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Autore: SimmyLu    08/09/2011    4 recensioni
Mosca, Monastero Vorkof. Yuri Ivanov si trova costretto a richiedere l'aiuto di Kai Hiwatari, a causa di problemi economici riguardanti proprio il monastero che si è trasformato in un ricovero per gli orfani e i ragazzi senza fissa dimora della capitale russa. Ma non è solo questo problema che toglie il sonno a Yuri, il ragazzo presenta i sintomi di ferite più gravi e profonde che scavano nell'anima e nel cuore, fino a portare alla luce segreti mai rivelati. Il giovane russo è l'origine di misteriosi e inspiegabili fenomeni e l'unico che sembra poterlo capire è proprio Kai. Fra paure, incubi, ricordi del passato e un'infanzia dimenticata, cadono silenziose le piume rosse della fenice sul bianco lucente della neve moscovita.
[ Personaggi: Yuri, Kai, Boris, Sergej, Vorkof, altri ]
Genere: Generale, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo TRENTUNESIMO: FORBICI E BACI




«...per questo motivo ho deciso di andare in Giappone.»

Non era stata una notte facile per Yuri.
Non aveva chiuso occhio, cercando di riordinare le idee e pensando cosa dire a Sergej e Boris.
Aveva fatto su e giù nella sua stanza, nel suo officio e infine si era recato in cortile.
L'aria era umida e il grande solco che si era aperto come una crepa al posto dell'arena era più grosso di quanto ricordasse.
Lo fissò come se non fosse capace di fare altro.
Poi si rilassò.
Inspirò ed espirò.
Uscì dal perimetro del monastero, oltrepassando il cancello cigolante.
Non sapeva dove stava andando, ma muoversi lo aiutava a seguire il filo dei propri pensieri.
Un lento incedere che sapeva bene non lo avrebbe condotto tanto lontano.
Quella presa di coscienza fu come una liberazione.
Si rese conto che tutto era semplice come quella inconcludente passeggiata notturna.
Era inutile cercare una soluzione diversa da quella che già sapeva di dover prendere.
Le mezze verità e le bugie, così come le tattiche e i sotterfugi non lo avevano mai portato da nessuna parte.
L'unica soluzione, anche se difficile da prendere, era dire la verità.
Tornò indietro e il Monastero sembrò guardarlo con sufficienza, per la prima volta dopo tanto tempo il peso di quelle pietre non grava più su di lui e la sua imponenza pareva aver perso il suo potere nella soffusa luce del primo mattino.
Raggiunse la sua stanza e si sedette sul letto, impaziente di parlare coi compagni, impaziente di liberarsi.
Si alzò e raggiunse il bagno.
Aprì il rubinetto del lavabo e si sciacquò la faccia con l'acqua gelata, osservando poi il suo riflesso nello specchio ossidato.
Quando era successo?
Quando le sue mani erano diventate così grandi?
Quando le sue spalle erano diventate così larghe?
Quando il suo viso aveva assunto tratti tanto spigolosi?
Andò in camera, frugò nel cassetto della scrivania per cercare qualcosa e quando l'ebbe trovato tornò in bagno. Raccolse i capelli, sollevò la mano e cominciò a tagliare.
Era già mattina.


«...per questo motivo ho deciso di andare in Giappone.»
Aveva detto loro tutto pregandoli di non interromperlo.
Aveva raccontato del Bitpower cercando di contenere il discorso senza perdersi in particolari che li avrebbero probabilmente sconvolti. Infine aveva confessato la sua decisione di andare in Giappone e cercare una soluzione per salvare il Monastero con l'aiuto di Hiwatari.
Boris fece un sacco di domande, sfogando tutto il suo disappunto; Yuri cercò di rispondergli senza spazientirsi.
Sergej invece non disse una parola limitandosi ad ascoltare fino a quando incrociò le braccia e chinò il capo sul petto.
«Quando partirai?» chiese.
«Domani sera.»
C'era ancora una persona con cui doveva parlare.


