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Autore: Neal C_    30/08/2011    2 recensioni
[AGGIORNAMENTI MOLTO LENTI_ l'autrice chiede perdono per le lunghe attese! T.T ]
Nel 1989 aveva diciassette anni, viveva in un posto sperduto della California, Rodeo, vicino Berkeley e “frequentava” gli Sweet Children e i ragazzi della Squatter House tra la West 7th e Peralta Street.
Adesso, nel 2004, ne ha trentaquattro di anni, è felicemente sposata con il solito marito scansafatiche fissato con la musica, ha due figli, e la maggiore è la tipica adolescente piena di pretese, con le stesse manie del padre.
È sempre lei, Virginia Foster, ma gli Sweet Children non esistono più, sono diventati i Green Day e sono il nuovo successo dell’anno.
Tutte le radio trasmettono “American Idiot” o “Boulevard of Broken Dreams” e, purtroppo per Virgin, anche quella di camera di sua figlia.
Un piccolo seguito di “Pinole Valley 1989-1990” che continuava a frullarmi in testa.
Enjoy!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Virginia Foster 1989-2004'
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E dopo le punizioni la resa...



La festa di Ronnie è stata un successone.
O almeno così ha decretato mia figlia.Io l’ho solo trovata di una noia mortale, il cibo faceva schifo e fortunatamente noi genitori stavamo seduti ai tavoli fuori*, su delle scomode panche di legno certo, ma almeno non stavamo dentro, al buio, con schermi dovunque, vecchi strumenti polverosi alle pareti, teche che conservano ipotetici tesori della storia del rock, e ovviamente la musica che ti frastorna.
Forse l’unica cosa buona è che Ronnie è stato tanto contento che non se ne voleva più andare.
Con i suoi compagni hanno ballato come scatenati musica che per me non è neanche lontanamente ballabile, hanno urlato come pazzi cantando canzoni a me totalmente sconosciute, qualcuno si è comprato la maglietta, qualcuno il portachiavi, qualcun'altra la catenina o il braccialetto, un orrido coso di metallo e di cuoio che non merita di essere chiamato bracciale.
E poi sono arrivati pacchi, pacchetti, pacchettini, qualche pacchettone, inclusa una magliettona bianca XL su cui tutti i compagni hanno scritto qualcosa per Ronnie, una dedica, un disegnino, la firma, roba del genere.
Non pensavo che mio figlio fosse così popolare a scuola. Lui non racconta mai niente, al massimo mi dice cosa hanno studiato. Poi ho scoperto perché.
Mi è bastato leggere una dedica sulla famosa maglietta, sotto il disegno un po’ stortino di un draghetto:


Happy Birthday Ronnie!!! By Sarah
P.s Sorry for the crappy picture, I’m not so good as you’re.
Your dragons are the best!

Sembra che Ronald sia particolarmente bravo a disegnare.
Mi pare che una delle sue insegnanti me lo abbia anche accennato, ma ho fatto presto a dimenticarmelo, anche perché era un periodo un po’ infernale allo studio e stavo avendo un sacco di problemi con un paziente di cui non starò a raccontare.

I bambini avevano anche riunito tutti i disegni che aveva fatto, ne avevano fatto un cartellone che Ronnie aveva insistito per appendere al muro perché chiunque entrasse potesse vederlo.
Poi ovviamente ho chiesto di averlo perché non avevo nessuna intenzione di lasciarlo a questi dell’Hard Rock.
A parte alcuni disegni di animali fantastici, mostri, draghi, unicorni, ragni giganti e cose del genere, fatti tra l’altro con semplicità ma con un’attenzione ai particolari che non mi aspettavo, c’erano anche facce, piccoli ritratti a mo’ di fumetto e molte, moltissime caricature di professori, altri compagni, personaggi dei fumetti come Topolino o di cartoni animati come i Pokemon e simili.
Non sono mai riuscita a seguire tutti questi ritrovati televisivi che adesso vanno tanto di moda, sono sulle cartelle di tutti i bambini e ragazzini, sui portapenne, i quaderni, i diari, gomme, temperini e via dicendo.
E adesso mi spiego anche perché non trovo mai carta bianca per la stampante!
Ma perché quel benedetto ragazzo non mi ha detto niente?!
Gli compravo un blocco apposito, delle belle matite, dei bei pastelli!
A differenza di mia figlia che ha una faccia di bronzo allucinante e il sorriso sempre pronto in viso, Ronald chiede davvero poche cose e, quando può, non chiede affatto.
Ma quando si impunta su qualcosa la deve avere ed in effetti è anche per questo che ho lasciato correre a proposito di questa festa.
Se Ronnie l’ha chiesto con così tanta partecipazione vuol dire che ci teneva davvero.
In ogni caso sono contenta che si sia divertito e che i suoi compagni e amichetti vari siano stati così carini con lui.
Io lo vedo sempre come uno timido, temo sempre che non riesca ad integrarsi.
Ma sarà che non mi assomiglia un granché in questo.
Chi ha sofferto nel vero senso della parola è stato Julian.
Ci ha indubbiamente provato.
Si è seduto con me al tavolo, con un paio di altri tizi, i genitori di un certo Christian;

