Cadde il silenzio
nella stanza. Tutta la famiglia guardava lei. Anzi, non tutti: la donna pareva
accorgersene solo ora. Poi questa sorrise facendo vedere i denti probabilmente
sbiancati col bicarbonato e disse con la voce più da sgualdrina in falsetto che
aveva: - Heineken! Oh, Heineken, non ci credo, sei tu! Come sei cresciuta! Beh,
certo sono passati quattordici anni! Eh, eh… ti ricordi di me? No, certo che
no… -
- beh, non dici
niente? Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua? -
Di nuovo niente.
Solo i suoi occhi sgranati, la bocca serrata e la pelle più bianca del solito.
- beh, se tu non
vuoi parlare allora parlo io. Allora… probabilmente ora ti starai chiedendo
perché sono qui. Beh, ecco, sì, insomma… sono venuta a riprenderti. Ho la legge
dalla mia parte per cui sono libera di riprenderti con me. Tra una settimana tu
vieni via con me a Detroit. Giusto il tempo di sistemare un affarino qui a New
York. Poi andiamo via. -
Heineken fissò il
vuoto qualche attimo prima di cadere a terra.
Andare via da New York, con la sua vera madre
che era arrivata solo ora tra capo e collo. Lasciare Jim, gli amici, la sua
vita. E se le voci erano vere? Se quella che le si parava davanti sotto il nome
di sua madre fosse stata davvero quella che le avevano detto?
Cadde a terra,
priva di sensi. Nel sonno sentì delle voci, prima di vedere delle cose. Sentì
la zia che scattava in piedi e gridava a Jane di lasciare immediatamente la
casa; la donna che rispondeva con delle frasi urlate che Heineken non riuscì a
capire. Poi immagini: Michelle con il corpo della madre che si drogava insieme
a questa, che aveva il corpo di Michelle; Jim che piano piano si allontanava
nell’oscurità più profonda tendendole una mano che lei non riusciva ad
afferrare. Le gemelle che piangevano di fronte alla sua tomba, vestite in nero
e con delle rose rosse in mano, che poi facevano un rituale strano insieme a
M.P. per farla rivivere, ma ottenendo solo una sua grottesca trasfigurazione.
Gli Anderson che si auto mutilavano di fronte alle risa sguaiate di Jane e un
gruppo enorme di sordidi camionisti in canottiera. E lei stessa che provava a
scappare in un bosco impervio e buio, ma senza riuscirci, provava ad urlare, ma
non ci riusciva. Inseguita dalla madre, che si faceva sempre più vicina e con
un volto demoniaco.
Poi buio assoluto.
Quando riuscì ad
intravedere qualche cupo spiraglio di luce, era già l’indomani mattina, nel suo
letto. Dopo qualche attimo aprì gli occhi, in un primo momento senza capire
bene dove si trovasse. Poi i suoi occhi incrociarono lo sguardo della zia.
- dimmi che ho sognato
tutto, zia… - disse debolmente Heineken. – dimmi che l’ ho solo sognata… dimmi
che non è lei -
Rose guardò
Heineken con occhi pieni di lacrime, che però tratteneva con energie
sovraumane. Poi abbassò lo sguardo.
- parlami di lei,
zia. -
Passarono qualche
minuto in silenzio assoluto. Heineken rimaneva nel suo letto, incapace di
alzarsi, Rose evitava il suo sguardo, cercando di rimanere calma e immobile;
probabilmente cercando il punto da dove cominciare la storia di Jane.
- Bene, Heineken… -
cominciò nel tono più controllato possibile – è ora di dirti tutte quelle cose
che avresti dovuto sapere molto tempo fa. -
- vedi… la storia
comincia quasi trentanove anni fa, a Providence, la città dove siamo nate io e
Jane. Vivevamo in una casa benestante appartenente a mio padre, tuo nonno, che
all’epoca comandava un azienda di dolci molto importanti: la “Miller ’s
Sweetcakes” che esiste ancora oggi. In altre parole era un dirigente. Io… io
ricordo di essere sempre stata molto gelosa di lei. All’interno della nostra
famiglia Jane è sempre stata la favorita di tutti: parenti, amici di famiglia,
colleghi di mio padre, amiche di mia madre, servitù e tutto il vicinato.
