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Autore: Katerine Bratt    07/09/2011    2 recensioni
Bene. Eccoci qui. Dopo tante indecisioni ho pubblicato questa storia. Devo ammettere che mi sento un po' (molto u.u)emozionata... *3* Quindi, tornando a noi. Questa sarà -o almeno vorrebbe essere- una storia fantasy, che ho deciso di ambientare nel 2175, un futuro nè troppo vicino, nè troppo lontano, in modo da poter evitare di scrivere stupidaggini troppo grandi. (Chi può dire che alcune cose non capiteranno davvero? x.x). I protagonisti sono un ragazzo e due ragazze, ma questo lo potrete vedere da voi nei capitoli a venire... Detto ciò, non so più che aggiungere, quindi mi ritiro nel mio angolo buio. Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate! :D A presto!
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LOUDER THAN THUNDER

Capitolo 1

JARED TREMBLAY

6 Ottobre 2011

Incedeva pigramente sul marciapiede, mentre un lieve nevischio scendeva sulla città di Montreal. Jared odiava la neve, odiava quel marciapiede, odiava l’intera città. Diede un calcio ad una lattina che si trovava inconsapevolmente sul suo cammino.

Era il 6 novembre, e nessuno, nessuno, tranne sua madre, si era ricordato di fargli gli auguri. E lui c’era rimasto male. Le persone potevano dirgli di tutto, fargli qualunque insolenza ma non si offendeva, tanto non gli importava, trovava le persone che oltraggiavano gratuitamente il prossimo indegne della sua attenzione. Però essere ignorato senza motivo dai propri migliori amici il giorno del proprio compleanno era tutta un’altra cosa. Ci teneva, anche se si sentiva stupido a pensare cose così a diciannove anni. Eppure era così, non poteva farci niente.

Jared vide il vialetto di casa sua poco lontano, e allungò il passo nella speranza di potersi chiudere in camera senza incontrare nessuno. Prese le chiavi dalla tasca, infilandole nella serratura. Aprì la porta, si precipitò nella sua stanza, e si butto nel letto con la faccia nel cuscino, i capelli biondi sparsi sul tessuto bianco. Prese il cellulare fiducioso di trovare almeno un messaggio di Rose; erano tre anni che stavano insieme, almeno lei doveva ricordarsi quanto per lui fosse speciale quel giorno. Ed infatti eccolo. Sorridendo, lo aprì.

Vodafone, messaggio gratuito. Questa persona ti ha telefonato alle 4.17 del 6/10/11. Mittente: Rose.

Non poté far a meno di mascherare la propria delusione;ma, pensò, almeno ha cercato di contattarmi. Così la richiamò. Uno, due, tre, quattro squilli. Un altro ancora e sarebbe scattata la segreteria telefonica. Però Rose accettò la chiamata in tempo. Jared sentì delle risate di sottofondo, e si rese conto che non appartenevano solamente alla sua ragazza. C’era qualcun altro con lei, evidentemente.

«Zitto, c’è Jared.» Udì pronunziare sottovoce da Rose, mentre si rivolgeva all’altra persona con lei. Un uomo, dunque. «E lasciami.» Sentì una risatina maschile di sottofondo.

Jared sgranò gli occhi. No, non poteva essere vero. Eppure quel che aveva ascoltato era inequivocabile. Purtroppo. Ma magari si sbagliava, forse quello era un suo amico che si prendeva un po’ troppe libertà. Ci sperò intensamente.

«Ciao, Jared. Come va?» disse lei.

«Benone. E tu, che fai? Sei con un’amica?» Si curò bene di sottolineare la a.

«Sto uhm… facendo i compiti con Rachel.»

«Oh. Siete sole?» Jared ci sperò intensamente, che lei dicesse che no, c’era un amico, il fratello di Rachel, magari.

«Sì, non c’è nessuno. Ora dobbiamo studiare, io e Rachel: ti devo lasciare. Ciao!»

La comunicazione cadde. * Ma Jared non mollò il telefono, anzi, lo strinse sempre più forte, con più violenza, fino a che le nocche sbiancarono e dal cellulare provenne un sonoro crac. Solo allora lasciò cadere l’apparecchio sul cuscino.

Si alzò lentamente, con gli occhi chiusi, e i pugni stretti. Avrebbe voluto urlare, spaccare tutto. Sospirò, sedendosi di nuovo sul letto.

Ci teneva a Rose, alla loro storia. Pensava che sarebbe durata, almeno un altro po’. Per di più, tradito. Il giorno del suo compleanno. O era una congiura dei suoi –ormai non più- amici, oppure qualcuno lassù ce l’aveva a morte con lui.