ha cercato di seguire la conversazione prima sulla scuola e sugli insegnanti, sull’attività imprenditoriale del marito di lei, poi sul noioso hobby del golf di lui, poi ad un certo punto l’ho visto guardarmi disperato, prossimo al suicidio.
Io naturalmente in qualità di madre del festeggiato ho dovuto vagabondare fra i tavoli, ricevere i complimenti di tutti per quanto era carina la festa, mio figlio che è un tesoro, che lavoro faccio, mio marito cosa sta componendo di bello, come ci troviamo con la nuova linea telefonica che abbiamo messo da poco, dove mando mio figlio a fare nuoto, quanti anni ha mia figlia ecc ecc.
Dopo il terzo tavolo ho visto che Juls cominciava a distrarsi, a battere per terra il piede nervosamente, a tirare fuori un’aria seccata e allora mi son detta che era il caso di allontanarlo prima che si lasciasse scappare qualcosa di maleducato e volgare come gli capita quando qualcosa lo esaspera.
L’ho mandato a controllare la torta e dopodiché l’ho spedito a casa chiedendogli di tornare verso le cinque quando sarebbe stato il momento della torta, almeno per fare qualche foto o mostrare un po’ partecipazione per il suo figlio minore.
Tra l’altro non posso nemmeno dargli torto: questa gente è davvero noiosa.
Se non si parla dei figli, si parla di stupidi hobby che vanno di moda, dei posti di villeggiatura, in genere villaggi turistici della Florida o della California che sono particolarmente “in” in quel periodo.

Nessuno ha mai qualcosa da dire su qualche viaggio oltre America, pare che non mettano il naso fuori di casa, tranne che per schiattarsi su una spiaggia e abbrustolirsi al sole quando ne hanno la possibilità.
Non hanno particolari interessi letterari o artistici, io non ne ho musicali, non escono se non per andare a cena in posti lussuosi, e sinceramente io non amo andare a cena fuori, non vanno molto né a cinema né a teatro e io, che non ne ho il tempo e vorrei qualcuno che mi consigliasse un bel film, non sono riuscita a trovarlo.
E poi non ti fanno parlare.
Partono a ruota libera e non considerano che tu possa avere qualcosa da dire.

Alla fine mi sono limitata a commenti monosillabici e ad un sorriso smagliante che fortunatamente è ancora abbastanza bianco e dritto per essere piacevole e incoraggiante.

Dopo un paio d’ore ho cominciato a preoccuparmi.
Mia figlia e la sua amica non si vedevano da un pezzo in giro.
All’inizio pensavo che si sarebbero occupate loro dell’animazione per i bambini e poi ho scoperto che mia figlia aveva provveduto anche a questo.
Aveva ingaggiato un animatore!
Come è semplice la vita quando hai un portafoglio a disposizione vero?!
Alice è davvero spaventosa!
Potrebbe tranquillamente fare l’organizzatrice di eventi o intrattenere pubbliche relazioni, in un futuro prossimo: è di una vivacità che ti sfinisce, si occupa di ogni cosa, ha capacità organizzative che io mi sogno, sa parlare con le persone e ha abbastanza carisma per convincerle (ad esempio con il padre, anche se non ci vuole chissà quale talento per convincere Juls) e bisogna conoscere le sue strategie per combatterla e soprattutto mantenersi intransigenti per averla vinta.

