Axel lo chiama die Probe. Florian, das Problem.*
Se i Von Kessel prestassero un minimo di attenzione alla
semantica del cuore, forse la Storia avrebbe tutt’altro colore.
Forse certune scelte non sarebbero mai state fatte.
Forse uccidere non sarebbe una scelta.
Axel saggia il figlio ogni pomeriggio alle cinque in punto:
come nell’aria si disperde l’ultimo lamento del campanile della St.
Jakobikirche, Florian deve presentarsi al suo cospetto, perché ne valuti i
progressi.
Ha sette anni e il suo sguardo fatica a raggiungere l’uomo –
il padre – che lo spia severo oltre un imponente tavolo di noce.
Ha sette anni e già sa che tanto non basterà a scusarlo se
non soddisferà le richieste del giorno.
Tutto quel che Florian domanda è il sorriso del padre;
sentire la carezza lieve ma calda di quelle lunghe dita tra i suoi capelli.
Quanto può offrirglielo – forse – è rispondere in modo corretto a ogni
domanda.
Florian Von Kessel esiste solo tra pergamene e polvere.
“Hai eseguito il compito che ti ho assegnato?”
Florian annuisce.
L’ha fatto per quattro anni: per quattro anni, si è dato in
pasto a un tribunale che non gli ha sorriso mai.
Non ha mai fallito l’esame.
Non si è mai scollato di dosso la sensazione paralizzante di
una paura senza rimedio.
E ora il terrore è tornato.
Si asciuga la palpebre, Florian, mentre lo sguardo si perde
nel brullo digradare degli orti di Hogwarts.
Gli occhi di Severus Piton l’hanno incatenato come solo le
pallide iridi di suo padre, e, come davanti ad Axel, si è sentito un insetto.
Vulnerabile.
“Scheiße,” impreca a mezza bocca.
Ha voglia di piangere.
Ha voglia di urlare.
Stretto tra le maglie del ricatto, può solo chinare il capo e
obbedire.
Da che è diventato Mangiamorte, per la prima volta comprende
che no, la sua non è stata una scelta di libertà. Voleva vincere lo spettro del
padre e cosa ha ottenuto?
Una nuova catena.
“Sei… Sei rimasto fuori?”
Una voce lo sorprende alle spalle; incerta e giovane, è un
timbro che non conosce.
“Tu sei l’amico di Draco, vero?”
Astoria Greengrass ha l’incarnato di una bambola e la
timidezza di una cerva; tiene gli occhi bassi, come una bestiolina in allerta:
un intenso rossore le imporpora le guance e macchia la grana pallida dell’esile
collo.
Trovare il coraggio di rivolgergli la parola – immagina
Florian – deve aver esaurito ogni sua risorsa dialettica, perché se ne sta ora
silenziosa e immobile.
In attesa.
Von Kessel si rialza. La supera di un’intera testa e tanto
basta a farla arretrare di un paio di passi.
“Io sono Florian,” articola senza calore. “E tu devi essere
Astoria.”
“Mi conosci?”
“Sono stato ospite dei Malfoy, la scorsa estate. Ho visto un
tuo ritratto.”
La giovane Greengrass distoglie lo sguardo, paonazza. “È
stata un’idea di mio padre. Io…”
“Ehi… Non ti sto interrogando! Non c’è bisogno che
t’imbarazzi.”
Astoria libera un sospiro agonico, prima di sollevare il
capo. “Scusa… Non glielo dire a Draco che sono così imbranata!”
Florian sorride. “Comunque… La risposta è no.”
“Cosa?”
“La risposta alla tua domanda. Non sono rimasto fuori, ma non
avevo voglia di rientrare.”
“Immagino,” mormora Astoria, recuperando poco a poco quel suo
delicato pallore da damina di porcellana. “Mia sorella può essere molto…”
“Tua sorella?”
“Daphne. Vorrebbe che tu l’invitassi al ballo. Non è per
questo che eviti Serpeverde?”
Florian socchiude le palpebre, perplesso.
“Il Ballo del Ceppo. Per noi ragazze… Be’… Forse è l’evento
più importante dell’anno.”
“Ah.”
“Io andrò con Draco. Lo spero, almeno.”
C’è una punta di tristezza nel suo tono; una mestizia che non
le si addice.
“Perché non dovresti essere la sua dama? Sei la sua
fidanzata, no?”
Astoria si morde le labbra, senza guardarlo. “Draco, però,
preferisce perdere tempo con l’amica di Potter.”
Draco, che gioco ha scelto di giocare?
***
Si definiscono veleni tutte le sostanze alchemiche o presenti
in natura il cui scopo è alterare lo stato vitale, senza che tuttavia
sopraggiunga necessariamente la morte.
