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Autore: Sabe    31/08/2011    5 recensioni
STORIA TRATTA DA "The past returns forever". NON E' OBBLIGATORIO LEGGERLA.
Prologo:
Quello che dico vola nel cielo come se fosse niente e quello che penso, beh non è importante dirlo.
So quello che voglio, ma è difficile da chiedere e so pure quello che non voglio, ma stavolta è impossibile da negare.
Quello che mi fa bene non sono sicura che esista, ma so per certo che quello che mi fa male è costantemente con me.
So che dovrei reagire e so... No, a cosa servirebbe sapere e basta? A niente.
Infondo le mie sono solo parole, parole che volano nel tempo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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I commenti alla fine, per ora vi dico solo: BUONA LETTURA! =)

 

 

2° CAPITOLO – PICCOLA LUCE

Let it be – John Lennon

 And when the night is cloudy,
there is still a light that shines on me,
shine on until tomorrow, let it be.
I wake up to the sound of music
Mother Mary comes to me
speaking words of wisdom, let it be.
Let it be, let it be.
There will be an answer, let it be.
Let it be, let it be
whisper words of wisdom, let it be.

 

 "Bambina mia, perché fai i capricci?”.
"Mamma, io non faccio i capricci!”.
"Allora perché non ti svegli tesoro? Tuo fratello sarà preoccupato”.
"Ma io non sto dorm... Io sono sveglia!”.
"Tesoro, non fare aspettare ancora Jason. Lui ti vuole bene”. Sussultai alle sue parole e la guardai meglio, sentendo che mi ero lasciata sfuggire qualcosa, qualcosa di importante.
"Perché dici così?! Mamma dove vai?”.
"Adesso ascoltami attentamente amore mio: sono sicura che dietro a quel viso così duro e freddo c'è molto di più, io so che la Bella che ho dato alla luce e cresciuta è ancora dentro di te e quando verrà fuori sarà più bella che mai, ma voglio lo stesso che tu prova ad aprire gli occhi”. Lo sguardo chiaro di Renée si specchiò nel mio e come un lampo ricordai ogni cosa, anche il fatto che mia madre era morta.
"Tesoro, ti prego fallo per te e per tuo fratello. Voi dovete stare insieme, solo così riuscirete a smettere di soffrire”. Sbattei le palpebre per assicurarmi di non avere avuto una delle mie visioni, ma lei rimaneva lì, di fronte a me, quando invece ero più che sicura che mia madre fosse morta in un incidente stradale circa due anni fa. Non era possibile.
"Ma lui mi odia”. Non riuscii a dire altro, per quanto volessi chiederle spiegazioni, avere delle risposte e piansi, consapevole di quanto mi fosse mancata mia madre e di quanto avessi risentito del suo abbandono per tutto quel tempo.
"Lo so bambina mia, e tu lo odi vero? Ma cambierà vedrai, dovete solo restare insieme. Promettimelo amore mio, non lasciarlo andare via. Lui ha bisogno di te e tu hai bisogno di lui”. Promettimelo? Io non facevo promesse, perché non sapevo mantenerle. Non ne ero in grado.
Ma, proprio quando stavo per dirglielo, mi accorsi che la sua immagine stava svanendo poco a poco, come se la nebbia la stesse risucchiando via, inghiottendola nel nulla.
"Mamma!”.
"Promettimelo Isabella, promettimi che non lo lascerai andare via!”. Strinse le mie mani, che erano stranamente diventate più piccole e paffute, ma non riuscii a sentire il suo calore. Renée era il vuoto.
"Mamma non andare, ti prego...”. Il suo sguardo però valse più di mille parole e senza controllo scivolai a terra, dilaniata dal dolore. I pensieri si affollavano e si accavallano uno sopra l'altro, impedendomi di mettere insieme una frase sensata, così implorai Dio di non farla andare via di nuovo. Non sarei riuscita a superarlo una seconda volta.
"Oh bambina mia, ti voglio così bene... -In quel momento avrei tanto voluto farmi stringere tra le sue braccia ancora una volta, ancora un secondo-. Ma so che farai la cosa più giusta, io lo so”.
"..” .
Non è vero Mamma, e lo sai: io non potrò mai essere giusta -Sarebbe stata quella la risposta che avrei voluto darle, ma come sempre la speranza era l'ultima morire.
"Tuo padre avrebbe voluto essere con noi adesso, ma non ha potuto... Lui, non poteva.. Oh tesoro, ci mancate così tanto tu e Jason, a volte è davvero dura non venire da voi e nascondervi nei nostri cuori”. Allungai il braccio verso di lei nel disperato tentativo di fermarla e allora compresi che quella era l'ultima volta che avrei potuto rivederla.
"Mamma, no!”.
Non mi abbandonare di nuovo, io ho bisogno di te. -Pensavo fino allo sfinimento e pregavo che lei potesse capire.
"Un giorno bambina mia sarai di nuovo felice, io lo so. Un giorno vivrai di nuovo con il sorriso sul volto. Ma fino ad allora non arrenderti mai Bella e stai vicino a tuo fratello. Entrambi avete bisogno l'una dell'altro”. Di lei, ormai, rimaneva solo l'ombra degli occhi e il dolore che sentivo mi impedì di comprendere appieno le sue ultime parole.
"Ti voglio bene bambina mia e sta tranquilla, io sarò sempre con te. Addio Bella”.
E un urlo soffocò il mio risveglio.

 

Sussultai aprendo di scatto gli occhi e rendendomi conto di aver trattenuto il fiato abbastanza a lungo da sentire male al petto. Cercai di respirare, ma la luce accecante mi ferii gli occhi e dovetti richiuderli subito. Non potendo vedere, preferii rimanere ad ascoltare ogni rumore per capire dove mi trovavo e quello che era successo.

Avevo sognato? Lei era solo un sogno?

Ma a parte il silenzio, non c'era niente. Un niente trafitto dal suono di un solo, leggero, costante “bip”. Ogni respiro equivaleva ad un bip ed ogni bip equivaleva ad uno spillo in più conficcato nella mia testa.

Infastidita cercai di allungare le mani per poter mettere fino a quel rumore e, solo allora, quando capii di non riuscire a muovere niente, mi accorsi che ogni singolo arto del mio corpo era poggiato su qualcosa di morbido, fin troppo a quello a cui ero abituata.

Un materasso? Sarebbe stato davvero il massimo poter dormire su un vero materasso una volta tanto e non come quelli che rifilavano all'istituto, imbottiti di legno e chiodi. Ma, come avevo detto, “sarebbe stato” troppo bello, quindi... O era un sogno o mi trovavo in paradiso.

