LOUDER THAN THUNDER
Capitolo
1
JARED TREMBLAY
6
Ottobre 2011
Incedeva pigramente sul
marciapiede, mentre un lieve nevischio scendeva sulla città
di Montreal. Jared odiava la neve, odiava quel marciapiede, odiava
l’intera città. Diede un calcio ad una lattina che
si trovava inconsapevolmente sul suo cammino.
Era il 6 novembre, e
nessuno, nessuno, tranne sua madre, si era ricordato di fargli gli
auguri. E lui c’era rimasto male. Le persone potevano dirgli
di tutto, fargli qualunque insolenza ma non si offendeva, tanto non gli
importava, trovava le persone che oltraggiavano gratuitamente il
prossimo indegne della sua attenzione. Però essere ignorato
senza motivo dai propri migliori amici il giorno del proprio compleanno
era tutta un’altra cosa. Ci teneva, anche se si sentiva
stupido a pensare cose così a diciannove anni. Eppure era
così, non poteva farci niente.
Jared vide il vialetto di
casa sua poco lontano, e allungò il passo nella speranza di
potersi chiudere in camera senza incontrare nessuno. Prese le chiavi
dalla tasca, infilandole nella serratura. Aprì la porta, si
precipitò nella sua stanza, e si butto nel letto con la
faccia nel cuscino, i capelli biondi sparsi sul tessuto bianco. Prese
il cellulare fiducioso di trovare almeno un messaggio di Rose; erano
tre anni che stavano insieme, almeno lei doveva ricordarsi quanto per
lui fosse speciale quel giorno. Ed infatti eccolo. Sorridendo, lo
aprì.
Vodafone,
messaggio gratuito. Questa persona ti ha telefonato alle 4.17 del
6/10/11. Mittente: Rose.
Non poté far a
meno di mascherare la propria delusione;ma,
pensò, almeno
ha cercato di contattarmi. Così
la richiamò. Uno, due, tre, quattro squilli. Un altro ancora
e sarebbe scattata la segreteria telefonica. Però Rose
accettò la chiamata in tempo. Jared sentì delle
risate di sottofondo, e si rese conto che non appartenevano solamente
alla sua ragazza. C’era qualcun altro con lei, evidentemente.
«Zitto,
c’è Jared.» Udì pronunziare
sottovoce da Rose, mentre si rivolgeva all’altra persona con
lei. Un uomo, dunque. «E lasciami.»
Sentì una risatina maschile di sottofondo.
Jared sgranò
gli occhi. No, non poteva essere vero. Eppure quel che aveva ascoltato
era inequivocabile. Purtroppo. Ma magari si sbagliava, forse quello era
un suo amico che si prendeva un po’ troppe
libertà. Ci sperò intensamente.
«Ciao, Jared.
Come va?» disse lei.
«Benone. E tu,
che fai? Sei con un’amica?» Si curò bene
di sottolineare la a.
«Sto
uhm… facendo i compiti con Rachel.»
«Oh. Siete
sole?» Jared
ci sperò intensamente, che lei dicesse che no,
c’era un amico, il fratello di Rachel, magari.
«Sì,
non c’è nessuno. Ora dobbiamo studiare, io e
Rachel: ti devo lasciare. Ciao!»
La comunicazione cadde. *
Ma Jared non mollò il telefono, anzi, lo strinse sempre
più forte, con più violenza, fino a che le nocche
sbiancarono e dal cellulare provenne un sonoro crac.
Solo allora lasciò cadere l’apparecchio sul
cuscino.
Si alzò
lentamente, con gli occhi chiusi, e i pugni stretti. Avrebbe voluto
urlare, spaccare tutto. Sospirò, sedendosi di nuovo sul
letto.
Ci teneva a Rose, alla
loro storia. Pensava che sarebbe durata, almeno un altro po’.
Per di più, tradito. Il giorno del suo compleanno. O era una
congiura dei suoi –ormai non più- amici, oppure
qualcuno lassù ce l’aveva a morte con lui.
Sentì un
groppo in gola. No, non doveva piangere; era un uomo -dannazione!-, non
una mammoletta qualunque. Con Rose era finita? Bè, tanto
peggio per lei! I suoi amici lo ignoravano? Sarebbe sopravvissuto
benissimo senza: d'altronde a lui piaceva anche la solitudine
… O no?
