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Autore: Invader_from_Hell    02/03/2004    4 recensioni
In linea con "prima del viaggio", questo racconto ci fornisce un'ulteriore situazione che va ad arricchire il panorama e chiarisce in parte un dubbio amletico. Il mare ed il cielo che diventano un tutt'uno, tanto che non si distinguono più. Il terrore del perdere le coordinate e la felicità nel ritrovarle addosso ad un amico. E l'ansia del viaggio.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fa Ancora Freddo

Fa Ancora Freddo

 

Il titolo è riferito ad un racconto pubblicato a Novembre, “Fa Freddo”, il quale suggellò il mio esordio su EFP. Tale racconto adesso non lo troverete tra le mie opere, è presente solo sul mio hard disk. Era decisamente troppo personale e –rileggendolo adesso- un po’ ingenuo. Questo non può essere un seguito, ma credo che “proseguendo” su quella linea, su quelle emozioni, possa arrivare sempre più vicino alla chiusura. Ci ho messo tante allegorie che altro non sono che intime confessioni.

 

Nonostante fosse molto freddo non potevo proprio fare a meno di andare ad osservare un’ultima volta il mare, coltivando da lontano l’illusione di poter un giorno essere più vicino a quelle soffici onde. Chiuso fuori dal bisogno di dare quest’ultima occhiata alla pianura più azzura che avessi mai visto, ero quasi sicuro di essere uscito senza le chiavi. Tanto, se le avessi avute, le avrei gettate in acqua senza esitazione.

 

“ I’m sorry mom but this is where I stay “

 

Da quella zona leggermente rialzata potevo vedere il silenzio della costa bagnata dalla notte, senza però poterlo udire; nelle mie orecchie, infatti, solo il richiamo continuo e ormai irritante della voglia di scendere e farmi vedere dal cielo mentre davo quell’ultimo saluto al mare. Ritenevo infatti questione di fondamentale importanza essere visto dal mio tutore e mentore. Non ero sicuro però del carattere di quest’azione. Se da una parte poteva essere un modo per cercare l’ultima e suprema conferma della necessità di intraprendere il viaggio che stavo per affrontare, dall’altra poteva essere l’ultima occasione per essere commiserato e violentato dall’illusione della riuscita incondizionata nell’impresa che avevo deciso di compiere. Avevo paura di vedere nel cielo un volto rassicurante e sempre accondiscendente, io che ero semrpe stato convinto di ammirarne solo la bellezza, avevo da poco compreso che amavo sentir parlare quella cupola azzurra, quel foglio cobalto dallo spessore indefinibile. Amavo discorrere per ore intere con lui, quando la mia vita aveva perso ogni significato e non mi rimaneva che fissare il soffitto, quando avevo bisogno di sapere come fare mia l’ultima stella del Paradiso che in caduta sulla terra tracciava un’iperbole di pura bellezza, priva di narcisismo o guadagno. Lui, il cielo, tacitamente rispondeva ad ogni mia domanda esprimendosi in curiosi sbuffi bianchi e vagamente deformi. Dico vagamente, perché per moltissime persone lo sono del tutto, ed in effetti è difficile dare loro torto, bisogna però precisare che la loro deformità per me non era altro che un alfabeto.

Quella sera il cielo sembrava muto. Ovunque riuscissi a scorgere nella notte – e il mio sguardo era piuttosto avvezzo a quelli strapazzi notturni- non c’era traccia di scrittura bianca e soffice. Solo un’immensa volta che minacciava di risucchiare chiunque si provasse a contarne le stelle, gioielli troppo preziosi e numerosi per poter essere oggetto di classificazioni e censimenti. Quello che è fatto di luce liquida dovrebbe sfuggire alla comprensione umana. Io, nonostante questo loro aspetto aristocratico e prezioso, le trovavo più belle di qualsiasi diamante terrestre. Forse, era proprio il paragone coi diamanti che le rendeva così belle ai miei occhi: vedere gioielli di simile bellezza a milioni di anni luce di distanza, lascia uno spazio quasi infinito all’immaginazione soggettiva. In piedi sulla Terra, col naso incollato al cielo, potevo immaginarne forma, dimensione, colore, persino l’odore. Non ero così capace di attribuire loro un prezzo, triste caratteristica di tutto ciò che è umano, quindi tangibile. Credo proprio che oggi anche la tristezza abbia un prezzo, e l’unico modo gratuito per formentarla è la pioggia. Quando non è acida.