Sentì un groppo in gola. No, non doveva piangere; era un uomo -dannazione!-, non una mammoletta qualunque. Con Rose era finita? Bè, tanto peggio per lei! I suoi amici lo ignoravano? Sarebbe sopravvissuto benissimo senza: d'altronde a lui piaceva anche la solitudine … O no?

No, in realtà la odiava, la repelleva con tutto sé stesso: era fatto per stare in compagnia, ridere, scherzare con gli altri. Ma… Ci avrebbe pensato dopo. Ora non poteva finire di deprimersi. Doveva trovarsi qualcos’altro da fare, qualunque cosa.  Uh, sarebbe potuto andare a disturbare un po’ suo padre allo studio.

Recuperò il telefonino, uscì dalla stanza, scese le scale e, afferrando il cappotto, si richiuse la porta di casa alle spalle. Una folata d’aria gelida lo colpì in viso: il vento si era alzato moltissimo in quei pochi minuti in cui era stato in casa.

Percorse velocemente la parte di Younge Street che lo separava dall’edificio dove stava andando, e in poco tempo fu di fronte al palazzo. Suonò il citofono, identificandosi alla voce apatica della segretaria del padre, mentre spingeva i due pesanti portoni in metallo.

Si avvicinò alle porte dell’ascensore, dove già un’altra persona stava aspettando. Una ragazza, per la precisione; anche molto graziosa, tra l’altro. Jared l’osservò a lungo, mentre il viso di lei si colorava di rosso sotto lo sguardo insistente. Dopo un po’, all’arrivo dell’ascensore, la ragazza, troppo imbarazzata per fare altro, si allontanò, e scelse di utilizzare le scale. Intanto, Jared salì, e iniziò la sua ascesa fino al settimo piano.

Rose è più bella” constatò, poco prima di scuotere la testa, come a scacciare quel pensiero.

Quando uscì, si trovò di fronte alla porta a cui mirava. Una targa stava all’altezza dei suoi occhi: “Studio Tremblay. Invenzioni per migliorare la vita quotidiana.” Jared sorrise: suo padre non era mai stato capace di creare altro stupidaggini tipo frullatori che fanno anche gelati, o rubinetti per la cucina da cui esce succo di frutta. Niente di trascendentale, insomma. Sciocchezze che ti abbreviavano il tragitto dal lavabo al frigo, ma da qui a chiamarle “invenzioni che migliorano la vita” ce ne passa!

Bussò, l’ingresso si schiuse. Una volta dentro, vide di fronte a se la segretaria del padre, una donna enorme, con i capelli corti e ispidi, di un castano spento: l’aveva scelta sua madre, e Jared riusciva tranquillamente ad immaginare il perché.

«Ha un appuntamento?» Gli chiese la signora, senza nemmeno guardarlo in faccia.

«Sono Jared, ho appena citofonato!» Esclamò il ragazzo, alquanto stupito, con gli occhi azzurri sbarrati. Ci aveva parlato meno di due minuti prima, non poteva averlo già dimenticato.

«Cognome? Così controllo sulla lista degli incontri.» Continuò lei, imperterrita.

Mi arrendo”, pensò Jared, contraendo le sopracciglia.

«Sono Jared Tremblay, il figlio del suo datore di lavoro: non ho un appuntamento, ma credo che non sia un problema. In ogni caso, non si preoccupi, so dov’è lo studio di mio padre. Non si scomodi per indicarmelo.» Uh, forse era stato un tantino scortese, ma nemmeno la segretaria era stata Mrs. Gentilezza 2011 con lui. Occhio per occhio …

«Mi spiace, ma tuo padre non c’è. È uscito poco fa. Ma dovrebbe tornare a breve.»

«Lo aspetterò dentro. Gli farò una sorpresa.» Si congedò dalla donna

Entrò nella saletta. C’erano tre sedie e una scrivania, e dietro quella v’erano una marea di aggeggi della cui utilità Jared dubitava intensamente. Le pareti erano azzurrine, e il soffitto candido. Per terra, il parquet era chiaro, anche se bruciato in alcuni punti –come testimonianze del fallimento di alcune creazioni-.

Jared fece un giro intorno alla scrivania, alla ricerca di qualcosa di interessante. Non trovando nulla che potesse attirare la sua attenzione, passò al setaccio quegli strani aggeggi che suo padre modificava. Uno strano tostapane lo colpì. Era un novità: il padre non si era mai dedicato ai tostapane per quel che sapeva.