Se era un sogno era davvero bizzarro, poiché sembrava tutto così reale, così limpido e così bipposo. Non riuscivo proprio a capire cosa significasse quel suono... No, non era per niente un sogno, anche perché sentivo uno strano formicolio al braccio e ad alla mano. Ma se mi trovavo davvero paradiso, allora non aveva per niente senso, tranne per il fatto che il materasso su cui stavo era comodissimo!

Ok, ero in paradiso. Ma come ero morta?

Forse non era necessario ricordarlo quando si andava nell'aldilà o il grande Creatore toglieva la memoria per consentire un'eternità in pace? Che poi, io non avevo mai creduto in queste cose, nel paradiso, in Dio... Nah, quello non avevo mai fatto niente per me, né prima né dopo e, anche se questo materasso era più che super, ero abbastanza scettica sul fatto di trovarmi sulle nuvole. Io volevo sapere com'ero morta, altrimenti avrebbero potuto esserci altre milioni di spiegazioni che evitavano i sogni e l'oltretomba.

Non ero diventata uno zombie, vero?

Bip... Bip... Bip... Bip... Bip...

Dio, quanto avrei voluto che qualcuno spegnesse qual cavolo di suono!

Purtroppo cercare di urlare era inutile, la gola mi bruciava e le labbra erano secche. La testa mi pulsava come se fosse stata presa a calci e poi spiattellata sul cemento con un martello enorme. E quel bip non la finiva più!

<<Quando si sveglierà?>>. Quasi mi spaventai a sentire quella voce -non mi pareva di averla mai sentita, ma se fosse stata solo per quella avrei potuto giurare che fosse di un angelo-, e preferii rimanere in silenzio per scoprire quello che non riuscivo a ricordare.

<<Presto Ed, ormai la morfina non dovrebbe fare più effetto>>. Quell'altra voce invece l'avevo già sentita, ma la testa mi faceva troppo male per poter rimettere in ordine i ricordi. Sapevo solo che era di una donna.

Un sospiro, lo schiocco di un bacio e dei passi che si allontanavano, con gli occhi chiusi e tutti gli altri sensi sull'attenti riuscivo a distinguere le cose più nitidamente.

<<Vado a parlare con Jason>>. Mio fratello? Che centrava mio fratello con il paradiso? Era morto anche lui? No, allora era vero che ero uno zombie!

Un cigolio, una porta che sbatteva ed una sedia che veniva strascinata per terra. Qualcuno era vicino.

Poi il peso sul materasso si abbassò e sentii delle dita passare leggere sui miei capelli sparsi sul cuscino. Come una carezza costante, mi facevano venire i brividi e allo stesso tempo il respiro accelerava inevitabilmente. La mia testa urlava -Attenta!-, ma il mio corpo faceva le fusa dalla dolcezza di quel tocco fatato.

<<Chi mai avrebbe il coraggio di farti questo, piccola luce? Cosa hai fatto di così grave da meritare una tale punizione?>>. Sussurrò vicino al mio orecchio la voce d'angelo ed io rabbrividii.

Esistere. Il semplice fatto di esistere poteva essere il giusto motivo per tutto quello che avevo subito?

Tremavo, esattamente come una foglia spinta dal gelo per farla staccare dal suo ramo e come quando -la stessa foglia- annegava nell'acqua ghiacciata dell'inverno. Tremavo, perché non riuscivo a tenere a bada il respiro che, accelerando, faceva aumentare anche il ritmo del non più catatonico bip. Tremavo, perché un fiato caldo di sole e profumato di lavanda si abbatté violentemente sulla pelle del mio collo, ridandogli il calore privatogli precedentemente dai lividi, e piano piano saliva verso l'alto, verso il mio viso, verso il mio labbro rotto.

Trattenni il respiro con la paura di farmi scoprire sveglia -anche se era più che evidente dal chiasso nella stanza che il sonno mi aveva abbandonato da tempo-, ma non avevo voglia di capire quello che stava succedendo. Volevo solo rimanere sdraiata su quel comodo materasso per sempre, assistita dalle amorevoli carezze di quel qualcuno.

Purtroppo, però, il solo pensiero di essere rinchiusa in una stanza -o ovunque io fossi- con un uomo, un ragazzo probabilmente, mi terrorizzava e non riuscivo a pensare ad altro che non fosse -Sono in pericolo!-. Infatti il cuore cominciò subito a battermi nel petto senza darmi il tempo di controllarlo e di conseguenza mi irrigidii, tanto da sembrare un pezzo di marmo.

<<Non è giusto, piccola luce. Non è giusto>>. E quando mai lo era stato scusa? Ma infondo le parole non erano mai abbastanza e servivano solo per riempire uno spazio infinitamente vuoto.

Quando le sue dita arrivarono a tracciare il contorno del mio mento la tentazione di alzare le mani e spingere indietro quel tipo che mi sovrastava era molto forte, ma l'istinto di sopravvivenza e, sopratutto, in ricordo di quello che avevo vissuto, decisi di continuare con la recita del dormire. “Mai tentare il can che dorme, rischi solo di essere morso” diceva sempre Nonna Swan.

Così, mi imposi con tutte le forze di non muovere un solo muscolo, se volevo rimanere indenne a quello strano incontro. Ma per quanto cercassi in tutti i modi di vedere la cosa solamente dal lato negativo, una piccola luce chiara mi riportò alla mente il sogno fatto prima di svegliarmi: perché io dovevo svegliarmi.

E mia madre era morta e quello non poteva essere altro che un sogno, un sogno davvero doloroso.

Le loro vite, le nostre vite prima dell'incidente, Mamma, Papà, il viaggio, la fine di tutti noi, il loro abbandono e la nostra resa... Tutto ritornò così vivido e limpido che cedetti, scontando così per la prima volta la pena da pagare e rendendomi conto che mai la realtà era stata più vera.

Mi ci era voluto il riflesso di un sogno per capirlo e fino ad ora era stato solo il frutto del mio desiderio di vendetta ad oscurare il vero volere dei miei genitori.

Piangendo e singhiozzando come poche volte avevo fatto, aprii gli occhi.

<<Shh, è tutto finito. E' tutto finito>>. Senza neanche rendermene conto mi trovai tra le braccia dell'angelo che aveva vegliato su di me fino in quel momento, mi sollevò fino a farmi sedere. Mi rifugiai tra le pieghe della sua felpa, respirando a pieni polmoni l'essenza di calore e il dolore al petto fu maggiore, fino a togliermi il fiato.

<<Tranquilla, ci sono io con te>>. Scostandomi dal suo corpo riuscii a vedere per la prima volta, nonostante la vista fosse drammaticamente appannata dalle lacrime, due pozze smeraldo, un verde così puro da essere notato pure sotto la folta chioma ramata che circondava la sua fronte.

