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Autore: Shira    07/09/2011    3 recensioni
Una notte di pioggia una ragazza trova ospitalità in una casa abitata da una numerosa famiglia ricchissima, viziatissima e tremendamente snob. Lei è cresciuta in un orfanotrofio, sa cosa sia la povertà e detesta le persone che si credono superiori agli altri solo perchè hanno un conto con più di venti zeri.
E se proprio in questa famiglia trovasse la persona pronta a sconvolgerle e cambiarle la vita?
A volte basta guardare oltre le apparenze per trasformare l'odio in amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Shoujo-ai, Slash, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il destino si è accanito contro di me...non c'è altra motivazione. Non riesco a capire come sia possibile che io, Robin Claverton, sia costretta a viaggiare in auto con una villica. Cosa diranno i miei compagni di scuola vedendomi con una stracciona? E il mio fidanzato? Riderà di me per secoli, ne sono sicura. Il mio sguardo saetta verso la giovane bionda, impegnata alla guida e un lieve rossore si diffonde sulle mie guance mentre torno ad ammirare il paesaggio. Sì, è una rozza selvaggia, però devo ammettere che è affascinante, è proprio quell'aria selvatica che la rende irresistibile, come una tigre in gabbia. Non posso fare a meno di chiedermi quanta passione possa mettere in un rapporto, sono sicura che sarà una bestia, un animale liberato, la tigre a cui viene mostrata una bistecca dopo giorni di digiuno...

Il rossore sulle mie guance aumenta e io cerco di concentrarmi sui profili degli edifici, siamo arrivate in città.

“Dov'è la tua scuola?”

la sua voce mi risveglia ed io mi volto verso di lei. E' strano, quando la guardo provo questo mix di attrazione e repulsione. E' una poveraccia, non è al mio livello, vorrei che se ne andasse per non tornare mai più, ma allo stesso tempo vorrei che riversasse su di me tutta quella passione che sento palpitare dal suo corpo. Ok, sto delirando.

“E' quell'edificio in stile barocco”

Mi guarda scettica ed io intuisco che una villica non deve intendersi molto di architettura.

“Quello”

glielo indico e lei sorride soddisfatta, per poi accostare la macchina e permettermi così di scendere. Mi guardo intorno, ma del mio ragazzo neanche l'ombra. Belle sta per scendere, ma io rapidamente mi sporgo dentro la macchina fino al suo sedile e la trattengo per un braccio. Non posso farmi vedere in giro con una come lei!

Forse nel trattenerla uso un po' troppa forza, ed evidentemente lei non doveva aspettarsi una reazione così brusca, perchè il suo corpo si lascia cadere verso di me, mentre lei si volta, incuriosita dalla mia azione.

E a causa di questo nefasto agglomerato di azioni le nostre labbra si sfiorano appena ed io subito arrossisco come un peperone. Farfuglio qualche parola dal dubbio significato e, veloce come la folgore, mi precipito verso la scuola, senza voltarmi indietro.

* * * * *

Belle rimase qualche secondo interdetta quando la vide scomparire a tutta velocità, senza una sola parola si portò una mano sulle labbra, quelle stesse labbra che per qualche secondo erano state a contatto con le sue. Riusciva ancora a sentire il suo tenue odore di vaniglia che aleggiava per l'abitacolo. Con un sorriso idiota stampato in faccia Belle mise in moto la macchina, decisa a fare un giro della città in attesa dell'uscita di Robin.

Intanto alla villa Icàr seguiva con attenzione il precettore che lentamente gli dettava un testo per mettere alla prova la sua conoscenza della grammatica. Vera era seduta in un angolo, assorta nei suoi pensieri, mentre guardava fuori dalla finestra. Sentiva che a breve il mondo le sarebbe caduto addosso, ne era sicura, se lo sentiva. Quella mattina, mentre portava Icàr al parco giochi per qualche minuto, in attesa del precettore, aveva telefonato al Dottor Gordon, pregandolo di fissarle una visita il prima possibile. Domani. Il giorno dopo avrebbe scoperto se il suo istinto aveva ragione.