No, in realtà
la odiava, la repelleva con tutto sé stesso: era fatto per
stare in compagnia, ridere, scherzare con gli altri. Ma… Ci
avrebbe pensato dopo. Ora non poteva finire di deprimersi. Doveva
trovarsi qualcos’altro da fare, qualunque cosa. Uh,
sarebbe potuto andare a disturbare un po’ suo padre allo
studio.
Recuperò il
telefonino, uscì dalla stanza, scese le scale e, afferrando
il cappotto, si richiuse la porta di casa alle spalle. Una folata
d’aria gelida lo colpì in viso: il vento si era
alzato moltissimo in quei pochi minuti in cui era stato in casa.
Percorse velocemente la
parte di Younge Street che lo separava dall’edificio dove
stava andando, e in poco tempo fu di fronte al palazzo.
Suonò il citofono, identificandosi alla voce apatica della
segretaria del padre, mentre spingeva i due pesanti portoni in metallo.
Si avvicinò
alle porte dell’ascensore, dove già
un’altra persona stava aspettando. Una ragazza, per la
precisione; anche molto graziosa, tra l’altro. Jared
l’osservò a lungo, mentre il viso di lei si
colorava di rosso sotto lo sguardo insistente. Dopo un po’,
all’arrivo dell’ascensore, la ragazza, troppo
imbarazzata per fare altro, si allontanò, e scelse di
utilizzare le scale. Intanto, Jared salì, e
iniziò la sua ascesa fino al settimo piano.
“Rose
è più bella”
constatò, poco prima di scuotere la testa, come a scacciare
quel pensiero.
Quando uscì,
si trovò di fronte alla porta a cui mirava. Una targa stava
all’altezza dei suoi occhi: “Studio Tremblay.
Invenzioni per migliorare la vita quotidiana.” Jared sorrise:
suo padre non era mai stato capace di creare altro stupidaggini tipo
frullatori che fanno anche gelati, o rubinetti per la cucina da cui
esce succo di frutta. Niente di trascendentale, insomma. Sciocchezze
che ti abbreviavano il tragitto dal lavabo al frigo, ma da qui a
chiamarle “invenzioni che migliorano la vita” ce ne
passa!
Bussò,
l’ingresso si schiuse. Una volta dentro, vide di fronte a se
la segretaria del padre, una donna enorme, con i capelli corti e
ispidi, di un castano spento: l’aveva scelta sua madre, e
Jared riusciva tranquillamente ad immaginare il perché.
«Ha un
appuntamento?» Gli chiese la signora, senza nemmeno guardarlo
in faccia.
«Sono Jared, ho
appena citofonato!» Esclamò il ragazzo, alquanto
stupito, con gli occhi azzurri sbarrati. Ci aveva parlato meno di due
minuti prima, non poteva averlo già dimenticato.
«Cognome?
Così controllo sulla lista degli incontri.»
Continuò lei, imperterrita.
“Mi
arrendo”, pensò Jared, contraendo le
sopracciglia.
«Sono Jared
Tremblay, il figlio del suo datore di lavoro: non ho un appuntamento,
ma credo che non sia un problema. In ogni caso, non si preoccupi, so
dov’è lo studio di mio padre. Non si scomodi per
indicarmelo.» Uh, forse era stato un tantino scortese, ma
nemmeno la segretaria era stata Mrs. Gentilezza 2011 con lui. Occhio
per occhio …
«Mi spiace, ma
tuo padre non c’è. È uscito poco fa. Ma
dovrebbe tornare a breve.»
«Lo
aspetterò dentro. Gli farò una
sorpresa.» Si congedò dalla donna
Entrò nella
saletta. C’erano tre sedie e una scrivania, e dietro quella
v’erano una marea di aggeggi della cui utilità
Jared dubitava intensamente. Le pareti erano azzurrine, e il soffitto
candido. Per terra, il parquet era chiaro, anche se bruciato in alcuni
punti –come testimonianze del fallimento di alcune creazioni-.
Jared fece un giro
intorno alla scrivania, alla ricerca di qualcosa di interessante. Non
trovando nulla che potesse attirare la sua attenzione, passò
al setaccio quegli strani aggeggi che suo padre modificava. Uno strano
tostapane lo colpì. Era un novità: il padre non
si era mai dedicato ai tostapane per quel che sapeva.
