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Autore: Satomi    02/09/2011    1 recensioni
[Jolanda, la figlia del Corsaro Nero]
[Prima classificata al "Limes Multifandom Contest" di TeaCoffee]
Quattro uomini colpevoli di aver osato troppo.
E per questo puniti.
#01. Ma questa volta il suo desiderio di porsi sullo stesso piano di Morgan - come capitano e protettore di Jolanda - gli sarebbe costato qualcosa di più della semplice reputazione.
#02. Odio che lo rese dimentico d’ogni precauzione, preso com’era dal piacere di veder il suo persecutore in difficoltà.
#03. Quando v’era stato da osare nei confronti della figlia del Corsaro, indifesa mentre i suoi protettori lottavano attorno a lei, aveva osato. Una volta di più. E per l’ultima volta.
#04. E il rancore, giunto al suo limite ultimo, era sfumato.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rerum Salgarianum Fragmenta - Frammenti di cose salgariane'
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Per troppo rancore 

 

 



Il futuro governatore di Maracaibo era poco più d’ un bambino quando la sorellastra partì da Veracruz per non tornar più mai. Il duca Wan Guld, logorato dalla scomparsa di Honorata e perseguitato dal Corsaro Nero, avrebbe passati gli ultimi anni della sua esistenza a cercare la figlia e a fuggire dal suo mortale nemico.
Mentre il suo figlio bastardo, cui fu imposto il titolo di conte di Medina e Torres, cresceva nel rancore.
Verso il padre che mai s’era curato di lui.
Verso l’uomo che gli aveva portata via l’unica persona che tenesse a lui.
E infine, verso il frutto di quell’unione.

 

“Ho da vendicare mio padre!... Mi  avete indovinato!... Vi spezzerò in due!”[1]
Una bugia che lui medesimo s’era costruito e che, col passare degli anni, era divenuta la sua verità, una parvenza di giustifica al suo operato. Al rapimento di Jolanda di Ventimiglia, all’insensata persecuzione nei suoi confronti.
La vendetta non c’entrava affatto: come avrebbe potuto il vecchio fiammingo affidare un tal compito a un ragazzino frutto d’una relazione illegittima? Se vi era una molla a spingere il conte di Medina era il rancore verso Jolanda, fiera e traboccante di gioventù.
Il frutto di un amore che sarebbe stato fatale alla sorellastra Honorata.
Il simbolo di una famiglia cui lui non sarebbe mai appartenuto.
A completare il tutto, la rivendicazione di Jolanda dei beni ricevuti in eredità dalla madre. Quei beni che sarebbero dovuti toccare a lui.
Era stata l’ultima goccia.

 

Jolanda era bellissima, ma nulla aveva di Honorata: era troppo decisa, fiera, persino sprezzante. E quel colorito alabastrino, quei capelli ricordavano fin troppo il Corsaro Nero.
Forse, se l’inchiostro di quelle iridi si fosse tramutato in argento e il nero della chioma fosse stato oro, il conte di Medina avrebbe agito diversamente: in fondo non era Jolanda che odiava ma ciò che le sue fattezze e la sua indole indicavano.
Per tutta la durata della prigionia la fanciulla s’era mostrata ferrea nelle sue decisioni, tagliente nelle parole usate per portare le sue ragioni. Nulla di più diverso dalla dolcezza e dalla serenità di Honorata.
Più cercava in lei dei tratti in comune con l’amata sorellastra, più Jolanda gli opponeva quelli del padre e persino del nonno.
E il rancore cresceva, offuscandogli gli occhi e il senno con uno spesso e oscuro velo che si sarebbe strappato solo quando, riverso a terra con la spada di Morgan nel petto, il conte avrebbe visti sopra di sé gli occhi umidi della fanciulla.
Gli occhi di Honorata.
E il rancore, giunto al suo limite ultimo, era sfumato.

 

“Sono stato... cattivo...” mormorò con voce semispenta. “Perdonate...mi... Jolanda... perdona...temi... dite...lo...”
“Vi perdono, signor conte” rispose la fanciulla, singhiozzando.[2]

 

Era morto così il conte di Medina.
Col perdono sincero di sua nipote a scaldargli il cuore sempre più debole e nell’animo una serenità a lui nuova, e per questo più amata.

 

[490 parole]

 

 

Note dell’autrice: curioso come Salgari abbia voluto concedere un minimo di redenzione proprio all’antagonista principale del romanzo, nonché figliastro di Wan Guld (al contrario di questi che è morto nell’odio, seppure di propria mano).
Il conte di Medina mi ha sempre fatto una gran pena: non so perché ma mi riesce facile immaginarlo come persona avara di affetti, forse proprio per la sua natura di figlio bastardo.
L’idea che la vendetta verso Jolanda non venga dal padre quanto da una sua idea fissa è di mia invenzione, sia chiaro: Salgari mostra tutt’altro eppure, facendo due conti, mi sembra strano che Wan Guld abbia affidato una missione simile a un ragazzino di undici anni circa (tanto doveva avere il conte ai tempi de “Il Corsaro Nero”, e poco di più ne “La Regina dei Caraibi), visto che nel terzo libro viene detto che ha trent’anni), perlopiù bastardo. Come pure io stessa mi sono immaginata l’affetto che legasse i due fratellastri; purtroppo Salgari è fin troppo avaro quando si tratta di rapporti estranei all’azione, mannaggia a lui ^_^
Satomi



[1] da “Jolanda, la figlia del Corsaro Nero”, XXVII capitolo. 

[2]  da “Jolanda, la figlia del Corsaro Nero”, XXXV capitolo.

   
 
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