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Autore: Ginsecure    02/09/2011    6 recensioni
Erano i Malandrini e non c'era anima viva o morta ad Hogwarts che non li conoscesse. Tutti li guardavano ammirati forse per la bellezza di Sirius, forse per l'abilità di James nel Quidditch, l'intelligenza di Remus, la bontà di Peter. Forse perché erano semplicemente inseparabili. La loro amicizia era un qualcosa di indescrivibile, di unico. E poi il gruppo crebbe, pronto a fronteggiare la realtà che era ben diversa dalla felicità che i primi sei anni di vita nel castello aveva regalato.
Ecco come andarano le cose, come nacquero i Malandrini, come si rafforzarono e come, alla fine, divennero passato.
Ecco come James Potter scoprì di essere innamorato di Lily Evans e lei decise di andare oltre le apparenze. Il resto? Il resto è storia.
Dall'ultimo capitolo:
- MAMMAAA! Sirius è arrivato!
- Jamie, il letto è già pronto.
- NON chiamarmi Jamie.
- Sapevi che sarei venuto?
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 1: Rails.

Capitolo 1:
Rails.

 

C'è sempre un piano preciso, dietro a tutto... in questo aveva ragione il signor Rail... ognuno ha davanti le sue rotaie, che le veda o no

- Alessandro Baricco -

 

Prese un respiro profondo e continuò a fissare la barriera. Aveva paura di non riuscire a passare, di essere stata presa in giro e di schiantarsi dolorosamente contro il muro rompendosi qualche costola e frantumando tutte le sue illusioni. Poi, però, sentì una mano possente posarsi con delicatezza sulla sua spalla. Il sorriso di suo padre e quegli occhi smeraldo che aveva ereditato la guardavano con fare rassicurante.
- Insieme?
- Insieme.
Presero a correre spingendo insieme i bagagli. Lily non voleva vedere perché ne era sicura, era pronta all’urto.
Ma l’urto non venne... lei continuò a correre... aprì gli occhi.
Strabuzzò gli occhi e, benché fosse circondata da gufi e civette che riempivano l’aria con i loro versi cupi e da gente che sembrava fare a gare per chi possedesse il cappello più bizzarro unito a un maldestro tentativo di mescolarsi ai Babbani, si sentì a casa.
Apparteneva a quel mondo, davvero. Non era tutto un sogno, non era stata presa in giro dal preside della scuola dove stava andando, né dall’omino panciuto che si era presentato a casa sua per dirle che era una strega. Non era stata presa in giro dal suo migliore amico, quello che le aveva rivelato quella verità per primo.

Era una strega, lo era davvero.
Guardò i suoi genitori increduli e spaesati osservare il binario e la sua attenzione si posò su Petunia. Un groppo le salì in gola: non voleva lasciarla senza dirle quanto le dispiacesse e, mentre parlavano, l’unica cosa che le importava era farle capire che, se avesse potuto, l’avrebbe portata con sé.
- ... credi che io voglia essere un... un mostro?
Quell’ultima parola riecheggiò come un eco sinistro nelle sue orecchie.
Lei non era un mostro.
Lei era una strega.
Lei non era un mostro.
Tunia era sua sorella, non poteva pensare questo.
Sentì che la stava perdendo, che non avrebbero più giocato insieme, che non si sarebbero più spinte a turno sulle altalene.
Capì che da quel momento l’avrebbe esclusivamente rimproverata per ciò che era diventata, anche essendolo da sempre: un mostro.
 
Con le guance ancora bagnate dalle lacrime continuava a fissare il finestrino. Sapeva benissimo che sarebbe dovuta essere felice in quel momento perché aspettava da tanto di sentire il treno sferragliare sulle rotaie lasciando dietro di sé una scia di vapore e proiettandola verso una nuova vita.
Piton, trafelato, entrò nello scompartimento dove era seduta con dei ragazzi un po’ troppo rumorosi. Si era cambiato e indossava già la divisa benché fossero saliti a borda da cinque minuti scarsi.
Lily, vedendolo arrivare, non riuscì più a capire se fosse arrabbiata con Petunia, con il suo migliore amico per averle dato un ulteriore pretesto per far scoppiare la lite con la sorella o semplicemente con se stessa. Optò per l’ultima opzione e concesse un sorriso timido e sincero a Severus. Come sempre lui riusciva a tirarla su di morale e a farle tornare il buon umore. Nemmeno le battutine dei loro compagni di scompartimento riuscirono a guastarle la felicità appena riacquistata e, mentre decideva di abbandonare quegli sbruffoni che si stavano prendendo gioco del suo Sev, iniziò a domandarsi in che casa sarebbe finita e se lui sarebbe stato con lei. Pensò anche a sua sorella.
Il treno correva sulle rotaie e lei sentiva di aver lasciato un pezzo di sé in stazione.
 
