Serie TV > Flor - speciale come te
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Autore: Danicienta    01/09/2011    4 recensioni
Non sono mai stata soddisfatta dal finale della serie, per questo motivo ho deciso di inventarmi una storia tutta mia, dove a narrare i fatti sarà la nostra protagonista Flor. Buona Lettura!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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sss _____Solo un Desiderio_____
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Il corridoio dell'Ospedale era colmo di gente.
Le infermiere, nella loro divisa bianca, andavano e venivano, prese ad assistere i pazienti che occupavano una per una le stanze del reparto di Medicina Generale.
Le fissavo abbattuta, malinconica, intente nello svolgere al meglio il proprio lavoro. Il ricordo di Carina mi attraversò la mente e come per un brivido le mani iniziarono a tremare, come il mazzo di achillee e veroniche che tenevo tra le mani.
Carina Dominiguez.
Carina che ora non c'era più.

Era un giorno autunnale qualunque a Buenos Aires e, dopo tante suppliche dei bambini, ero riuscita ad allontanarmi da casa Fritenchucchen per dare inizio al mio giorno libero.
Il Lunedì.
Quei lunedì che ultimamente occupavo di vedetta all'Ospedale, accanto al corpo inerme di Carina.
Entravo nella stanza con passo felpato, controllando sempre che non ci fosse nessuno, poi con fare malinconico depositavo nel piccolo vaso sul comodino, i fiori freschi di campo appena colti.
Infine, il mio sguardo si posava timidamente su Carina.
Fragile, delicata in quel suo viso di porcellana, tenue in quei suoi spettinati capelli biondi, che ancora portavano i riflessi blu della sua ultima pazzia. Debole nella sua carnagione pallida, gracile e malaticcia anche in quel suo sonno che sembrava ormai profondo da settimane.
Completamente immersa in una voragine dalla quale solo con la forza d'animo ci si poteva ancora aggrappare al filo della speranza, voragine, dove solo Carina ed il suo carattere gagliardo avrebbero trovato vittoria.
Presi posto accanto a lei e dolcemente le posizionai tra le mani l'amuleto della prestanza, chiudendole leggermente per facilitare l'influsso. Il piccolo ciondolo a scatola si accoccolò lentamente bagnato dal sole del mattino che a malapena filtrava dalle finestre. Le minuscole pietre azzurre, prendevano spazio in quel bagliore, mettendo ancora più in risalto la forma circolare di quell'amuleto dall'energia indescrivibile.
Forse con un mio piccolo aiuto, il sole sarebbe ritornato a splendere anche per Carina.
Le scostai teneramente un ciuffo biondo, mentre osservavo il lenzuolo candido ripercorrere lentamente la sua respirazione flebile.
Quanto aveva sofferto Carina?
Quanto dolore aveva provato quella ragazza?
Pensavo a quanto fosse difficile affrontare la realtà che la circondava: genitori assenti, amici che ti considerano una pazza maleducata «Già, amici» sospirai, mentre vedevo la sua mano stringere pacatamente la mia.
Che razza di amici eravamo stati? Io per prima mi ero comportata come una squinternata insensibile!
Avevamo litigato, sbraitato, strappato i capelli, comportandoci come due estranee. Due sconosciute!
"La guerra si fa in due" diceva un detto, ma in questo caso ero io che combattevo con me stessa, con le paure di accettare una persona problematica, di affrontare i suoi dubbi, le sue perplessità. Paura di stringerla e coccolarla finché anche il più stupido errore potesse sembrare un'insignificante macchia.
Paura di esserle amica.
«Flor ...» Carina si mosse leggermente e i tubi che la incatenavano al letto la seguirono passo a passo «Carina! - esclamai, strabuzzando gli occhi e lasciando che l'amuleto scivolasse via dalle nostre mani - Come stai? Ti senti bene? Vuoi che chiami l'infermiera?»
«Shh, Flor! - la sua voce sembrava debole, fragile - Parli sempre troppo, Slaughter ... sai, stavo pensando a tutte le nostre discussioni, i nostri litigi - cercò di stringere ancora di più la mia mano. Sembrava volesse dimostrare la sua forza, rassicurare se stessa di essere ancora tenace in quella sua debolezza, ferma nei brividi della malattia - bisticci assurdi!» sospirò, mentre un lieve sorriso le colorò il viso «Terribilmente assurdi!»
