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Autore: Shira    06/09/2011    2 recensioni
Una notte di pioggia una ragazza trova ospitalità in una casa abitata da una numerosa famiglia ricchissima, viziatissima e tremendamente snob. Lei è cresciuta in un orfanotrofio, sa cosa sia la povertà e detesta le persone che si credono superiori agli altri solo perchè hanno un conto con più di venti zeri.
E se proprio in questa famiglia trovasse la persona pronta a sconvolgerle e cambiarle la vita?
A volte basta guardare oltre le apparenze per trasformare l'odio in amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Shoujo-ai, Slash, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bene, e così mi trovo qui, senza sapere cosa fare, ad aspettare una sconosciuta, sperando solo che si degni di arrivare alla svelta. Sospiro piano e mi appoggio sul divano, portando le braccia dietro la testa e creandomi così un comodo cuscino. Pochi secondi dopo sento qualcuno bussare alla porta, sto per alzarmi, ma Ives mi precede, dirigendosi alla porta ed aprendola.
“Buonasera signorina Robin”
“Buonasera Ives”
Il tono è sprezzante, come se si stesse rivolgendo a uno scarafaggio ed io non posso fare a meno di trovarla istantaneamente antipatica...ma quando varca la soglia spalanco gli occhi e la bocca guardandola con la stessa espressione di un pesce lesso.
Sarà anche antipatica e snob, ma diamine se è una bella ragazza! Non posso fare a meno di fissare il suo corpo perfetto e ben modellato e i suoi lunghi capelli neri che le accarezzano il fondoschiena. Lei deve accorgersi del mio sguardo perchè subito mi fissa con gelidi occhi dello stesso colore del mare.
“E questa selvaggia chi è?”
Improvvisamente mi risveglio dal torpore e la osservo con aria offesa.
“Non sono una selvaggia!”
dico a voce alta, scattando come una molla dal divano su cui mi ero abbandonata. Lei continua a guardarmi con aria di sufficienza e noto che anche il suo sguardo è fisso sul mio corpo, ma a giudicare dalla smorfia di disgusto dipinta sulle sue labbra credo stia giudicando i miei vestiti logori più che il loro contenuto. Non che il contenuto sia meglio, visto che ho un corpo molto mascolino e un seno incredibilmente piatto. Non come il suo, che si mostra morbido e abbondante sotto il vestitino rosa, tremendamente attillato e tremendamente corto. Ok, sto delirando, devo tornare a concentrarmi sulla sua aria da snob.
Lei inarca un sopracciglio e si volta verso Ives, come a chiedere spiegazioni della presenza di una volgare plebea nella sua casa.
“Il signor Claverton ha ritenuto opportuno ospitarla per la notte”
Il suo sguardo torna verso di me e la osservo scrollare le spalle con indifferenza.
“Allora vieni, selvaggia, ti mostro la tua camera”
Inizia a salire le scale ed io sto per replicare nuovamente che non sono una selvaggia, ma improvvisamente il mio sguardo viene catturato dal movimento ipnotico del suo fondoschiena, che bascula a destra e a sinistra.
“La camera degli ospiti è subito davanti alla mia”
Destra, sinistra, destra, sinistra.
“Non so perchè mio padre abbia scelto di ospitarti, ma non discuto le sue decisioni”
Sinistra, destra, sinistra, destra.
Improvvisamente si ferma e si volta, ed io ringrazio i miei riflessi felini che mi permettono di alzare la testa verso il suo viso prima che si accorga del mio eccessivo interesse per il suo corpo.
“Ecco”
Con un vago gesto del braccio -deve essere un vizio di famiglia non indicare chiaramente- mi indica una camera chiusa da una pesante porta di legno. Subito davanti si trova un'altra porta, sempre di legno, ma tinta di rosa. La sua, sicuramente. Ci sono altre porte, ognuna tinta di un colore diverso.
Ma dove sono finita?
La mia dea snob entra in camera sua senza più degnarmi di uno sguardo, mentre io mi ritiro nella camera degli ospiti, osservandola con sguardo distratto.
Mobili pregiati, un tappetto sicuramente di lusso -su cui cadrò più volte, già lo so-, un lampadario in oro, almeno credo. Un bagno privato. Oddio.
Sospiro piano prima di abbandonarmi sul letto, dove cado in un sonno profondo.

