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Autore: FrozenShiver    04/09/2011    1 recensioni
La mancanza di un padre Sam l’aveva sempre sentita.
Nonostante avesse sempre finto di stare bene, nonostante avesse cercato di nascondere tutto lo schifo che sentiva dentro dietro quella maschera da “stronzo ribelle”.
E questo il Sergente Greg Parker l’aveva capito fin da subito, e mano a mano che il tempo passava, diventava sempre più sicuro della sua intuizione.
E diventava sicuro anche del fatto che sarebbe stato lui a fare da padre a quel ragazzo così fragile. Perché in fondo, avrebbe fatto bene anche a se stesso.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2_Ma Come Ti Sei Ridotto, Sam?!

La notte è gelata,buia, malinconica.
Il cielo, nero e pieno di nuvole,  è squarciato quasi ritmicamente da rapidi e accecanti lampi.
Fa freddo, ma quel freddo bagnato che ti penetra ovunque, fino al midollo.
Ma la casa del ragazzo è troppo familiare, troppo piena di ricordi, per poterci entrare, così decide di sedersi, ancora una volta dietro al bancone di un bar.
-cosa ti porto ragazzo?- la voce seccata
-una birra, grazie – cerca di rispondere il biondo, senza troppa convinzione.
Si tocca la guancia, ancora indolenzita e calda.
“Come ha osato colpirmi? Chi si crede di essere? Non è mica mio padre!”pensa, mentre, con voracità, beve quel nettare così delizioso che lo scalda così a fondo.
La rabbia di poco prima torna a graffiare le pareti della sua mente, cercando di uscire.
I pensieri feroci e rapidi, si mischiano con quella rabbia assassina, alimentata dall’alcool.
“stronzo, bastardo, ma adesso glie la faccio vedere io!” il suo cervello continua a sfornare frasi su frasi mentre, senza accorgersene è arrivato già alla decima birra e l’effetto dell’alcool si fa fortemente sentire.
Forse vorrebbe soltanto trovare u modo per sfogarsi, un modo per scaricare tutta questa ira.
Una bella rissa. Cavolo quanto darebbe in questo momento per una bella rissa.
-Hey ubriacone, perché non te ne torni a casa adesso? – una voce roca alle spalle.
Si dice che la paura sia per gli stupidi, e in questo momento Sam darebbe tutto per essere uno stupido. Ma ancora una volta è troppo orgoglioso per tirarsi indietro.
-cosa vuoi bestione?- risponde quanto più convinto possibile, alzandosi in piedi per mettersi di fronte a quell’uomo che in questo momento sembra più un armadio con le gambe –perché non vai a fare in culo da qualche altra parte?-
-hai la lingua troppo lunga ragazzino- risponde il colosso  afferrando l’altro per il collo della maglietta.
-non mi sembra che a tua madre sia dispiaciuto questo la notte scorsa – risponde il biondo con un ghigno.
Nel locale c’è un silenzio surreale e tremendamente pericoloso.
Un pugno nello stomaco.
Il sapore del sangue nella bocca sveglia in Sam quell’istinto omicida che l’esercito aveva installato così profondamente in lui.
Si rialza rapido, scaraventandosi con tutta la forza rimastagli contro quell’enorme bestione.
la lotta furiosa dura solo pochi minuti, interrotta da un unico piccolo gemito di Sam dovuto ad un colpo lancinante alla testa e uno identico alla schiena: qualcosa l’ha colpito tremendamente forte, tanto che sente ancora la spina dorsale scricchiolare.
Poi è tutto troppo veloce. Tre o quattro persone lo afferrano, buttandolo violentemente fuori dal locale, sotto la pioggia.
Il contatto con il marciapiede gelido e duro avviene praticamente subito, con uno schiocco secco e assordante.
Dolore. Tanto. Troppo.
Dolore dentro, che logora il cuore e distrugge la mente.
Dolore fuori, che brucia la carne viva e sanguinante.
La luna si intravede appena dietro delle nuvole che sono nere, quasi quanto il suo cuore in questo istante.
Già … il suo cuore … da quanto tempo soffre ormai? Anni?
Sente il corpo pesante, ma vuole alzarsi a tutti i costi.
Poggia il peso sugli avambracci e sulle ginocchia, cercando di tirarsi su.
Il respiro diventa affannato mentre il dolore, che fino ad un attimo fa sembrava essersi placato, torna all’attacco, rendendo tutto più lento e sfiancante.
Riesce a strusciare fino ad un lampione, grazie al quale riesce ad alzarsi in piedi.
Le fitte nei punti colpiti sono sempre più dannatamente atroci e la testa sembra scoppiare.
Se non fosse scappato a quel modo dalla base e da Parker forse a questo punto starebbe bene, magari arrabbiato, ma tutto sommato bene.
La pioggia intanto continua a fargli compagnia, mentre lui, barcollando, cerca di arrivare ad una panchina che intravede in lontananza.
Saranno 2oo metri massimo, eppure sembrano chilometri.
In questo momento vorrebbe solo piangere, ma la stanchezza è davvero troppo forte per poterlo fare.
La strada è completamente deserta, così come il parco e le vie attorno, eppure, qualsiasi direzione guardi, vede tante persone, tanti ragazzi come lui.
All’improvviso i suoi piedi si arrestano e una specie di verso rauco e continuo comincia a salire dalla sua gola fuggendogli dalle labbra.
Quello che ha appena visto lo ha completamente terrorizzato e abbattuto.
Lui era lì.
Il suo migliore amico, suo “fratello per finta”, colui che era morto per un suo errore. Un fottutissimo errore.
Sam i turni di guardi li ha sempre odiati, specialmente poi quando si era sotto allarme e partiva l’ordine “sparate a qualsiasi cosa si muove”.
Nel momento in cui il suo corpo si abbandona sulla panchina le lacrime iniziano a scendere copiose sulle sue guancie.
Trema, per il freddo, per la rabbia, la paura.
Cosa ne sarà adesso, di questo ragazzo? Così orgoglioso di per chiedere aiuto, ma così bisognoso di averlo?
“ma come ti sei ridotto Sam …” è l’ultimo pensiero che il giovane riesce a fare prima di abbandonare per non sa quanto tempo quel corpo che, ormai, non è più il suo.
  
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