Infine è capricciosa e ha le manie di controllo, più o meno come me alla sua età, anche se io ero decisamente meno sfacciata e non ero una tipa così mondana, anzi non lo ero affatto.
Insomma, per farla breve, mi sono scusata con una certa Henrietta Wellington, madre di Matthew Wellington, ragazzino terribile e scatenato come nessuno, e mi sono allontanata chiedendo in giro di mia figlia.
Alice si fa sempre notare quando può e soprattutto deve conoscere immediatamente tutti, almeno di vista e si assicura che gli altri conoscano lei.
Non mi stupirei se divenisse una di quelle reginette del liceo, e probabilmente lo sarebbe già se alla High School non ce ne fossero di più stupide, oche e mondane di lei.
Quindi mi ha lasciata un po’ perplessa il fatto che nessuno l’avesse vista da una buona mezz’ora.
Mi sono detta:

Calma, Vig, niente panico. Devono essere in questo locale; se fossero uscite le avresti viste, ti sarebbero passate davanti, visto che tu stavi seduta a qualche metro dalla porta.

Ho girato tutto il piano, passando fra bambini urlanti, bambini che sghignazzavano, che cantavano, che correvano, che si agitavano in tutte le maniere possibile.
Sono quasi stata travolta da un gruppetto che giocava al gioco della sedia o qualcosa del genere.
C’erano una ventina di sedie al centro della stanza e quando si fermava la musica tutti i bambini dovevano sedersi di corsa perché chi rimaneva in piedi veniva eliminato.
Io per poco non inciampavo in uno di questi bambinetti. Mi sono presa uno spavento memorabile.
Dopo aver setacciato il primo piano sono salita al secondo, un po’ preoccupata perché questo non lo avevamo prenotato e quindi poteva esserci chiunque, magari insieme alle mie ragazze.
E infatti eccole lì, al bancone che si spintonano, muovono il bacino a tempo di musica, che ridono e ogni tanto buttano giù un sorso di birra da un bicchiere di cinquanta cl.
Un momento...birra?!?!
Le osservo per un attimo, disorientata.
Siamo in un locale, un locale anche abbastanza conosciuto.
Mia figlia ha tredici anni e la sua amica quattordici.
Stanno bevendo beatamente un litro di birra davanti agli occhi di una signorina piena di piercing, un po’ grassottella, con una quarta, una maglietta dell’Hard Rock con i brillantini, i jeans, le Converse, e il grembiule nero che la identifica come cameriera o ragazza portavivande.
Io scrivo al proprietario di questa baracca e li denuncio!!!
Mi avvicino incazzata come una bestia e punzecchio la spalla di mia figlia con un dito.
Quando si gira posso vedere il suo sorriso scomparire e gli occhi farsi allarmati:

“Mamma...”
“Ragazzina, fuori di qui immediatamente.”
“Scusa mamma, ma che male c’è? Non ci hanno detto nient...”
“HO DETTO FUORI!!! ORAAA!!!”

Afferro il bicchiere della sua amica che si è prudentemente fatta indietro e mi sporgo oltre il bancone, appollaiandomi su uno degli sgabelli.
Quindi verso la birra nel lavello, davanti agli occhi stravolti della ragazza-vivandiera davanti a me. Lascio il bicchiere nel lavello e mi giro a guardare mia figlia con occhi truci.

“ASPETTATEMI LAGGIU’ TUTTE E DUE E GUAI A VOI SE NON VI TROVO, CHIARO?!?!”

Non osano dire una parola mentre la ragazza dietro il bancone mi guarda in parte disorientata e in parte quasi colpevole.
Mi rivolgo direttamente a lei, fissandola in quei suoi occhi scuri, da bestia in gabbia e le latro contro, stizzita:


“Veniamo a noi, carina, come ti viene in mente di servire a due minorenni dell’alcool?!
Scriverò al proprietario di questo locale e sono sicuro che non gradirà la storiella che avrò da raccontargli!”
“Si...signora, ha ragione, mi perdoni, i-io...”
“TU COSA?
CRISTO SANTO, TI SEMBRAVANO DICIOTTENNI QUELLE DUE NANETTE CON LA FACCIA PIENA DI BRUFOLI?!
VUOI PRENDERMI PER IL CULO?!”
“N-no...assolutamente...non pensavo...”
“Appunto! Non pensavi! Se sei solita non pensare ventiquattrore su ventiquattro questi non sono cazzi miei, ma vedi di pensare la prossima volta che ti ritrovi davanti due stupide adolescenti che ti chiedono dell’alcool perché, se mai dovessi ritrovare mia figlia con due boccali pieni di birra altro che scrivere! Ti prenderei a schiaffi...anzi ti farei il culo per bene, tanto da lasciarti agonizzante per terra, così ci capiamo meglio?!
Hai afferrato il concetto?!”
“Si, signora. Mi perdoni...”
“Certo che no, carina. Io intanto scrivo.
Tu prendi un foglio, adesso e annotami nome e cognome.”
“La prego, posso chiederle di non...”
“Di non fare il tuo nome? E che te lo sto chiedendo a fare, allora?
Certo non voglio ingaggiarti come animatrice per le mie serate in famiglia!
Sbrigati!”