«Assurdi e inevitabili, Havoc! - i suoi occhi nocciola incrociarono i miei - Perché, Flor? Perché il tempo passa così in fretta? - minuscole gocce salate le bagnarono il volto - Perché quando ci si rende conto di aver sbagliato è troppo tardi? Perché si è così ciechi da non poter distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato?» la sua voce tremava «Forse perché sbagliando si impara ... - sussurrai, afferrando il mio dolore alle sue mani - forse perché nella vita si hanno più opportunità, più treni da prendere per capire i propri errori!»
«E quando la vita finisce? Cosa rimane, quando la vita finisce? Quando tutto quello che hai si sgretola davanti ai tuoi occhi? Quando tutto ciò che hai fatto, pensato e desiderato non è nulla?»
«Io non so ... - sibilai prontamente abbassando lo sguardo. Un silenzio inquietante pervase l'intera stanza. Mi morsi il labbro, con tanta energia fino a farlo tremare, poi alzai gli occhi per incontrare i suoi - Ma so una cosa! So che la vita non finisce! Niente al mondo ha una fine, Carina! Niente! - Carina scosse violentemente il capo - Ascoltami, Carina, niente ha una fine! Noi esistiamo e viviamo per questo! Viviamo per la nostra vita, per le nostre emozioni, i nostri sentimenti, i nostri pensieri e per i nostri cari, i nostri amici e per tutte quelle persone che ci amano e che ci stanno sempre accanto! Quello che facciamo, quello che pensiamo e desideriamo rimane per sempre dentro i loro cuori, perché è amore! E non un amore qualsiasi, ma è l'Amore con l'A maiuscola, quello vero ...»
«Sei sempre stata così tu, Slaughter! Piena di sogni, di ambizioni, di ... - sospirò - Amore!»
«Ma anche tu lo sei! Hai una vita davanti, dei desideri da realizzare, dei sogni per cui varrà la pena lottare!» Carina scosse nuovamente il capo «Potrai mai un giorno perdonarmi? - non aspettò una mia risposta - Sì che potrai, perché tu sei speciale, Flor! E il tuo cuore è grande e c'è sempre spazio per una nuova amica ...»
«Tu sei una mia amica! Non devo perdonarti di nulla ...»
«Ho fatto un sogno sai, - deglutì lentamente - una spiaggia candida, un mare turchino, una brezza estiva. Io che danzavo sulle note dolcissime di Einaudi avvolta in uno scialle dorato. Danzavo senza mai fermarmi, con frenesia, innamorata di quel bellissimo sole mi scaldava con i suoi raggi brillanti. E un falò. Un falò dal fuoco intenso, rosso e voi tutti attorno. Facha, Bata, Nata, Clara e tu, intonavate una canzone a suon di chitarra, accompagnando la melodia del pianoforte. Felici e spensierati danzavamo, incantati dall'Amicizia. Poi una voce. La voce roca e affettuosa di mia Zia Christina che mi invitava a proseguire, a danzare, a ballare verso di lei. Una luce ...»
«Carina?» la chiamai notando che la forza della sua mano diminuiva «Shh, lo senti? Senti questo sgorgare d'acqua? Questa pace? Questo ... ho tanto sonno, Flor» le accarezzai dolcemente la fronte, mentre irrefrenabili  lacrime già scorrevano sul mio viso «Shh» le labbra mi tremavano, un brutto presentimento percorse la mia mente «Ho le palpebre così pesanti ... ho tanto sonno ...» Carina chiuse gli occhi, cancellando anche l'ultima ruga di dolore sul suo volto.
Il suono incessante della macchina medica che aveva accompagnato l'intera conversazione divenne più insipido, opprimente, quasi soffocante. Da tanta sorpresa, la voce mi si era bloccata in gola e a malapena riuscivo a controllare il respiro.
Carina si era addormentata.
E questa volta era per sempre ...

"Salutami tutti" furono le sue ultime parole, prima che il velo del sonno eterno le si calasse completamente addosso.