Semplicemente un angelo.

<<Io, no-non vo-le.. No-n v-vol-evo!>>. Gridai sempre più forte, fino a quando le porte della stanza vennero spalancate con forza e dei camici bianchi e blu entrarono fiondandosi verso il letto su cui ero.

Non ti lascio, è finita piccola luce. Ci sono io.

<<Lasciala, sta avendo un attacco!>>. Qualcuno mi staccò a forza dal ragazzo dagli occhi verdi e, nonostante cercassi di tenerlo stretto a me in tutti i modi, le mie energie erano troppo deboli per resistere ad un attacco del genere e dovetti cedere.

Non ti lascio bambina mia... Non ti lasceremo mai Bells... Non ti lascio, ci sono io adesso...

La mia vita sembrava fatta di promesse che ogni volta, con poco, si infrangevano ed io non rimanevo altro che una semplice spettatrice.

<<Nooooo! Me l'av-evi pr-o-ome-sso!>>. Ma nel momento esatto in cui pronunciai quelle parole una fitta allo stomaco mi immobilizzò di scatto.

Promettimelo? Io non facevo promesse perché non sapevo mantenerle. Non n'ero in grado”.

<<Nooo... Non, volevo. No, io n-on volevo...>>.

Una spinta sul letto, seguita da quattro paia di mani che mi immobilizzarono gli arti contro di esso, delle voci che si rincorrevano e i suoi occhi che si puntarono sulle mie lacrime salate...

Io non volevo Mamma, non l'ho mai voluto.

Ed un pizzico al braccio, la mia testa che si voltava verso la siringa che spingeva l'ago dentro la carne del gomito destro, il mio urlo, le lacrime che si seccavano sulle mie guance ed il mio sospiro prima di cadere tra le braccia della morfina.

Non volevo uccidervi Mamma, mi dispiace.

*****

<<Allora, Isabella? Sai che nel caso tu faccia un nome->>. Ma la interruppi prima che la testa potesse scoppiarmi davvero da un momento all'altro.

<<Dottoressa Cullen le ho già detto che i lividi me li sono procurata durante un allenamento in palestra. Sono inciampata e sono andata a finire contro lo spigolo della panca, così mi sono ferita al labbro. Nessuno mi ha toccato e nessuno ha abusato di me>>. Le parole uscirono decise, nonostante si sentisse chiaramente il peso della mia stanchezza e si notasse che, mentre parlavo, il mio sguardo era rivolto altrove, cercando di sfuggire dagli occhi chiari di quella donna, la stessa che mi aveva soccorso prima di svenire all'istituto e che ora, con indosso un rigoroso e classico camice bianco, mi fissava seria senza tradire il minimo nervosismo, nonostante l'argomento trattato.

<<Isabella, ti ho già detto che->>. “Basta, basta ti prego!”-pensai.

<<Ed io le ho risposto che non mi importa! Le ho ripetuto che è stato solo un incidente, quindi torni a fare il suo lavoro e poi mi faccia uscire da qui. Voglio tornare all'istituto>>. Sospirai, trattenendo a stento le lacrime in ricordo di quello che era successo nelle ultime 24 ore e ritornai a fare finta che lei non ci fosse.

Non ne potevo più, volevo solo tornare nella mia stanza, sdraiarmi sul mio letto fatto di chiodi e legno e cercare di addormentarmi il più velocemente possibile prima che quello che era successo venisse rivissuto ancora, ancora e ancora. Purtroppo, però, non avevo fatto i conti con la Dottoressa Cullen che era da più di mezz'ora che mi teneva impasticcata e imprigionata in quello schifo di ospedale contro il mio stesso volere. Appena sveglia mi aveva riempito di domande riguardante l'accaduto, sul motivo del mio svenimento, voleva una spiegazione a tutti i lividi che avevo sul corpo ed infine sulla violenza, il tutto ovviamente ignorando il mio stato d'animo e la mia forza di resistenza in quel momento.

Avrei voluto tornare indietro, anche a quando avevo sognato mia madre o quando mi bastavano le carezze di quel ragazzo per scatenarmi una crisi, tutto ma non quello. Perché quegli occhi... Loro volevano una spiegazione ed io sapevo che non avrei mai trovato le parole giuste per farmi perdonare. Avevo commesso un errore che avrebbe segnato tutta la mia esistenza e di certo non sarebbe stato un “Mi dispiace” a mettere fine a tutte le mie pene.

Allora cosa mai avrei potuto dire?

Niente, e infatti era quello che stavo facendo.

Più di una volta la Dottoressa mi aveva spiegato cosa era successo dopo il mio svenimento per rassicurarmi, mi aveva detto di tutti gli esami che mi avevano fatto per capire se avevo qualcosa di anomalo o meno e si era scusata per il fatto che, notando anche una moltitudine di segni violacei sulla mia pelle, avevano deciso di violare a tutti gli effetti la mia privacy per vedere se avevo subito anche una violenza sessuale.

Perché io l'avevo subita eccome quella violenza, con o senza il consenso dei medici.

Ed ora lei voleva che io le spiegassi quello che mi era successo ed era anche decisa a estorcermi il nome del mio aggressore con persuasione e pazienza.

Peccato però che io stavo del tutto impazzendo!

<<E' stato qualcuno del personale, Isabella?>>. Rimasi in silenzio, finché non mi arresi al fatto che continuare a negare non sarebbe valso niente. Era inutile mentire davanti alle prove e sopratutto con quello sguardo puntato addosso.

<<Perché le interessa tanto? Se pensa che insistendo così io le sarò grata a vita, si sbaglia di grosso!>>. Sputai con rabbia, stringendo tra le dita il lenzuolo per stemperare l'agitazione che avevo.

<<Non voglio la tua gratitudine, solo un nome. Voglio il nome di quel mostro, Isabella>>. Non cedeva, anzi, ogni risposta era un passo sempre più vicino al letto in cui ero seduta e solo l'idea di vedere da una distanza ravvicinata quegli occhi, mi terrorizzava.

Occhi da mamma, perché quelli erano gli stessi occhi che aveva Renée quando mi guardava.

<<Un insegnate? Un bidello? Lo psicologo?>>. Mi irrigidii e già sentii la stretta allo stomaco intensificarsi a tal punto da non riuscire a respirare.

<<Lei non ha altri impazienti da cui andare?! Gente che sta male e che ha bisogno di lei? Perché non ci dà un taglio?!>>. La voce mi tremava inevitabilmente e, come prima, il bip della macchina che controllava il battito del mio cuore aumentò, alimentando la brutta tensione nella stanza.

<<Lui ti ha fatto del male ed è giusto che paghi, o vorresti che continuasse?>>. Oh, no! Avrei preferito morire piuttosto, ma mai avrei voluto rivivere quel male.