Lo prese in braccio, si
sedette alla scrivania e poggiò l’affare sulla
superficie del tavolo. Lo osservò attentamente. Tre
lampadine stavano su quello che avrebbe dovuto essere il buco per
inserire il pane da tostare. Su tutto un lato, invece,
v’erano pulsanti di tutte le misure. Ne premette alcuni,
così, tanto per vedere l’effetto, ma non accadde
nulla. L’ennesimo esperimento non riuscito, quindi.
Il cellulare
squillò. Lo prese e rispose.
«Pronto?»
«Jared, tesoro,
dove sei? Papà è tornato qua a casa di corsa
dicendo che aveva un’invenzione geniale di cui
parlarci!» La voce della madre gli esplose
nell’orecchio destro, costringendolo ad allontanare il
cellulare dal viso. Possibile che non sapesse usare un tono di voce
normale quando parlava al telefono?
«Ti
farà ridere, ma sappi che io sono allo studio,
quindi…»
«Allora
aspettaci, ti raggiungiamo, così ne parla anche a
te.» E la chiamata fu interrotta.
Riprese il tostapane tra
le braccia. Sbagliava, o era diventato più pesante?
Cercò di trascinarlo fino al punto in cui l’aveva
trovato, ma il suo peso si intensificava. Divenne così greve
che gli scivolò dalle mani. Cadde a terra.
Accadde tutto molto
velocemente. Il tonfo del tostapane lo fece trasalire. Il pavimento si
tinse di nero sotto i piedi di Jared: cercò un appiglio, ma
tutto sembrava scivolare e scomparire nel buio; urlò,
però la sua voce era spenta. Pregò, infine,
mentre l’oscurità lo inghiottiva.
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Angolo autrice
Ehi, gente! ♥ Qui Katerine,
l’autrice di questa entusiasmante(?) fan fiction fantasy. In
questo primo capitolo si presenta Jared, uno dei tre
protagonisti. ^__^
Allora. Vorrei ringraziare chi segue la mia storia e i lettori. Grazie
mille *w*
Ora, vi starete chiedendo il significato dell’asterisco
vicino a “La comunicazione cadde.” Ve lo spiego
subito: una mia amica che non sta troppo bene con la testa (♥)
si è divertita a scrivere un finale un po’ diverso
per questo capitolo x*D Ve lo lascio qui sotto. Ah, per chi non lo
sapesse, la GerardaH è Jared Leto, cantante dei 30 seconds
to Mars.
Katerine
Bratt
*“Fu
come se l’intero mondo si spegnesse intorno a lui. I suoni si
fecero ovattati e nella sua mente risuonavano solo due parole: MA
VAFFANCULO.
Sbattè il telefono a terra, si curò di
distruggerlo completamente con il tacco a spillo dello stivale e si
allontanò a grandi passi con lo schermo del cellulare
divelto ancora attaccato ad un tacco. Arrivato in fondo alla strada non
si curò di vedere se stava arrivando una macchina e mentre
era al centro della corsia
fu violentamente sbattuto dalla GerardaH che aspettava come Clark Kent
appollaiata sull’angolo dell’edificio in attesa di
una vittima a cui spaccare il culo
come un husky. Jared rimase senza parole (non sapeva che a momenti si
sarebbe ritrovato senza culo) ma alla fine pensò: MA basta
me so rotto er cazzo,
ndo cojo cojo. E iniziò a darci dentro come un animale.
Peccato che la GerardaH non abituata a fare l’uke
contrattaccò, lo sbattè selvaggiamente a terra e
lo
montò come un cowboy ad un rodeo in pieno stile Vecchio
West. Tutto ciò in mezzo alla strada.
All’improvviso per terra si allargò un fiume di
sangue…
GerardaH preso dalla foga aveva spaccato il culetto di Jared. Anzi
più precisamente l’aveva aperto come Raptor
aprì il portone della sala grande per annunciare
che c’era un troll nei sotterranei di Hogwarts.
Così prima di essere arrestato dalla polizia GerardaH se la
diede a gambe lasciando il povero Jared completamente
spaccato in due agonizzante in mezzo alla strada. A porre fine alle sue
sofferenza ci pensò Optimus Prime (per gli ignoranti che non
conoscono questo nome
leggendario, è il tir rosso fiammante di transformers) che
lo schiaffò sotto a mille chilometri
orari spargendo pezzi di Jared per tutta Montreal. Se lo videro
piovere sulle finestre in una poltiglia rossastra anche gli impiegati
di New York che avevano ammirato la venuta di Godzilla dietro le stesse
finestre.
E questa è la storia di Jared.”
Delirio by Dysdaimon