Un nuovo sospiro uscì dalle sue labbra, e se la sua peggiore paura si fosse avverata? Come avrebbe potuto parlarne a suo padre? Non l'avrebbe mai perdonata. Peggio, l'avrebbe ripudiata. Lei avrebbe perso tutto...il prestigio, la ricchezza, il nome. Sarebbe diventata una stracciona, si sarebbe ritrovata a fare da cameriera alle persone ricche, come Constance. Non poteva pensare a questa eventualità. Doveva fare qualcosa, trovare una soluzione. Doveva parlare con Chuck, decidere con lui un piano d'azione. Ma forse prima era meglio aspettare i risultati.

Belle aveva appena finito il giro dell'isolato, quando si accorse di un bagliore sotto il sedile del passeggero. Immediatamente accostò e si chinò per scoprire la natura del misterioso oggetto luccicante. Un cellulare argentato. Doveva essere di Robin. Belle restò pensierosa qualche secondo, in preda ai dubbi...doveva portarglielo? Ma per farlo doveva entrare nella scuola della snob e lei non gliel'avrebbe mai perdonato.

D'altronde non era colpa sua se la dea aveva deciso di fare la parte della Cenerentola moderna che invece della scarpetta perde il cellulare.

Con decisione fece manovra per tornare a immettersi nella strada e subito si diresse verso la scuola, accostando davanti all'ingresso. Osservò l'imponente edificio per qualche secondo, sospirando appena, quindi, con il cellulare ben stretto tra le grinfie, aprì il cancello e camminò lungo il vialetto. Si sentiva addosso gli sguardi dei ricconi snob, tutti vestiti elegantemente come se dovessero partecipare a un matrimonio. Lei indossava solo un paio di jeans strappati e una maglietta bucata in più punti, oltre a delle scarpe al tennis ormai lise.

Strinse i denti, ringhiando sommessamente degli spergiuri contro quei ricconi figli di papà.

Varcò il portone, ritrovandosi così all'interno dell'edificio, dove altri ricchi rampolli si girarono per guardarla come se si trattasse di un alieno. Lei si avvicinò a uno dei ragazzi più vicini.

“Ciao”

lui non si degnò di risponderle, osservandola alzando un sopracciglio in modo scettico

“Sto cercando Robin Claverton, lei...”

non riuscì a completare la frase, perchè l'erede subito iniziò ad ignorarla, tornando a parlare con i suoi amici come se lei non gli avesse mai rivolto la parola. La rabbia iniziò a scorrere nelle vene della ragazza bionda che stava per lanciarsi nella sua famosa serie di insulti da camionista, ma venne fortunatamente bloccata da una mano che si posò sulla sua spalla.

Lei si voltò, speranzosa di trovare la sua dea snob, così da restituirle il cellulare e sparire alla velocità della luce. No. Non era la sua dea.

Davanti a lei si trovava un ragazzo con corti capelli castani. Era carino ma piuttosto basso considerando la media maschile...e probabilmente anche quella femminile. Era alto esattamente come lei, e lei con il suo metro e sessantacinque non si era mai sentita particolarmente vicina alla media. L'unica consolazione era che Robin era ancora più bassa, un metro e sessanta, ad occhio.

“Io sono Arthur Gordon Junior”

Belle rimase qualche secondo ad osservarlo, fermandosi sui suoi grandi occhi color nocciola. Ci stava provando con lei o la sua presentazione aveva uno scopo? Dopo pochi secondi però il suo volto si illuminò, ricordando un particolare. Il medico della famiglia Claverton si chiamava Arthur Gordon, quindi lui doveva essere il figlio.

“Conosci Robin? Sai dov'è?”

chiese speranzosa e fu felice di vederlo annuire.

“Sì, la conosco. Sono il suo fidanzato!”

Il sorriso che era apparso sulle labbra della giovane subito morì con altrettanta rapidità. Sapeva che Robin aveva un fidanzato, ma sperava di non doverlo mai incontrare.

“Dov'è?”

Il suo tono era diventato immediatamente brusco, e il ragazzo dovette accorgersene, perchè la luce che era nata nei suoi occhi subito sparì.

“Dovrebbe essere in palestra...vieni, ti accompagno”

La giovane non disse niente, limitandosi ad un grugnito nervoso, quindi iniziò a seguire lo sbigottito giovane figlio del dottore, che si diresse verso l'esterno e quindi verso una grande costruzione con due porte.

