Water
Eyes.
Prologue.
Part 1.
Anno 3012.
Il calore
del sole era così intenso da crear l’illusione di poterlo afferrare.
Ovunque
l’accecante luce del giorno irradiava ogni superficie, compresa la sabbia del deserto, rendendola incandescente
al tatto.
Trovare una
singola zona d’ombra pareva impossibile, e se mai qualche animale della zona
fosse sopravvissuto alle innumerevoli mutazioni climatiche, non si sarebbe mai
adattato a quella nuova America.
America…. Quel posto non ne aveva l’aspetto da secoli.
Uno dei continenti più vasto e ricco del mondo era
diventato una lunga e deserta distesa di sabbia.
Non rimaneva più nulla se non macerie arrugginite
dal tempo e dall’afa. Persino gli abitati di altri pianeti, convinti di trovare
ricchezze, erano rimasti a bocca asciutta, distruggendo quel poco che era
rimasto, per poi andarsene sulle loro navicelle, deridendo quella povera gente rimasta, che
ancora si faceva la guerra per un arido pezzo di terra.
Gli esseri umani si erano trovati sull’orlo
dell’estinzione in più di un occasione. Il futuro, per ironia della sorte, era
costellato di tutte quelle paure che avevano attanagliato gli uomini in
antichità. Gli spettri striscianti della pestilenza, della carestia e della
guerra avevano decimato la popolazione mondiale che ormai si riduceva a
brandelli formati da piccole comunità, sparse per il globo in Tribù.
Dell’Europa non era rimasto ormai più nulla.
La culla delle civiltà antiche, la bella Europa,
era del tutto andata persa e dove una volta marciavano i possenti Romani ormai
non vi era altro che territori inabitabili a causa delle radiazioni.
Le poche comunità esistenti erano sparse per
l’America del Nord, il Centr’Africa e l’Oriente.
Non esistevano più sistemi politici da quando le
Multinazionali, poi, avevano assurdo ogni controllo non solo sul mercato
intergalattico, ma anche sugli scambi tra territori.
Nell’intera America, solo una Multinazionale era
riuscita a raggiungere prestigio e potere: la S.C. abbreviazione di Sue
Corporation.
Un banale nome, per una grande sede del commercio.
La S.C. controllava ogni genere di scambio di ogni
tribù presente sul suolo americano.
Sue Silvester, a comando
dell’intera organizzazione, inoltre, teneva in pungo il bene che ogni essere
umano bramava più di altri.
Quel bene che aveva portato lotte sanguinose e
morti, disperazione e povertà.
L’acqua.
L’acqua che era sparita dalla terra, l’acqua che
era solo presente sui suoli alieni.
La Silvester controllava
una buona parte dell’importazione,adottando salari pensati per chiunque volesse
barattare. La sede dove operava Sue e i suoi collaboratori era situata nella
regione Wappinger, un tempo la vecchia New York,
sulle rive dell’Hudson.
Si parla di scambi commerciali poiché la moneta
era del tutto sparita, perdendo di valore. Quando si tratta di sopravvivere, non di vivere, ogni tipo
di confort e lusso viene meno e con esso l’inutilità che i soldi portavano.
Erano solo inutili pezzi di carta e metallo nelle tasca della povera gente.
Sue Silvester, per quanto abile fosse a mercanteggiare con gli
alieni, per quanto fosse furba nel circondarsi di persone fidate e a
costringere coloro che voleva sfruttare,
non aveva di certo vita facile o terreno libero per i suoi loschi
traffici.
Se esisteva
una sola Tribù nel nord America, situata nella zona di Potawatoi,
ovvero l’ex Michigan, da questa singola comunità si erano generati poi tre
diversi Clan.
Questi
gruppi, perennemente in lotta fra loro, avevano come obbiettivo centra
l’appropriazione delle riserve idriche provenienti dallo spazio.
Perché senza
acqua non c’è sopravvivenza, e il prezzo per il suo totale controllo valeva
qualche vita.
Una era già
stata sacrificata, ma di questo si parlerà più avanti.
Due dei clan, divisi oramai da un secolo, avevano
posto i loro insediamenti sulla costa atlantica
I Titans, vasto numero
di energumeni assettati di potere,
avevano i loro accampamenti nelle zone montuose di Melecite,
il vecchio Maine. Mentre le Cheerio, amazzoni dalla
inusuale bellezza ammaliante, vivevano sulle spiagge deserte di Catawba, nonché la tranquilla North Carolina.
I Warblers, il terzo Clan rimasto a Potawatoi, era conosciuto per le geniali menti che lo
componevano. Loro erano rimasti a casa, a consolare quelle madri lasciate sole
dai figli troppo incoscienti.