* * * * * *

Belle dorme profondamente, intanto, nella sua camera, Robin si toglie il leggero vestito rosa che le copriva le forme aggraziate, sistemandolo con cura nell'armadio. Sbuffa impercettibilmente, lanciando uno sguardo alla porta. Unica barriera -oltre al corridoio e all'altra porta- che la separa dalla selvaggia. Suo padre deve essere impazzito, non c'è altra spiegazione! Ospitare una plebea in casa loro...e se avesse rubato qualcosa? E se li avesse assassinati nel sonno? Era solo una stracciona, e per di più si era accorta perfettamente che la giovane aveva passato tutto il tempo a guardarle il fondoschiena!

Rapidamente si avvicinò alla porta e la chiuse a chiave. Non si sa mai. Non voleva rischiare di essere molestata nel sonno da una villica. Rimane in intimo e rapidamente si getta sul letto, coprendosi con le coperte di seta e addormentandosi nel giro di pochi minuti.

 
La casa è profondamente addormentata, persino il maggiordomo è andato a dormire, dopo aver terminato il suo dovere. Tutti dormono, incuranti di ciò che accadrà il giorno dopo, incuranti del destino. Solo John non riesce a dormire. Una vaga idea gli frulla in testa, impedendogli di cadere tra le braccia di Morfeo. Un sorriso appare improvvisamente sulle sue labbra, mentre sua moglie si rigira al suo fianco, profondamente addormentata. Finalmente l'uomo ha preso la sua decisione, ed ora può lasciarsi andare al sonno del giusto.

 
La notte passa e un nuovo giorno si fa strada tra le tenebre. La servitù è la prima ad alzarsi, seguita da John e poco dopo da Belle, abituata ad alzarsi presto, la mattina. Il resto della famiglia è ancora immerso in un sonno profondo.
“Buongiorno Belle”
La saluta John senza alzare gli occhi dal giornale che sta leggendo.
“Buongiorno signore” risponde la ragazza educatamente.
L'uomo sorride e ripone il giornale, portando lo sguardo su di lei.
“Mia cara, chiamami John”
“Va bene, John”
L'uomo sorride e batte un paio di volte il bastone a terra.
“Ti piacerebbe continuare a vivere qui? Saresti trattata come una della famiglia, ottimo cibo, buona compagnia”
Belle pensò tra sé e sé che sembrava il dépliant di un villaggio turistico, ma non vedeva altre soluzioni, non poteva tornare a vivere sotto un ponte, aveva già subito degli abusi in orfanotrofio, abusi che erano continuati nella vita sulla strada, era il momento di darci un taglio.
“Va bene”
rispose quindi, titubante. L'uomo continuò.
“Naturalmente in cambio dovrai svolgere alcuni lavoretti per noi”
Ecco la fregatura.
“...D'accordo”
Tanto non c'era via d'uscita.
L'uomo sorrise e tornò a immergersi nella lettura del suo giornale, mentre Belle si sedeva su una sedia posta intorno al tavolino.
Subito una signora grassa vestita con un completo da cuoco e dall'aria gentile le si avvicinò, sorridendole in modo materno.
“Tu devi essere Belle”
“Sì, signora”
“Io sono Adeline”
Belle sorrise, contenta di far la conoscenza di un altro membro della servitù, era sicura che si sarebbe trovata meglio con loro che con gli snob.
“Piacere di conoscerti, Adeline”
La cuoca sorrise e le posò davanti un vassoio carico di ogni genere di vivanda per la colazione.
Brioche, fette biscottate, crostini, burro, marmellata, the, caffè, latte. Tutto, c'era tutto.
Una nuova figura fece la sua apparizione dalla cucina: una ragazzina con lunghi capelli castani, tenuti legati in una crocchia. Dagli abiti intuì che si trattava di Constance, la cameriera. Il suo sguardo vagò sulla figura della ragazza. Non male. Era una ragazza carina, anche se piuttosto banale. Doveva essere più giovane di lei, però. Circa sedici anni, a prima vista.
Ma era legale fare lavorare una ragazzina di sedici anni?
Tornò a concentrarsi sulle brioche, ma riusciva a sentire distintamente lo sguardo della cameriera su di lei, si voltò di scatto, cogliendola in fragrante e Constance arrossì fino alla punta dei capelli.
Un ghigno si dipinse sulle labbra di Belle, forse aveva appena trovato il modo di rendere il soggiorno piacevole.