Avrei dato una risposta anche a questo nel mio viaggio, probabilmente la risposta sarebbe stata il diretto corollario di qualche teorema che sarei riuscito a dimostrare.

Adesso però, era venuto davvero il momento di ricacciare ogni dubbio nell’abisso delle mie consapevolezze e di imboccare la strada che senza mezzi termini e con un tragitto piuttosto rapido e privo di spunti riflessivi mi avrebbe condotto al cospetto delle onde.

Molta gente in città quella sera, e mi stupii di non riconoscere nessuno  dei volti che incrociavo per strada, riuscivo quasi a sentirmi uno straniero in casa mia, avevo quasi l’impressione di parlare una lingua diversa dalla loro anche nel mio silenzio. Esatto, mi sembravano attoniti e perplessi di fronte alla mia camminata sicura verso il mare, come potrebbe essere una persona che in piena estate vede un uomo gettarsi in acqua vestito con abbigliamento da sci. O come qualcuno che per la prima volta sente parlare una ligua esotica e sconosciuta, che in questo era quella altamente idiomatica e lessicalmente ricca tipica del silenzio. Il lessico del silenzio sono gli sguardi ed i gesti, senza la conoscenza dei quali è semplicemente impensabile comprendere la lingua orale. Prima impara a stare zitto, poi prova a parlare. Di tempo ne hai quanto ne vuoi.

Sulla spiaggia, come avevo immaginato, non c’era nessuno. Questo mi dette di che pensare. Cosa poteva aver tenuto la gente lontana dalla spiaggia un sabato sera? Il freddo non era una scusa adeguata. Tutto sembrava far parte di un disegno ben più complicato. Istintivamente alzai lo sguardo e senza eccessiva sorpresa scorsi una nuvola appena sbucata; la lessi.

Abbassando nuovamente lo sguardo nella posizione originale, persi la cognizione del confien tra cielo e mare. Non si vedeva più la sottile linea all’orizzonte che separa i due colori e impedisce loro una perversa commistione. La linea era del tutto scomparsa, invisibile su tutto il fronte, invisibile anche sulle colline. Non avevano paura di esser inghiottite anch’essere da quel colore assurdo?

Era il colore che adesso occupava tutta la mia visuale, potevano essere onde nel cielo e nuvole nel mare per quanto potessi vedere io, anzi ero convinto che i due universi si stessero unendo in un solo cielo bagnato. La tonalità dominante era una lotta estenuante anche solo alla vista tra viola e blu oltremare, si dominavano a vicenda e sembravano godere di questo loro orgasmo congiunto.

Ero terrorizzato ed in estasi di fronte alla perdita di cognizione dei limiti dello spazio e degli elementi, un po’ come lo ero sempre stato al cospetto di quell acommistione di amore ed odio alla quale ero perennemente assoggettato. Proprio su quella si sarebbe basato il mio viaggio, per questo adesso mi convinsi che farlo partire dal mare non sarebbe stata una buona idea.

Sentivo il bisogno di aumentare il terrore in me, ne desideravo sempre di più, iniziavo ad essere irritato al solo pensiero di non fare parte di quell’orgasmo inspiegabile ed estremamente sensuale.

Dovunque mi voltassi, nient’altro che tonalità identiche, seppure nella loro commistione di colori. Questo connubio stava diventando un pattern ripetitivo.

Nel terrore ormai mi sentivo a mio agio, e avevo smesso da un pezzo di avvertire quella sensazione di rigurgito del cuore.

“ Non distinguere tra due concetti opposti dev’essere una cosa quotidiana per te…” sentii la sua voce arrivare da molto vicino, e mi stupii di non averlo sentito attivare. Me ne vergognai quasi.

Tuttavia, non mi voltai, quell’affermazione suonava come un accusa da chi ne ha fatte le spese.

“ E non voleva essere un’offesa…” aggiunse poi, facendosi più vicino. Lo avvertivo accanto a me, ma non riuscivo ancora ad avvertire il suo respiro. Mi venne da sorridere, e così feci. Ebbi la sensazione di aver aperto una porta senza possederne le chiavi.

“ Da quanto sei qui?” chiesi voltandomi verso di lui. Riuscivo a distinguerlo chiaramente anche al buio. Si stagliava contro il cielo che ingravidava di nuvole il mare.

“ Qualche minuto, ma non pensare che ti abbia seguito…” rispose lui. Avrei potuto usare il principio “scusatio non petita accusatio manifesta”, ma il suo tono di voce non tradiva code di paglia.

