DEDICA: A Cloud,
sadicamente sublime, a
feyilin -perché le ho promesso la dedica fissa e se la
merita- e a draco
potter, che si è offerta di sposarmi non sapendo a quel che
andava in contro.
NOTE: Questo capitolo
non mi convince per
niente. Non c’è abbastanza verve, non è
spumeggiante come me l’ero immaginato,
in alcune parti mi sembra di averla tirata troppo per le lunghe. Sono
la prima a
trovarlo un po’ scialbo e
comprenderò
benissimo se qualcuna di voi avrà la mia stessa impressione.
Però m’è venuto
così, e amen. Lascio a voi il verdetto finale.
Piccola
curiosità: alla fine ho inserito un crossover abbastanza
scemo ma in compenso
piuttosto slash. Chi indovinerà per prima di che personaggi
si tratta riceverà
un premio (ehm, onore e gloria?). Ma bando alle ciance, non mi resta
che
augurarvi…
Buona
lettura!
“Perché
il volere bene non si compra,
non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si
può evitare: il
voler bene succede”. (Jorge Amado)
Trascorsi
che furono quattro lunghi, eterni giorni, Merlin si ritrovò
suo malgrado a
rimpiangere il tempo passato al servizio del principe Arthur. Non che
Cenred lo
frustasse per ogni minimo errore, anzi; non mancava di una certa ruvida
gentilezza, e non si rivolgeva a lui come se parlasse ad un mezzo
deficiente,
cosa che invece l’altro faceva
spesso.
Ad
esasperare Merlin erano in realtà ben altre cose. In primis,
quell’ossigenato (dove
l’aveva già visto, un biondo così
platinato?) luogotenente, che non si staccava
un momento di dosso dal suo signore e gli mormorava in continuazione
nell’orecchio,
sembrava odiarlo con passione. Più di una volta si era visto
rivolgere da
costui inquietanti sguardi carichi di rancore misto a disprezzo,
neanche fosse
geloso di condividere il suo tesssssoro -ehm,
il suo re- con un umile servitore.
Un altro
motivo dello scontento di Merlin era il fatto che Cenred amasse andare
a
caccia. Ogni giorno. Partenza alle prime luci dell’alba,
ritorno a tramonto
ormai inoltrato, giusto in tempo per sorbire la cena in compagnia del
padrone
di casa. Ergo, Merlin aveva dovuto maneggiare ed infilare nel sacco per
la
selvaggina tanti di quei volatili e animaletti cecchinati dal re ospite
dall’essere
arrivato a considerare seriamente l’ipotesi di convertirsi
alla dieta
vegetariana dei Druidi. Ringraziando il Cielo, l’indomani i
due sovrani
avrebbero stipulato e firmato il benedetto trattato di pace, cui
sarebbe
seguita una celebrazione del lieto evento; e tanti saluti Cenred e
combriccola!
Quanto meno,
mugugnò il mago steso sul letto in uno dei rari momenti di
relax concessigli,
Cenred non aveva la pessima abitudine di dormire mezzo nudo, giusto per
fare
sfoggio del suo fisico scolpito, al contrario di Arthur.
Stranamente,
l’immagine del principe che si coricava per la notte vestito
solo di un paio di
braghe lo fece arrossire; e sì che l’aveva visto
in déshabillé, coperto
da un asciugamano più o meno
inguinale durante il bagnetto quotidiano
tante di quelle volte, ormai, che aveva smesso di contarle. E allora,
in nome
dell’Antica Religione, che motivo aveva di sentirsi in
imbarazzo al solo
pensiero di belle spalle tornite e braccia muscolose ma al tempo stesso
gommose,
tanto da invogliare a testare con mano la loro morbida
solidità?
Sprofondando
con la testa nel cuscino, le orecchie che si arrossavano a vista
d’occhio,
Merlin emise un gemito che sapeva di frustrazione e sconfitta. La
verità,
talmente lampante e lapalissiana da essere passata inosservata sotto
gli occhi
di tutti, era che lui di quel principino da strapazzo era innamorato
cotto. Accipigna.
Un amore
senza speranza, ovviamente, non tanto per il fatto che
l’altro era il
futuro sovrano e che un giorno si sarebbe
dovuto sposare e mettere al mondo degli eredi, quanto perché:
a) andava
dietro a Gwen da un anno abbondante;
b) trattava
il suo servitore a malapena alla stregua di amico, figurarsi qualcosa
di più.
Tra le due
constatazioni non sapeva quale lo rattristasse maggiormente. Troppo
raramente
Arthur si era scusato con lui per averlo accusato ingiustamente o non
aver
creduto nella sua buona fede. Ancor più di rado si era
mostrato fiero di averlo
accanto a sé, di tenere veramente a lui. Gli era capitato di
dovergli salvare
la pelle e trarlo d’impiccio, certo, ma in quelle occasioni
era stato il suo
orgoglio di prode cavaliere, di eroe senza macchia e senza paura a
guidarlo.