Tra un po’ mi scoppia in lacrime.
Dio, quanto sono fragili le ragazze di oggi!
Si vede davvero che questo non è un locale underground di quelli seri.
Altrimenti questa ragazza avrebbe una grinta e una spina dorsale invece di comportarsi come un mollusco qualunque.
Eccola che si fa piccola piccola, apre un cassetto e ne tira fuori una bella penna rosa di Hello Kitty, poi annota su uno dei post-it nome e cognome e infine me lo porge.
Nel frattempo io sorseggio la birra che prima era di mia figlia, prendo il foglietto e me lo ficco in tasca.

“Grazie tante, ragazzina. A mai più rivederci, spero.”
“Però...certo che avrebbe anche potuto non insultarmi...capisco la rabbia e il risentimento...”
“Oh, capisce lei! No, cocca di mamma, non capisci un cazzo.
Si, ho usato tante parolacce, e sai perché? Perché così magari il messaggio arriva a quella testa vuota che hai. A proposito di offese, che dici di levarti quelle fottute cuffiette dalle orecchie eh?!
Sarebbe educato sentire la musica sparata al massimo volume mentre qualcuno ti parla?!
Tzé, e adesso non venirmi a parlare di buona educazione altrimenti alla scuola di galateo ti ci rimando a calci!”

Credo di averla traumatizzata per il resto della suo vita.
Mi giro e mi dirigo verso le scale da cui sento uno scalpiccio affrettato di passi.
Probabilmente sono quelle due cretinetti che hanno ascoltato tutto.
Eh si, anche la mamma dice parolacce! Specie quando si trova davanti, una stupida cameriera menefreghista.
Punto uno: come l’è saltato in testa di offrire birra a quelle due?!
Punto due: è praticamente un quarto d’ora che le strillo addosso e lei continua a tenere le cuffie nelle orecchie?!
Punto tre: si permette anche di darmi lezioni di buona educazione, mentre continua a fregarsene di quello che dico, tant’è vero che non ha ancora tolto quei dannati auricolari dall’orecchio?!
Do una rapida occhiata dietro di me e la osservo asciugarsi le lacrime che le stanno sciogliendo il trucco nero.
Si, vai in bagno a farti un bel pianto: non c’è niente da fare, solo così imparano.

Quando scendo giù trovo Alice con aria pentita che si tormenta le unghie e Charlie, rossa come un pomodoro e imbarazzata come non mai, che non osa guardarmi mentre le raggiungo, ancora furiosa.
Mia figlia si alza con aria quasi melodrammatica e mi fa, con tono morbido e affettato:

“Mamma, scusami, davvero. È che quella tizia si stava facendo un bicchierino e ce l’ha offerto.
Noi le abbiamo detto che non bevevamo ma lei ha scrollato le spalle e con aria complice ha detto che tanto nessuno lo avrebbe saputo, non l’avremmo nemmeno pagato e che le avremmo fatto un piacere perché voleva compagnia mentre beveva.
Comunque è la prima volta, davvero. E non ci piace nemmeno tanto, vero Charlie?”
“...”

Quell’altra ha il buon gusto di stare zitta.
Vorrei tanto riderle in faccia. Non so chi è peggio se lei o io, ad inventare scuse.
La cosa bella è che nonostante le scemenze che dice, tutti le credono sempre, la compiangono, guardano la sua espressione pentita, gli occhi dolci, l’aria da vittima e da madonnina incoronata e si sciolgono. Ma con me non funziona, carina.

“Alice, per piacere risparmiami queste scene pietose.
Piuttosto dammi una buona ragione per non confinarvi in casa entrambe per il resto della settimana...”
“No, mamma, ti preeeego! È davvero la prima volta! Non l’avevo mai provata, giuro!
E non lo farò più! Neanche a diciott’anni!”
“Tecnicamente sarebbero i ventun´anni per gli alcolici*, ma non mi interessa.
E ti chiedi anche perché non mi fidavo di mandarvi a quello stupido concerto!
Bene, allora è deciso. Tutti a casa per una settimana, sono sicura che saprete divertirvi benissimo da sole, in due, senza signorine che tentino di corrompervi.
E non vi chiudo immediatamente in camera solo perché non voglio rovinare il compleanno di Ronnie!”