Ricordo anche che le male lingue ci paragonavano l’una con l’altra e come
sempre favorivano lei: portava sempre con grazia gli abitini che ci comprava
mia madre, (non che io non lo facessi), cantava solista nel coro della chiesa
locale (io ero nel coro), e conosceva a memoria tutto l’albero genealogico di
famiglia, sin dagli antichi Miller, abitanti nella Providence di fine 700. (non
che io non lo sapessi). Insomma: infine io cercavo di somigliarle, di sforzarmi
di essere perfetta, di essere la migliore in tutto… Ma le cose cambiarono
tragicamente quando Jane aveva diciassette anni. -
Rose fece una pausa.
Heineken la ascoltava interessata, senza staccarle gli occhi di dosso. Poi
riprese:
- Anzi, no, prima.
Jane aveva un carattere molto ribelle e litigava con i miei genitori ad ogni
occasione sin dalla prima adolescenza, da quando era cambiata. Comunque, vedi,
la tradizione di famiglia vuole che la primogenita dei Miller sposi uno dei
dipendenti più prestigiosi dell’azienda, al fin di mantenere salda questa.
Sarei dovuta essere io a sposarmi, anche perché, oltre ad essere la primogenita
avevo diciotto anni. Ma Jane riceveva molte più proposte di matrimonio di me,
quindi, papà, stanco di aspettare, decise di maritare lei per prima; facendole
conoscere un tale Steven Kilborne, uno dei dipendenti più giovani e prestigiosi
della “Miller ’s Sweetcakes”, era capoufficio. In tutta confidenza… l’avrei
voluto io. Comunque Jane rifiutò piuttosto energicamente lui e tutte le altre
proposte di matrimonio e… quando la mia famiglia volle sposarla a forza… scappò
di casa. Non ne seppimo più nulla e la mia famiglia non la volle più
riconoscere come loro figlia. -
Fece un’altra
pausa, le stavano venendo le lacrime. Forse avrebbe finalmente raccontato il
grande segreto di Jane.
- poi… poi quando è
scappata, io… io… io mi sono sposata c - con Robert e…-
Tirò su col naso. –
e… e… e non era capoufficio, booow! Faceva l’impastatoreee! Poi trovò un nuovo
stupido l-lavoro come venditore d’auto e… e mi ha anche fatto rifare il
senooo!!!- strillò Rose tra le lacrime.
Heineken aveva
appena scoperto un segreto agghiacciante riguardante sua zia: la sua
frustrazione. Ma, nonostante fosse altrettanto importante, non le importava:
voleva sapere su sua madre, non le lacune non risolte della zia.
- zia, siamo qui
per parlare di Jane. Continua l’argomento, per favore. -
- si… poi non c’è
molto da dire… quando ero alla fine della gravidanza di Chelsea e Ben era
piccolo, un giorno, di mattina presto, mi ero alzata per andare a vedere se
fuori c’era posta e… ti ho trovato addormentata sullo zerbino. Non sapevo come
tenerti, anche perché a quei tempi eravamo già in difficoltà con un bambino e
un’altra che stava arrivando, quindi… ho – ho guardato con rabbia il biglietto
che c’era con te e… ti ho portato in orfanotrofio. Quindi… -
- aspetta un
attimo. C’era un biglietto con me? -
- sì. -
- e che c’era
scritto? -
La zia esitò, poi
rispose: - “si chiama Heineken ed è tua nipote. Fanne buon uso.”
- fanne buon uso?!!
– ripeté Heineken incredula.
- sì, Heineken,
purtroppo è così. -
- Ma se mi hai
portato in un orfanotrofio… perché sono qui? -
- ora te lo dico.
