WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 2: What you wouldn’t think about me
8 ottobre 2011
La
conoscenza formale, prettamente legata allo studio dei libri e alle
ricerche attendibili sviluppate su manuali cartacei grandi quanto un
palazzo di Manhattan, sarebbe stata sufficiente a rendermi una delle
persone più sagge tra i miei coetanei? Perché un
libro e un paio di occhiali da riposo sortivano sugli adolescenti lo
stesso effetto di una mela marcia in un negozio pieno di leccornie su
un bambino? Perché l’arte di dare una definizione
specifica per ogni cosa era divenuta uno squallido diversivo per
pretendere di conoscere ciò che non rientrava nel nostro
giro d’azione?
Mi rigirai, mentre ero ancora stesa sul letto. Spesso mi capitava di
perdermi tra i mille pensieri e ragionamenti che la mia mente si
trovava a formulare senza neppure il mio esplicito consenso. Io,
Camilla Discriva, ero per definizione una secchiona. Io, Camilla
Discriva, odiavo le definizioni e la conoscenza nozionistica. Io,
Camilla Discriva, ero davvero stanca dell’insulso e falso
mondo di cui gli altri continuavano a circondarmi.
Alzai leggermente il volume della musica le cui note si propagavano per
tutta la stanza. Socchiusi gli occhi, lasciandomi trasportare dalla
crude e dolce verità raccontata in modo così
semplice e diretto dal mio adorato Ligabue. In quel momento era come se
intorno a me si creasse una bolla di sapone, o meglio una meno fragile
e più resistente campana di vetro, la cui funzione non era
quella di isolarmi dal resto del mondo, ma di proteggermi, di
accogliermi, di offrirmi un posto sicuro al riparo da intemperie e
problemi, lontano da tutto e da tutti.
Sobbalzai lievemente quando il cellulare vibrò
all’improvviso contro la mia gamba. Subito ricordai
dell’appuntamento che avevo con le altre e
d’istinto controllai l’orologio: erano esattamente
le cinque e mezzo di sabato pomeriggio.
Presi il cellulare e svogliatamente sbloccai la tastiera e mi decisi a
leggere il messaggio. In poche chiare e concise righe Arianna mi
rendeva nota la loro posizione, lontana da me esattamente una rampa di
scale e pochi metri.
Scesi all’ingresso per aprire il cancello e il portone.
“Camilla, tesoro, sono le tue amiche?”,
domandò mia madre sbucando dalla cucina.
“Si.”, risposi frettolosamente senza prestarle
troppa attenzione.
“Stasera andrete alla festa?”, chiese mio padre
intromettendosi in quella che pensavo fosse una conversazione
già chiusa.
“Si.”, confermai anche questa volta per nulla
interessata.
Mi fissarono per un po’, mentre io, sulla soglia della porta,
evitavo accuratamente di voltarmi verso di loro.
“Ciao Cam!”, mi salutarono varcando la porta, ma
immediatamente notarono la presenza dei miei.
“Salve!”, salutò Alice con un sorriso a
trentadue denti, subito imitata anche da Arianna e Noemi, la quale
teneva uno strano e voluminoso borsone stretto tra le mani e a
giudicare da come lo portava doveva essere anche piuttosto pesante.
Decisi di troncare immediatamente quella scena quasi patetica in cui i
miei squadravano come fossero radar o investigatori me e le mie amiche
per carpire informazioni.
“Noi andiamo su a prepararci!”, annunciai
trascinando al piano superiore le mie amiche.
“Allora Cam, hai già deciso cosa
indossare?”, mi chiese Mimi lanciando un eloquente sguardo al
borsone che trascinava sulle scale.
“Si, pantaloni neri, tacchi e camicia.”, annunciai
senza entusiasmo buttandomi a peso morto sul mio letto.
“Sapevo che avresti risposto così!”,
disse entrando con le altre nella mia stanza.
Aveva gli occhi fissi su di me, con uno sguardo a metà tra
il divertito e il maligno.
“Ed è per questo che ci sono qua io!”,
trillò con una voce che mi penetrò dritta nel
cervello. Si, io, Camilla Discriva, temevo terribilmente le idee
spaventosamente poco razionali e radicali di Noemi Acrirubi,
soprattutto quando aveva a disposizione ben quattro ore ed
un’unica cavia: io.
