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Autore: Federico    05/09/2011    1 recensioni
Ciao a tutti, come va? Dopo il buon risultato di "Lerna", aggiungo un nuovo capitolo alla mia saga "Sulle tracce dei mostri".
Durante una festa di Natale, Naruto, Sasuke e le loro famiglie scoprono in un polveroso baule un vecchio diario: si tratta delle memorie del Naruto loro antenato che sbarcato in America nell'800 divenne dopo aver ucciso un wendigo un cacciatore di mostri per il bene dell'umanità, girando tutto il Nuovo Mondo e affrontando i nemici più terrificanti con l'aiuto di alcuni valorosi compagni...
Se vi sono piaciute "Il terrore dee boschi solitari","Nel regno delle leggende" e "Lerna", non potete assolutamente perderla.
Ci saranno avventure, misteri, battaglie, magnifici paesaggi e nuovi appassionanti personaggi. Mi raccomando,leggete e recensite, ci tengo! Ciao a tutti!
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Sulle tracce dei mostri'
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Nebula216: Sono contento di essere addirittura una fonte di piacere per gli utenti, grazie.

L'amicizia fra quei due era già presente abbondantemente nella prima storia, e continuerà.

Per l'idea del viaggio attraverso l'America mi sono ispirato a Supernatural.

Quanto alla maledizione beh, boh, chissà, vedremo poi...

Grazie di seguirmi fedelmente, alla prossima!

 

Mi spiace gente, ma al 99% credo che anche domani dovrò pubblicar eil capitolo verso le 16: 30/17:00 causa impegni serali. Voi comunque state in campana, qualunque ora sia.

Stasera entra in scena un personaggio che si rivelerà fondamentale ai fini della storia, nonché uno dei miei preferiti nel manga. Buona lettura a tutti!

 

Lo straniero

 

Mentre i due discutevano dei loro benefici propositi con il capo e la sciamana, alcuni uomini che sostavano chiacchierando poco fuori da Ice Lake fecero uno strano incontro.

I tre, che sedevano oziosi e si appoggiavano con la schiena, ai tronchi del limite del bosco vicino a uno dei sentieri sassosi e ora coperti di foglie che conducevano al villaggio, stavano caricando i fucili e fumando qualche pipata in preparazione di una battuta di caccia all'alce che avrebbe rifornito le loro famiglie di carne per qualche settimana.

Mentre stavano conversando amabilmente sul tempo, sulla stanchezza, sul tormento causato dalle rispettive consorti e sulle loro previsioni per la prossima caccia, udirono un rumore di zoccoli e un nitrito lontano, accompagnati dal suono di un paio di stivali che calpestavano le foglie morte e scansavano i sassolini, nonché da una malinconica ballata cantata a mezza voce da qualcuno.

Dopo pochi attimi l'individuo misterioso superò la collinetta che momentaneamente lo nascondeva alla vista dei cacciatori, e con lo stesso passo lento continuò ad avanzare verso l'insediamento.

Era un nero estremamente alto, sotto le cui vesti si indovinavano un corpo robusto ma asciutto e muscoli poderosi; aveva i capelli di un curioso colore a metà strada fra il biondo e l'argentato e una corta barba del medesimo colore, mentre sulla pelle scura della guancia sinistra erano tatuate le corna di un toro, forse a indicare la forza e la tenacia del possessore di quel marchio.

Indossava una giacca e dei pantaloni di pelliccia, forse d'orso, che non dovevano essere stati lavati da parecchio; ai piedi calzava mocassini indiani e come copricapo aveva un buffo berretto, simili a quello che si diceva avesse il famoso Davy Crockett, ricavato da una pelle di procione e da cui ancora pendeva la folta coda dell'animale.

Era anche dotato di un grosso cinturone di pelle conciata a cui erano assicurati una coppia di pistole con le loro fondine e un pugnale, usato probabilmente per scuoiare gli animali.

Con la mano sinsitra conduceva per la briglia un cavallo che portava in groppa una sella a cui erano stati fissati un fucile, un'ascia, una borraccia, nonché altre sacche di cui una particolarmente grande in cui sembravano essere conservate delle pellicce.

Non era difficile per i tre paesani supporre che quello straniero che veniva da sud fosse un nero americano affrancato in seguito alla Guerra di Secessione o un mulatto, che si era costruito una vita libera e selvaggia percorrendo le grandi foreste incontaminate sparando e sistemando trappole, esplorando e traversando fiumi: era un trapper, un mountainman, un coureur des bois; insomma, in parole povere un cacciatore di animali da pelliccia.

Il nero si fermò a pochi passi dai cacciatori, alzò una mano in segno di amicizia per rendere palese la propria presenza e parlò con un forte accento statunitense, anche se i canadesi non avrebbero saputo dire di che parte di quel Paese: “Salve gente! Qui si parla inglese, no?”.

“Dipende, anche francese” replicò piccato uno dei tre, proveniente da quella nazione.

“Oh, ça va bien mounsier! Comunque, mi stavo chiedendo che posto è questo. Non è la prima volta che passo di qui in tanti anni, e non mi sembrava ci fosse un villaggio”.

Un altro canadese prese la parola: “Si chiama Ice Lake o, come direbbe il mio qui presente amico Georges, Lac du Glace. E' stato fondato appena un anno fa”.

“Eh, non sono più gli stessi di una volta i boschi! Spuntano come funghi ormai, queste città. Anche giù negli States...” fece quello malinconico.

Frattanto anche il terzo paesano prese parte alla conversazione: “Ma tu...chi sei? Da dove vieni?”.

