DEDICA: A Cloud, che non
ringrazierò mai
abbastanza per il suo sostegno, a feyilin perché
sì e a G, che per fortuna non
saprà mai di questa dedica.
NOTE: Beh, come
potrete constatare tra poco
questo è il capitolo della svolta: d’ora in poi le
cose si complicheranno a non
finire! *risata maligna* Con ciò si chiude il luuuuuungo
excursus cominciato
nel capitolo 1, che narra gli avvenimenti verificatisi prima del
prologo. L’ho
scritto di getto in meno di dieci ore, e il risultato sta a voi
giudicarlo.
Come al solito ci sono citazioni e riferimenti random-e-alla-cazzo (si
può dire?)
che ci stanno sempre bene. Le fan di Gaius -se ce ne sono- mi
linceranno viva,
a proposito. Ah sì, colpo di scena: l’ultima parte
del capitolo è una sorta di
POV Arthur.
Ci
risentiamo nell’angulus dell’autrice,
as always.
Buona lettura!
“Perché
il volere bene non si compra,
non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si
può evitare: il
voler bene succede”. (Jorge Amado)
Il medico di
corte se ne stava bello tranquillo per i
cavoli suoi, circondato da provette ed alambicchi e maneggiando con
cura
distillati di erbe medicinali più o meno legali, quando uno
sconvolto Merlin
fece irruzione nel suo laboratorio. Tale fu l’impeto con cui
il giovane
spalancò la porta, sbattendola violentemente contro il muro,
da far sobbalzare
il pover’uomo, che teneva in mano una fiala colma di liquido
scuro.
“Merlin,
che
Lady Gaga ti benedica! Quale urgenza ti conduce da me con il tuo bel
faccino
spaurito?”
Il
‘bel
faccino’, ansimante per la corsa, si limitò a
rantolare alcuni versi
incomprensibili. Non appena ebbe recuperato almeno in parte la
capacità di eloquio,
esalò un “Gaius!” appena appena
sfiatato. Il suo sguardo cadde sul contenuto
della boccetta che l’uomo stringeva possessivamente: che
fosse il suo tessssoro?
“Non
sarà mica
Pozione Polisucco, quella?” domandò aggrottando le
sopracciglia e al tempo
stesso spalancando gli occhi, dando mostra della sua incredibile mimica
facciale.
L’altro
arrossì vistosamente, colto in flagranza di reato, e
istintivamente nascose la
pozione incriminata dietro la schiena, quasi a cercare di negare
l’evidenza del
suo misfatto.
“Oh,
Gaius.
Non ditemi che ci siete cascato di nuovo!” si
disperò Merlin, schiaffandosi una
mano in faccia.
Alcune lune
prima il giovane mago era venuto a conoscenza di un segreto che il
cerusico era
riuscito a celare per più di vent’anni. Nei
weekend, invece di accamparsi nel
Fantabosco ad ubriacarsi di Blumele in compagnia di Tonio Cartonio e a
fare
scorta di erbe e fiori rari come aveva sempre sostenuto, egli aveva
l’ignominioso hobby di assumere, grazie alla Polisucco, le
fattezze di una
procace trentenne mora e popputa quanto basta e di recarsi alla taverna
dei Due
Soli ad adescare uomini.
Tralasciando
come e in quali circostanze Merlin avesse scoperto quella scandalosa
verità,
egli era convinto che Gaius avesse ormai smesso con quella... cosa. Gliel’aveva
giurato sulla tomba di Bilbo Baggins, maledizione!
Passarono
alcuni minuti carichi di tensione, durante i quali il ragazzo
inveì contro il
destino che gli aveva affiancato un mentore aspirante donna,
come se non
fosse bastato già quell’asino del suo principe a
causargli problemi. Gaius ne
approfittò per mettere al sicuro la preziosa fialetta e per
infilarsi in tasca
una giarrettiera finita chissà come
tra
le sue riserve di calendula e semi di papavero in polvere. Il primo a
rompere
quel silenzio fu Merlin, con una luce grave negli occhi.