<<Cavolo, le ho detto che è stato un incidente! Un cazzo di incidente!>>. Sbottai muovendomi freneticamente sul posto.

<<Mi serve solo un nome, Isabella e poi sarai libera! Un nome!>>.

<<No, io... Non posso!>>. Il bip aumentò sempre di più, come il dolore allo stomaco e sentii di dover vomitare. <<E' stato un incidente, cazzo!>>.

Mi alzai dal letto, barcollando fino ad appoggiarmi su un carrello lì affianco.

Bambina mia, perché fai i capricci?”

E vomitai, dentro una ciotola abbastanza grande da contenere tutto il mio disgusto... vomitai anche l'anima.

<<Isabella...>>. Si avvicinò la Dottoressa, per consolarmi, ed io mi lasciai avvolgere delicatamente dalle sue braccia.

<<Perché non vuole capire? E' stato un incidente, solo un incidente>>.

*****

<<Isa>>.
<<Ciao, J.>>. Alzai lo sguardo dalle lenzuola bianche su cui ero seduta e mi ritrovai di fronte ad un Jason spaurito e sperduto che mi ricordava tanto un altro J, quello che aveva assistito insieme a me all'incidente.
<<Posso...?>>. Una domanda che valeva più di mille parole, una richiesta che pretendeva anche il mondo, un semplice sussurro che avrebbe potuto essere sentito anche dai sordi. Ed io non potevo non acconsentire.
<<Sì, entra>>.
Mentre si avvicinava al letto, Jason esaminò ogni dettaglio della stanza probabilmente per controllare che tutto fosse apposto, proprio come suo solito. Si sedette accanto a me sul bordo del letto e mi accompagnò alla scoperta di inutili dettagli sul pavimento.
<<Senti Isa, io n->>.
<<Fa lo stesso>>. Sospirai e calciai via la ciabatta.
<<No, voglio... Io, davvero, non...>>. Lo sentì sbuffare e si mosse agitato sul posto facendo traballare anche me.
<<Ti ho detto che fa lo stesso J. E' tutto ok>>. Continuai calma. Dopo l'estenuante interrogatorio della dottoressa mi ero ritrovata senza forze e cercare di fermare Jason prima che potesse dire qualcosa di troppo, mi sembrava un enorme fatica.
<<Non è tutto ok, Isa! -esclamò stavolta con più forza- Io, mi..>>.
<<Non dirlo! Non dire cose di cui potresti pentirti!>>. Mi strofinai la mano sulla faccia e poi mi lasciai cadere all'indietro sulla schiena, chiudendo gli occhi.
<<Non farlo, non potrei sopportarlo... Adesso, ho bisogno di te Jason>>. Voltai il viso verso la sua incredulità e un debole sorriso imperlò le mie labbra. <<Sì, è proprio così fratellino: io ho bisogno di te>>.
"..e tu lo odi vero? Ma cambierà vedrai, dovete solo restare insieme. Promettimelo amore mio, non lasciarlo andare via. Lui ha bisogno di te e tu hai bisogno di lui”.
"Promettimelo bambina mia, promettimelo...”
Avevo voglia di piangere, ma con Jason vicino non ne avevo il coraggio, avevo voglia di urlare e gridare tutta la mia rabbia, ma mi vergognavo troppo di quello che era successo. Avevo voglia di sentirmi pulita, libera, nuova, leggera, forte, invincibile e...
<<Ok, resto qui -sorrise ed io non potei non fare altrettanto-. Sto qui con te, ma se cominci a russare ti tiro un calcio!>>. Si sdraiò anche lui accanto a me.
E avevo voglia di stringerlo tra le braccia, perché per quanto entrambi sapessimo delle lacune che c'erano nel nostro rapporta sorella-fratello, lui mi era rimasto accanto. Contro il suo volere, i suoi sentimenti, il suo odio: aveva scelto me ed io avevo scelto lui, perché era quello che tutti avrebbero chiamato normalmente legame di sangue.
<<Va bene, te l'ho concedo fratellino. Non darmelo troppo forte però>>.
Renée aveva ragione, che fosse in sogno o in paradiso, lei aveva ragione. Solo insieme saremmo potuti guarire, con o senza parole, ma la distanza avrebbe nutrito solo il cambiamento e noi, per ora, ne avevamo fin sopra le tasche di cambiamenti.
<<Sarò il più delicato possibile, vedrai>>.
Dovevamo impegnarci, lottare contro noi stessi e, chissà, forse un giorno sarebbe davvero tutto tornato con prima. Ma per ora non volevo illudermi, mi bastava stare sdraiata in quel letto, in quella posizione a fissare gli occhi chiari del mio fratellino, mentre neanche un centimetro di pelle si toccava e con un'unica stanza bianca di ospedale a fare da sfondo.
Ti voglio bene anche io, mamma.

 

Probabilmente erano stati i farmaci a rendere tutto più semplice. Non mi sembrava ancora vero di aver detto a Jason che avevo bisogno di lui, non mi sembrava possibile che in quel momento avvertissi il bisogno di dirlo. Ero sicuramente sotto farmaci, non potevano esserci dubbi!

Avevo desiderato per tutto il giorno che qualcuno oltre ai medici venisse a trovarmi, avevo bisogno di un viso conosciuto, persino Ether mi sarebbe bastata e quando il giorno prima mi ero ritrovata di fronte a mio fratello -dopo quello che era successo tra di noi sarebbe potuto anche non venire- mi ero sentita più sollevata di quando avessi voluto. Anche fin troppo!

Scacciai con forza i pensieri e tornai alla piccola borsa posta sopra il mio letto -il mio vero letto fatto di legno e chiodi arrugginiti-, tirandovi fuori la roba che J, quando mi era venuto a trovare, mi aveva portato.

Finalmente ero tornata all'istituto, a quella specie di casa che io non consideravo tale, ma che ora -dopo essere stata tenuta per due giorni in ospedale - anelavo più della stessa aria. Forse perché, infondo, sentivo un po' la mancanza di tutto, di Jason che era potuto venirmi a trovare solo una volta, di Nana che non essendo una parente stretta non avevo neppure potuto vedere e di quel mondo così ingiusto da far venire a piangere.

Ma forse, probabilmente, era il fatto che quelle pareti bianche, con quell'odore nauseante di pulito e di disinfettante, tutti quei macchinari bipposi, i camici bianchi e blu che facevano avanti e indietro, e quel letto così morbido, mi ricordavano troppo il periodo durante la convalescenza dopo l'incidente, dove ero stata costretta rimanere per circa un mese, per guarire completamente dalle ferite.