“Ecco, dovrebbe aver finito, quindi immagino sia nello spogliatoio. Quello femminile è quello di sinistra...ovviamente io non posso entrare”

ridacchiò a disagio e Belle lo osservò con uno sguardo di sufficienza

“Sì, va bene”

Senza neanche salutarlo o ringraziarlo per l'aiuto spinse la porta di sinistra, ritrovandosi nello spogliatoio. Grandi panche di legno erano addossate alle pareti, su cui troneggiavano scaffali e ganci per i vestiti, molti abiti erano sparsi anche sul pavimento. A quanto pareva essere snob non significava necessariamente essere ordinati.

Però non sembrava esserci nessuno. All'improvviso le giunse un suono di voci e risatine divertite e si incamminò speranzosa verso la fonte di quel rumore, continuando a stringere il cellulare.

Delle ragazze si stavano rincorrendo brandendo asciugamani e cercando di frustarsi sulle gambe, ma subito si fermarono quando la videro.

“E tu chi sei?”

chiese una ragazza, osservandola disgustata

“La serva di qualcuno?”

si guardò intorno, ignorando lo sguardo di puro odio di Belle

“Hey, qualcuna di voi è la sua padrona?”

L'aveva forse presa per un cane? La scrutò attentamente, imprimendosi il suo volto nella memoria e sicura che presto una ricca ragazzetta sarebbe finita sotto le ruote di una qualsiasi macchina. Tanto sapeva collegare i fili e non le servivano le chiavi.

Robin fece la sua apparizione, vestita solo di un asciugamano rosa che le copriva appena le forme.

“Belle! Che ci fai qui?!”

Si avvicinò alla bionda, che per tutta risposta si limitò ad allungare la mano che conteneva il cellulare, impossibilitata a formulare qualsiasi frase di senso compiuto. Era totalmente ipnotizzata da quelle magnifiche forme che si intravedevano sotto l'asciugamano.

La ragazza snob antipatica di prima si accorse della sua espressione adorante e ridacchio divertita.

“Hey, Robin, non è che la tua stracciona è lesbica? Mi sembra ti stia guardando piuttosto...affamata”

Belle immediatamente divenne rossa come un peperone, portando alternativamente lo sguardo dalla ragazza a Robin e viceversa. Poi il suo sguardo si assottigliò come quello di un killer. Quella snob era solo gelosa perchè nessuno avrebbe mai guardato in quel modo una come lei. Le sue forme debordavano letteralmente dall'intimo che aveva addosso, dandole l'aria di una balena spiaggiata. Il suo volto era completamente pieno di brufoli e sovrastato da un naso gigante che le copriva metà faccia. Sembrava la strega di Hansel e Gretel, altro che adorazione.

Robin si voltò verso la strega, lanciandole un'occhiataccia.

“Ma che dici, Laureen? Ha uno sguardo adorante solo perchè sono la sua padrona, in quale altro modo dovrebbe guardarmi una serva?”

Ecco, Belle era grata a Robin per averla difesa, ma magari avrebbe preferito l'avesse fatto con altre parole. Non ebbe il tempo, però, di replicare nulla, perchè subito Robin la prese per un braccio e la portò in un angolo dello spogliatoio, lontano dalle altre che ancora ridacchiavano.

“Senti, grazie per avermi portato il cellulare, ma non farti mai più vedere qui! Che razza di figura vuoi farmi fare?! Non posso farmi vedere con una villica!”

Belle restò qualche secondo sbigottita, per poi abbassare il capo come un cane bastonato.

“Va bene, scusa”

Robin dovette accorgersi di avere esagerato.

“Senti, adesso torna in macchina e restaci, io finisco di prepararmi e poi mi fingo malata e ti raggiungo, così andiamo a comprarti dei vestiti decenti, ok?”

Belle annuì appena e si allontanò per tornare al suo posto di autista, ma la voce di Robin la costrinse a fermarsi.

“Per curiosità...davvero sei lesbica?”

Belle arrossì come un semaforo.

“...sì...”

Il volto di Robin venne reso ancora più bello da un tenue sorrisetto.

“Non devi vergognarti, io sono bisessuale” sussurrò piano perchè le altre ragazze non la sentissero.

Subito dopo tornò verso le altre per prepararsi, mentre Belle tornava verso la macchina, con un chiaro sorrisetto stampato sul volto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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