbottò. “creare questi essersi distruggerà ancora di più le sorti del mondo.” Schue si fermò davanti a Holly e accennò un sorriso triste.

“Sì, il piano è questo…..” Le prese delicatamente una mano, stringendola tra le sue mentre la guardava negli occhi “E avrò bisogno di te….” Si allontanò di qualche passo, recuperando alla svelta il decoro “Ora Miss Holliday, ho intenzione di spiegarle come ci muoveremo”

“Per quanto detesti la Silvester…” disse la donna, con sorriso dolce. “Mi fido ciecamente di te, Will.” Ammise, donando allo scienziato un po’ di coraggio. “Okay spiegami tutto quello che sai e mi muoverò di conseguenza!”

“Il solo modo che abbiamo per utilizzare il DNA alieno che la SIlvester ci ha portato, e che come ricorderai abbiamo analizzato con sconforto, è quello di combinarlo con del DNA umano” Disse tutto di un fiato, convinto anche se non molto persuaso a farlo.

“DNA umano? Vuoi dire che dovremmo guardare negli archivi del NAGA*? In quel posto è quasi impossibile entrare! Inoltre dovremmo scegliere dei DNA particolari, con le stesse caratteristiche che richiede sua maestà! Ci vorranno mesi!” aggiunse, con una nota di sarcasmo.

Will la guardò scuotendo il capo “Normalmente avresti ragione ma…. Si parla di Sue. Lei sa tutto su questa ragazza, si è studiata tutti i tratti somatici, le peculiarità…. Come gli occhi chiari ad esempio, e lievemente a mandorla. Lei sa già cosa fare, ha già contattato il Rettore Supremo del NAGA.  Va a procurarsi ciò che ci serve stasera stessa…

“E dell’esemplare maschio? Ha già scelto il DNA adatto?” chiese Holly, portando si un dito alle labbra con fare pensieroso.  “Immagino che abbia pensato anche alla riproduzione.” Schue annuì, con un sospiro.

“Precisamente” ammise “Una femmina e un maschio, per farli riprodurre e venderli agli altri pianeti nelle stesse condizioni della Terra. E sono parecchi” Schuester prese un libro dall’aria vecchia e polverosa, aprendolo con cautela a causa del dorso rovinato e mostrando ad Holly “Guarda…. Questa sono foto scattate verso il 2500 prima dell’estinzione totale della razza. Erano creature bellissime, dall’aspetto efebico. Sarà difficile trovare degli umani con queste sembianze nell’Archivio B del NAGA”.

Holly rimase affascinata dai bellissimi alieni immortalati nella foto. Erano splendidi, creature nude e fiere.

“Pensi che lei abbia già individuato quello che cerca?” domandò, distogliendo a fatica lo sguardo dal libro e porgendolo nuovamente allo scienziato.

“Ho una vaga idea ma…. Spero di sbagliare.” E dopo aver lanciato un ultimo sguardo a quelle foto lo chiuse di scatto, facendone cadere alcune pagine.

 

Continua….

 

 

 

 

NdA:

Della serie: come farsi del male, ecco una FF Fantasy, Fantascientifica, basata su un ipotetico futuro in cui la terra ormai non è altro che un ammasso di polvere e sabbia.

No, non abbiamo niente da fare, lo so xD

Parlando seriamente per più di trenta secondi (sarebbe circa un miracolo di natale) sottolineo un paio di cose xD allora:

Questa storia è nata a fine giugno, un pomeriggio che davvero non avevamo nulla da fare, e durante le vacanze a Marsa Alam abbiamo deciso più o meno tutta la struttura narrativa (Grazie al deserto del Sahara per averci regalato le ‘piacevoli’ sensazioni che ci hanno portate a descrivere così  bene il caldo xD).

Gli aggiornamenti saranno il più veloci possibili, ma entrambe lavoriamo ad altri progetti, quindi faremo il possibile!

Per tenere sotto controllo gli aggiornamenti, news e altro potete anche farlo dalla pagina pubblica di Chemical Lady su FB, ovvero QUI.

Se avete apprezzato questa prima parte del prologo diteci che ne pensate con una recensione (e vi ameremo moltissimo)

Detto questo, speriamo di avervi incuriosito!

A presto

Jessy e Grè.

 

 

  
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