James si divincolò dalla presa di sua madre che sembrava intenzionata a non lasciarlo andare.
- Mamma, smettila. Così rischi di soffocarmi.
- Scrivimi spesso, mi raccomando.
- Tanto ci vedremo a Natale, non serve ch – la frase del ragazzo fu bruscamente interrotta da uno sguardo fulminante della signora Dorea Potter che lo avrebbe ucciso con la stessa rapidità di un Avada Kedava se non si fosse affrettato a correggersi.
- Ogni giorno, mamma. Ti scriverò ogni giorno.
Gli occhi della donna si inumidirono e presero a brillare.
- Dor, non vorrai cominciare a piangere. Il nostro ometto sta crescendo e, lo sai, ad Hogwarts sarà felice – e, scompiglia dogli i capelli, aggiunse – e corteggiatissimo.
- Ci puoi scommettere, papà – il ragazzo sorrise con quel ghigno ereditato dal padre proprio di chi si sente in quell’attimo irresistibile e pronto a mettersi nei guai.
- Ci mancherai – aggiunse Charlus e James scorse, per un attimo, tutto il peso degli anni gravare sulle spalle del padre. Ma fu solo un attimo. Subito dopo si lasciò stringere tra le braccia del suo eroe invincibile.
Poi il treno fischiò.
 
James andava su e giù per il corridoio alla ricerca di uno scompartimento vuoto.  
Percorse tutto il treno decidendosi, alla fine, per uno particolarmente silenzioso benché occupato da due persone, entrambe rivolte verso il finestrino: sulla sinistra una rossa magrolina che poteva avere la sua stessa età, una primina sicuramente; sulla destra c’era un ragazzo dai lunghi capelli scuri che spostò subito gli occhi grigi dal paesaggio al nuovo arrivato.
- Spero tu abbia voglia di fare quattro chiacchiere. Mi stavo decisamente annoiando – rivolse uno sguardo alla ragazza seduta di fronte a lui che, però, parve non sentirlo immersa nei suoi pensieri.
- Piacere, James.
- Sirius.
I due presero a parlare come se si conoscessero da una vita e senza accorgersi minimamente dell’ingresso di un quarto ragazzo dai capelli neri unticci e l’aria malaticcia nel loro scompartimento, fino a quando quest’ultimo non espresse il chiaro desiderio di finire in Serpeverde.
James non riuscì a trattenersi dal rispondergli. Chi diavolo poteva desiderare di finire in un covo di matti esaltati e fissati con le Arti Oscuro? Non lui, non James Potter.
- ... Dove vorresti finire, se potessi scegliere?
James alzò una spada invisibile.
- “Grifondoro... culla dei coraggiosi di cuore!” Come mio padre”.
 
Sirius finalmente capì dove aveva già incontrato quel ragazzo. L’aveva visto una settimana prima da Madama McClan. Era lì a provarsi la sua divisa mentre la madre seduta lo guardava adorante. Il padre, invece, con un braccio cingeva le spalle della moglie e con l’altro, sorridendo, si scompigliava i capelli. Aveva avvertito una fitta allo stomaco e si era reso conto di quanto desiderasse avere una famiglia normale, una famiglia che lo accompagnasse a comprare i libri per l’anno scolastico, che lo salutasse alla stazione. No, in realtà a Sirius Black sarebbe bastata una famiglia che non venerasse, adorasse, glorificasse e dipendesse da Lord Voldemort e che non giudicassero chiunque esclusivamente dal suo albero genealogico e dal suo stato di sangue. Non erano Mangiamorte, solo Purosangue. Ma per loro la differenza era inesistente.
“ Sarai un Serpeverde anche tu. Devi esserlo”
Le parole pronunciate da Walburga proprio la sera prima avevano lasciato in lui una sola certezza: non sarebbe finito lì.