L’astio fra loro era risaputo da tutti e ogni
pretesto era buono per alimentare il fuoco ardente del risentimento.
Le loro terre, prese con la forza o spartite con
chiari patti di non-fratellanza, erano invalicabili dagli altri Clan. Pena:
qualsiasi cosa il proprietario della zona decidesse, dalla morte alla
schiavitù.
Le aree esterne, le famose ‘terre di nessuno’, erano il campo di
battaglia sul quale ogni giorno i Clan si sfidavano, cercando anche solo di
indebolire gli altri due.
Lì, inizia la nostra storia.
La sabbia ti
sembra acqua, quando la guardi da sopra una moto volante lanciata in una folle
corsa.
Il ragazzo
che la pilotava si sentiva esattamente come ogni volta, eccitato dalla sfida
contro il destino e quelli che dovevano essere almeno una quarantina del Clan
dei Titans. Eccitato, ma anche lievemente spaventato
perché sapeva che se lo avessero preso… Beh.
Era meglio
non pensarci e dare più gas, cercando di schivare le dune basse.
Girò il capo per un istante, notando la leggera ripresa
ottenuta grazie a quel nuovo motore che quella stessa mattina avevano montato
sulla sua moto volante e cacciò un urlo di vittoria, spostandosi con una mano
la bandana a righe, legata intorno alla testa, che gli era pericolosamente
scesa sugli occhi.
“Non hai scampo, Anderson!” ringhiò qualcuno dalla
folla, ricevendo in cambio un l’alzata del dito medio. “piccolo stronzetto…!”
David Karofsky era il capo
indiscusso del Clan dei Titans.
In definitiva era un bastardo, senza il minimo
cervello.
Blaine
sghignazzo senza ritegno, mentre sentiva di acquistare sempre più vantaggio sui
Titans. Quella montagna di muscoli senza cervello
poteva dire quello che voleva, non lo avrebbe mai e poi mai preso sino a che…
Il sorriso lentamente
morì sulle sue labbra quando sentì un primo strattone e la moto che,
inevitabilmente, rallentava.
“Oh no…” sillabò lievemente, iniziando a darci pesante sul
pedale, sino a sollevarsi appena.
Si metteva male….
Perse di quota
progressivamente e quando infine beccò una duna, bastardamente
piazzata sulla sua traiettoria, non fu divertente la caduta.
Ruzzolò a terra coprendosi il viso con le braccia e
aspettò la sua fine, steso sulla sabbia scottante.
I Titans, dopo un grido
piuttosto feroce, diedero gas alle loro auto truccate, pregustandosi la cattura
di Anderson. Il malcapitato, strinse le palpebre in attesa, in quei pochi
secondi dalla sua caduta.
Poi tutto si arrestò.
Le urla, i
motori rombanti e i Titans si bloccarono come se, davanti a loro, ci fosse a muro
invisibile, e guardando scocciati verso il fuggitivo, iniziarono una ritirata.
“Hai una fortuna sfacciata, nanerotto!”
urlò Puckerman, che guidava una delle macchine in
testa al gruppo.
Blaine Anderson era un passo da morte certa, ma quella
volta, come molte altre, era riuscito a scamparla.
Si alzò,
facendo leva sui gomiti e vide, a un paio di metri dalle linea dei suoi piedi,
un paio di pietre impilate e tinte di bianco che segnavano, senza dubbio
alcuno, l’inizio del territorio dei Warblers.
“Oddio che
botta di…” si portò una mano sul petto, prima di
scattare in piedi e guardare Karofsky “Ti è andata
male anche stavolta, strano” disse con tono sarcastico, senza mai spostare gli
occhi di caramello da quelli piccoli e porcini del capo Clan.
“Verrà il
giorno in cui la tua stramaledetta fortuna finirà, Anderson….
E noi saremo qui pronti a spezzarti quei dieci centimetri di gambe che hai….” Dave si guardò attorno,
facendo poi un cenno a Puck “Andiamocene”
Il ragazzo
dalla cresta fischiò e tutti iniziarono a dileguarsi.
Blaine,
però, si concesse il lusso di scontrare i suo sguardo con quello di un ragazzo
alto, e fissarlo duramente per qualche istante “Ciao Finn
…”
Questi però
rimase in silenzio, calandosi dal finestrino sul quale si era seduto sin dentro
all’auto di Puck, prima di sparire per ultimi.
Blaine rilasciò un sospiro e, inutilmente, spazzolò con
la mano la polvere dai suoi jeans. Ricordò, quasi con malinconia, quando Puck e Finn erano ancora nella
tribù e di come da piccolo, lui si divertiva a stare con loro, che erano i più
grandi. I più forti.