Vedo le loro facce incupirsi, mia figlia che stringe i pugni per la rabbia e la frustrazione e mi guarda talmente male che se potesse mi ucciderebbe.
L’amica ha il buon gusto di non alzare lo sguardo e non farmi vedere quanto è incazzata con me perché non ci si incazza con i genitori della tua migliore amica.
Ma che ragazzina beneducata, non c’è che dire.
Ecco, è perfetto.
Adesso ho mandato in fumo tutti i loro progetti di andare al concerto.
Avevo già in programma di chiamare Keira Charleston e dirle del progetto di evasione di suoi figlio Jamie.
Adesso non dovrò fare niente di tutto questo perché la mia adorabile figliola e la sua amichetta sono confinate in casa fino a nuovo ordine.

Direi che posso dormire sonni tranquilli, da stanotte fino al prossimo week-end.


Siamo finalmente tornati a casa.
Le due ragazze si sono chiuse in camera e hanno messo la musica al massimo volume.
Non devo nemmeno indovinare cosa stanno ascoltando.

She’s a rebel, she’s a saint,

She’s the salt of the earth,

And she’s dangerous.
She’s a rebel, vigilante,

Missing link of the brink,
of distruction.


Che incubo.
Per un attimo mi chiedo perché mai quei due hanno continuato su quella via.
Chiunque sarebbe morto di fame dopo pochi giorni, e invece quelli no!
Dovevano continuare ad ammorbare il mondo con quella roba!
Probabilmente sono in missione per conto di Dio e nessuno riesce a fermarli.
Non che suoni male, come musica, anzi, a modo suo è anche melodica, ma è ripetitiva, con quella batteria rumorosa e...
beh, i testi di Billie sono migliorati, indubbiamente.
L’ultima volta che li ho sentiti suonavano canzonette d’amore che facevano sorridere tanto erano infantili.
E forse anche Mike-biondo-platino ha imparato a impugnare un basso come un basso e non come una chitarra.
Adesso devo solo sperare che Ronnie non abbia mangiato niente che mi rovini anche questa serata.
L’idea di stargli di nuovo vicino mentre vomita mi fa venire voglia di attaccarmi anch’io alla tazza.
E invece lo trovo beato, in camera sua, che contempla le pareti con il suo cartellone in mano, eccitatissimo, mentre misura a occhio dove metterlo.

“Tesoro, come va la pancia? Tutto bene?
Mica hai mangiato la torta?”
“Solo una fettina.”
“Amore, ti avevo detto niente. E se poi stai male?”
“Mhm...mamma, e se lo mettessi lì?”
“Lì dove, amore?”
“Di fronte alla scrivania!”
“Tesoro, non credo entri.”
“Non è vero! Ci entra!”
“Ma è il punto più stretto della stanza!”
“Si, ma ci entra!”

Quasi a voler dimostrare la sua teoria, si avvicina frettolosamente alla scrivania, e sale prima sulla sedia e poi sullo scrittoio, facendomi trattenere il fiato.
Oddio, la finestra è aperta!
Cristo santo...stai attento, Ronald, ti prego!
Non voglio muovermi perché un qualunque movimento sbagliato potrebbe distrarlo e fargli perdere l’equilibrio.
Lui si allunga fino al muro e ci fa aderire il cartellone puntellandolo con le mani.
Entra perfettamente, forse un po’ sacrificato, ma entra benone.
Lo vedo sorridere, soddisfatto:

“Visto?”
“Va bene, adesso per piacere, Ronald, puoi scendere da lì?
E vorrei che lo facessi piano, con cautela e con la massima attenzione...”
“Mamma, puoi prendere il martello e i chiodi? Lo attacchiamo lì!”
“No, amore ci vuole un pannello di sughero, lo andiamo a comprare e lo montiamo, d’accordo?”
“Si, ok, ma allora andiamo adesso?”
“Amore, adesso i negozi sono chiusi.”
“Allora ci andiamo domani?”
“Domani c’è scuola.”
“Nel pomeriggio?”
“Poi vediamo, tesoro...ADESSO VUOI SCENDERE DA QUELLA FOTTU...aehm...”

Devo prendere il respiro.
Piano, piano, mi sto lasciando andare;
mio figlio ha appena compiuto dieci anni e non è il caso che impari questa nuova parolina.
Dio, ho bisogno di un trattamento anti-stress.