Così finalmente ero libera o, almeno, ero guarita abbastanza per essere dimessa. I lividi erano scomparsi quasi del tutto e gli attacchi di panico erano cessati subito dopo che la Dottoressa Cullen aveva deciso di smettere di fare domande e dopo che aveva provato a farmi avere un incontro con una specialista. La mia reazione era stata catastrofica e avevo addirittura rischiato di avere un infarto, dato che mi ero imposta di smettere di respirare e il mio corpo tremava in preda alle convulsioni. Così la Dottoressa aveva capito qual'era la fonte dei miei problemi e, dopo neanche 12 ore, quando J. era venuto in ospedale, mi aveva informata di una cosa.

 

<<Sai, oggi è successa una cosa strana>>. Aveva introdotto il discorso Jason, mentre insieme mangiavamo un piatto di macedonia seduti uno accanto all'altro sul letto della mia stanza in ospedale.
<<Non mi dire che Ether ha dichiarato di essere lesbica, perché io era da una vita che lo dicevo!>>. Risi, ma mio fratello non fece lo stesso.
<<Hanno licenziato Rick, lo psicologo sai?>>. La forchetta mi cadde di mano e J. subito mi chiese se era tutto a posto. Io annuii, con lo sguardo perso nel vuoto.
<<Beh, l'ho visto mentre usciva dal suo ufficio e se ne andava verso l'ingresso>>. Portò un boccone di banana alla bocca e poi continuò: <<Non mi è mai piaciuto quello lì e già il fatto che tu da due mesi andavi alle sue sedute mi ha sempre preoccupato. Ma la cosa che mi ha sorpreso più di tutte è che ho visto un sacco di ragazze piangere dopo che se n'era andato e non so se per gioia o tristezza>>.
<<...>>.
<<Tu che dici Isa?>>.
Lo guardai e poi sorrisi:<<Per gioia, J. Sono sicura per gioia>>.

 

Non ne avevamo più parlato, né io né Jason -nonostante fossi più che sicura che lui fosse all'oscuro di quello che era successo- e non avevo ancora ringraziato apertamente la Dottoressa Cullen per quello che aveva fatto. Sapevo che era stata lei, doveva essere stata lei per forza a fare in modo che lui venisse cacciato, nessun altro avrebbe potuto capirlo. E di questo l'ero molto grata, se mi avesse costretta a dire il suo nome con la mia voce, forse non le sarei stata così tanto riconoscente. Le sarai sempre stata grata per la riservatezza con cui mi aveva salvata, perché l'aveva fatto eccome. Mi aveva liberata per sempre dalla prigione in cui io stessa avevo finito per rinchiudermi e se mai un giorno ci saremmo rincontrate sarei stata più che felice di dedicarle un sorriso. Per ringraziarla.

E finalmente ero più serena, sollevata per aver avuto una seconda possibilità e, anche se ero più che certa che d'ora in avanti la strada sarebbe stata ancora più faticosa, ero pronta a lottare con le unghie e con i denti tutto pur di uscirne una volta per tutte.

<<Isa, hai finito di sistemare quelle due magliette? È da mezzora che te ne stai lì in piedi a fissare il vuoto, guarda che io e J. stiamo aspettando solo te per andare in mensa!>>. Mi voltai verso la porta della camera, dove Nana si era affacciata, sfoggiando un sorriso a trentadue denti e le feci segno di aspettare ancora un minuto.

<<Scusa, stavo...>>. Pensando? Ricordando? Aspettando un segno dal cielo divino?

<<Isa?>>. Chiese lei dopo che il silenzio aveva sostituito le mie parole, entrando nella stanza e avvicinandosi di qualche passo verso il letto.

<<Niente>>. Chiusi il discorso, liquidandolo come se si trattasse di una sciocchezza e tornai alla mia borsa.

<<Adesso arrivo, intanto avviatevi>>. Ma non ebbi nemmeno il tempo di distogliere lo sguardo che Nana, colta da una luce improvvisa e in un folle slancio, si scagliò letteralmente su di me, abbracciandomi stretta e affondando il viso nella mia spalla vista la sua piccola statura.

Ma cosa diavolo..?!

<<Mi sono spaventata così tanto, Isa! Ho davvero avuto paura per te!>>. Rimasi sorpresa del suo gesto, mai avevamo avuto un contatto così intimo e per un attimo ne ebbi quasi paura. Non sapevo cosa fare, come muovermi, sembravo più un palo di legno che un corpo umano e cercai di districarmi dal suo abbraccio con discrezione.

Ero più che sicura di non saper più come si abbracciava una persona.

<<No! Ti prego, Isa. Solo un attimo, solo un po'>>. Chiusi gli occhi di fronte alla disperata consapevolezza che mai come in questo momento Nana avrebbe potuto trovarmi così disponibile e vulnerabile verso un contatto più “fraterno”, e sospirai complice di quell'affetto che mai mi ero accorta di provare verso la mia amica.

Ma nonostante tutto mi sentivo a disagio, dopo due anni che avevo cercato di nascondere in ogni modo il continuo crescere dei miei sentimenti riguardo Nana, adesso, sentirli esplodere nel petto con una nuova e consistente consapevolezza, mi spaventava a morte. <<Va bene, ma solo un po'>>. Nana rise di rimando, ma al contrario di quello che cercavo di mostrare, ero tutt'altro che felice di quell'abbraccio. Mi sentivo esposta nella mia forma più debole e favorevole verso un attacco alle spalle.

Infatti bastò il fatto di trovarmi cullata dal dolce profumo dei capelli di Nana e dall'armonia della dolcezza di quel gesto che mi abbandonai completamente per cercare di goderne appieno e fu per me così strano da sembrare quasi una specie di addio.

Oh, Nana...

Durante la mia “permanenza” all'ospedale avevo pensato più volte al nostro legame e cosa ci unisse e mai ero stata più sicura della mia idiozia come in quel momento. Quante cose avrei voluto dirle, confessarle le mie mille pene e contribuire al sorriso che mi offriva tutti i giorni la mia amica, ma come sempre sentivo dentro di me un blocco che ostacolava ogni mio tipo di tentativo verso un nuovo contatto. Proprio come ora, come una perfetta imbranata, non riuscivo a circondare il busto di Nana senza avere il tremore sulle mani e un'insensata paura nel petto.

E avrei voluto dirle che mi dispiaceva di questo mio carattere, di queste mie idee e di queste e quelle cose che combinavo da mattina a sera. Perché, infondo, Nana mi era sempre stata accanto, fin dai primi giorni all'istituto, ricevendo o meno un abbraccio da parte mia. Non si era mai demoralizzata di fronte alla mia corazza dura e aveva cercato di vedere oltre in me, oltre le risposte acide e i pugni sul naso.