Strinse le labbra con disappunto e lanciò un’occhiata
al cartello di legno posto vicino alla linea di confine e incastrato in malo modo nella sabbia, che
indicava, con un’incisione imprecisa e goffa, il nome del loro paese.
Potawatoi.
Ebbe un moto d’orgoglio per quel luogo che, lui e i
suoi compagni, difendevano ogni giorno.
Fu distratto da un rumore in lontananza, come un
ronzare insistente e sembrava dirigersi proprio dalla sua parte.
Si portò una mano sugli occhi, chiedendosi dove fossero
finiti sepolti i suoi occhiali da sole, e vide avvicinarsi qualcuno di non
identificato. Non dovette aspettare poi
molto prima di vedere i contorni delle due figure delinearsi e farsi più nitidi
e istintivamente sorrise.
I due ragazzi fermarono la moto proprio accanto a lui.
“Hey Prof” disse Blaine con
un sorriso rivolgendosi al ragazzo seduto dentro il sidecar “Ciao Mike”
aggiunse rivolgendosi al ragazzo asiatico che subito si tolse gli occhialoni da
aviatore per poterlo guardare.
“Che hai fatto alla mia bambina?” chiese il primo,
guardando la moto “Appena ho visto la spia di emergenza illuminarsi sul
quadrante siamo accorsi…. Non posso crederci! È la
ventesima volta questo mese!”
Il ragazzo riccio si grattò il capo “Scusami Artie….”
“Fortuna che abbiamo installato questa spie” disse
Mike, alzando la moto dalla sabbia con l’aiuto di Anderson e premendo un
bottone sotto al volante. Immediatamente una piccola lucetta
rossa che Blaine non aveva nemmeno notato si spense “O ti sarebbe toccato di
farla strisciare sulla sabbia fino a casa”
“Ma anche no” gli rispose il ragazzo, mentre Artie
premeva un bottone davanti a se. Una
piccola piattaforma metallica uscì da sotto la moto e il sidecar, e lì venne
caricata quella di Blaine, decisamente da riparare “Chiamavo qualcuno che mi
venisse a prendere”
Artie borbottò un “che sarà poi, camminare per qualche kilometro sotto
il sole” Mike assottigliò lo sguardò e guardò eloquente le gambe di Artie,
nascoste dal sidecar. Blaine sbuffò una risata, ma non commentò.
“E ora io come torno?”
“Hai due opzioni:” iniziò Artie,
enfatizzando il gesto con un movimento delle mano. “o te la fai a piedi…” Blaine fece una smorfia di disappunto. “Oppure,
genio della lampada, sali dietro insieme alla tua moto.”
Artie e Mike si risistemarono i loro occhiali d’aviatore sugli occhi,
con un movimento quasi simultaneo e Anderson salì sulla piattaforma,
incrociando le gambe e appoggiandosi alla moto.
Quei due erano in totale simbiosi.
Mike era diventato le gambe di Artie
dopo la tragedia, che ne aveva stroncato l’uso, avvenuta anni prima.
L’asiatico fece una veloce inversione e partì spedito
verso l’accampamento dei Warblers.
“Prima di
perderti in capriole tra la sabbia, ti sei procurato quello che il Capo ti ha
chiesto?”
Blaine
sbuffò, guardando Abrams come se realmente il giovane
non sapesse con chi aveva a che fare “Ovviamente si, non fallisco mai una
missione”
Mike rise
“Non lo chiamano Pony Express per nulla, dopotutto”
Blaine fece
una smorfia contrariata “Odio quando mi chiamano così”
“Ma è quello
che sei” rise Artie “Un postino!”
“Vai a
rischiare la vita per il bene comune, e ricevi questo…”
Blaine sospirò, guardando il paesaggio sfrecciare veloce tutto intorno a lui.
Spostarsi
per centinaia di chilometri non era più un problema da quando erano stati
inventati i velivoli volanti.
I Warblers a
cavallo delle loro moto avevano sempre un certo vantaggio rispetto agli altri
Clan in auto, visto che la resistenza all’aria era minore rendendoli così molto
più aereodinamici.
O almeno
questa era la teoria di Artie, e decisamente nessuno
l’aveva ancora sfatata. Era davvero intelligente, il ragazzo. Insieme al
meccanico della Tribù riusciva ad ottenere risultati davvero sorprendenti,
sentendosi anche realizzato.
Eccetto
quando Blaine distruggeva tutto per salvarsi il collo….