“Per piacere, Ronald, scendi da lì. Subito!”
“Ok.”
“Ecco, piano, mi raccomando, movimenti lenti, attenzione a dove metti i piedi e guarda bene dove appoggi le mani.”

E mio figlio scende tranquillamente, così come è salito e quando finalmente mette i piedi per terra posso tirare un sospiro di sollievo.
Lui mi guarda, stranito e continua a sventolarmi il cartellone davanti.
Me lo passa e mi invita a guardarlo. Comincia a mostrarmi tutti i suoi disegni, quando li ha fatti, per chi li ha fatti, da dove li ha copiati, da cosa ha preso ispirazione.
Alla fine appoggio il cartellone sullo scrittoio e lo abbraccio.
Lo sento fare un attimo di resistenza, come se non fosse una cosa abbastanza da uomini abbracciare la propria madre ma poi si lascia andare e mi sussurra:


“Mamma, ti voglio bene.”
“Anche io, amore, ma la prossima volta, prima di salire sulla scrivania controlla che la finestra sia chiusa. Chiaro?”
“Ok.”

******************

Questa settimana passa abbastanza liscia.
Il giorno dopo la festa, un lunedì, i ragazzi vanno a scuola e io avverto che verrò in studio nel pomeriggio. Tanto oggi non dovrei avere appuntamenti.
Aiuto Julian a farsi la valigia.
Dovrà andare a New York per fare la sua parte al Festival del Blues e dovrà presentare un suo studente che pare sia un promettente trombettista.
Mi ha confidato che spera di trovargli un posto come si deve perché è un ragazzo che merita ed è sicuramente più talentuoso di molti altri, perfino tra gli insegnanti.
Insomma, più che in qualità di musicista, a questo festival ci va in vesti di manager.
Ho dovuto insistere a tutti i costi perché mettesse in valigia anche un abito da sera.
Può sempre servire e poi non può vivere di camicie.
Tra l’altro lui non è più un ragazzino e non può continuare ad indossare quelle camicione improbabili, modello gonnellino scozzese.
è un insegnante, diamine! Non un barbone!
Quando glielo ho detto lui mi ha dato della vecchia e ha ironicamente indicato i miei capelli.
Ebbene confesso: sono una di quelle che ha trent’anni cominciano già ad avere i capelli bianchi.

Quando Juls me li ha fatti notare la prima volta sono rimasta davvero sconvolta.
è stato terrificante almeno come può esserlo guardarsi allo specchio e intravedere le prime rughe sul viso.
Sono anche andata da una specialista ma ha detto che non si può fare granché e che a quarant’anni ne sarò piena.
Per diversi mesi il parrucchiere è praticamente diventato il mio migliore amico.
Ci passavo almeno due volte al mese per ritoccare, fare colpi di sole, colorare, provare una tinta più chiara, una più scura, una cosa a dir poco stressante visto che il colore doveva riuscire naturale e tutte queste storie qua.
Tra l’altro non era neppure facile perché i miei capelli sono cresciuti parecchio dall’ultima volta che li ho tagliati e mi arrivavano alle scapole, lisci come spaghetti e di un rossastro, un po’ carota, che è stato davvero complicato riprodurre.

Poi mi sono seccata.
Sono andata dal suddetto parrucchiere e li ho accorciati definitivamente, con una taglio corto alla Audrie Hepburn. Quindi li ho tinti di bianco.
Adesso non sono più angosciata dalla venuta dei capelli bianchi, il colore è uniforme, sono assolutamente semplicissimi da lavare, la tintura posso farla anche in casa e vivo tranquilla e felice come non mai.
Ovviamente chiunque mi guardi mi da almeno quarant’anni, ma non me ne importa niente.
E poi ho l’abitudine di dargli una forma asimmetrica, un po’ sbarazzina, che rende il tutto meno pesante a vedersi: uso una crema-gel che profuma di fragola che è un piacere.

Le reazioni in famiglia sono state abbastanza neutre e diverse:

Alice ha storto il naso per una settimana, ma visto che avevo un’aria esotica di quelle che la affascinano tanto, ha finito per apprezzarlo, a modo suo.
Ronnie non si è fatto né in qua né in là, e si è limitato a commentare il tutto con un “oh, sembri più vecchia.”
Mio marito mi ha preso in giro per un pezzo dicendo che era stato truffato, che lui aveva sposato una giovane e bella ragazza e il parrucchiere invece gli rimandava indietro una nonnetta con l’artrosi.
Inutile dire che l’ho minacciato di disperdere la sua amata collezione di vinili se avesse anche solo osato accennare la cosa in pubblico.