Posai dolcemente il mazzo di fiori sulla lapide "Che la luce di Dio continui a illuminare la tua nuova strada" riportava il freddo marmo, dove la foto di una sorridente Carina, faceva il suo ingresso. Capelli biondi, spettinati e occhi color nocciola, ma sopratutto il sorriso, quel sorriso che per molto tempo si era nascosto, ma che ora nemmeno la morte aveva ucciso. Quel sorriso che sarebbe rimasto per sempre nei nostri cuori.
Mi voltai, lasciando cadere i pensieri in qualche preghiera: Bata fissava inerme la pietra, accucciato, con gli occhi lucidi e i pugni tirati, adirato per non aver potuto partecipare a quel doloroso lutto. Furioso come tutti, cacciati, banditi e allontanati per non avere il cosiddetto "Sangue Blu". Così si era giustificata la madre di Carina. Minacciosa, acida e terribilmente pungente. Pungente come quelle parole che avevano straziato nuovamente i cuori di me e dei miei amici.
Nata coccolava dolcemente Clara. Le accarezzava i capelli e ogni tanto le picchiettava la mano sulla spalla in segno consolatorio. Entrambe perse, smarrite in ricordi orami passati, ma per sempre inscritti in noi.
Volsi lo sguardo all'orizzonte. Il cimitero era tranquillo, ma l'aria frizzante d'autunno si faceva sentire. Mi strinsi ancora di più nella mia mantellina olivastra "Che la luce di Dio continui a illuminare la tua nuova strada".
"Che sciocchezza" pensai. I genitori avevano fatto proprio centro!
la frase giusta al momento giusto!
Assenti, lontani, distanti, sia fisicamente che sentimentalmente e poi pretendevano a tutti i costi di conoscere la figlia.
Mi morsi il labbro, scuotendo leggermente il capo «Dov'eravamo noi? - i ragazzi si voltarono verso di me - Dov'eravamo quando Carina stava male?» fissavo il vuoto, cercando di trattenere a stento le lacrime «Flor, calmati - Bata mi si avvicinò - calmati, cerca di stare tranquilla»
«Tranquilla? Come posso stare tranquilla quando una nostra amica se n'è andata! - Bata avvolse affettuosamente la mia testa, invitandola a posarsi sul suo torace - Carina è morta!»
Piansi disperatamente tra le braccia del mio più grande amico, fino quando anche l'ultima lacrima si seccò ghiacciata dal vento flebile di quel giorno autunnale.


Il ricordo di Carina mi torturava di giorno e di notte, tra i corridoi di casa e le vie del Passaggio, la sua figura esile, intenta in qualche nuova sciocchezza, catturava la mia mente in ogni istante.
Vagavo assente e sconsolata di abitazione in abitazione, svogliata e inanimata svolgevo il mio lavoro, ritrovandomi la sera a nascondere la testa sul cuscino a dare sfogo nuovamente alla mia rabbia.
Suelo e le ragazze avevano fatto di tutto per consolarmi, per non parlare dei fratelli Fritzenwalden, ma il mio cuore sentiva solo una grande tristezza, un'angoscia che si poteva solo spiegare come senso di colpa.
L'idea che Carina avrebbe potuto salvarsi, vivere la propria vita mi faceva rabbrividire e causa di questo ero anche io.
Non ero stata in grado di aiutarla e questo mi mangiava il fegato. Florencia Fazarino, sempre pronta ad aiutare gli altri, generosa fino al midollo?
Ma per piacere!
Nemmeno le fatine più pazze al mondo avrebbero creduto ad una simile sciocchezza!
Io, arrabbiata e furiosa prima e angosciata e afflitta ora!
Se non era egoismo questo!
«Flor! Flor! - Tomas entrò nella mia stanza seguito come sempre da Roberta - Ancora con queste cose?» disse indicandomi gli amuleti con i quali mi ero tappezzata anima e corpo «Sì! Ancora con queste cose, mi aiutano a stare meglio, a vedere il mondo migliore, a ... - incrociai le braccia - Come state?»
Da tempo ormai evitavo i bambini, non li assecondavo e li trattavo come se fossero l'ultima ruota del carro. Mi chiedevano di giocare, di portarli a passeggiare, ma la mia risposta era una perenne scusa. Tomas e Roberta erano proprio due angioletti, sopportavano la mia tristezza e la mia rabbia, senza opporsi ne dire nulla.