Vedi, ti ho portato in un istituto perché non sapevo come tenerti e non volevo
che tuo zio lo sapesse. Era già di cattivo umore perché stavamo per avere una
femmina, lo strnz… - disse le ultime due parole tra i denti. – poi… vedi, mi
sono molto sentita in colpa e ti riprendemmo due anni dopo. Non ti aveva preso
nessuno con se. -
- quindi sono stata
i primi due anni della mia vita in un istituto… -
- No, aspetta, non
è proprio così. Nel frattempo venni a
sapere che Jane si era sposata con un tale Jack, e allora le suore
dell’istituto ti affidarono a lei, che nel frattempo l’avevano rintracciata.
Sei vissuta un po’ di tempo lì da loro, poi sei ritornata in istituto, dove sei
mesi dopo ti abbiamo preso noi. Fine della storia. -
- ma… perché sono
ritornata in istituto? -
- Heineken… -
rispose la zia avvicinandosi, dandole una carezza sulla fronte: - …non è
difficile immaginarlo. Poi… io so solo questo. Ti prego, non fare altre
domande. -
E uscì dalla
stanza, lasciando Heineken sola.
Si riaddormentò.
Poco prima di
sprofondare nel sonno si chiese: “ma allora, era una prostituta o no? O lo è
ancora? Chi è Jack? E mio padre era lui? Chi era mio padre? Cos’è successo
quando ero molto piccola a Detroit? Perché mi hanno strappato alla mia famiglia
e riportato in istituto?”
Poi ancora
oscurità. Un lungo sonno senza sogni. Buio totale e assenza di suoni. Uno
sgocciolo di morte.
Si risvegliò
parecchio tempo dopo, non sapeva che ora fosse, ne se c’era qualcuno con lei o
quanto tempo aveva passato a dormire. Solo che ora aveva le energie necessarie
e si alzò barcollando sino alla cucina. Vide che c’era tutta la famiglia
intorno al tavolo.
- ben svegliata… -
grugnì lo zio.
Heineken non ci
badò e si rivolse alla zia: - zia… credo di essermi riaddormentata… quanto ho
dormito? –
- venticinque ore
esatte, Heineken. – disse questa.
- Prego?!? -
- hai dormito più
di un giorno. -
- ma se sei venuta
in camera mia poco fa… -
- no, Heineken non
ci entro da ieri… uhm… forse da qualche ora per controllare che non fossi morta.
-
Heineken non
rispose. La zia aveva ripreso il suo tono glaciale e altezzoso, o almeno così
le sembrava. Ma sapeva che era solo perché c’erano marito e figli in
circolazione. Rose era ansiosa. Lo era molto. Ma, senza che Heineken capisse il
motivo, lo nascondeva.
Decise di tornare
in soffitta, quella che fungeva da camera sua. Arrivata, si sedette sul letto,
spinta a formulare un pensiero abbastanza deprimente adatto al caso. Quando era
arrivata alla vaga idea del suicidio, le squillò il cellulare. Guardò. Un
messaggio da Michelle.
Oh, no! Come
avrebbe fatto a dire a Michelle e Jim, che erano le persone più importanti
della sua vita che li stava per lasciare per sempre?
Guardò il
messaggio: una proposta di uscita a un pub, quello della volta precedente, non
l’Underground; per quella sera, alle nove e mezza o dieci meno un quarto.
Ecco. L’occasione
era arrivata su un piatto d’argento. Quella sera sarebbe stata obbligata a
parlare.
Le vennero le
lacrime, e mentre le scorrevano lungo il viso afferrò il telefono per
rispondere al sms.
Poi si ributtò sul
letto aspettando la morte. Era l’unica cosa da fare.
Ma le ore passavano
lente, e la zia aveva addirittura rindossato la sua maschera insensibile e
artificiale, il che, in un raro momento di umanità, le avrebbe fatto ancora più
venire il sentimento di depressiva frustrazione.