Gli
tornò
alla mente il breve scambio di battute avuto con Hunith, sua madre, la
volta
che si era recato a Ealdor con Arthur per liberare il villaggio dalle
razzie di
alcuni predoni balordi.
“Arthur
deve
tenerci molto, a te”.
“Lo
farebbe
per ogni villaggio, è fatto così”.
“E’
più di
questo! E’ per te che è qui a Ealdor”.
“Sono
soltanto il suo servo”.
“Gli
piaci,
questo devi riconoscerlo”.
“Perché
non
sa della mia vera natura. Se la conoscesse, sarei già
morto”.
“Tu
non
credi a quello che dici”.
Già,
per non
parlare del fatto che Merlin era un mago, e anche bravino. Se Arthur
l’avesse
scoperto prima del necessario, come diamine avrebbe reagito?
L’istinto gli
diceva che non l’avrebbe denunciato ad Uther: il ragazzo era
sì asino, ma non
un meschino delatore. Però di sicuro non avrebbe voluto
avere a che fare con
lui per molto tempo, poiché se c’era una cosa che
il rampollo dei Pendragon
proprio non tollerava era la menzogna, e a questo espediente Merlin era
ricorso
anche troppo di frequente per giustificare strane amnesie, incredibili
botte di
culo e misteriose uccisioni di bestiacce magiche. Senza contare che
Arthur
avrebbe potuto sentirsi minacciato dall’enorme potere del suo
servo, nonché
terribilmente umiliato una volta saputo in quante e quali occasioni a
salvargli
la vita e il regal deretano era stato proprio lui.
Benché non ritenesse di avere un’indole
vigliacca, Merlin sperava
ardentemente che il confronto con l’asino avvenisse il
più tardi possibile.
“Il
tuo
posto è a fianco di Arthur. Ho visto quanto ha bisogno di te
e quanto tu hai
bisogno di lui. Siete come facce della stessa moneta”.
“Qualcuno
me
l’ha già detta, questa cosa”.
Prima
Kilgharrah,
poi sua madre. Davvero non riusciva a condividere il loro ottimismo, a
capire
perché entrambi insistessero così tanto sulla
presunta forza del suo legame con
Arthur. Altro che facce della stessa moneta, loro due erano e sarebbero
rimasti
l’uno per l’altro l’Asino Reale e
l’Idiota.
Merlin
bloccò il flusso dei suoi pensieri, imponendosi di
concentrarsi su
qualcos’altro, tipo il disordine che regnava sovrano nella
sua stanzetta. Scervellarsi
troppo a lungo riguardo al biondo babbeo nuoceva gravemente al suo
equilibrio
psicofisico.
Fu con
immensa gratitudine, dunque, che ricevette l’ordine da parte
di Cenred
-riferitogli da uno dei suoi soldati, entrato senza neanche bussare- di
sbrigare una commissione urgente per lui. Lieto di potersi distrarre,
Merlin lo
seguì.
La
‘commissione
urgente’ si
rivelò consistere nello
strigliare, abbeverare e perché no, anche ferrare i cavalli
di Cenred e
compagnia danzante –per un totale di centoventidue destrieri,
altrettante
razioni di fieno e acqua fresca e quattrocentoottantotto zoccoli.
“Nel
caso ti
avanzi un po’ di tempo, da’ anche una pulita alla
stalla, ci siamo intesi
ragazzo?”
Detto
questo, il soldato lo lasciò premurosamente alle prese con
gli equini.
Tuttavia
Merlin, che trovava il compito di stalliere ancora più
noioso e degradante del
tirare a lucido l’intero castello (marcondirondirondello) e
ben consapevole che
la mole di lavoro fosse impossibile da smaltire entro sera
completamente da
solo, assicuratosi che la porta fosse ben sigillata e che nessuno fosse
nei
paraggi se la sbrigò a modo suo. Mormorò un paio
d’incantesimi -i suoi occhi si
illuminarono di un lampo dorato- e in un baleno i cavalli furono
spazzolati con
la massima perizia, le loro scorte alimentari rimpolpate e
l’intero padiglione
brillò.
Benedicendo
ancora una volta la magia il nostro eroe sogghignò e, per
non far sorgere sospetti
sulla sua prodigiosa efficienza, decise di trascorrere le ore che gli
rimanevano concedendosi un meritato pisolino (troppe notti aveva
passato quasi
insonne interrogandosi sul perché amasse un somaro borioso
come Arthur). Si
rifugiò nell’ultimo box in fondo a
sinistra, dove era stato sistemato un ronzino, probabilmente
appartenente ad
uno dei decrepiti consiglieri di Cenred. Il tempo di collocare a fianco
del
cavallo -e non dietro, come aveva
imparato a proprie spese- un poco di paglia e di accomodarvisi sopra e
Merlin
si addormentò di botto, russando quietamente.