Ci misero una quindicina di minuti a raggiungere le
porte della Tribù, dove, sotto un’alta baracchina di
legno, protetta dal sole cocente, stavano due guardie, armate e con indosso
bandane di colore rosso e blu, proprio come quella che Blaine portava attorno alla sua testa.
Una testa mora e una bionda confabulavano vicine, senza
quasi accorgersi dell’arrivo dei ragazzi.
Artie si schiarì la voce un paio di volte, ridacchiando divertito.
Jeffrey Sterling, detto comunemente Jeff e Nick Duvall
erano i guardiani delle porte di Potawatoi. Il primo
era da poco entrato in servizio, visto la sua giovane età, mentre Nick, era il
più esperto sul campo della sorvegliava.
Quando non era impegnato in fitte conversazioni con
l’amico, ovviamente.
“Un’altra moto distrutta, Anderson?” commentò
sarcastico Nick, mentre Jeff si occupava di inserire il codice opportuno sul tab per l’apertura della porte. Queste si sollevarono, per
un solo quarto, facendo passare i ragazzi, e si richiusero alle loro spalle.
La Tribù dei Warblers era una grossa, immensa gola di
sabbia, dove sorgevano gli accampamenti.
Blaine sbuffò “Sono io quello che rischia il culo tutti
i giorni la fuori. Scommetto che è comodo star seduti tutto il tempo, Duvall”
Nick rise “Siamo di buon umore” disse sarcastico “Thad vuole vederti immediatamente….
Giusto per aiutarti a rilassarti”
Anderson sospirò prima di salutare Artie
e Mike, che si stavano dirigendo verso l’officina dove Burt Hummel, il meccanico, li aspettava.
L’uomo guardò verso Blaine, come per controllare le sue condizioni, prima di
sfiorarsi la visiera del cappellino in segno di saluto.
Blaine gli sorrise, prima di avviarsi con passo sicuro
verso la sede operativa dei Warblers.
Passò davanti alle case degli altri, dei miseri anfratti nei dedali
scoscesi della valle, che rivelavano sotto di essa delle vere e proprie case,
anche a più piani.
Salutò con un sorriso caloroso la signorina Pillsbury, la dottoressa, prima di incamminarsi per un
altro sentiero laterale che portava in alto, verso il monte principale. A metà
di esso c’era la loro base.
Quando arrivò lì si trovò subito davanti un bel ragazzo sui venti, che con un
sopracciglio alzato lo guardava attentamente.
“Lo so, sono in ritardo. C’è stato un intoppo” si
difese Blaine, passandogli un tubo di cartone, dentro al quale, e ne era certo,
doveva esserci un qualche documento importante. Thad
sospirò, facendogli segno di seguirlo all’interno.
Tutto si poteva dire del Capo Harwood,
ma non che fosse umano. Blaine era sicuro che si fosse preoccupato, o almeno ci
sperava visto che lo mandava fuori dalle sicure mura della città ogni giorno o quasi.
A primo impatto poteva anche sembrare una persona seria, ma in realtà….
“Pensavo che il mio piccolo Pony fosse morto” disse con
espressione affranta, lasciandosi cadere a sedere sul quella specie di
trono/poltrona/ammasso di stracci che aveva preteso all’inizio del suo mandato
“Flint era già pronto a sostituirti”
…. In realtà non era affatto serio.
“Non tutti i messaggeri sono autentici, come il
sottoscritto.” Si pavoneggiò
Blaine.
“Pony express.” Lo corresse Thad, sfilando dal tubo un pezzo
di carta bianca arrotolata.
Blaine pensò che si trattasse di nuove ordinanze
da parte degli alieni.
Il capo dei Warblers srotolò il foglio, con
sguardo serio e le sopracciglia inarcate.
“Puoi andare ora, porta i miei saluti a Burt.”
Ma Anderson non si mosse, curioso di scoprire il
frutto della sua fatica.
Thad afferrò una vecchia matita mangiucchiata e la picchiettò sulle
labbra, prima di sciogliere l’espressione corrugata in un sorrisetto
soddisfatto. Alzò le gambe e le posò su un piccolo tavolino, posto giusto ai
suoi piedi.
“Finalmente posso dedicarmi al mio Sudoku!”
~°~°~
Brittany
amava il tramonto, amava il rosso del sole che si incontrava con il blu tenue
della sera e Santana, non poteva scordarsi dello splendore dei suoi capelli oro
in mezzo a tutti quei colori. Non riusciva a smettere di pensare al suono delle
sue collane, che tintinnavano dopo qualche piroetta fra la spuma in riva al
mare, poteva ricordare la dolcezza della sua risata.
Santana poteva ricordare tutto di lei.