Poi, alle nove di
quella sera si avviò verso l’uscita con aria mortifera. Non la vide nessuno, ma
Heineken sapeva che se l’avesse vista, in cuor suo la zia l’avrebbe voluta
fermare con tutte le sue forze. Improvvisamente le venne un pensiero: gli
Anderson temevano Jane. Ma non ci stette a pensare troppo perché aveva altre
preoccupazioni: era LEI STESSA che sarebbe stata con Jane per il resto del
tempo; ed era lei che forse avrebbe dovuto temerla. Non sapeva niente di lei, e
la zia non le aveva detto cosa faceva attualmente.
Ma ripensò ai
vestiti che portava due giorni prima: davano tutti gli indizi che Heineken
avrebbe preferito non dedurre.
Le stavano ancora
per scendere le lacrime. Ma prima che la prima potesse scendere lungo una
guancia si sentì chiamare da dietro da Michelle. Oh no. Ecco. Ecco che arriva
il dolore. La coltellata è arrivata prima e ora arriva il dolore.
Si asciugò
rapidamente e si girò, sforzandosi di fare un sorriso e di salutare con
cortesia.
- ciao. -
- Ciao! Beh, perché
quella faccia da funerale? -
- quale faccia? –
disse Heineken sorridendo forzatamente.
- boh, no, niente.
Allora, che mi racconti? – la prese sotto braccio e cominciarono a camminare.
- oh, niente, ti
direi solo banalità… -
- niente di nuovo,
eh? Uffa la nostra vita non ha mai un colpo di scena… -
“puoi dirlo forte…”
pensò sarcasticamente Heineken, facendosi del male da sola.
- comunque…questo
pub è bellissimo, ci sono andata un giorno con mia cugina. I pavimenti sono
tutti in parquet e le pareti tutte rosse fluo. I bagni non assomigliano ai
cessi di un autogrill, ma sono puliti e lindi, e i camerieri sono tutti dei
gran pezzi di ragazzi. Ci scateniamo stasera?!? Eh?! -
Heineken non
rispose. Ogni tanto dava un cenno di assenso e/o diceva qualcosa, ma fu
Michelle a parlare.
Poi arrivarono al
pub. Beh, per essere chic lo era. Ma Heineken non disse niente.
- beh, che c’è, non
parli?! Questo locale è una figata e tu rimani zitta?? -
Provò ad aprire
bocca, ma poi videro Sarah Williams che andava verso di loro.
- Ciao! Venite su,
siamo tutti lì! -
le due la seguirono
al piano di sopra del locale.
Quando vide Jim,
Heineken si sentì come se avesse saltato tre gradini insieme senza
accorgersene. E si sentì letteralmente a pezzi quando lo baciò.
Poi i nove presero
posto in un tavolino e cominciarono a chiacchierare. Si parlò di tutto: scuola,
prof. Obbrobriosi, musica (dove John ebbe uno scontro con Nicole per la
differenza di gusti), film, e quant’altro può passare nella mente di un teen
ager. Ma Heineken rimase sempre muta.
Dopo che fu
sollecitata parecchie volte in pubblico dagli altri, ad un certo punto Michelle
la chiamò a voce bassa e le chiese: - ma che cos’ hai? Perché non apri bocca da
tutta la sera? –
- vieni un attimo
in bagno, ti devo parlare di una cosa. -
Heineken si alzò
seguita da Michelle e dagli sguardi degli altri sette.
Una volta arrivate
nella toilette delle donne, Heineken si accasciò su una parete. Michelle la
guardava con una punta di preoccupazione.
- allora, che ti è
successo, Heineken? -
- non so come
dirtelo, è una cosa che dovrebbero sapere anche gli altri, ma non ho il
coraggio di dirglielo in faccia… specie a Jim. Quindi o dico solo a te che sei
la mia migliore amica. -
- spara. -
- si tratta di mia
madre. -
- tua zia, vorrai
dire…-
- no, Michelle, mia
madre. Mia madre in persona. -
- tu non vivi con
tua madre… -
- lo so, Michelle,
questo lo so anch’io! -
Michelle stette un
attimo zitta, poi disse: - allora? Cos’è successo con tua madre? Una volta mi
hai pure detto che non sai nemmeno tu chi è… -
- esattamente. Ma…
è tornata. È tornata a cercarmi l’altro giorno e mi ha trovato.