Così, finalmente capii e l'abbracciai in quel mio modo goffo di far sapere alle persone che, dopo tutto, erano importanti.

<<Ehi, ma vi siete perse tra l'infinità di magliette che avete?>>. Si affacciò Jason dalla porta e poi ci guardò. <<Ma cosa..?!>>.

Meccanicamente sia io che Nana ci staccammo e poi con lo sguardo rivolto a terra farfugliammo contemporaneamente qualcosa.

<<Uh, ok>>. Dall'espressione di J. si vedeva benissimo il suo scetticismo -anche il suo sorrisetto valeva più di mille parole-, ma appena lasciammo la stanza, più in disordine che mai, il problema più grave al momento era un altro.

<<La Dickboss ti vuole vedere>>. Continuammo a camminare verso la mensa, ma ogni passo verso quella sala riportava alla memoria spiacevoli ricordi, inclusi quelli di tre giorni prima.

Senza neanche accorgermene portai la mano libera a stringere il braccialetto nell'altro polso. Da quando Jason me l'aveva ridato all'ospedale, ogni volta dovevo sentire la sua presenza per rassicurarmi, solo così sembrava che tutto andasse bene.

<<Lo so>>. Sospirai.

<<Vuoi ch->>.

<<No, ci vado da sola>>. Mi voltai verso di loro e, piegando le labbra a simulare una finta rassicurazione -entrambi avevano fatto più di quando volessi credere e qualcosa glielo dovevo, in bene o in male-, mi voltai di spalle verso la porta che conduceva all'ufficio della Dickboss.

*****

Una settimana dopo

 

<<Oddio! Cosa hai fatto hai capelli?!>>. Sbuffai, scrollandolo con la mano i capelli corti e poi mi alzai dal letto per vestirmi.

<<Ma cosa..?!>. Mi prese tra le mani una ciocca di capelli e quasi mi cadde addosso da quanto era rimasta traumatizzata da quella novità.

<<Nana, ma insomma?!>>. La spinsi via e tornai all'armadio per prendere una maglietta.

<<Merda, Isa! Ma cosa ti è saltato in mente?! Perché..?!>>. E mi cadde ancora addosso, inciampando nella sua stessa fretta nel conoscere le cose.

<<Ether>>. Mi infilai i pantaloni saltellando su un piede e poi senza vergogna mi cambiai la maglia del pigiama con quella che avevo scelto.

<<Ether?! E che centra adesso Ether?>>. Sbuffai, di prima mattina la mia amica sembrava più fumata del solito.

<<Sai per lo scherzo della vernice verde?>>. Lei annui.

<<Bene, si è vendicata. Mentre dormivo stanotte è entrata in camera e mi ha tagliato i capelli>>.

<<Ma..?! Io non ho sentito niente!>>. Risi e cominciai a cercare le scarpe disperse chissà dove sotto i letti.

<<Nana, hai passato la notte a vomitare vodka e tequila nel cesso! Capisci ora perché il tuo udito acutissimo non ha potuto sentire niente?>>. A quanto pareva, anche alla mia amica la sbornia mattutina aveva il potere di far dimenticare le cose e, come la sottoscritta, pure lei aveva preferito in tutti i modi rimuovere quello che era successo la sera precedente con le sue conseguenze.

<<Io non volevo berla nemmeno quella roba, è stata solo colpa tua che hai insistito tanto!>>. Trovate le scarpe controllai di non aver dimenticato nulla, persino le mutande.

<<E brava la mia ragazza, stai cominciando ad imparare! -le diedi una pacca sulla spalla e poi mi diressi verso la porta, continuando a parlare a voce sempre più alta- Prima ci si sbronza, poi si da la colpa all'amica che ha sostenuto la testa mentre si rigettava anche l'anima nel cesso!>>. Naturalmente Nana mi fu subito dietro, nascondendosi alle mie spalle, imbarazzata per quello che avevo detto davanti a quei pochi presenti nel corridoio.

<<Uff, hai sempre ragione tu! -risi- Comunque ti piacevano tanto i tuoi capelli!>>. Mi sorrise triste, probabilmente si ricordava ancora di quella piccola confessione che le avevo fatto molto tempo prima riguardo all'amore di mio padre per i miei lunghi capelli.

In quel momento però non avevo voglia di affrontare, nemmeno indirettamente, l'argomento e così la buttai di nuovo sul ridere: <<A quanto pare, però, un po' meno ad Ether!>>.

<<Non dovresti prenderla solo sul ridere Isa, tu le hai dipinto i capelli di verde!>>. Mi ricordò fermandomi. Sbuffai, prima di farle mollare la presa sul mio polso e la fulminai con lo sguardo.

<<Lo so, e lei prima ancora mi aveva nascosto i vestiti mentre ero sotto la doccia>>.

<<Perché tu le avevi messo i chiodi nelle scarpe!>>. Nana non mollava, anche se non capivo perché si ostinasse a prendere la parte di quella serpe.

<<E lei aveva dato fuoco al mio libro preferito>>.

<<Ma tu le avevi scritto “oca” in fronte con il pennarello indelebile!>>. Sorrisi.

<<Ahah, già quello era stato un bello scherzo!>>.

<<Isa!>>. Sbuffai ancora.

<<Ohh, e lei aveva... Cosa aveva fatto?>>. Improvvisamente mi ero dimenticata tutta la fila di scherzi che in questi anni ci eravamo fatte, ma erano stati talmente tanti e così diversi che non poteva Nana pretendere che me li ricordassi tutti. Non ricordavo neppure chi era stata la prima ad iniziare, ma infondo che importanza aveva ora? Ci odiavamo entrambe e questo era quello che importava, né il motivo, né la causa, né la colpa.

Nana borbottò qualcosa e continuò a ronzarmi attorno finché capii che non avevo per niente intenzione di discutere e così, come avevo fatto già io da qualche minuto, si rinchiuse nel suo silenzio, accompagnandomi lungo i corridoi dell'istituto.

Dentro di me sorrisi, mai come in quella settimana mi ero accorta di essere più viva di quanto credessi. Forse era stata la continua paura di essere ferita da quell'uomo che mi aveva frenato e impedito di respirare -i suoi occhi, quello sguardo che mi faceva gelare il sangue ogni volta, la sensazione di sporco che solo le sue mani erano in grado di scaturire e quel senso di disgusto verso me stessa, di sbagliato, sembrava finalmente essere stato accantonato in una parte protetta della mia mente, quasi nascosta-, ma credevo di più che il mio momentaneo sollievo fosse dovuto a quella consapevolezza di nuovo, di libertà e di rinascita che avevo anelato da troppo tempo e che sembrava ad un passo da essere raggiunta.