A strapparlo
bruscamente dal mondo dei sogni (il cui protagonista era un Arthur
inedito e
decisamente audace, ma è meglio non soffermarsi oltre
perché il rating della
storia è verde/giallo e non possiamo permetterci di
sgarrare) ci pensarono due
sconosciute voci maschili che borbottavano concitate.
“Ne
sei
proprio certo, Gellert?”
“Ti
dico di
sì, Albus. Qui non ci disturberà nessuno, ho
già controllato”.
“Non
per
fare il guastafeste, ma l’ultima volta che mi hai dato questa risposta siamo stati beccati da Cenred
in una posizione
piuttosto compromettente”.
Merlin, che
fino a quel momento aveva origliato la conversazione più per
abitudine che per
reale interesse, al sentir nominare Cenred drizzò le
antenne, ovvero gli enormi
padiglioni auricolari che si ritrovava come orecchie. Evitando di far
scricchiolare
il fieno sotto di sé si mise in posizione eretta e, con
grande cautela, si
arrischiò a lanciare un’occhiata ai due uomini. Da
quel che riuscì a scorgere notò
che erano entrambi dei soldati, giovani e di bell’aspetto.
Quello più alto
aveva liscissimi capelli color rame lunghi fin quasi alla vita,
l’altro invece
era un biondino riccioluto dall’aria impertinente.
“In
nome dei
fratelli Peverell, Albus! Come se Cenred non fosse al corrente della
nostra
relazione da tempo immemore” ridacchiò
maliziosamente, accennando una carezza
al viso del compagno.
Ma
l’altro
si scostò, ostentando una certa freddezza.
“Non
ci
provare, Gertie. Sbaglio o mi hai
trascinato fin qui con la scusa di dovermi informare di una questione
della
massima segretezza?”
Il soldato
di nome Gellert arricciò le labbra visibilmente contrariato
-somigliava tanto
ad Arthur con il broncio- ma ritirò la mano ed assunse
un’aria cospiratoria.
“Non
era una
scusa, Al, dicevo sul serio. Devi promettermi che non ti farai sfuggire
alcunché, perché è veramente roba che
scotta”.
“Giurin
giurello, lo prometto” recitò Albus con la mano
destra sul cuore da bravo
boyscout.
“Bene.
Lo
scoop è: ho finalmente scoperto il perché della
nostra scampagnata a Camelot.
Il buon Cenred ci ha tirati tutti scemi, alla faccia del trattato di
pace!
Domani, durante la cerimonia della firma, al segnale convenuto noi
dovremo
irrompere nella Sala del Trono e far fuori Pendragon e il
figlio”.
L’assoluto
tono di indifferenza nella sua voce fece rabbrividire Merlin, teso come
una
corda di liuto nel tentativo di captare ogni singola parola di quel
colloquio.
“Capisco.
E
Cenred pensa davvero che i soldati di Uther si limiteranno ad assistere
alla
scena senza intervenire?” osservò
l’altro, ironico.
Gellert
sbuffò.
“Certo
che
no, Al, cosa credi? A quanto pare le guardie verranno messe a nanna da
un
incantesimo, così potremo agire indisturbati”.
“Notevole.
E
tu come fa a sapere tutto ciò, di grazia?”
“Ho
beccato
il nostro re che confabulava con il nuovo luogotenente: sai, quello con
le
sopracciglia depilate e chiaramente biondo tinto. Credo proprio che il
tipo sia
un mago o qualcosa di simile, perché l’ho sentito
dire che conosceva un rimedio
adatto. Comunque suppongo che ne verremo informati anche noi altri
questa sera
stessa, dopo il banchetto”.
“E
allora
perché tutta questa urgenza di anticiparmelo?”
“Tu
odi
essere all’oscuro di qualcosa, Albus. Pensavo di farti un
piacere. E poi mi
serviva una scusa per poter pomiciare in santa pace” rispose
con fare suadente,
posando un bacio sull’incavo tra il collo e la clavicola
dell’altro.
Prima di
essere costretto ad assistere ad un incontro ravvicinato del terzo tipo
tra i
due, Merlin biascicò un incantesimo che fece piombare gli
amanti diabolici in
un sonno profondo e, sgattaiolato con circospezione fuori dalla stalla,
li
lasciò distesi su pavimento a ronfare.
Per tutto il
Fantabosco, Camelot correva un serio pericolo! Doveva trovare una
soluzione ed
agire il prima possibile.
Correndo il
più veloce che poteva, si diresse al laboratorio di Gaius.
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Eccoci giunti
all’ angulus dell’autrice…
Non so,
ditemi voi cosa ne pensate: mi fare(s)te tanto felice
–sì, persino in caso di
critica.
Ah,
ringrazio sempre le anime pie che commentano, seguono, ricordano e
preferiscono
questa fanfiction. Un abbraccio stritolante a tutte voi!