8 ottobre 2011
Eravamo
appena arrivate alla festa con un leggero voluto ritardo, secondo le
precise direttive di Noemi.
La musica già invadeva forte e prorompente tra le quattro
mura del locale, mentre le luci psichedeliche ruotavano senza sosta.
Qualcuno già si scatenava in pista, strusciando i corpi
l’uno sull’altro, mentre la maggior parte dei
presenti era intenta a fare conversazione, alias tempo di rimorchiare.
I più audaci erano già in prossimità
del bar, mentre sorseggiavano drink che di lì a poco gli
avrebbero fatto perdere la completa lucidità.
“Salve ragazze!”, ci aveva salutate Davide non
appena ci aveva viste prendere posto su dei divanetti.
Mimi sorrise alla sua vista, mentre il ragazzo calò
leggermente il capo per poterle lasciare un bacio tutt’altro
che puro e casto. Si, la storia con Leonardo, come previsto, non era
durata molto, così dopo pochi giorni di fidanzamento e uno
di lutto, la mia cara amica aveva deciso di trovarsi già un
altro ragazzo: Dave, come lo chiamava lei.
Li guardai e involontariamente sentì il mio volto piegarsi
in una smorfia di disgusto per quei due che pomiciavano
così, sui divanetti di una discoteca, conoscendosi da solo
pochi giorni, davanti a tutte noi.
Anche Arianna non sembrava soddisfatta, ma di certo lei era
più tollerante a riguardo rispetto alla sottoscritta.
L’attenzione di Alice, invece, era stata catturata
dall’arrivo del suo fantastico fidanzato, il quale le aveva
immediatamente proposto di andare a ballare e lei, senza pensarci
troppo, aveva accettato.
Guardai Arianna negli occhi e, con uno sguardo d’intesa,
decidemmo di spostarci da lì.
Ci alzammo contemporaneamente, ma Noemi non parve neppure accorgersene,
e ci dirigemmo ai margini della pista. Indecise sul da farsi, iniziammo
ad ondeggiare, muovendoci lievemente a ritmo di musica.
“Ciao Arianna!”, esclamò Matteo
avvicinandosi a noi con un sorriso stampato in faccia.
“Ciao Teo!”, rispose ricambiando il saluto.
“Lei è Camilla, una delle mie migliori
amiche!”, dichiarò presentandoci.
Matteo allungò la mano, sorridendomi, ed io lo imitai,
stringendogliela.
“Sono felice di conoscerti! Arianna mi ha parlato tanto di
voi, di te!”, disse sempre sorridendo.
A quel ragazzo doveva piacere davvero molto la mia amica! I suoi occhi
avevano iniziato a luccicare nell’esatto momento in cui
l’aveva vista ed ora non la smetteva più di
sorridere. L’ostentazione dei suoi sentimenti era talmente
palese da risultare irritante, o almeno lo era per me che in quel
momento morivo dall’invidia. Cercai di piegare le labbra in
quello che sarebbe potuto sembrare un sorriso sincero, ma non fui certa
di riuscirci.
“Ti dispiace se te la rubo per un ballo?”, chiese,
incrociando il suo sguardo con quello di Arianna.
Immediatamente lei si voltò verso di me, interrompendo il
contatto visivo con quel ragazzo. Sapeva che se lei avesse accettato io
sarei rimasta sola ed era palesemente contraria a ciò.
“Certo che no, vai pure Aria!”, dissi cercando di
convincerla con gli occhi.
La vidi completamente restia alle mie parole, ma ormai avevo deciso:
Arianna doveva godersi la sua serata.
“E poi io ho da fare una cosa!”, aggiunsi facendole
l’occhiolino.
Sapevamo entrambe che non c’era nulla che dovessi fare, ma
lei non poteva rimanere incollata a me tutta la serata solo per farmi
compagnia, non sarebbe stato giusto. Mi voltai con un falso sorriso e
ancora sorridendo mi diressi verso il bancone, sedendomi sul primo
sgabello.
Non avevo intenzione di bere, ma rimanere in piedi a guardare non era
certo tra le mie prerogative.