“ Lo so, tranquillo…” dissi dopo qualche secondo. Stava osservando quello spettacolo. La sua figura, più bassa della mia, si avvicinata di qualche passo al mare. Per un momento ebbi paura che potesse essere coinvolto in quel coito.

“ In partenza, suppongo…” disse poi tornando accanto a me. Fui investito da un’ondata di calore e profumo. Pensare di baciarlo non sarebbe stato del tutto fuori luogo.

“ Già…” risposi io. Improvvisamente mi vidi che fissavo il soffitto mentre pensavo che la mia vita fosse ufficialmente persa. Ero quasi imbarazzato del fatto che lui sapesse ogni cosa. Se avessi potuto, avrei cancelato ogni sua consapevolezza.

“ Una volta hai fatto un viaggio anche per me allora?” mi chiese poi. Lasciandomi di stucco peraltro. Sapevo di potermi aspettare di tutto, ma ogni limite è stato creato non a caso. Tuttavia, mi sembrava giusto e quasi opportuno rispondergli. Sembrava uscire naturale.

“ Certo che l’ho fatto.. e sono rimasto vittima della migliore opportunità della mia vita, e lo sai meglio di me..” risposi. Non ci pensai due volte.

“ Una cosa che mi piaceva di te era il tono di voce con cui dicevi – ti amo-….” disse senza guardarmi in volto, continuando a fissare quell’orgia naturale.

“ è carino?” mi chiese poi, riuscendo a fingere una curiosità positiva.

Sospirai e sorrisi. “ Sì… qualche dubbio sui miei gusti?” risposi io quasi ridendo. Non ci pensai subito, ma quello poteva suonare come un complimento verso di lui, e la cosa non mi dispiacque.

Arrossì nel profondo della sua felicità.

“ Sei tranquillo” gli feci notare abbracciandolo.

“ Anche tu” rispose lui baciandomi delicatamente sulla guancia.

Una serie imprecisabile di ricordi mi si parò davanti. Ma uno in particolare mi sembrò estremamente importante.

Eravamo all’inizio del liceo, forse avevamo iniziato da un paio di mesi il primo anno. Ricordo molto distintamente che quel giorno di novembre fuggii più velcoe che potevo in bagno per scappare dal soffitto che sembrava sempre precipitarmi addosso, e delle stelle che cadevano sulla terra avevo una paura matta. Rasentavo le convulsioni e il malessere si traduceva nel dolore a qualsiasi contatto. Quel giorno lui mi volle seguire, preso da non so quale istinto, fattostà che lo fece e lo fece maledettamente bene, perché mi trovò quasi subito. Non ricordo assolutamente quello che mi disse, perché il mio ritorno alla percettività coincide col momento in cui le sue labbra si appoggiarono per la prima volta sulla mia guancia. Il soffitto ci sprofondò addosso, ma non ci facemmo assolutamente nulla, al riparo tra le sue braccia era ora di vivere.

Lo stesso bacio che adesso mi aveva regalato: delicato e di una naturalezza che solo un bambino può mostrare.

Passammo un’ora filata in quella posizione.

“ sinceramente non riesco ad immaginare un tuo fallimento” mi disse dopo un po’. Ci stavamo facendo inghiottire da quel colore maledetto.

“ io sì…” risposi.

“ Parti, per favore, e non dire sciocchezze…” mi abbracciò nuovamente, e ci baciammo. Non sulla guancia. Ma fu una cosa talmente naturale che non riuscimmo a sentirla come amore. È quello che può succedere quando due anime si sono esplorate in ogni più nascosto angolo e hanno poi deciso di continuare a cercare anime da eplorare altrove. Non hanno però potuto sacrificare la totale armonia tra di loro. Baciare il mio migliore amico era l’unico modo per ringraziarlo, anche se in seguito al mio viaggio avrei probabilmente dovuto inventare un altro modo…

Mi accarezzò i capelli e mi diede una spinta giocosa.

“ Via da qui, hai da fare!” mi disse.

Pochi secondi dopo sparii dalla sua visuale col sorriso più soddisfatto della mia vita, adesso vedevo chiaramente le stelle cadere sulla terra, e non riuscivo a sentirmi lo stesso. Il viaggio doveva iniziare. Dissi questo con gioia immensa, mentre cielo e mare tornavano ad essere due corpi distinti.

 

 

  
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