Loro erano i miei angioletti ed io dovevo assicurarmi che stessero bene e invecchiassero ogni giorno di più con uno smagliante sorriso che io, prima di tutti, li avevo tolto.
Dovevo sorridere, per loro.
«Insomma - Tomas fece spallucce e prese posto accanto a me sul letto - nessuno vuole giocare con noi!» si lamentò il piccolo, giocherellando con uno dei mie amuleti scaccia-pensiero «E anche tu ti sei data da fare!» la principessina di casa mi osservò immusonita. I codini erano più perfetti del solito e lo sguardo nocciola era lievemente scosso da un velo di malinconia. Le feci cenno di sedersi sulle mie gambe e Roberta non esitò un solo istante «Ah, piccolini! Perdonatemi - mi accoccolai dolcemente tra i capelli della bimba, inspirandone il profumo e sentendola ancora vicino a me - Perdonate questa strega malandrina!»
«Ah, Flor! Finalmente sei tornata!» Tomas si unì all'abbraccio in una lotta quasi divertente con la cugina per accaparrarsi il posto sulle mie gambe. Ne seguì una battaglia sfrenata e tra risate, solletico, carezze e cuscini finimmo distrutti tra i due letti. Li osservai attentamente riprendere fiato: il piccolo Tomas era completamente sudicio, sui capelli scompigliati, arricciati sul fondo, si intravedevano brillanti goccioline di sudore. Gli occhi erano chiusi, rivolti al soffitto, intenti in chissà quali scherzi e fantasie future.
"Tomas" pensai, mordendomi il labbro. Lo avevo abbandonato per pensare a me stessa, avevo lasciato che cadesse nella solitudine come un tempo.
Strinsi i pugni con fermezza, certa che non sarebbe più capitato!
Perché io volevo così e così sarebbe stato!


In giardino l'aria era penetrante e, benché avvolta nel mio giubbotto preferito blu elettrico, non riuscivo a scaldarmi.
Casa Fritzenwalden era completamente deserta e se era deserta era un piccolo miracolo quotidiano!
I pargoletti di casa studiavano allegri nelle loro camerette, sotto gli ordini scanzonati di una Greta "insegnante". Nico era chiuso in stanza con la "Scatola elettronica" come l'avevo chiamata io, mentre Franco era agli allenamenti. Per non parlare delle streghe! Volate con la loro scopa in chissà quale centro estetico!
"Vipere" pensai rivolgendo uno sguardo alla finestra dello studio e portandomi una mano al cuore. Anche Federico era abbastanza strano in quei giorni: si chiudeva nel suo rifugio e stava ore ed ore a parlare al telefono con chissà chi, pronunciando frasi insensate e paroloni talmente brutti da sembrare strafalcioni!
Und Kartofen, mit Kartofen, und Kartofen, mit Kartofen ... in quella casa c'erano più cartocci e rottami che in una zona di demolizione ! Tutti con questi Kartofen!
Scossi il capo.
Scherzi a parte, Federico era così strano perchè aspettava una visita, mi avevano spiegato i ragazzi.
"Arriva lo zio Tuti!" aveva urlato Maya, poco dopo che Federico aveva annunciato la notizia a tavola, sotto gli occhi divertiti dei ragazzi che sapevano quanto la ribelle Fritzenwalden fosse legata a quell'amico di famiglia.
Matias si chiamava l'amico tedesco-italiano o italiano-tedesco di Federico, che sarebbe ritornato a Buenos Aires dopo mesi di assenza a causa del lavoro in Germania.
La luce dello studio era accesa «Libera! - farfugliai mentre raggiungevo l'angolo del giardino più vicino alla mia camera - Libera dal Sergente Freezer!» ispezionai con cura l'ambiente: avevo una missione da compiere ed essere l'agente perfetto non sarebbe mai bastato se non ci fosse stato anche il luogo X, quello perfetto.
La piscina, ormai coperta, mi dava le spalle e al mio cospetto solo alberelli gracili e arbusti graziosi dalle forme più bizzarre, resi ancora più elettrizzanti dal quel tipico tramonto autunnale.