Mi voltai, dando le spalle al barista e cercai tra la folla le mie
amiche. Ormai la sala era piena di gente che danzava maliziosamente a
ritmo di musica sotto i riflettori colorati. Intravidi Mimi
letteralmente avvinghiata a Davide, mentre Alice ballava adorabilmente
con Christian. Arianna, dall’altro lato del locale, si
muoveva a ritmo di musica affiancata da Matteo. Tra la folla scorsi
anche Luca, il fratello maggiore di Alice, intendo a strusciare o farsi
strusciare, questo dettaglio era poco chiaro, da una bionda con un seno
prorompente e un vestito davvero poco coprente. Ecco: tutto come da
definizione. Alice con il suo storico fidanzato, Luca, con
un’altra estroversa e intraprendete gallina senza cervello,
Noemi con il ragazzo di turno, Arianna con un amico innamorato di lei
ed io con la mia più completa e totale solitudine.
Chiusi gli occhi. Ero stufa di essere me stessa, lo ero completamente,
davvero.
Presa da un istinto incontrollabile mi girai verso il barman e lo
scrutai bene in faccia. Lui si accorse di essere osservato e si
voltò nella mia direzione. Ancora non avevo smesso di
fissarlo. Corrugò la fronte e si avvicinò.
“Posso fare qualcosa per te?”, mi chiese piegando
le labbra in un mezzo sorriso.
“Qualcosa di forte, subito.”, ordinai senza
pensarci due volte, altrimenti di certo me ne sarei pentita e tirata
immediatamente indietro.
Mi porse un bicchiere, uno di quello piccoli e bassi. Dentro
c’era del liquido di uno strano colore marroncino. Non feci
domande. Presi il bicchiere di vetro e lo osservai per qualche secondo,
ancora non completamente sicura di ciò che stavo per fare,
ma bastò poco a convincermi.
Io, Camilla Discriva, volevo un’altra definizione, ora.
Sorrisi malignamente e con un solo sorso lo buttai giù.
“Un altro.”, ordinai con sguardo vacuo.
Dopo il terzo bicchiere persi completamente il conto. La testa mi
scoppiava, la gola era in fiamme, ma mi sentivo stranamente leggera e
felice.
“Hai intenzione di berne ancora molti?”, chiese una
voce stranamente dolce e sensuale al contempo.
“Non credo questo possa interessarti.”, bofonchiai
senza neppure voltarmi verso colui che aveva parlato.
“Invece mi interessa, eccome se mi interessa!”,
ribatté alle mie spalle.
“Si può sapere chi diavolo sei e cosa diamine vuoi
da me?”, sbottai girandomi in direzione della voce.
Un ragazzo alto, magro, con dei jeans stretti e una camicia di seta, si
parò davanti ai miei occhi. Aveva i capelli biondi e gli
occhi azzurri, due profonde pozze d’acqua in cui ebbi la
sensazione di annegare.
“Sono Francesco e voglio ballare con te. Ti bastano come
risposte?”, mi chiese avvicinandosi pericolosamente al mio
viso.
“Diciamo che possono essere sufficienti.”,
mormorai, completamente spiazzata dalla situazione.
In condizioni normali di certo sarei
stata più che in imbarazzo, ma l’alcol
probabilmente aveva contribuito in modo eccessivo ad eliminare del
tutto questa sensazione.
“Era un si o un no?”, domandò a pochi
centimetri dalle mie labbra.
“Forse.”, soffiai sul suo viso.
“Come faccio a convincerti?”, mi chiese, mentre nei
suoi occhi si accendeva una strana luce.
Per un attimo mi mancò il respiro, sentivo il cuore battere
frenetico e una voglia matta di baciarlo.
Ormai il cervello aveva smesso di funzionare e nonostante fosse quello
l’effetto che volevo produrre, in quel momento mi pentii di
aver bevuto così tanto.
“No”, sentì urlare una voce dentro di
me, come per impedirmi di dire ciò che stavo per dire. Ma
stasera io ero fuori definizione e lo avrei dimostrato fino in fondo.
“Baciami.”, sussurrai con quella che alle mie
orecchie sembrò voce seducente.
Francesco non ci mise molto ad accontentarmi ed in pochi secondi
sentì le sue calde e morbide labbra poggiarsi sulle mie: il
mio primo bacio.