La luce delle candele proietta barbagli d’oro sugli arruffati
capelli di Hermione, mentre Ron ne spia distratto la pergamena.
“Certo che Piton gode proprio nel farsi odiare, eh? Un test
su antidoti e veleni! L’ultimo giorno del…”
Harry gli rifila una gomitata, anticipando di poco l’occhiata
furibonda della Granger.
“Zitti! Sto studiando.”
Dei veleni, distinguiamo cinque classi, secondo l’effetto che
producono in chi li assume.
Sebbene sieri appartenenti a classi diverse possano essere
uguali in ogni caratteristica, ben diverso può essere l’esito della loro
assimilazione.
Il livello di una classe è l’indicatore che definisce la
difficoltà di distillare l’antidoto, dunque la pericolosità della pozione in
esame.
Un altro criterio di classificazione è lo stato fisico, cioè
la condizione di somministrazione.
Sono detti gassosi i veleni che si assumono per inalazione;
liquidi, quelli da ingestione; sensibili, se l’effetto è subordinato al contatto
fisico.
A quest’ultima categoria appartengono le polveri applicate
alle armi da taglio.
“Aspetta… Sposta un po’ il gomito…”
Hermione solleva lo sguardo dalla pergamena, incredula e
furibonda.
“Ma… Ma stai copiando?”
Weasley fa spallucce. “Io? Non mi permetterei mai… Prendevo
giusto qualche idea!”
Harry sogghigna, salvandolo dall’ira furibonda di una
secchiona tradita.
“E anche tu! Avrai di sicuro qualcosa di meglio da fare, che
non imparare a memoria I Magnifici Sette!”
Da quando si è liberata dei suoi dentoni, Hermione è
diventata graziosa, pensa Ron.
Ha begli occhi e un broncio attraente.
Se non usasse la bocca solo per impartire lezioni di
buonsenso mai richieste, forse…
“Lo so che hai tempo fino al ventiquattro febbraio, per
capire il messaggio dell’uovo ma… Ron? Che hai da guardarmi imbambolato?”
… Forse ha ancora abbastanza cervello da eludere quel
pensiero.
Al ballo con Hermione?
E perché non Molly Weasley, a quel punto?
“Oh… A quanto pare anche il nostro fratellino ha deciso di
prendere l’iniziativa!” flauta mellifluo Fred, prima d’inginocchiarsi – mai
invitato – al suo fianco.
Hermione, paonazza, ripiega la pergamena con un paio di
strattoni rabbiosi.
Gli antidoti seguono la classe di veleno.
Ciascuno può curare dagli effetti di un siero di livello…
È destino: non ne saprà di più. Tanto vale arrendersi
all’invasiva prepotenza dei gemelli e a un’insufficienza annunciata.
“Che vuoi?” grugnisce.
“Che vuoi?” lo imita George, raggiungendo il fratello.
“Hai sentito, Freddy? Non ci vuole tra i piedi!”
“Già. È diventato grande, il nostro Ronald!”
Ron rotea gli occhi. Il suo è un destino da gregario;
un’infinita anticamera di panni smessi e prese in giro e parti di ripiego.
“Sul serio… Devo studiare!” mugugna, pur sapendo che nulla
impietosisce i gemelli – non di sicuro una maldestra professione di senso del
dovere, almeno.
“Studiare… Hai sentito George? Il ragazzo pensa a
studiare!”
Harry ride, perché non ha fratelli, dunque nemmeno immagina
quanto difficile sia sopravvivere loro; quanto dura e scorretta, soprattutto,
possa essere l’adolescenza di un ultimogenito – o quasi.
“Sì, magari!” rimarca Hermione, che ora non pare né carina,
né desiderabile.
È un’orrenda signorina-so-tutto, ecco cos’è. Più che i
dentoni, dovevano limarle il senso del dovere.
“Allora, ragazzi,” riprende Fred, insensibile alla sua
insofferenza. “Avete già tutti una dama o un cavaliere per il ballo?”
Non è giornata, mugugna Ron. Di tutte le domande che
potrebbe sostenere, questa è forse la più crudele e scorretta.
No, non ha una dama; a suonare scoraggiante, soprattutto, il
fatto che non abbia idea di come procurarsene una.
Harry distoglie lo sguardo, evasivo.
Potter è afflitto dal suo stesso dramma, ma con una sensibile
differenza: non ce l’ha perché non vuole, non perché non possa davvero
scegliere.
Harry è uno dei campioni, il Bambino Sopravvissuto e un eroe:
la triade delle condizioni che pongono un quindicenne medio al riparo da
qualunque rifiuto.
Ron Weasley, invece? Vale come credenziale un portentoso
talento scacchistico?
“No, non ce l’ho,” grugnisce, sotto lo sguardo ilare di due
gemelli spietati.