Sospirai, provocando un leggero fumo intorno a me "Sono i vostri cari che ci affidano le vostre vite, per accompagnarmi nel vostro Destino" misi una mano in tasca, accompagnata dall'inconfondibile voce di Suelo, cercai disperatamente la piccola noce, per poi estrarla e fissarla profondamente "Ricorda, la pianterai solo per esprimere un desiderio, solo uno!"
«La noce della mamma» i lineamenti argentei di quel piccolo oggetto erano meravigliosi e bagnati da quel freddo sole autunnale, sembravano riflettere gli occhi di mia madre. Quegli occhi che ogni giorno prima di svegliarmi e di addormentarmi rivedevo con estrema dolcezza. Quegli occhi color grano, angelici in quel loro riflesso blu, ma sopratutto affettuosi in quel loro fondale d'amore. Occhi che quando mi fissavano mi sapevano donare quella pace e quella speranza che a volte mi sembrava di aver perso per strada.
Occhi che ora sentivo nella noce della mamma.
La rigirai tra le dita, cercando di memorizzare ogni suo dettaglio, gettai poi lo sguardo davanti a me.
Una sensazione strana, un'emozione indescrivibile, il sesto fliquity della situazione, guidarono i miei occhi all'angolo che cadeva esattamente sotto la mia stanza: l'angolo X, il luogo perfetto!
Presa da un vortice di eccitazione mi avvicinai e, dopo essermi inginocchiata sull'erba umida, scavai esaltata un buco nella terra, non curante ne di niente, ne di nessuno, ma certa del miracolo che stava per cambiare la mia vita!
"Solo per esprimere un desiderio, solo quando lo vorrai" le parole sussurrate al vento della mia fatina preferita, accompagnavano la mia fervida immaginazione alla ricerca di quel desiderio nascosto, a cui avevo donato ogni mio singolo pensiero dall'incontro poche ore prima con i ragazzi.
Maya, con il suo intenso calore, Franco con il suo fervente vigore, Nicolas con le sue problematiche strazianti, Tomas e Roberta e le loro birichinate e Federico, Federico e quell'amore indissolubile che provavo per lui, quell'amore che forse avrebbe trovato le radici come la noce che ora come ora stavo piantando.
Misi lentamente le mani nella terra, stringendo con forza la nocetta. Una sensazione dolce, calda e tremendamente frizzante mi invase corpo e anima, le mani iniziarono a tremare e accompagnate dal suono del vento sussurrai il mio desiderio.
Sussurrai il mio sogno più grande.
«Io vorrei rinascere qui»


Sul mio letto, fissavo incredula l'oggetto che tenevo tra le mani, mentre cercavo di trovare le parole giuste per completare la mia ennesima pagina di diario. Con la penna piumosa in una mano e l'oggettino dall'altra, somigliavo ad una vera e propria bambina alla quale avevano appena fatto un regalino.
Lo giravo e rigiravo tra le dita ripensando a quanto accaduto pochi istanti prima.
Ora, che stavo con i piedi per terra, nella mia stanza, sembrava che ciò che era successo in giardino in realtà fosse tutto un sogno.
Il desiderio, i fliquity compulsivi che mi avevano invaso l'anima, la confusa frenesia dei miei pensieri e quel bagliore, il bagliore che con il tocco della terra umida, mi aveva accecata e inondata di una marea incontenibile di dubbi e perplessità.
Ora la risposta ai miei problemi la tenevo davanti agli occhi: il regalo della mia mamma si era smaterializzato ed ora una brillante metà noce bianco splendente aveva preso il suo posto.  
In giardino tutta quella magia mi aveva spaventata, facendomi correre a gambe levate, ma ora, con la mente fresca ed i fliquity calmi e tranquilli, riflettevo su quanto la mia vita fosse strana.
Credevo nelle fate, nella mia mamma che dall'alto mi proteggeva, credevo nei fliquity malconnessi, credevo in strani bagliori, ma sopratutto credevo nella magia, nella magia che solo l'amore poteva offrirmi. L'amore della mia mamma!
Era opera sua tutto questo ed io ero il suo miracolo.