* * *


Yuri aveva un piano.
A Yuri piaceva avere un piano d'azione quando si apprestava ad affrontare una situazione difficile.
Avere un piano lo tranquillizzava, gli consentiva di affrontare gli ostacoli singolarmente, di preoccuparsi di un dettaglio alla volta e di non entrare in ansia.
Il suo piano era semplice e per questo gli piaceva. Un piano semplice era più facile da seguire ed aveva una maggiore probabilità di riuscita.
Doveva solo arrivare a casa di Irina, bussare alla porta e chiedere di parlare con lei in privato.
Facile e semplice.
Aveva già pronto il discorso, parola per parola.
Le avrebbe detto la verità, così come aveva fatto con i suoi compagni.
Le avrebbe detto ciò che provava.
Era programmato.
Era perfetto.
Purtroppo però anche i piani più semplici e apparentemente infallibili non hanno alcuna risorsa per affrontare le variabili impreviste.
Yuri infatti non aveva messo in conto che sarebbe stato colto dal panico una volta arrivato davanti al portone del palazzo in cui Irina viveva in un piccolo appartamento con le sorelle.
Aveva cercato di calmarsi, ma non riusciva a fare quel passo in più e varcare la soglia dell'edificio.
Era una follia.
La consapevolezza di quel pensiero gli giunse improvvisa.
Quello stupido piano che aveva elaborato immaginando più volte come si sarebbero svolti i fatti nella sua mente... era una follia.
Che cosa gli era saltato in mente?
Era forse impazzito?
Se Irina non fosse stata in casa? L'avrebbe aspettata? Quanto tempo aveva a disposizione? E se non avesse avuto abbastanza tempo? O se Irina si fosse rifiutata di parlargli? Perché lo aveva dato per scontato? E se avesse riso di lui? Se l'avesse trattato male?
Fece il giro dell'isolato due volte prima di decidersi.
Fronteggiò l'ingresso con determinazione schiarendosi la voce.
Aprì il portoncino con il cuore in gola.
Irina era lì.
Irina era di fronte a lui sulle scale, appena uscita di casa.
C'era qualcosa di nuovo in lei, negli occhi stanchi, nei capelli un po' arruffati, nei vestiti trasandati e logori.
Qualcosa di decadente, triste e tremendamente sensuale.
Yuri ricordava di avere qualcosa da fare, ma non riusciva a ricordarsi cosa fosse. Si era dimenticato del suo piano e il discorso che si era preparato era solo un insieme di parole senza senso.
Tutte le frasi erano volate via, come un palloncino che lentamente si allontana verso il cielo senza dare la possibilità di riacciuffarlo.
«Yuri...» disse Irina.
Le sue labbra pronunciarono il suo nome e rimasero leggermente dischiuse, sorprese.
Quelle di Yuri si mossero senza ottenere alcun suono.
Fu ancora lei a parlare.
«Ciao.»
«Ciao.» riuscì finalmente a rispondere, sembrava non avere idea del perché si trovasse lì.
Lei sorrise appena, illuminandosi.
Scese qualche gradino.
«Ciao!» ripeté.
«Volevo... volevo vederti.»   
«Sì.»
Gli occhi di Irina avevano il peso dell'universo.
Qualcosa al di là del suo stesso essere gli impose di agire.
Doveva dirglielo, dirglielo subito.
Con una frase di senso compiuto.
Una sola semplice frase.
«Vado in Giappone.»
Aveva senso, sì, ma non era esattamente quello che voleva dire.
«Oh...» biascicò lei abbassando lo sguardo.
«Non so di preciso quanto rimarrò... È per il monastero.»
«Quel tuo amico...»
«Sì, lui.»
Irina annuì chinando il capo.
Il silenzio li avrebbe divorati.
Avrebbe divorato quel momento.
Parlare.
Doveva solo parlare.
«Irina...»
«Yuri, ascoltami...»
«No! Ascoltami tu.»
Solo un altro po' di coraggio, Yuri.
«Tu sei... per me sei importante. E... sono innamorato di te.»
Irina non disse nulla.
«So che non è il momento giusto, so che dovrei aspettare, ma adesso sono qui... e sono stanco di aspettare. Vorrei che avessi il coraggio di dirmi come stanno le cose. Vorrei sapere se anche tu provi qualcosa per me.»
Il silenzio si fece padrone di entrambi.
La ragazza scese gli ultimi gradini.
«Quando ritorni... promettimi che tornerai da me.»
Le sue labbra formularono la risposta su quelle di lei.





FINE TRENTUNESIMO CAPITOLO, continua...


Beyblade © Takao Aoki
   
 
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