Per almeno cinque giorni sono stata in pace con me stessa e il resto del mondo.
Juls è partito e non torna prima di sabato pomeriggio.
Alice e Charlie si sono calmate un pochettino e mia figlia, in particolare, non ha più avanzato pretese di sorta. Anzi, credo che quel famoso Cd dei Nirvana stia ancora a marcire da Larry.
Prima o poi quello chiamerà a casa e io finirò per annullare l’ordine come ho fatto tante volte, inutilmente, perché poi mia figlia ha trovato un modo per presentarsi al negozio a pagare e prelevare.
Ronald è rimasto solare per tutta la settimana, ancora troppo contento per la sua festa.

Quel ragazzino mi da un sacco di soddisfazioni e lo amo per questo.
Mi fa sentire una buona madre, tutto sommato.
Siamo andati a comprare il pannello per camera sua, e lo abbiamo montato con il cartellone sopra.
Una sua amichetta, il cui padre aveva fatto una sorta di servizio fotografico di tutta la festa, ha portato a scuola un album pieno zeppo, tutti si sono divertiti a sfogliarlo poi lo hanno firmato e lo hanno regalato a Ronnie.
Una bellissima iniziativa di questo Christopher Moore.
Devo chiamarlo e ringraziarlo mille volte.

L’unica macchia è che oggi è venerdì, anzi, precisamente sono le sette e un quarto.
Non ho avuto sentore che ci fosse del movimento fra le due ragazze ma certo non si lasceranno sfuggire l’occasione per tentare la fuga.
E si, perché il concerto è alle otto e mezza.
In ogni caso non ce la farebbero, ci vogliono almeno tre quarti d´ora di macchina da qui al Griffith Park.*
figuriamoci a piedi!
Quello che mi lascia un po’ perplessa è che il disco che avevano messo è finito da un pezzo, è passato almeno un quarto d’ora e ancora non l’hanno rimesso da capo. Un miracolo!
Mi godo il silenzio e mi dico che sarebbe il caso di chiamare la famiglia a tavola.
Mi appunto mentalmente che alle nove e mezza devo andare a prendere Ronald che cena da un amichetto.
Adesso ci facciamo una bella cenetta fra donne, poi le metto a vedere un film ed esco.
Passo davanti a camera loro e faccio per bussare, ma la porta è semi aperta.
Dentro la stanza è vuota.
Osservo allucinata il casino che c’è dentro.
Hanno vuotato gli armadi e la roba è ammonticchiata sui letti, sul pavimento, vestiti esposti sulla scrivania, trucchi sparsi sul tavolino davanti allo specchio.
E pensare che ho sempre guardato storto mia figlia quando si truccava.
Ha tredici anni, diamine! Ne ha di tempo per essere grande!
Ma il dettaglio fondamentale è che la stanza è vuota.
Le due ragazze devono essere uscite in qualche modo.
Mi do una manata in fronte.

Come ho potuto essere così stupida!
La scala antincendio che Juls ha voluto far impiantare sul balconcino del bagnetto, accanto a camera loro! Possibile che sapessero dov’erano le chiavi delle porte di emergenza?!
Ma perché a me...


Metto il primo impermeabile che mi capita a tiro e mi fiondo in macchina.
Da quanto saranno uscite?! Fin dove saranno arrivate?! Come saranno andate e da chi si saranno fatte accompagnare?
Mentre aspetto al semaforo, metto l’auricolare per il cellulare e mi dico che è il caso di provare.
Probabilmente non mi risponderanno nemmeno, ma devo provare.
Compongo il numero di Alice e sento il telefono squillare.
Uno, due, tre, quattro, cinque...rispondi, cazzo, rispondi!
Finalmente sento il telefono che attacca:

“Mamma, lasciaci in pace. Stiamo andando al concerto.”
“Alice, dove siete? Tornate a casa I-M-M-E-D-I-A-T-A-M-E-N-T-E!”
“No.”

Sento una gran confusione, più voci che si sovrappongono, qualche urlo, qualche risata, la comunicazione non prende bene, la linea comincia a vibrare, a fare strani scherzi.
Questo non fa che agitarmi ancora di più ma devo stare calma e concentrami sul volante altrimenti qua facciamo un bel incidente.