Il modo in cui le accarezzava i capelli, quando erano sole in tenda o in
spiaggia e lasciavano il mondo alle spalle.
Le sue labbra fresche e lievemente salate sulle sue e il suo sorriso ogni volta
che facevano l’amore.
Santana non riusciva a dimenticare, nemmeno quel giorno.
Brittany era scomparsa in mezzo alle macerie di New
York, freddata da un colpo di pistola. C’era il sole alto e non tirava un filo
d’aria.
Se c’era una cosa ce non può scordare, più di tutte, era il suo corpo riverso a
terra sporco di terra e sangue.
“Tana?!”
Santana scrollò la testa, riscossa dal trillo della bambina che aveva davanti.
“Scusa Allies.” Sussurrò, riprendendo a spazzolare i
capelli morbidi e biondi della bambina.
Allies dondolava le gambe, seduta su un alto sgabello
e stringeva forte fra le braccia un grosso gatto, che miagolava pigramente.
“Tana?”
“sì?”
“Dov’è la mia sorellona,
adesso?”
Santana posò la spazzola su un piccolo ripiano ricavato da un vecchio tronco
d’albero e sospirò.
“Tu dove vorresti che fosse?”
“Nel posto più bello del mondo!” esclamò Allies
stringendosi ancora di più al gattone.
“Sarà lì sicuramente!” le sorrise, attraverso lo specchio riccamente adornato
con delle conchiglie. Gli occhi di Allies erano
simili a quelli di Brit, con la stessa luce infantile
e gioiosa. “andiamo Ally, metti il papillon nero a
Lord Tabbinton, tra poco inizia il corteo.”
Il rito funebre organizzato per Brit era il più
colorato che Santana avesse mai visto.
Ma infondo Brit era così.
Era tutti i colori dell’arcobaleno.
Alcune Cheerio avevano formato una sorta di
portantina con fresche foglie di palma e Brittany
riposava su di essa, con una veste bianca e i capelli intrecciati da fiori e
conchiglie. Era bella e pallida anche nel braccio oscuro della morte.
Il corteo era formato da bellissime donne che camminavano a testa alta, con la
tristezza negli occhi.
Davanti stavano Santana e Allies, che portava fra le
mani una cesta di foglie, contenti alcuni oggetti appartenuti a Brittany.
Piangeva la piccola, confortata dall’abbraccio caldo di Santana, che aveva
assunto un’espressione neutra, medesima a quella del suo capo.
Quinn Fabrey era accanto alla mora e marciava
lentamente, la testa piena di pensieri.
Quanto furono lontani dal loro
accampamento, in una distesa di sabbia e mare deserta, si avvicinarono a un
salice maestoso, dove il giorno prima Santana aveva scavato una profonda buca
rettangolare e aveva inciso nell’albero il nome della ragazza con un sasso
levigato.
Si morse il labbro, per evitare di crollare e osservò, stringendo forte il braccio
della piccola Allies, il corpo di Brit
che veniva lentamente ricoperto con un lenzuolo bianco e fatto calare nel
burrone.
Santana guardò attentamente e per l’ultima volta il tratti teneri e pallidi
della ragazza che amava, che gli occhi le si offuscassero per colpa delle
lacrime.
Regnava un silenzio rispettoso, rotto solamente dai singhiozzi di Allies e dal rumore della sabbia che cadeva nella fossa.
Poi la spiaggia diventò deserta e Santana fissò il grande salice, ascoltando il
rumore del vento che, per qualche stupida ragione, aveva lo stesso suono della
risata di Brittany.
Brittany S. Pierce
Nascita 1 febbraio 2988
Morte 24 agosto 3012
Riposa in pace
~°~°~
La zona di Malecite aveva un non so che di spettrale, vista da
lontano.
Il
deserto lì si tramutava in una landa
desolata fatta di gole profonde e monti dalle aguzze vette, decisamente inospitale per chiunque non
sapesse addentrarsi per quel labirinto di rocce, ma una fortezza per chi si era
insediato lì.
Karofsky si affacciò alla grotta nella quale viveva, osservando
attentamente il resto del Clan intento a preparare il rancio serale.
Dietro di
lui Puck sedeva scomposto su un cumulo di stracci,
che doveva aver la funzione di un modesto letto. Tutto lì era povero, a partire
dalla mentalità del gruppo e, in particolare, dello stesso Capo.
Noah lasciò
scorrere gli occhi sulle spalle larghe
di Dave, desiderando ardentemente di conficcarvi un
pugnale. Se avesse preso il suo posto allora tutto sarebbe cambiato.