L'ospedale mi aveva fatto pensare, quei muri bianchi mi ispiravano il colore che avrei dovuto mettere per dare un senso, ero sicura che gli occhi della Dottoressa Cullen mi avessero dato un'aspirazione, quasi una speranza per il futuro e avevo intenzione di impegnarmi. Avevo cercato di avere qualche conversazione con Jason e l'avevo cercato di più per mostrargli il desiderio di mantenere la promessa che mi aveva fatto in ospedale. Ero stata più vicina anche a Nana, facendole provare com'era essere Isabella Swan -anche se, vedendo la conclusione, non era poi andata tanto bene- e ripagando la mia colpa verso l'intero istituto, offrendo tutta me stessa alla Dickboss e aumentando il debito che avevo verso di lei. Volevo credere che i miei tentativi di rinascita fossero sulla strada giusta, proprio come voleva Renée.

<<Devi andare in mensa oggi per la punizione?>>. Le risposi di sì e le chiesi se poteva dire a mio fratello di raggiungermi lì dopo, dovevo dirgli una cosa.

<<Non l'ho ancora visto, non era nemmeno a lezione questa mattina. Ma se lo incontro glielo dico>>. Improvvisamente, però, ci fermammo poco prima di voltare l'angolo verso l'ingresso che conduceva alla sala d'incontri, dove solitamente gli adulti vedevano i loro possibili figli adottivi: per conoscersi, ma di preciso fu Nana a bloccarmi di colpo.

<<Ehi! Ma cosa..?!>>. Mi mise una mano sulla bocca, spingendomi con forza contro il muro, incurante di potermi fare male. Arrabbiata, le tolsi la mano dalla mia bocca ed, ignorando l'idea che Nana si stesse comportando così solo perché ci doveva essere qualcuno da evitare nell'ingresso, le sbraitai in faccia il mio sconcerto: <<Ma che cazzo ti salta in mente?!>>.

Quando cercai di sbirciare oltre l'angolo, Nana mi spinse di nuovo indietro accendendo ancora di più il mio nervosismo.

<<Ti prego, zitta! Non te ne pentirai!>>. Oh, lo spero per te cara! - avevo pensato. Avrei voluto tirarle un cazzotto in quel momento, non sopportavo quando qualcuno mi diceva cosa fare e di certo, essendo più grande di Nana, non accettavo che lei mi dicesse cosa fare.

Al contrario di me, lei si sporse per vedere oltre l'angolo e un sorriso divertito affiorò sulle sue labbra. Poi guardò me e sorrise di nuovo. A quel punto la mia curiosità era talmente alta che avrei dato tutto pur di scoprire cosa si celava dietro l'angolo ed il nervosismo di essere all'oscuro di qualcosa mi agitava, così la spinsi via e sbirciai anche io, vedendo solo una ragazza di spalle che parlava con qualcuno di fronte a lei coprendogli il viso.

<<Tutto qua?!>>. Mi voltai esterrefatta verso Nana e la inchiodai con lo sguardo. Non potevo credere che aveva fatto tanto casino per un nonnulla!

<<Non la riconosci? Eppure fino a poco fa eri così sicura di conoscerla che pensavo non avresti tentennato nel vederla da lontano!>>. Nana sorrise ed io mi sentii un po' spaesata. Così tornai a voltarmi e mi impegnai ad osservare con attenzione il profilo della ragazza per trovare anche un minimo dettaglio riconoscibile. Purtroppo però non riuscivo proprio ad indovinare chi fosse, l'istituto era grande e c'erano un sacco di ragazze, ma da quello che aveva detto Nana non poteva essere altro che...

<<Cazzo, ma quella è Ether!>>. Dalla sorpresa mi portai la mano sulla bocca, per evitare che si sentissero le risa.

<<Già, ci sei arrivata>>. Tornammo entrambe a sbirciare.

<<E' lì da poco più di un'ora credo, l'ho vista mentre stavo per venire da te e te l'avrei detto se i tuoi capelli non mi avessero lasciato senza parole!>>. Risi ancora e tirai uno scappellotto sulla testa della mia amica.

<<Sei un idiota!>>.

<<Ehi! Perché?>>. Mi voltai verso Nana e sorrisi come non avevo mai fatto, felice di questa nuova sensazione sfavillante sotto le dita.

<<Ora so come vendicarmi!>>. Ignorai bellamente i tentativi di dissuadermi alla vendetta della mia amica e mi concentrai meglio su quello che avevo davanti agli occhi.

<<Oddio, sta flertando con quel tipo!- risi ancora di più-. Chi è?>>. Ora che avevo capito chi fosse la ragazza riuscivo a distinguere molto meglio i suoi movimenti e riconoscevo certi atteggiamenti: lo spostarsi i capelli era segno di nervosismo, il tormentarsi le mani di disagio e l'alzare sempre di più il petto era perdita di autostima. Quella poteva essere solo Ether!

<<Il ragazzo? -annuii- Non lo so, è venuto con una donna e lei è entrata subito nella sala incontri>>. Nana mi guardo in modo strano, come se si aspettasse che io completassi la sua frase. Rimasi interdetta sul da farsi, quindi feci finta di niente.

<<Non è dell'istituto?!>>. Lei rispose di sì.

<<Interessante!>>. Ghignai e cercai di sporgermi di più per intravedere meglio il viso dello sconosciuto. Purtroppo Ether era abbastanza grossa da coprirlo, o forse il tipo, appoggiandosi al muro, si era abbassato di altezza.

<<Sai chi c'è nella sala con la donna con cui è venuto?>>. Nana negò, osservandomi di nascosto ed io sospirai.

Dopo qualche minuto di assoluto silenzio niente, mi spazientii e brontolai, agitandomi e rendendo il tutto meno silenzioso: <<Voglio sentire quello che dicono!>>.

<<Se facessi meno casino probabilmente avremmo già capito ogni singola parola!>>. Anche Nana però era peggio di un elefante, proprio come me, quando si muoveva o parlava e così, Ether richiamata dal rumore di passi si volse proprio nella nostra direzione.

<<Cazzo, ci ha visto?>>. Chiese Nana, dopo esserci spostate indietro in meno di un nano-secondo, sentivo il cuore battermi fortissimo per quello che avevo visto.

<<N-on lo so>>. Cercai di respirare regolarmente, ma sentivo lo stomaco pesante e la testa che mi girava velocemente. Guardai Nana per fermare le immagini che si susseguivano davanti ai miei, ma sembrava tutto inutile. Così chiusi gli occhi, cercando di convincermi di nuovo che era un sogno, un'allucinazione.