Lo prese in braccio, si sedette alla scrivania e poggiò l’affare sulla superficie del tavolo. Lo osservò attentamente. Tre lampadine stavano su quello che avrebbe dovuto essere il buco per inserire il pane da tostare. Su tutto un lato, invece, v’erano pulsanti di tutte le misure. Ne premette alcuni, così, tanto per vedere l’effetto, ma non accadde nulla. L’ennesimo esperimento non riuscito, quindi.

Il cellulare squillò. Lo prese e rispose.

«Pronto?»

«Jared, tesoro, dove sei? Papà è tornato qua a casa di corsa dicendo che aveva un’invenzione geniale di cui parlarci!» La voce della madre gli esplose nell’orecchio destro, costringendolo ad allontanare il cellulare dal viso. Possibile che non sapesse usare un tono di voce normale quando parlava al telefono?

«Ti farà ridere, ma sappi che io sono allo studio, quindi…»

«Allora aspettaci, ti raggiungiamo, così ne parla anche a te.» E la chiamata fu interrotta.

Riprese il tostapane tra le braccia. Sbagliava, o era diventato più pesante? Cercò di trascinarlo fino al punto in cui l’aveva trovato, ma il suo peso si intensificava. Divenne così greve che gli scivolò dalle mani. Cadde a terra.

Accadde tutto molto velocemente. Il tonfo del tostapane lo fece trasalire. Il pavimento si tinse di nero sotto i piedi di Jared: cercò un appiglio, ma tutto sembrava scivolare e scomparire nel buio; urlò, però la sua voce era spenta. Pregò, infine, mentre l’oscurità lo inghiottiva.

 

 

 

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Angolo autrice

Ehi, gente!  Qui Katerine, l’autrice di questa entusiasmante(?) fan fiction fantasy. In questo primo capitolo si presenta Jared, uno dei tre protagonisti.  ^__^
Allora. Vorrei ringraziare chi segue la mia storia e i lettori. Grazie mille *w*
Ora, vi starete chiedendo il significato dell’asterisco vicino a “La comunicazione cadde.” Ve lo spiego subito: una mia amica che non sta troppo bene con la testa (
♥) si è divertita a scrivere un finale un po’ diverso per questo capitolo x*D Ve lo lascio qui sotto. Ah, per chi non lo sapesse, la GerardaH è Jared Leto, cantante dei 30 seconds to Mars.

                                                                                                                                      Katerine Bratt

*“Fu come se l’intero mondo si spegnesse intorno a lui. I suoni si fecero ovattati e nella sua mente risuonavano solo due parole: MA VAFFANCULO.
Sbattè il telefono a terra, si curò di distruggerlo completamente con il tacco a spillo dello stivale e si allontanò a grandi passi con lo schermo del cellulare
divelto ancora attaccato ad un tacco. Arrivato in fondo alla strada non si curò di vedere se stava arrivando una macchina e mentre era al centro della corsia
fu violentamente sbattuto dalla GerardaH che aspettava come Clark Kent appollaiata sull’angolo dell’edificio in attesa di una vittima a cui spaccare il culo
come un husky. Jared rimase senza parole (non sapeva che a momenti si sarebbe ritrovato senza culo) ma alla fine pensò: MA basta me so rotto er cazzo,
ndo cojo cojo. E iniziò a darci dentro come un animale. Peccato che la GerardaH non abituata a fare l’uke contrattaccò, lo sbattè selvaggiamente a terra e lo 
montò come un cowboy ad un rodeo in pieno stile Vecchio West. Tutto ciò in mezzo alla strada. All’improvviso per terra si allargò un fiume di sangue… 
GerardaH preso dalla foga aveva spaccato il culetto di Jared. Anzi più precisamente l’aveva aperto come Raptor aprì il portone della sala grande per annunciare
che c’era un troll nei sotterranei di Hogwarts. Così prima di essere arrestato dalla polizia GerardaH se la diede a gambe lasciando il povero Jared completamente
spaccato in due agonizzante in mezzo alla strada. A porre fine alle sue sofferenza ci pensò Optimus Prime (per gli ignoranti che non conoscono questo nome
leggendario, è il tir rosso fiammante di transformers) che lo  schiaffò sotto a mille chilometri orari spargendo pezzi di Jared per tutta Montreal. Se lo videro 
piovere sulle finestre in una poltiglia rossastra anche gli impiegati di New York che avevano ammirato la venuta di Godzilla dietro le stesse finestre.
E questa è la storia di Jared.”
                                                                                                                                               Delirio by Dysdaimon


  
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