I Titans avrebbero ottenuto tutto quello che bramando,
passando da bestioni senza cervello ad un gruppo organizzato e vagamente
decente.
“A che stai
pensando?” domandò, senza levare gli occhi dalla figura ben piazzata di Karofsky, allerta, quasi come se temesse di vederlo
dirigersi verso di lui minacciosamente. Come se fosse la prima volta,
dopotutto. Da quando aveva provato a prendere le redini del Clan, ormai, il
Capo non si fidava più di lui anche se non lo aveva sollevato dall’incarico di
gregario.
Solo così
poteva mandarlo a compiere le solite, care, missioni ad alto rischio.
Dave fece un
paio di passi, misurando l’entrata della grotta a grandi passi, prima di
sospirare e guardare Puckerman “I Warblers….
Non che quel imbecille di Harwood mandi un po’ troppo
spesso Anderson a fare delle passeggiate, ultimamente?
Noah alzò le
spalle, grattandosi dietro un orecchio “No e non mi importa”
“E sai
perché?” Karofsky avanzò qualche passo verso di lui,
guardandolo tra il divertito e il lievemente irritato “Perché sei un idiota.
Quel branco di ragazzini potrebbe essere in combutta con chissà chi per farci
la pelle…. E a te non importa?!”
“Secondo me,
come al solito, Harwood spedisce Blaine a prendergli
il giornale come si fa con tutti i bravi cagnolini, tutto qua” sbottò
infastidito il ragazzo, passandosi una mano sulla cresta “Hai in mente qualcosa
vero?”
Dave si sedette
su quello che pareva una piccola sedia incavata dal vecchio tronco di un albero
morto, guardando con attenzione Noah negli occhi “Sì.
Tu, dovrai fare una cosa per me…”
L’altro rise
senza colore “Perché non mi stupisce che tu abbia deciso di mandare proprio me?
Provo ad indovinare…. È qualcosa di pericoloso?”
Dave lo guardò
sempre più divertito “Dovevi battermi, allora avresti dato tu gli ordini”
appoggiò il viso ad una mano, guardando attentamente il ragazzo e facendosi
improvvisamente serio “Devi spiarli, capire cosa tramano. Porta con te Finn.”
Puck si alzò con
un movimento veloce anche se poco fluido, uscendo dalla tenda dopo aver
scambiato uno sguardo pieno di odio con Dave.
No, non
poteva sopportare di essere il suo zerbino, il suo animale da macello.
Doveva
esserci lui al suo posto.
Se solo
avesse vinto quella sfida…. E invece no, aveva perso,
e Karofsky lo aveva graziato solo per spedirlo poi a
morire in chissà quale lotta fra Clan.
O a venir
imprigionato a vita.
Ma
funzionava così, a Malecite: si lotta fino alla fine
e uno solo vince.
Aveva
sfidato il Capo e le aveva prese, ora poteva solo chinare la testa ed obbedire,
prendere Finn e andare fino a Potawatoi,
sperando nella sua buona stella.
~°~°~
La base
operativa della Sue Corporation era uno degli edifici più intricati che la
mente umana avesse mai progettato. Quel luogo aveva la nomea di ‘impenetrabile’
per chiunque tentasse di entrarvi senza esserne autorizzato.
Dislocato su
sette piani che la Silversten si divertiva da matti a
chiamare ‘gironi’: Il primo era adibito alla sorveglianza e ai controlli. Se ne
dovevano fare tre prima di accedere alla struttura, uno sui dati personali per
il riconoscimento del soggetto, uno al metal detector e l’ultimo si ulteriore
identificazione tramite la lettura della retina. Il secondo piano era quello
degli uffici per le trattative con i commercianti alieni, il terzo e il quarto
consistevano nella distillazione e nella purificazione delle acquee aliene per
eliminare tutti i batteri sconosciuti, il quinto come magazzino, il sesto
conteneva i lavoratori e l’ultimo, il settimo, era il regno di Sue Silvester , il suo ufficio.
Vicino al
centro della terra, come la dimora di Lucifero.
Gli uomini che lavoravano per la Silvester erano solo povere anime ridotte al lavoro
forzato, quasi come dei manichini nelle sue mani.
C’era chi, però, aveva la fortuna o sfortuna,
dipendeva dai casi, di lavorare come scienziati.
All’interno della Sue Corporation esercitavano
quel ruolo solo una decina di persone, più o meno stabili.
Nella
sezione dei laboratori era fisso però, il Dottor William Schuester,
con la sua fidata assistente Miss Holly Holliday.
Erano addetti agli esperimenti più pericolosi, proposti dal loro capo.
Nonostante la follia delle richieste, non potevano
far altro che stare a capo chino e assecondarle.