Da quel momento non ricordai più nulla di quella serata.
9 ottobre 2011
Sentivo
la testa stranamente pesante scoppiarmi, mentre i raggi del sole
iniziavano a filtrare nella stanza, costringendomi ad aprire gli occhi.
Mi voltai alla mia destra, come alla ricerca di qualcosa, o forse
qualcuno, ma non c’era nessuno. Mi sentì
inspiegabilmente delusa dal non aver trovato nulla al mio fianco.
Stropicciai per l’ultima volta gli occhi, prima di aprirli
definitivamente. Ciò che vidi mi sorprese: quella non era la
mia camera. Cercai di cogliere qualche indizio, senza alcun risultato.
Un brivido percosse la mia schiena.
Ero nuda. Ero nuda, su un letto di cui non conoscevo il proprietario e
in una stanza che non avevo mai visto prima, ed ero sola.
All’improvviso ricordai della festa, dell’alcol, di
Francesco, del bacio e poi il nulla.
Una lacrima scese sulla mia guancia. Sul comodino, accanto al letto,
c’era un biglietto.
“Per Camilla”, indicava la scritta.
Con una vaga speranza lo presi tra le mani ed iniziai a leggere quelle
poche righe, ma subito la luce che per qualche secondo si era accesa
nei miei occhi, morì alla vista di quelle parole.
“È stato bello, ma come tutte le belle cose
finisce. Ciao Camilla, Francesco.”
Strinsi quel pezzo di carta tra le mani, stropicciandolo, mentre fiumi
di lacrime scendevano dai miei occhi.
Presi la mia borsa e ne estrassi il cellulare. Non sapevo chi chiamare,
né cosa fare, né dove mi trovassi, né
dove andare. Cercai di ragionare con lucida e calma freddezza, senza
lasciarmi trasportare dalla disperazione. Forse l’unica che
avrebbe potuto trovarmi era Alice, del resto Francesco frequentava la
nostra scuola e Luca, popolare com’era, avrebbe dovuto
conoscerlo e mi avrebbero potuta trovare. Forse, invece, sarebbe stato
più semplice uscire fuori e vedere dove mi trovassi , per
poi decidere sul da farsi. D’istinto scartai questa opzione:
avevo paura, troppa paura. Senza pensarci oltre, composi
frettolosamente il numero.
“Cam!”, esclamò lei come sollevata,
evidentemente le avevo fatte davvero preoccupare molto.
“Vienimi a prendere Ali.”, la supplicai tra i
singhiozzi, senza neppure cercare di nascondere il pianto, sarebbe
stato inutile.
“Dove sei?”, disse lei agitandosi.
“Non lo so… io… io… ero qui
con Francesco e ora…”, balbettai, senza riuscire
né a calmarmi né a fermare le lacrime che
scorrevano imperterrite.
“Ok, non fa niente, ora chiedo a Luca e vediamo un
po’ di capirci qualcosa! Tu rimani tranquilla, stiamo
arrivando!”, esclamò chiudendo la chiamata.
D’impulso scoppiai in quella che sembrava avere tutta
l’aria di una crisi nervosa. Mi raggomitolai, avvicinando le
gambe al petto e cingendole con le gambe. Volevo uscire fuori dalle
righe? L’avevo fatto ed anche nel peggiore dei modi. Restai
lì per qualche minuto, commiserandomi inutilmente, poi mi
decisi a vestirmi e a raccogliere le mie cose.
Quando sentì il campanello suonare ebbi un sussulto: e se
non fosse stata Alice? Scossi la testa, non poteva che essere lei.
Aprì la porta e senza neppure rendermene conto venni
circondata da sei braccia calde e familiari, le mie amiche. Un sorriso
amaro si dipinse sulle mie labbra: la principessa aveva appena
distrutto la sua fiaba. Io che aspettavo l’amore, quello
vero, io che ancora non avevo dato il primo bacio perché
aspettavo il principe azzurro, avevo smesso di aspettare e non sarei
più potuta tornare indietro.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti! Anche se con molto ritardo ecco il secondo capitolo.
Spero che la storia vi piaccia, in ogni caso se avete consigli o suggerimenti non pensateci due volte a dirmelo! :)
Alla prossima!
Astrea_