 
Un rumore di passi attirò la sua attenzione e lei si voltò, osservando le figure che lente scendevano le scale. La prima era una donna di una certa età, ancora molto bella, con capelli biondo cenere stretti in un chiffon. Doveva essere Elizabeth, la moglie di John. Subito dietro di lei avanzavano due ragazze, sicuramente Stefany e Vera. Il suo sguardo si fermò sulla più grande, Stefany, aveva lunghi capelli mori ed assomigliava terribilmente a Robin, sembravano quasi gemelle, nonostante il divario d'età. Ciò che le distingueva era lo sguardo, quello di Robin era altezzoso e pieno di boria, Stefany invece aveva uno sguardo gentile. Subito dietro di lei avanzava la sorella Vera. Una ragazza alta e molto magra -forse anche troppo- con capelli biondo cenere di media lunghezza che portava legati in due code, a causa della sua pettinatura nel complesso aveva l'aria di una ragazzina. Il terzetto scese le scale e si sedette al tavolo, lanciandole delle occhiate curiose ma senza dire nulla.
“Questa è Belle”
esordì John, catturando l'attenzione della sua famiglia.
“Resterà da noi e in cambio eseguirà piccoli lavoretti”
Le tre donne annuirono, concentrandosi sulla colazione come se nulla fosse. Belle intuì di non essere all'altezza della loro attenzione, dovevano considerarla solo una piccola plebea.
La giovane bionda strinse i denti e si costrinse a continuare a mangiare, ma di nuovo venne distratta dal rumore di qualcuno che scendeva le scale. Si voltò e vide Robin scendere a passo di marcia, con il suo solito sguardo altezzoso. Dietro di lei trotterellava allegro un piccolo angioletto biondo. Icàr.
“Sei ancora qui?”
chiese la principessa osservando Belle con sguardo di sufficienza.
John ripeté la sua decisione, mentre Robin lo guardava sbigottita. Un ringhio sommesso uscì dalla sua bocca ma a prezzo di una grande fatica si costrinse a rispondere
“Come vuoi, papà”
Il signor John ripose il giornale e prese il suo bastone e un cappello a cilindro.
“Io esco, badate voi alla casa. Belle, sai guidare un'auto?”
Belle lo osservò sbigottita
“Non ho la patente”
Lo sguardo di John era gelido
“Non è quello che ti ho chiesto”
Belle deglutì a vuoto e annuì
“Sì, so guidare”
Un sorriso illuminò il volto del padrone di casa
“Perfetto, allora accompagna tu Robin a scuola. Io oggi non ho tempo e lei ancora non riesce a guidare senza riportarmi l'auto in condizioni disastrose”
Robin ringhiò ancora, osservando suo padre.
“Posso chiamare Arthur e...”
lo sguardo di suo padre la raggelò sul posto
“Scusa, non ho capito. Stai dicendo che vuoi discutere una mia decisione?”
Robin sembrava terrorizzata e per un breve istante -molto breve- Belle provò pena per lei.
“No, padre”
“E quindi?”
“Andrò a scuola con Belle”
John sorrise e uscì, prendendo una delle auto che si trovavano sul vialetto e lanciando a Belle le chiavi di una delle altre.
C'erano cinque macchine! Cinque! Ancora una volta Belle ebbe la certezza che sarebbe stata dura vivere lì, a rallegrarla c'era solo il pensiero della cameriera.
I suoi occhi vagarono sulla figura di Robin.
Ecco, peccato solo che la graziosità della cameriera svanisse come un fiore appassito di fronte alla perfezione di Robin. Possibile che un corpo tanto perfetto dovesse contenere un'anima tanto odiosa?
Robin la superò senza degnarla di uno sguardo, fermandosi vicino a una grande auto nera. Belle abbassò lo sguardo fino a leggere il modello. Porche. Bè, non si aspettava certo che una famiglia del genere avesse una Punto.
Rapidamente aprì le portiere dell'auto ed entrò, seguita a ruota da Robin che si sistemò al suo fianco. Mise in moto la macchina ed iniziò a fare manovra per uscire.
Rapidamente iniziò a vagare sulla strada, diretta verso la città più vicina. Non sapeva dove si trovasse la scuola di Robin, ma di certo non in quello sperduto paese.
“Come mai vivete così lontani dalla città?”
chiese, curiosa. Robin sbuffò appena, ma poi decise di degnarsi di rispondere.
“Per i cavalli”
“Cavalli?”
Robin sbuffò di nuovo
“Gli ettari di terreno su cui si trova la villa appartengono a noi, ci teniamo i cavalli per l'equitazione. La facciamo tutti fin da piccoli, è una tradizione di famiglia”
Bene, pure i cavalli avevano!
Belle continuò a guidare silenziosamente, mentre Robin guardava fuori dal finestrino con aria assente.