Michelle sgranò gli
occhi, poi fece un mezzo sorriso e disse: - wow, mi immagino abbracci e
lacrime, come nei film strappalacrime che si vedono ogni tanto alla tv…! Beh,
non sei contenta? Ora hai la tua mamma, che sicuramente si vendicherà di te con
i tuoi zii e vivrete felici e contente insieme. Non è così? Non è tornata a
cercarti per prendere casa insieme a te? –
- sì… a Detroit. -
Michelle sgranò
ancora di più gli occhi, divenne pallida e il suo sorriso divento una bocca che
si spalancava sempre di più; piano piano, con l’abbassamento precoce della
mandibola. Le sue pupille diventarono più piccole, restringendosi.
Poi disse
confusamente una frase: - v-vuoi dire che… ci lascerai tutti? Noi, Jim, la
scuola? È così? –
Heineken guardò per
terra; invece Michelle la abbracciò con forza, poggiando gli occhi, che
probabilmente piangevano, sulla sua spalla.
- oh, Heineken… e
non puoi fare niente per impedirlo? Oddio, mi manchi di già!-
- l’ ho detto a te
perché lo dicessi a gli altri e a Jim in separata sede; non posso dirglielo io. Sento di non
farcela. -
- oh, promettimi
che mi scriverai tutti i giorni! E telefonami pure! Non so come farò a stare
senza di te per sempre! -
Heineken sentì tristezza. Poi rabbia. Poi odio verso la madre, che,
con sadismo e con la sfacciataggine più tosta che un essere umano potesse avere
in corpo, se la stava riportando verso una metropoli lontana e sconosciuta,
strappandola alla sua vita, dopo che l’aveva abbandonata al suo destino sedici
anni prima. Si morse un labbro; avrebbe voluto vederla morta.
- Come farò a dirlo
a Jim e gli altri? -
Non rispose. Dopo
un po’ disse solo: - vieni, torniamo dagli altri. –
Heineken e Michelle
uscirono dalla toilette.
Come arrivarono al
tavolo, Sean disse: - ma dov’eravate? Siete fuori da un quarto d’ora! –
- oh, ehm, niente
di importante, stavamo parlando di una cosa… - rispose Michelle.
Jim guardava
Heineken con un’espressione interrogativa, lei fece finta di non vederlo e lo
ignorò. Il resto della serata si passò in tensione. Anche Michelle era
diventata legnosa e dall’aria sconvolta. Heineken non sapeva che fare. Senza
sapere neanche il motivo, ad un certo punto chiamò una cameriera e ordinò un
Rum Bacardi doppio, sotto gli sguardi evidentemente sorpresi degli altri.
- ma sei pazza? –
disse Nicole – sai che quella cosa è una bomba? Per chi non è abituato a bere è
fatale! -
- questo lo dici tu
perché oltre alla gazzosa e un bacardi alla frutta esotica non vai
disse
scherzosamente Jesse prima che Heineken potesse rispondere qualcosa.
Jim la guardò, ma
non disse niente.
Un paio di minuti
dopo arrivò la cameriera con un vassoio con un grande bicchiere con dentro un
liquido trasparente con ghiaccio e scorza di limone. Senza dire niente,
Heineken cominciò a bere, e lo finì in poco tempo.
- wow, mitico come
te lo sei scolato in fretta! – esclamò Sean incredulo. – sai, ho uno zio che
lavora alle fiere campionarie sparse nel Texsas, organizza le gare tra chi si
beve più velocemente i bicchieri di Whisky o a chi fa il sorso più lungo.
Potremmo mandarti, vinceresti tutti i campionati! -
- non essere
stupido, Sean – ribatté Jim guardando Heineken. Poi, quando l’attenzione fu
spostata altrove, le chiese sottovoce: - stai bene? Ma è successo qualcosa? -
Heineken fece un
cenno di “no” a testa bassa, poi chiamò di nuovo la cameriera e ordinò una
sambuca col limone e il chicco di caffè.