Sorrisi, stringendo forte al cuore quella preziosa conquista.
"Rinasci, rimanendo sempre te stessa" sembravano dirmi e canzonare i fliquity pazzi del mio cervello. Annuii ubriaca di stupore, rimanendo incantata a fissare ciò che ora stava aprendo le porte al mio futuro «Florencia - la voce di Federico mi fece sussultare - Florencia, posso entrare?» il tocco delicato alla porta era nel suo piccolo insistente. Nascosi il diario sotto il cuscino, lasciando in bella vista solo e soltanto la penna piumosa, poi infilando la nocetta in tasca, mi alzai velocemente dal letto «Arrivo, signor Federico! Ora le apro! - mi diedi una ritoccatina allo specchio della stanza, dove Fuffi sembrava strizzarmi l'occhio vivace come sempre. Ricambiai il gesto e raggiunsi finalmente la porta. Respirai a fondo una, due e tre volte, finché premetti la maniglia - Buonasera, signor Federico!»
«Ciao Florencia, posso entrare» mi fissava autoritario, con la sua solita aria indignata, poggiato lievemente allo stipite della porta. Le braccia conserte in quella sua camicia color paglia e i suoi occhi fissi su di me. Agitata, mi schiarii la voce «Certo, Signor Federico! Entri pure – mi scostai lasciandogli lo spazio per passare - Scusi il disordine, ma stavo sistemando un po' tutto - sorrisi imbarazzata - Si accomodi pure!»
Federico prese posto sul letto di Roberta e pian piano, con occhi tremendamente dolci, accarezzò il copriletto colorato «Era di mia madre - sospirò mentre un velo di malinconia si calava sul suo viso - parlava sempre della sua infanzia in Spagna, di quanto gli zii l'avessero aiutata a crescere» mi sedetti sul mio letto, in modo da rimanere di fronte a lui
«Le manca davvero tanto, vero? Anche la mia mi manca tanto, anzi, tantissimo! Ci sono dei momenti, in cui mi prendono un sacco di fliquity malinconici, di una tristezza indescrivibile, proprio qui - mi portai una mano al cuore - ed è proprio in quei momenti che mi accorgo di non essere sola! Che ci sono una marea di persone intorno a me, pronte ad ascoltarmi, a consolarmi, a vedermi felice e allora parlo e parlo, finché anche l'ultima parolina prende colore e poi bam - battei le mani - tutto passa!»
«E' un modo per farmi parlare?» alzò il sopraciglio incuriosito dalle mie parole «Beh, non per forza con me! - abbassai lo sguardo, gettando gli occhi sulle mie scarpette color pesca, poi lo rialzai incrociando quello del Principe - Beh, ecco, come dire? - mi scostai la frangetta nervosa - Il mio era un consiglio! Ad esempio ... - mi allungai per recuperare la cornice in legno rosa sul mio comodino - La vede questa? Sa chi è? - Federico scosse leggermente il capo, mentre scrutava interessato ogni piccolo dettaglio della fotografia: i ricci biondi, gli occhi dorati e il viso celestiale - Questa è la mia mamma! - Federico sorrise - Era una donna meravigliosa! Dolce, tenera, tutta rose e fiori! Si prendeva cura di me, mi trasformava nella sua principessa e allora sì che il mondo girava come volevamo noi! - portai la foto al cuore, mentre i miei occhi si alzavano al cielo, perdendosi nuovamente in lontanissimi ricordi - Lei parlava e parlava e la mai mente viaggiava in luoghi sconosciuti, in fiabe che nemmeno il tempo era riuscito a bloccare e lei era lì, ad accarezzarmi, a coccolarmi, a stringermi forte e sussurrarmi parole dolci! Era un angelo, una donna dal cuore d'oro, era come ...»