 
Non sarebbe finito lì se qual ragazzetto biondiccio che sembrava appena uscito da un lungo periodo di malattia non l’avesse salvato dalle grinfie di quel minaccioso gruppo di futuri Serpeverde. Aveva riconosciuto Avery e Mulciber e non potevano essere altro se non Seperverde. In realtà il biondo non l’aveva propriamente “salvato”. A meno che per “salvare” non s’intendesse aprire la porta di uno scompartimento e lasciarlo entrare.
Così Peter Minus si era ritrovato seduto di fronte a quello che scoprì chiamarsi Remus Lupin e ad una ragazzina minuta con lunghi capelli castani legati in una coda di cavallo. Peter notò subito il nervosismo di quest’ultima intenta a mangiarsi le unghie.
- Preoccupata? – la ragazzina sobbalzò all’improvvisa domanda di Lupin.
- Molto. Tu no?
- Da morire – quelle due parole sembrarono tranquillizzarla.
- Mi chiamo Mary. Mary MacDonald.
- Remus Lupin.
- E tu, piccoletto? – Mary sembrava un’altra persona. Ora sorrideva radiosa e Peter rimase spiazzato capendo che era stato tirato in causa.
- Io? Minus. Peter Minus – balbettò tornando a fissarsi la punta delle scarpe.
 
Remus spostò l’attenzione dalle sue vecchie scarpe consunte al paesaggio fuori dal finestrino. Si accorse che stava mutando. Erano quasi arrivati, erano vicini al castello ormai. Non avrebbe mai e poi mai creduto che un giorno sarebbe riuscito a vedere il contorno di Hogwarts. Nemmeno da lontano.
Un’altra speranza, più grande, l’aveva però nutrita da un po’ di anni a quella parte. Fino alla partenza.
Sperava sarebbe venuto a salutarlo. Sperava di rivederlo almeno quel giorno, quel primo Settembre che era, in fondo, una piccola prova che poi non era così diverso, così lontano dagli altri. Era lì, non era poi un mostro.
Ma John Lupin non era venuto. Perché non voleva capire? Perché non si rendeva conto che lo odiava per il suo averlo abbandonato e non per l’essere la causa di ciò che era diventato? La scomparsa di suo padre, avvenuta tre anni prima, era per lui l’ennesima conferma della teoria che ormai gli si era radicata in testa.

L’aveva abbandonato come chiunque altro fosse a conoscenza della sua natura, come avrebbero fatto i due ragazzi che condividevano lo scompartimento con lui se solo avessero saputo. Ed era giusto che lui rimanesse solo. Lui era un mostro. Lui non meritava di essere su quel treno, di sfrecciare su quelle rotaie verso un posto dove altri sarebbero potuti essere felici... Non lui.
Sentì il treno rallentare e, con fatica, riemerse dal corso dei suoi pensieri.
 
Sentì il treno rallentare e si alzò dal suo posto. Severus fece lo stesso e lei, d’istinto, lo abbracciò. Poi guardò i suoi occhi scuri che le parvero più luminosi del solito, come se brillassero.
- Ci siamo Sev. Siamo qui.
E lui non rispose forse perché, pensò Lily, non c’erano parole abbastanza per descrivere una simile gioia. Il suo migliore amico desiderava forse più di lei l’arrivo di quel giorno, la fine della torturante vita in comune con i suoi genitori, delle grida, dei litigi. Hogwarts l’avrebbe accolto. Sarebbe stata la sua vera casa. Lily ne era certa.
E lei, lei sarebbe stata la sua famiglia. La loro amicizia sarebbe stata eterne.
Lei era ambiziosa, dopotutto. Aveva ottime probabilità di finire in Serpeverde. Ma se anche non fosse stato così, e Lily aveva il presentimento che le cose sarebbero andate diversamente, loro due non si sarebbero lasciati.
 
Sentì il treno rallentare e sorrise al suo compagno di viaggio.
- Ci siamo.
- A quanto pare.
Un sorriso troppo simile al suo dipinse il volto di Sirius. Aveva un che di diabolico, di furbo e intelligente, di... malandrino, ecco.
James era euforico, entusiasta, emozionatissimo all’idea di poter scorrazzare per i corridoi di Hogwarts, abbuffarsi nella Sala Grande, fare colpo sulle ragazze, sfoggiare la sua abilità con gli Incantesimi e nel Quidditch. Non poteva essere altrimenti. Sarebbe stato il migliore. Si passò una mano tra i capelli.
Sirius Black era perfetto per essere suo amico. Sembravano in sincronia sebbene avessero condiviso solo le ore di cammino da Londra a Hogsmeade.
Sarebbero diventati inseparabili, ne era sicuro.
 