 
Intanto nella villa Stefany passeggiava nervosamente sotto il portico, aspettando l'arrivo del suo storico fidanzato, Chuck, che doveva portarla a fare una passeggiata. Vera le passò di fianco, tenendo per mano Icàr.
“Che ne pensi della nuova arrivata?”
Stefany si girò verso la sorella, alzando le spalle con noncuranza.
“Perchè?”
“Perchè Constance sembrava interessata” ribattè Vera ridacchiando, mentre sistemava Icàr sulla macchina per portarlo a fare un giretto in attesa dell'arrivo del precettore. A differenza di Robin, il piccolo non andava a scuola, ma riceveva lezioni direttamente a casa.
Stefany la osservò, gettando via la sigaretta che prima pendeva nelle sue labbra e spegnendola con il tacco.
“Però a me Belle sembrava più interessata alle curve di Robin”
Vera si sistemò nell'auto dalla parte del guidatore, abbassando il finestrino su cui la sorella maggiore si appoggiò, per continuare la conversazione.
“Ma ora Belle lavora per noi”
Stefany inarcò un sopracciglio.
“E allora?”
“Bè, si sa come funzionano queste cose...i padroni con i padroni, i servi con i servi”
Stefany si allontanò di scatto dall'auto, come se si fosse scottata, osservando la sorella con uno sguardo carico di disprezzo.
“Non dovresti parlare così!”
Vera mise in moto la macchina, strizzando l'occhio alla sorella.
“Non è colpa mia se non tutti hanno la fortuna di essere ricchi come noi. Evidentemente non meritano di esserlo”
La macchina partì, lasciando Stefany in attesa, tremendamente adirata con la sorella, e un po' con tutta la famiglia. Sapeva bene che se Vera e Robin la pensavano così non era per colpa loro, ma per colpa dell'educazione che avevano ricevuto. Ma questo non mitigava certo la sua rabbia.
Una macchina si avvicinò a gran velocità, sterzando all'ultimo secondo ed evitando il cancello della villa solo di pochi millimetri.
Chuck era arrivato.

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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