C’era anche chi, con orgoglio, serviva la magnate
con riverenza e costanza, come Becky Jackson.
Becky era una ragazzina minuta, affetta dalla sindone di
Down e per questo emarginata dal mondo. Aveva le fattezze di un piccolo angelo,
con quei occhietti azzurri e i boccoli biondi. Non si allontanava mai da Sue se
non su ordine.
Un vero e proprio cagnolino da compagnia, pensava
spesso Schuester, guardando con affetto la ragazza.
L’accesso ai laboratori era severamente vietato
per chiunque, eccetto per gli addetti e il capo in persona.
Nessuna eccezione.
Per accedervi si doveva passare per gli ascensori
che collegavano ogni piano, fino a ritrovarsi in un lunghissimo corridoio
bianchissimo, illuminato da luci al neon azzurre che rendevano difficile avere
un’esatta misura di quanto lungo fosse.
Tutto quel bianco era insano, e lo credeva anche
il Dott. Schue, mentre lo percorreva velocemente,
desideroso di raggiungere le ‘confortanti’ pareti del laboratorio nel quale era
praticamente stato segregato da anni.
Il ticchettio veloce di un paio di tacchi lo fece
voltare quasi di scatto “Miss Holliday, speravo
arrivasse prima…. Ha letto i nuovi ordini di quella
pazza?!”
Poco si sapeva di William Schuester,
in quel inferno, ma era certo che non era lì di sua iniziativa.
Era stato condotto lì dalla stessa Sue, costretto
a sottomettere il suo genio alle sue richieste folli. Costretto ad abbandonare
gli amici e la fidanzata.
Tutto, e ancora poteva ricordare, dopo tutti quei
anni, la sua Potawatoi, quella regione così vasta,
dove era nato e cresciuto.
“Nulla di nuovo dal solito, Will.” Holly si
ostinava a dargli del tu. “anche se devo ammettere, questa volta ha
seriamente superato sé stessa in maniera
impeccabile. Le farò i miei complimenti.”
Il dottor Schue le
lanciò uno sguardo d’avvertimento e la donna ridacchiò, sfogliando
svogliatamente le pagine ingiallite di un tomo.
“Non le conviene mettersi nei guai, Miss.”
L’avvertì Schue con sguardo preoccupato.
“Io me la so cavare benissimo!” esclamò con un
enorme sorriso. “Queste sono le scartoffie che la Silvester
ha preteso che controllassi!” porse all’uomo il tomo e senza smettere di
sorridere si sedette, accavallando le gambe, su no degli sgabelli, aspettando
le richieste dello scienziato.
Schuester prese a leggere una pagina, poi una seconda, una terza, sempre
più veloce.
Fino a bloccarsi
e sbuffare “Questo è un lavoro di criogenia avanzatissima. Non credo di esserne
in grado, va oltre le mie conoscenze!”
“Suvvia non
essere modesto” disse la bionda, incastrando una matita tra i lunghi capelli
biondi per tenerli sollevati.
“Qui si parla
di manipolare del DNA alieno” precisò subito l’uomo “Una razza estinta, per
giunta! Quindi mi correggo: manipolazione di DNA alieno mitocondriale! Perché
non fabbricare noi stessi l’acqua allora?? Sarebbe più semplice!” fece una
pausa, passandosi una mano tra gli intricati capelli ricci.
“E’ così impossibile da realizzare?” chiese,
Holly, aggiustandosi le pieghe del vestito nero. “o è solo paura per una cosa
più grande di te?” Schue le lanciò una breve
occhiata, ma non rispose subito.
“In via del
tutto sperimentale…. Potrebbe esserci un modo” l’uomo
fece una pausa, sfilandosi gli occhiali dal naso per poter osservare
attentamente la sua assistente, come a volerle fare una confessione in via del
tutto confidenziale “Ma sarebbe antietico…. Parecchio
anti-etico. E ne ho già parlato con Sue, che è impazzita all’idea…”
“Perché vuole farlo a tutti i costi?” insistette
Holly, “non ha tutto il controllo che le serve? Non è la donna più potente di
questo mondo deserto e a pezzi?” la donna non riusciva a concepire la nuova
trovata della Silvester. Era solo un capriccio? O
c’era altro sotto tutte quelle richieste?
“Non sia sciocca, Miss Holliday,
e ci pensi. Pensi a che vantaggio sarebbe sfruttare le ultime riserve idriche
della terra, disperse chissà dove, invece di comprarla da altri mondi. Se Sue
ci riuscisse davvero, nessun altra Multinazionale starebbe al passo e lei…. Lei avrebbe il controllo totale del pianeta.” Will si
alzò, iniziando a misurare a grandi passi la stanza “E noi non abbiamo scelta…. Tenteremo la sola via possibile”
L’assistente sospirò, guardandolo contrariata. “E
quale sarebbe? Assecondare questa follia e stare a vedere che succede?” sbottò.