Sentì il treno rallentare e vide il suo compagno di viaggio sorridere.
- Ci siamo.
- A quanto pare.
Desiderò ancora di più finire in Grifondoro. Perché si leggeva sulla faccia di James che sarebbe diventato un Grifone e lui voleva stare dalla parte del suo amico. Un rosso-oro non è mai amico di una Serpe. Lo sapevano tutti. Perciò se lui avesse seguito le orme della sua detestabile famiglia anche Potter l’avrebbe allontanato. Secondo James sembrava un tipo a posto. Ma ad Hogwarts le cose cambiano. Sarebbero diventati rivali. Sarebbero stati in competizione. Si sarebbero odiati.
Poi, però, Sirius pensò che le cose sarebbero potuto andate diversamente e che quel ragazzo non sembrava uno che si lascia abbindolare dai pregiudizi. Sentiva che sarebbero diventati amici in ogni caso.
Accantonò quei pensieri pronto a scendere. Erano inutili paranoie, si disse. Sirius Black non sarebbe diventato una Serpe. Quella non era casa sua.
 
Sentì il treno rallentare.
Sobbalzò e fece per prendere il suo bagaglio. Mary gli sorrise e scese immediatamente. L’altro ragazzo, Lupin, non diede segno di essersi accorto del cambiò di velocità. Peter aprì la porta e poi si voltò indietro.
- Non vieni?
- Arrivo subito.
Il sorriso che gli rivolse il ragazzo gli parve stanco e lui pensò che non poteva non voler essere lì. Ogni giovane mago desiderava ardentemente arrivare ad Hogwarts. Cercò di sorridere a Lupin, per rassicurarlo, ma pensò che la sua smorfia fosse più simile a una colica che ha un sorriso. Era un frana nel socializzare perciò scappò via ripromettendosi che avrebbe fatto del suo meglio con i futuri compagni di dormitorio. Non sarebbe rimasto solo.
 
Il treno arrestò la sua corsa.
Una ragazza dai capelli color del fuoco scese proprio davanti a lui al fianco di un suo amico con dei capelli nero pece che pareva prendere un po’ di colorito solo per la vicinanza della rossa. Vennero superati da altri due tipi molto allegri. Uno rideva sguaiatamente, forse per via di una battuta dell’altro. Remus si sentì terribilmente solo e, quando si ricordò che la situazione non sarebbe cambiata, sprofondò in un abisso di tristezza.
- Tutto bene? – trasalì udendo la voce squillante del piccoletto panciuto che aveva condiviso con lui lo scompartimento.
- Sono solo un po’ nervoso.
- Guarda che ci mettono semplicemente un cappello in testa. Saprà lui quale sarà la casa giusta per noi. Tu non devi fare niente.
Sorride a Peter che gli sembra così gentile e ingenuo. Non capisce che non ci sarà mai una casa giusta per lui perché lui non dovrebbe essere lì.
- Vorrei tanto finissimo insieme.
Gli sembrò che Minus si fosse impegnato da morire per pronunciare quella frase e la trovò così sincera che non riuscì a non sorridere.
 
Sarebbe stato l’inizio di una grande avventura, di una meravigliosa storia.
Si sarebbero incontrate tutte quelle rotaie, si sarebbero fuse.




Angolo autrice:
Innanzitutto un saluto a chi è arrivato fino alla fine di questo capitolo e un abbraccio stritolante a coloro che continueranno a leggere questa storia.
Vi avviso fin da subito che io sono una di quelle che ama rimanere fedele alla Rowling. Per questo mi sono scervellata in modo da sfruttare tutto ciò che lei ci ha fatto conoscere della vecchia generazione, dei Malandrini e di Lily Evans. Poi ho dovuto, naturalmente, lavorare di fantasia. Ma, personalmente, amo scrivere di loro perché posso inventare senza stravolgere la trama. 
Dal prossimo capitolo le vicende verranno narrate in prima persona sempre con una focalizzazione variabile. Darò voce a molti dei personaggi nel corso della storia. Racconterò episodi dei primi sei anni per arrivare al settimo e sviluppare poi la trama vera e propria da lì. Ho già pronti altri capitoli, quindi gli aggiornamenti non tarderanno ad arrivare.
Grazie mille e spero che tra quelli che leggeranno ci sarà chi lascerà una recensione. Mi farebbe molto piacere sapere cosa pensate, ovviamente.
A presto,
Gì :)


 

  
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