“Come volevasi dimostrare,” ironizza George, prima di
menargli uno schiaffetto. “Dovresti darti una mossa, genio! Le più carine non
resteranno senz’altro ad aspettare te!”
Ron sospira, poi tenta un affondo disperato. “E
voi due? Chi ci portate al ballo?”
Fred gli dà appena il tempo di concludere. “Con Angelina,”
replica asciutto.
“E lei lo sa?” insinua maligno.
Fred fa spallucce, poi si volta in direzione della Johnson.
“Ehi, Angelina? Vieni al ballo con me, vero?”
La risposta non si fa attendere: un sorriso e un sì
compiaciuto.
Quella dei gemelli è una vita di sfida e di rapina: non
temono il futuro, perché non esiste.
Non si lasciano condizionare dal passato, perché gli sono
sopravvissuti.
Credono nel presente, invece, perché lo stringono tra le
dita.
Sarebbe una bella lezione, se solo Ron Weasley non sapesse
d’essere fatto di ben altra pasta.
“Non hanno tutti i torti, però…” mormora, mentre Harry,
colpito e affondato da cotanta strategia, si accascia demoralizzato al suo
fianco. “Se non ci diamo da fare a invitare qualcuno, nella migliore delle
ipotesi, rimediamo due troll.”
“Due… Cosa?” sibila Hermione, che è tornata a imbrattare la
pergamena, ma non per questo sembra aver rinunciato alla conversazione.
“Due troll. Due bruttone. Due che solo un disperato
inviterebbe… Che so… Eloise Midgen? Millicent Bulstrode? Meglio andare solo, sul
serio che…”
“Eloise è una ragazza simpatica,” replica inviperita la
Granger. “E la sua acne è migliorata parecchio.”
Ron solleva ironico un sopracciglio. “Come se fosse l’acne,
il problema! Ha il naso storto!”
Hermione lo fissa con la simpatia che destineresti a uno
schiopodo lebbroso.
“Insomma… Quello che stai cercando di dire, è che inviteresti
anche una persona orribile, purché carina da guardare? Che non t’importa niente
di…”
“Be’, sì… Cioè… Una ragazza non deve essere per forza di cose
simpatica, no? Basta che sia…”
“… Sorda, Ron. Per accettare di trascorrere anche
cinque minuti appena in tua compagnia, deve essere sorda. E ora vado a letto!”
La sua è una ritirata furibonda, che lo lascia irritato e
confuso.
“Ma che ho detto di male?” chiede a Harry.
Potter, per tutta risposta, gli allunga una pacca
consolatoria.
“Mettiamola così… Se questa fosse una partita a scacchi, hai
appena perso la Regina.”
***
“Perché vuoi che vada al Ballo del Ceppo con Krum? Se
t’interessa tanto la mia umiliazione, fammi tu da cavaliere!”
Non sa dove abbia trovato il coraggio di formulare l’invito,
ma le è sfuggito di bocca prima che il cervello potesse arginare una leggerezza
tutta adolescenziale.
L’istinto ha deragliato, questa volta, e non le ha portato
fortuna.
“Ho già una dama. È Astoria Greengrass.”
Hermione affonda il viso nel cuscino e si sente patetica.
Ha tentato di vestire un abito che non era il suo e si è
specchiata, goffa, nel riflesso di una perdente.
Non era quel che voleva offrire a Draco.
Non è, soprattutto, quanto cerca per sé.
Si è accomiatata con una scusa, ha liquidato Viktor con un
saluto frettoloso e, finalmente al riparo della Sala Comune di Grifondoro, ha
cercato nei libri un alibi ai suoi occhi arrossati.
Stupida stupida stupida.
C’è chi piange sale, chi vomita inchiostro: una pergamena
fitta di sgorbi può essere una buona scusa per tutto, anche quando la useresti
volentieri per soffiarti il naso.
Non andrò al ballo.
Torno a casa.
Torno da mamma, da papà, dal tacchino.
Voglio un Natale babbano.
Questo, almeno, è quel che ha pensato finché Ron non le si è
seduto accanto e le ha sorriso.
“Ehi… Quale onore! Allora non ti sei dimenticata dei vecchi
amici.”
“Perché?” ha balbettato.
“Perché te ne stai sempre per conto tuo. Non facciamo più i
compiti insieme.”
Perché non mi fai più copiare i compiti: ecco cosa
intendeva Weasley, ma Hermione, la povera idiota, ha equivocato tutto.
Ha accarezzato persino un’illusione pericolosa.
E se m’invitasse lui?
Se andassi con Ron al ballo?
Se non altro le sue – tiepide – speranze sono morte prima
ancora di tradursi nell’ennesima offerta imbarazzante, ma cosa le resta?