“creare questi essersi distruggerà ancora di più le sorti del mondo.” Schue si fermò davanti a Holly e accennò un sorriso triste.
“Sì, il piano è questo…..”
Le prese delicatamente una mano, stringendola tra le sue mentre la guardava
negli occhi “E avrò bisogno di te….” Si allontanò di
qualche passo, recuperando alla svelta il decoro “Ora Miss Holliday,
ho intenzione di spiegarle come ci muoveremo”
“Per quanto detesti la Silvester…”
disse la donna, con sorriso dolce. “Mi fido ciecamente di te, Will.” Ammise,
donando allo scienziato un po’ di coraggio. “Okay spiegami tutto quello che sai
e mi muoverò di conseguenza!”
“Il solo modo che abbiamo per utilizzare il DNA
alieno che la SIlvester ci ha portato, e che come
ricorderai abbiamo analizzato con sconforto, è quello di combinarlo con del DNA
umano” Disse tutto di un fiato, convinto anche se non molto persuaso a farlo.
“DNA umano? Vuoi dire che dovremmo guardare negli
archivi del NAGA*? In quel posto è quasi impossibile
entrare! Inoltre dovremmo scegliere dei DNA particolari, con le stesse
caratteristiche che richiede sua maestà! Ci vorranno mesi!” aggiunse, con una
nota di sarcasmo.
Will la guardò scuotendo il capo “Normalmente
avresti ragione ma…. Si parla di Sue. Lei sa tutto su
questa ragazza, si è studiata tutti i tratti somatici, le peculiarità….
Come gli occhi chiari ad esempio, e lievemente a mandorla. Lei sa già cosa
fare, ha già contattato il Rettore Supremo del NAGA. Va a procurarsi ciò che ci serve stasera stessa…”
“E dell’esemplare maschio? Ha già scelto il DNA
adatto?” chiese Holly, portando si un dito alle labbra con fare
pensieroso. “Immagino che abbia pensato
anche alla riproduzione.” Schue annuì, con un
sospiro.
“Precisamente” ammise “Una femmina e un maschio,
per farli riprodurre e venderli agli altri pianeti nelle stesse condizioni
della Terra. E sono parecchi” Schuester prese un
libro dall’aria vecchia e polverosa, aprendolo con cautela a causa del dorso
rovinato e mostrando ad Holly “Guarda…. Questa sono
foto scattate verso il 2500 prima dell’estinzione totale della razza. Erano
creature bellissime, dall’aspetto efebico. Sarà difficile trovare degli umani
con queste sembianze nell’Archivio B del NAGA”.
Holly rimase affascinata dai bellissimi alieni
immortalati nella foto. Erano splendidi, creature nude e fiere.
“Pensi che lei abbia già individuato quello che
cerca?” domandò, distogliendo a fatica lo sguardo dal libro e porgendolo
nuovamente allo scienziato.
“Ho una vaga idea ma….
Spero di sbagliare.” E dopo aver lanciato un ultimo sguardo a quelle foto lo
chiuse di scatto, facendone cadere alcune pagine.
Continua….
NdA:
Della serie: come farsi del male, ecco una FF
Fantasy, Fantascientifica, basata su un ipotetico futuro in cui la terra ormai
non è altro che un ammasso di polvere e sabbia.
No, non abbiamo niente da fare, lo so xD
Parlando seriamente per più di trenta secondi
(sarebbe circa un miracolo di natale) sottolineo un paio di cose xD allora:
Questa storia è nata a fine giugno, un pomeriggio
che davvero non avevamo nulla da fare, e durante le vacanze a Marsa Alam abbiamo deciso più o
meno tutta la struttura narrativa (Grazie al deserto del Sahara per averci
regalato le ‘piacevoli’ sensazioni che ci hanno portate a descrivere così bene il caldo xD).
Gli aggiornamenti saranno il più veloci possibili,
ma entrambe lavoriamo ad altri progetti, quindi faremo il possibile!
Per tenere sotto controllo gli aggiornamenti, news
e altro potete anche farlo dalla pagina pubblica di Chemical
Lady su FB, ovvero QUI.
Se avete apprezzato questa prima parte del prologo
diteci che ne pensate con una recensione (e vi ameremo moltissimo)
Detto questo, speriamo di avervi incuriosito!
A presto
Jessy e Grè.