“Alice, ti prego, rispondimi, con chi siete?!”
“bzzz...con...macchina...bzzzz...Merce...ss...bzzz...Jor...dan...bzzzz”
“Oddio, per piacere scendete immediatamente, al primo crocevia!
VI PROIBISCO DI ANDARE! SCENDETE DA QUELLA CAZZO DI MACCHINA!!!”
“N...bzzz...no...no....i...bzzz..vo...am...andar...al concerto”
“Alice...”
“bzzz...cooon...certoo...”
“E VA BENE, VI CI PORTO IO A QUESTO CAZZO DI CONCERTO!
SCENDETE SUBITO!!!”
“N...o...Jord...an...dice che...”

Non riesco a capire cosa stia dicendo Jordan perché cade la linea.
Non so cosa fare. Una parte di me vorrebbe mettersi a urlare, un’altra vorrebbe andarsi a schiantare da qualche parte.
Calma, Vig, le recupererai prima che vadano a quel concerto.
Poi se proprio vorranno ci andremo insieme, ma le recupererai ad ogni costo.
BIP.
Squilla il cellulare.

Un messaggio ricevuto.


Vediamoci su Foutain Ave, incrocio con Sanbon Ave*.
Poi al concerto. Niente scherzi.

Sembra una lettera minatoria ma il messaggio mi fa sorridere.
Non sono mai stata così felice di cedere ad un capriccio di mia figlia.
E andiamo a questo benedetto concerto...se succede qualcosa farò la pazza.


Note

* Purtroppo non so se l’Hard Rock Caffè di Los Angeles abbia o meno i tavoli fuori, ma vista la necessità, se così non fosse mi prendo una licenza d’autore. Diciamo che ho più o meno preso a modello quello di Roma, che mi pare ce li abbia, ma potrei anche sbagliarmi.

* GLOSSARIO: Happy Birthday Ronnie!!! By Sarah
P.s Sorry for the crappy picture, I’m not so good as you’re.
Your dragons are the best!
- Buon compleanno Ronnie! Da Sarah
P.s Scusa per il disegno schifoso, Non sono brava come te. I tuoi draghi sono i migliori!-
Ho controllato su WordReference, dovrebbe funzionare ;)


* Negli Stati Uniti la maturità ai diciotto è un dato relativo.
Infatti a diciotto anni si acquista il diritto di voto, a ventuno il diritto di bere alcolici, a sedici la possibilità di prendere la patente.

* Grande parco di Los Angeles. Non conoscendo le arene di Los Angeles e siccome si trovano solo stupidi stadi per il basketball ho dovuto ricorrere ad un piccolo espediente xD
Quindi per il concerto e´ stato messo su un palco con tutto cio´ che ne deriva e cosi´ ho potuto ispirarmi al National Bowl del Milton keyness dove e´ stato girato "bullet in a bible". LICENZA D´AUTORE!


* Non conosco LA per sapere con certezza che questa strada non è pedonale, non è a senso unico, se ci si può circolare liberamente in auto e altri dettagli del genere. Però da Google Map ho potuto constatare che è nei pressi del Griffith e mi pareva fattibile, quindi, ladies and gentilmen, consideratela pure un’altra delle numerose licenze che mi prendo u.u

Angolo dell’autrice

Ma quante incognite in questo capitolo! Uff...spero che sia uscito bene.
Anche se mi lascia un po’ perplessa la parte finale, quella in cui Vig si arrende e sembra ormai rassegnata all’idea che le deve accompagnare ste’ due piccole pesti.

Qualcuno potrebbe anche trovare patologica l’ansia di Virginia eppure, dopo aver studiato mia madre per diverso tempo, ho realizzato che davvero entra in uno stato di angoscia che fa impressione. Mah, sarà la maternità! E poi non dimenticate che lei c’ha sempre queste manie di controllo che ogni tanto le prendono (devo dire che questo dettaglio mi piace sempre di più, e pensare che all’inizio mi sono ispirata anche un po’ ad un film di quest’anno, “i ragazzi stanno bene”, molto carino, ve lo consiglio xD).
Comunque, anche questa è andata, adesso dovrò organizzare i retroscena xD
La cosa si farà un po’ inverosimile ma ripeto che ho voglia di dare sfogo alla fantasia quindi...
mwahahhahahah!!!
Aspettatevi di tutto xD
Well, sisters and brothers, see ya!

Misa

COLONNA SONORA: Rolling Stones raccolta “Jump Back from ’71 to ‘93”;
David Bowie “China Girl, Blue Jeans, Space Oddity, Life on Mars, Let’s Dance, Ashes to ashes, Jean Jene, Let’s spend the night together, Heroes”

  
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