Il nero gli tese la mano, il sorriso che non voleva abbandonare la faccia: “Diciamo che non ho una casa vera e propria, ma sto bene ovunque. Vi basti sapere che tutti mi chiamano Killer Bee, e sono uno dei migliori trappers sulla piazza! Ma ora parlatemi un po' di voi: come si sta qua? Fa freddo vero? Ci sono Indiani nei paraggi?”.

“Un villaggio di Cree subito oltre il bosco” rispose il franco-canadese indicando in quella direzione. “Non ci hanno mai dato fastidi, anzi, siamo ottimi amici”.

“Cree, eh? Bene, ho già trattato parecchie volte con loro in passato. L'importante è che non mi facciano concorrenza...A proposito, avete mica bisogno di pellicce? Guardate qua cosa ho: castori, linci, volpi, lontre, orsi...Tutti presi con le mie mani” e tirava fuori qualche pelle arrotolata dalle

magnifiche sfumature per stupirli.

“Chissà, potresti provare in giro...” e salutandosi reciprocamente il capannello si sciolse.

Nel corso della mattinata e del pomeriggio Killer Bee fece il giro del villaggio, bussando a tutte le porte e cercando clienti per le viuzze contornate da case di legno, e così riuscì facilmente a piazzare tutta la propria mercanzia ricavandone un discreto guadagno.

In generale l'arrivo del mountainman americano non cambiò di molto la vita della comunità, anche se portava con sé il fascino dell'avventura e di luoghi esotici (come gli Stati Uniti, ad esempio).

Proprio mentre Bee finiva di contare i soldi che riempivano la sua sacca e si apprestava a tornare in sella, davanti a lui si parò un uomo alto e prestante, la folta chioma bionda e gli occhi azzurri.

Salutandolo timidamente disse: “Salve signore. Io sono Minato Namikaze. Non sono il padre del villaggio, come qualcuno potrebbe avervi raccontato, ma solo uno che cerca di mantenere armonia nella comunità. Ho sentito molto parlare della vostra venuta e vorrei conoscervi personalmente.

Vi sarei grato se accettaste di trascorrere la notte nella mia dimora, prima di ripartire”.

Le labbra prima serie dello statunitense si distesero in un sorriso: “Sempre così voi Inglesi...Sempre con la vostra cortesia e il vostro té...Accetto volentieri la vostra ospitalità, se non vi ripugna questo rozzo cacciatore. Credo di aver perso il conto dei mesi da cui non tocco un letto civile...Ad ogni modo vorrei sdebitarmi offrendovi questa, signor Namikaze”.

Dicendo così frugò fra i bagagli sul cavallo e ne estrasse una bellissima pelliccia maculata di lince.

“Sarà un dono più che gradito per un uomo semplice come me” ribattè Minato, e i due si avvairono verso casa.

Non appena varcarono la soglia si trovarono di fronte un Naruto allibito.

“Papà...ma chi è quello?”.

“Un ospite. Suvvia, non fare quella faccia, guarda cosa ci ha regalato questo gentile signore” lo riprese il padre stendendogli sotto gli occhi la pelle di lince.

Naruto fu momentaneamente distratto e ammansito da quella vista e accettò addirittura di scambiare le presentazioni di rito, ma più tardi durante il pasto non potè che osservare con un pizzico di disgusto le rudi maniere dell'americano, il tutto sotto gli occhi attenti ma bonari di Minato.

Subito dopo, mentre Bee si concedeva un bicchiere, padre e figlio si appartarono per discutere di un'importante decisione.

“Sei veramente persuaso di volerlo fare figliolo? E' un viaggio lungo, difficile...Potresti star via per chissà quanto, mesi, forse anni...E poi, sinceramente, non ne hai abbastanza di questi mostri?” lo rimproverava duramente il genitore non perchè volesse sopprimere in lui il naturale desiderio di viaggi e avventure, ma per farlo riflettere attentamente sulle conseguenze di quello che poteva rivelarsi un viaggio di sola andata, irto di insidie e dalle dfubbie finalità.

“Ma papà” protestò il giovane, i lucciconi agli occhi, “io mi fido di Jiraya, è un uomo molto saggio.

E pensa a Sasuke...Sta soffrendo tanto in questo momento, io lo capisco, e vorrei proprio distoglierlo dal suo dolore. E pensa anche a tutti gli innocenti là fuori: quante persone sono morte prima che riuscissimo a fermare i wendigo? Se davvero tutto questo avviene ogni giorno anche nel resto dell'America, come puoi permettere che una tale crudeltà continui?”.

Minato abbassò lo sguardo, e subito rialzò gli occhi seri: “Hai ragione, ormai la nostra famiglia ha cominciato a sradicare il Male dal mondo e deve continuare. Ma vi accompagnerò ragazzi: starei troppo in pensiero senza di voi, e anch'io voglio fare la mia parte”.

Un rumore di passi e una voce li indussero a voltarsi di scatto: “Bene, bene, e così giochiamo ai cacciatori? Vi dirò una cosa: anch'io nel corso degli anni ho perso amici e compagni per colpa di queste...cose diaboliche, e vorrei vendicarli, anche se fino ad ora non ne ho avuto mezzo”.

Ambedue fissarono attentamente il trapper: “Possiamo fidarci di te?”.

L'americano gonfiò il petto, ferito nell'orgoglio: “Sapete con chi state parlando? Io sono il grande Killer Bee! Io ho attraversato il continente da un oceano all'altro, sono stato in Canada, nell'Oregon, nel Montana, in California, nel Dakota, in Messico! Parlo un sacco di lingue, so cacciare nei boschi, procurarmi il cibo, conosco i sentieri, ho mille amici: dove lo trovate uno con la mia esperienza?”.

Naruto ci riflettè un attimo su, poi mostrò i denti bianchissimi in un sorriso sbarazzino ed esclamò felice: “Ma certo uomo dei boschi, sei dei nostri! Ora ci serve altra gente!”.

  
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