«Te» la voce di Federico mi riportò alla realtà, ma ancora sotto shock, non afferrai le sue parole «La sto annoiando, vero? E' che quando parlo della mia mamma mi prende il fliquity della lingua lunga e parlo e parlo finché ... - mi portai una mano alla bocca, cercando di bloccare quel fiume in piena di parole - Mi scusi, l'ho fatto di nuovo! Comunque tutto questo giro di parole per dirle che non importa con chi o cosa parla, l'importante è che la sua mente e il suo cuore siano con la persona cara - Federico mi fissava, perso, smarrito in chissà quali pensieri, quasi lontano dal mio torrente di consigli - Si sente bene, Signor Federico?» il mio Principe scosse nuovamente il capo, come se volesse allontanare il turbinio di pensieri che poco prima lo stava avvolgendo «Cosa, Florencia? Sì, sì, tutto bene!» si alzò dal letto e si passò nervoso le mani sui pantaloni «E' sicuro di stare bene? - lo raggiunsi alla porta e mi portai una mano al petto - Ho detto qualcosa che non va? Mi dispiace, io ...»
«No, sono solo un po' stanco - si passò una mano tra i capelli, guardandosi attorno, come per controllare che non ci fosse nessuno nelle vicinanze - Senti, ma ... tu, come stai?» alzai il sopraciglio, incuriosita da tutti quegli strani atteggiamenti che stava adottando ultimamente Federico e che mi stavano accompagnando da svariate settimane. Come il caso, la strana coincidenza di aprire la porta della mia stanza e ritrovarmelo lì, come un passerotto caduto dal nido, che si nascondeva dietro scuse insensate: "E' pronta la cena", quando era implicito che tutto il personale di servizio sapesse a memoria ora per ora le abitudini della famiglia. "Cercavo Roberta", quando la piccola era a scuola. "Uno scarafaggio vagante" quando ormai era da tutto il giorno che in casa ci si occupava delle pulizie o ancor peggio "Hai visto Greta?" quando non ero tenuta a sapere dove si cacciasse il personale nei giorni liberi.
A volte lo beccavo a fissarmi mentre parlavo con Antonio, quando intrattenevo con fiabe e giochi i ragazzi o ancor più strano quando lo sorprendevo in circostanze bizzarre, come il fatto di origliare le mie conversazioni.
Se prima pensavo si trattasse di un test che mettesse alla prova il mio lavoro e le mie capacità, ora avevo dei seri dubbi.
«E a lei? Cosa le importa di come sto io? - incrociai le braccia, alterata da quegli strani ricordi: Federico non si fidava di me e quindi, non meritava di sapere ciò che pensavo, ciò che desideravo e nemmeno ciò provavo  - O è qui perché a rivisto lo scarafaggio gigante di qualche giorno fa?» poggiato allo stipite della porta, abbassò nervoso lo sguardo «Florencia, io ...»
«Non ho visto né Roberta ne Greta, se è questo quello che vuole sapere!» fissò i suoi occhi nei miei, marcando una piccola smorfia sul suo viso divino «Perché devi sempre fraintendermi? - sospirò irritato, facendomi indietreggiare spaventata. Federico aveva sempre quell'effetto su di me: prima mi infuriava e poi mi terrorizzava.
Tipico! - Sono venuto qui per vedere come stavi. Mi sono preoccupato - lo guardai intrigata - cioè i ragazzi si sono preoccupati. Ti vedevano triste, malinconica ...»
«Infelice? Un'amica se n'è andata per sempre» dissi in tono freddo, pacato, cercando di appartare ogni mia emozione, legata al ricordo di Carina «Mi dispiace» sussurrò Federico amareggiato «Anche a me - lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi fissi sul pavimento, che in quel momento sembrava nascondermi misteri inimmaginabili - ora se non le dispiace vorrei restare sola» nuovamente quella malinconia, nuovamente quel vuoto, nuovamente quel velo di tristezza che per giorni mi aveva turbata e che ora mi circondava con il ricordo di Carina.
Sembrava fosse tutto tornata alla normalità, sembrava che finalmente il mio cuore si fosse messo in pace, sembrava che Carina fosse scritta nell’anima come un bel ricordo e non più nella mente, invece ...
Invece era tutto il contrario.
Carina c'era, sia nel cuore che nella mente e quella ferita che sembrava essersi rimarginata, ora sgorgava dolore ovunque.
«D'accordo» disse tristemente Federico, mentre pian piano chiudevo la porta, abbandonandolo dall'altra sponda.
Raggiunsi a tentoni il letto per poi sedermici sopra.