Quindici anni e un cuscino che trabocca delusione.
Nel dormiveglia, quando le difese si attenuano e tutto sfuma
nell’ombra, i pensieri s’inseguono e non le danno tregua.
Pensa a Draco – alla sua bocca bellissima e ai suoi occhi
freddi.
Pensa a Ron – a un’amicizia che è quasi una cotta, ma senza
speranza.
Pensa a Krum – al solo che la guardi per quello che è: una
donna.
E dire che Viktor potrebbe concedersi la più bella di
Hogwarts, se solo volesse!
Ma è te che vuole.
È una vocina tentatrice e rassicurante; solletica la sua
vanità e le scivola, come una carezza, dritta al cuore.
Vacci con Krum.
Presentati al braccio del più desiderato della scuola.
Hermione nasconde la testa sotto il cuscino, mentre
Grattastinchi le soffia contro il proprio disappunto. Cos’hai da agitarti
tanto? potrebbe leggere tra un meow e l’altro, ma non le importa.
Forse ha preso la decisione più giusta.
Forse il suo sarà un Natale magico e non babbano.
***
Viktor lo aspetta sul ponte dell’arca e l’espressione non è
quanto diresti un trionfo di cortesia.
Draco deglutisce a fatica, perché può anche simulare la
superiorità degli intoccabili, ma la verità è che gli tremano le ginocchia.
Tanto.
“Posso sapere cosa sta capitando?”
Krum gli si rivolge in russo. Il suo tono, freddo e
imperativo, è privo delle buffe esitazioni che gli impone l’inglese.
Ha scelto una lingua che sente propria, questa volta. Ha
deciso di ricordargli chi è che comanda.
“Non capisco,” replica evasivo.
Gli occhi di Viktor lo sondano con inaspettato acume.
Non può permettersi di sottovalutarlo: è lo Czar dei
Cacciatori. È l’allievo più potente di Durmstrang.
“No. Quello confuso sono io,” sibila Krum. “Credevo che tu
volessi aiutarmi.”
“E… Lo sto facendo. Una campagna pro…”
Viktor stringe i denti. Il suo profilo affilato ricorda ora
più che mai quello di un rapace.
“Ho taciuto anche quando non avrei dovuto. Non ho raccontato
a nessuno quello che ho visto, anche se…”
“Tu non hai visto niente,” sibila Draco – la mano sana
stretta alla bacchetta.
Krum non muove un muscolo, ma una gelida morsa stringe Malfoy
alla gola.
Apre le labbra, ma l’aria non passa. Poco a poco, il suolo
smette di appartenergli.
“Io non amo fare del male,” ruggisce Krum, “ma questo non ti
autorizza a pensare che non possa avere ragione della mia natura.”
Draco annaspa.
Ha usato un incantesimo muto, Viktor: gli ha dato un saggio
di abilità che non dimenticherà per parecchio.
Quando la presa si allenta, cade in terra come un fantoccio.
“Se vuoi essere il mio rivale, gioca secondo le regole,”
sibila sprezzante lo Czar di Imbolc.
Draco si massaggia la gola ma fatica a ritrovare il fiato.
“Se invece vuoi farle del male, considerati morto.”
E il tono non è di quelli che consentono equivoci.
“Io… Io volevo convincerla a darti una chance,” sussurra – la
voce rauca e inconsistente. “Quando ci hai visti…”
“Non ho chiesto il tuo aiuto,” replica freddo Krum.
“Rispetterò ogni sua scelta, fosse anche un rifiuto, perché quella ragazza…”
È un idiota innamorato, pensa sollevato Draco, e chi ama
è senza pelle.
È nudo vulnerabile accessibile.
Potrebbe strappargli il cuore con ignobile facilità.
“Allora… Allora dovresti cercare il nemico lontano dalla tua
casa. Hermione non può accorgersi di te, se qualcuno non le insegna a
guardarti.”
Krum serra le labbra. “Non m’interessa il tuo punto di
vista.”
Draco sorride – un sorriso freddissimo e crudele. “Sbagli,
allora, perché io so cosa vuole Hermione Granger.”
***
È una piccola colomba bianca, quella che si posa sul suo
banco.
Una bianca colomba di carta di riso.
Perché io possa rubarti un ballo, dovresti avere un
cavaliere.
Sei ancora sicura che Viktor non t’interessi?
D.M.
Hermione chiude gli occhi.
Prima ancora che Piton la richiami con un apprezzamento dei
suoi, sa già che dirà di sì.
Sarà la dama di Viktor Krum.
Sarà una principessa bellissima e infedele.
Nota: il gioco di parole qui poggia su una leggera assonanza. Die Probe, in tedesco, vuol dire esame. Das Problem,
come lascia intendere il sostantivo, problema, ma anche difficoltà.