Non disse più
niente per la serata. Le uniche parole che diceva erano rivolte alla cameriera
per: un Gin, un Whisky, un altro Rum Bacardi e, per finire un pesantissimo
Irish Coffee.
Dentro la sua mente
non vedeva altro che Jane che parlava con lei, in quella fastidiosa posizione a
gambe aperte sul tavolo del salotto. Diceva delle cose che Heineken non capiva,
e le immagini a poco a poco si sbiadivano e distorcevano sempre di più, e i
suoni si confondevano con le voci degli amici che probabilmente la stavano chiamando
per chiedere se andasse tutto ok, con la voce di sua madre.
Ad ogni modo era
totalmente incapace di rispondere, anche se avesse capito ciò che dicevano.
Vedeva tutto sbiadito e in movimento, confondendo ciò che era all’interno della
sua mente con quello che la circondava in quel momento.
Vide delle ombre
nere alzarsi intorno a lei, forse lasciandola sola al mondo. Poi, una di loro,
dalla sua destra, la sollevò.
Con la paura che le
scorreva nel sangue, Heineken vide di nuovo il volto della madre, nel salotto
vuoto e semibuio degli zii, che le diceva qualcosa tipo: “ dai, Heineken, non
ti preoccupare, ci sono io…”
Guardò l’ombra nera
che l’aveva sollevata dalla sua destra, e che ora se la stava portando via,
verso non so dove. Mise a fuoco, l’immagine. Si aspettava di vedere Jane, ma
poté distinguerla con un volto familiare. Un ragazzo dai capelli neri, vestito
con un paio di jeans e una tshirt a maniche lunghe nera. Doveva essere Jim, ma
questo lei non lo poteva sapere. Se la stava portando con sé, per quel locale
riscaldato che le pareva infinito, come in un labirinto da dove non sarebbero
mai usciti vivi.
Ma ad un certo
punto, freddo e oscuro, e qualcuno che le infilava un giubbotto sulle spalle.
Probabilmente intorno a lei le ombre dicevano qualcosa, ma lei non lo sentiva.
Poi in un attimo,
ancora lo sguardo deformatamene demoniaco di sua madre. Oh, no! Era di nuovo
nel bosco oscuro da dove non riusciva a scappare! No! Non di nuovo! Basta,
lasciami stare! Lasciami in pace e vai via!
Voci confuse
intorno a lei: “ma che ha?” “cosa sta succedendo?” poi una voce molto vicina a
lei: “Heineken, Heineken, sono io guardami! Non mi riconosci?”
Heineken guardò la
figura buia che la teneva stretta a sé. Improvvisamente vide di nuovo quello
sguardo mostruoso, quegli occhi bianchi, quei denti aguzzi, quella voce
diabolica!
- lasciami!
Lasciami andare!Lasciami andare, vai via di qui! Sparisci, vai via da me! -
“Heineken,
Heineken, ascoltami: non ti preoccupare, capito? Ci sono io qui, nessuno può
farti niente di male! Sono qui vicino a te, nessuno ti toccherà”
Ma Heineken vedeva
solo quel volto spaventoso, quegli occhi, solo malvagità e dolore poteva trarre
da quella voce che le prometteva di proteggerla.
Con la assai minima
forza che si ritrovava in corpo, riuscì a liberarsi dalla figura nera, che a
tratti si trasformava nel mostro del bosco, che la reggeva stringendola a sé.
Barcollò pochi passi più lontano, camminando all’indietro, vedendo solo quelle
ombre che le si avvicinavano per prenderla con loro e portarla via nel bosco
della sua mente.
Gemette confusa,
con le lacrime che le scorrevano lungo le gote, allontanandosi sempre di più
camminando all’indietro. Le ombre continuavano ad avanzare. Poi,
all’improvviso, una luce, un lampo a illuminarle insieme all’ambiente
circostante. Poi un rumore di frenata, un colpo doloroso e sordo, urla intorno
a lei.
Poi di nuovo il
buio.