<<Isa, Isa! Adesso riesco a vederlo! Merda se è bello!>>. Ignorai la mano di Nana che cercava di tirarmi in avanti per fare sbirciare anche a me, ma avevo troppo paura di aprire gli occhi. Al terzo tentativo mi spazientii e cominciai a tremare. Cazzo, doveva essere un sogno!

<<Isa, adesso Ether si è spostata più indietro, probabilmente crede che così nessuno potrà notarla. Comunque è stata una gran mossa! Dio, è proprio bello quel ragazzo!>>. Ormai non l'ascoltavo più, solo un pensiero mi ronzava nella testa e avrei voluto avere il coraggio per uscire da quel nascondiglio e affrontarlo, proprio come aveva sempre fatto Isabella Swan. Ma quegli occhi... non volevo tentare con la possibilità di fallire e, da come avevo reagito al solo scorgerlo da lontano, ero più che sicura che quello non era il momento giusto, né il posto giusto, né con la gente giusta.

<<...e poi che fisico, merda Isa! Ora capisco perché Ether si è abbassata a tanto, l'avrei fatto anche io!>>. Mi portai una mano sul viso per scacciare quel senso di angoscia che aveva pervaso ogni parte del mio corpo e poi mi voltai, sbirciando quello che negli ultimi giorni mi ero costretta ad immaginare come un sogno.

Lui sorrideva gentile a qualcosa che probabilmente gli aveva detto Ether, ma si vedeva che avrebbe volentieri fatto a cambio con chiunque altro pur di non stare lì, con lei. Chissà cosa gli stava chiedendo... Magari gli stava domandando dettagli della sua vita, cosa gli piaceva fare nel tempo libero o se semplicemente aveva una ragazza bella quanto lui.

Chissà se si ricordava ancora di me o se, come avevo cercato di fare io, aveva rimosso tutto considerandolo solo un sogno.

Quanto avrei voluto risentire la sua voce...

<<No, era solo un sogno!>>. Non riuscii proprio a trattenere il mio nervosismo, così attirai l'attenzione di Nana e, anche se non me ne accorsi, di colui che avrei preferito rimanesse solo un'allucinazione.

<<Isa, tu... Lo conosci?>>.

<<Chi?>>. Mi voltai verso Nana, confusa e frastornata, ma il suo sguardo mi fece bene intendere di chi parlasse.

<<No>>. Abbassai lo sguardo, tornando indietro e appoggiando la schiena contro il muro con un sospiro.

<<Sei sicura?>>. Presi un profondo respiro e scivolai sulla parete allontanandomi da lì.

<<Isa->>. <<Cosa ti ha detto?>>. Mi fermai dopo neanche due metri, le forze sembravano avermi abbandonata.

<<Ha chiesto di te, vorrebbe parlarti>>. Annuii e sospirai. Solo un sogno eh?

<<Isabella...>>.

<<No, Nana. Non è niente>>. Ma lei non mi prestò ascolto, si avvicinò e continuò a fare domande.

<<E' un tuo amico?>>.

<<No>>.

<<Un tuo parente?>>.

<<No>>.

<<Un amico di un tuo amico?>>.

<<No>>.

<<Un parente di un tuo amico?>>.

<<No>>.

<<Un amico di un tuo parente?>>.

<<Nana, l'ho conosciuto all'ospedale!>>. Sbottai tutto d'un fiato. La mia amica sapeva essere veramente una gran rompi palle!

<<Oh...>>. E non disse altro.

<<Già>>. Presi un respiro profondo e, allontanandomi dal muro, cominciai a camminare per trovare un'altra strada che mi portasse in mensa. Ero già abbastanza in ritardo.

<<E come...?>>. Nana ovviamente mi aveva seguito, anche se a malincuore e capii che sarebbe stato inutile continuare ad essere vaghi.

<<Me lo sono ritrovato in stanza>>.

<<Perché?>>. Risposi con una scrollata di spalle.

<<Ti ha detto qualcosa?>>.

Chi mai avrebbe il coraggio di farti questo, piccola luce? Cosa hai fatto di così grave da meritare una tale punizione?

Chiusi gli occhi.

Tranquilla, ci sono io con te

<<E' successo qualcosa?>>. Mi chiese Nana.

[…] Scostandomi dal suo petto riuscii a vedere per la prima volta, nonostante la vista fosse drammaticamente appannata dalle lacrime, due pozze smeraldo, un verde così puro da essere notato ugualmente sotto la folta chioma ramata che circondava la sua fronte. […]

<<Non molto>>. Risposi, guardandola negli occhi.

<<Cosa?>>.

[…] Una spinta sul letto seguita da quattro paia di mani che mi immobilizzarono gli arti contro di esso, delle voci che si rincorrevano e i suoi occhi che si puntarono sulle mie lacrime salate... [...]

<<Non ricordo>>. Mi portai la mano tra i capelli e mi guardai attorno quando mi accorsi di aver perso la strada per la mensa.

<<Come si è comportato con te?>>.

<<Nana, la smetti di fare domande?! Cazzo, sono in ritardo!>>. Imboccai la prima a destra non sapendo bene dove sarei spuntata e proseguii, cercando anche di seminare Nana.

<<Voglio delle risposte, Isa>>. Sbuffai e non rallentai nemmeno.

<<Te le ho date>>. Poi di nuovo a destra, dritto a sinistra e infine lungo l'ingresso.

<<Non puoi considerarle risposte quelle, Isa!>>. Mi fermai di scatto e mi voltai a fronteggiarla.

<<Nana non è successo niente, l'ho visto solo una volta e sono più che sicura che tu ti sia sbagliata! Lui non può ricordarsi ancora di me, io pensavo fosse un sogno!>>.

<<Sapeva il tuo nome>>. Scossi la testa e feci un passo indietro.

<<Non è l'unico se per questo, e adesso se vuoi scusarmi ho una mensa da pulire e una cena da preparare!>>. E le voltai le spalle, a lei e al ragazzo dagli occhi smeraldo.

 

________________
##POCHE PAROLE :

Sapete, non so proprio cosa dirvi: questo capitolo mi ha dato molto da fare perché ad un certo punto mi ero accorta di non riuscire più a distinguere i vari caratteri dei personaggi e questa cosa mi aveva spaventato. Ci ho messo un po', è vero, ma sono soddisfatta del lavoro fatto e mi rende ancora più sicura di me il fatto che nonostante tutto c'è ancora gente che crede in me. Quindi, vi ringrazio, davvero. :)

Vi ricordo che se volete contattarmi mi trovate su facebook, Sabe Efp e, alla prossima ragazze!

 

MIE STORIE :

Un'idiota e un'orgogliosa non combinano niente di buono insieme (Twilight, Bella\Edward)

e\o

My Frog Prince (Originali)

Un bacio a tutti...

Sabe 

  
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