Fissai la camera: la scrivania, la specchiera addobbata a festa, i miei amuleti, oggetti comuni che accompagnavano la vita di tutti i giorni, ma c’era qualcosa di strano, di insolito.
Sembrava che tutto avesse nuovamente preso il colore grigio.
Pareti e tappezzerie si alternavano inspiegabilmente alle indimenticabili immagini della morte di Carina. Ora sfuocate, ora sbiadite, prima nitide e poi imprecisi. Immagini taglienti di sguardi indiscreti che supplicavano perdono per una colpa mai avuta. Immagini inquietanti di una malattia d’anima, quella malattia che s’era portata via la mia amica. Immagini che riprendevano ripetutamente i sorrisi, i gesti affettuosi, gli sguardi amorevoli che solo due amiche, prima di un addio, avrebbero potuto scambiarsi con il cuore in mano. Immagini di Carina e me, in quell’insignificante stanza d’ospedale, dove anche la luce del sole aveva smesso di brillare.
Immagini di lacrime che come ad allora, bagnavano lentamente le mie guance.
Afferrai il diario della mia mamma, con l'intenzione di mascherare quell'indescrivibile mestizia, tra le pagine dei suoi lontani giorni felici
Feci scorrere lentamente le pagine, alla ricerca della frase che sempre aveva fatto risplendere in me una nuova luce, quella frase che da anni ormai accompagnava ogni mio singolo gesto, ogni mia emozione, ogni mio sentimento.
Parole nere, lucide, corsive, di una calligrafia importante, elegante e dolce erano incise sulle pagine ingiallite di quel diario. Parole sulla vita, sull’amore, sulla crescita e sull’onore.
Parole che fina dal primo istante in cui quel diario entrò in mio possesso, entrarono nella mia vita come una brezza estiva, come una piccola fata, portatrice di buone novelle, come un raggio di luce in mezzo a tanto buio.
“Ci sono giorni pieni di vento, ci sono giorni pieni di rabbia, ci sono giorni pieni di lacrime, e poi ci sono giorni pieni d’amore che ti danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni, perché l’arte della vita sta nell’imparare a soffrire e nell’imparare a sorridere.
Carpe Diem, diceva Orazio. Cogli l’attimo, perché tutte le cose, anche le meno interessanti, le più brutte, hanno un lato piacevole. Bisogna solo saperlo e volerlo vedere. Ma non aver paura della vita.
Credi invece che la vita sia davvero degna di essere vissuta, e il tuo crederci aiuterà a rendere ciò una verità. Perché se ami la vita, la vita ricambia il tuo amore”
Alberto,  riportavano in genere queste speciali dediche, che mia madre custodiva con estremo riguardo tra le pagine dei suoi segreti.
«Ma dov’è? – sfogliavo ormai con insistenza le facciate ingiallite dal tempo, ma della frase nemmeno l’ombra – Non venite a dirmi che adesso sono diventata pure cieca! – sibilai con ironia – Ci mancava anche questa! » chiusi violentemente il diario e asciugai esasperata le lacrime.
Poi un flash, un ricordo, un deja-vu.
Riaprii lentamente il quadernetto fiorito e osservai attentamente, una per una le pagine che anni prima mia madre aveva scritto con estrema cura e pazienza  «Ma come?» mi portai una mano alla bocca per avere il tempo di assimilare la scoperta appena fatta. La frase, l’aforisma della vita era scomparso e magicamente con lui anche altre facciate.
Qualcuno aveva visto il diario di mia madre e ne aveva strappato alcune pagine.
Ma perché?

ANFOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Eccomi ritornata da un "breve" periodo di vacanza e come promesso a Settembre!
Spero che abbiate passato delle meravigliose vacanze, visto che la scuola è dietro l'angolo (e non è per niente buono!!) Scherzi a parte, scuola o no, ho dato la fine all'estate con questo capitoletto!
Molto triste devo dire, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso e che perdoniate tutta questa mia "introspettività"!
Che dire? Alla prossima e ... BUONA LETTURA!

PS: Un grazie immenso a tutte le persone che commentano e si fanno sentire! Grazie!

NB: Per il "monologhetto" di Alberto, ho preso spunto da autori celebri come:Romano Battaglia, William James,  Arthur Rubinstein e Herman Hesse
  
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