“…Come
non
detto. In fondo la vostra vita sessuale”, represse una
smorfia di raccapriccio,
”non mi tange, e poi non sono nessuno per giudicarvi. Vi
chiedo soltanto la
massima discrezione e di non disseminare in giro per il laboratorio la
vostra biancheria
intima speciale, intesi? Adesso passiamo al vero motivo per cui mi sono
scapicollato fin qui”.
L’uomo
sospirò sollevato, ringraziando mentalmente il suo protetto.
Gli fece cenno con
una mano di accomodarsi e preparò al volo due Apple Martini
per rinfrancare lo
spirito di entrambi.
Mezza
clessidra dopo, Merlin aveva reso edotto Gaius del grave pericolo che
correvano
i Pendragon, e con essi l’intera Camelot. L’anziano
medico non perse tempo e prese
a consultare, con l’aiuto dell’altro, il tomo di
magia cui erano ricorsi in
situazioni simili, alla ricerca di un incantesimo, filtro od arcano
rituale che
potesse cascare a fagiolo. Inutile dire che non trovarono
alcunché (non ci
piace vincere facile).
Proprio
quando i due stavano per perdere la speranza, al nostro eroe si accese
la
provvidenziale lampadina in testa. Dopo essersene uscito con un
“Accipigna!”,
ordinò a Gaius di smetterla di ubriacarsi col Martini e di
prestargli
attenzione.
“Rammentate
Kilgharrah, il drago tenuto segregato nelle segrete del castello
(marcondirondirondello) fino a qualche mese fa?”
“Come
potrei
dimenticarlo! Poverino, era l’unico esemplare sopravvissuto
della sua specie ed
è stato così barbaramente ucciso dal principe...
Capisco che aveva in pratica
messo sotto assedio Camelot, ma non si poteva cercare di renderlo
inoffensivo e
metterlo al sicuro, impedendogli così di nuocere ad anima
viva? Ah, ma non finisce
mica qui: lo farò presente a quelli della WWF,
altroché”.
Doveva
mettere fine a quello sproloquio ambientalista, subito.
“Non
ci sarà
bisogno di informare chicchessia, Gaius: il drago è vivo e
vegeto, sono stato
io a salvargli quella pellaccia dura che si ritrova. Ho addormentato
Arthur
modificandogli la memoria e l’ho lasciato fuggire. Ci teniamo
in contatto
telepaticamente, anche a distanza”.
“Connessione
bluetooth, eh? Di certo molto più comodo così che
mandarsi messaggi tramite
piccioni viaggiatori” rifletté l’altro.
Batté
la
palpebre, metabolizzando la notizia ed illuminandosi tutto:
“Allora si è
salvato! Qual gaudio e tripudio, dovrò comunicare la lieta
novella
all’Associazione Amici dei Draghi: ti nomineranno membro
honoris causa” esultò
lievemente commosso. Poi si voltò verso Merlin, finalmente
focalizzato sulla
questione.
“Intendi
dunque chiedere aiuto a Kilgharrah?”
“L’idea
è
questa, sì. Mi ha letteralmente salvato il culo in diverse
circostanze, chissà
che non lo faccia anche stavolta. Mi deve la vita e la
libertà, un consiglio
potrà pure darmelo”.
Presa questa
decisione, lo stregone si sentì un poco meglio e bevve un
sorso del suo drink.
Avrebbe aspettato che calasse la notte, e solo allora si sarebbe
diretto verso
la radura nei pressi del castello (marcondirondirondello) per chiamare
a
rapporto il suo amico lucertolone.
Senza sapere
neanche lui cosa esattamente stesse
dicendo, Merlin articolò alcuni gorgoglii sconnessi e
gutturali e, dopo
un’attesa relativamente breve, sentì uno
spostamento d’aria familiare, dovuto
all’altrettanto familiare frullare d’ali di
Kilgharrah.
L’imponente
drago chinò
il testone in un gesto di
saluto e sottomissione nei confronti dell’ultimo Signore dei
Draghi ed il suo
vocione rauco investì la mente dell’umano.
“Salve,
giovane mago. Era da parecchio che non mi tartassavi con le tue
richieste di aiuto,
cominciavo a preoccuparmi” esordì amabile come al
solito.
Tuttavia
Merlin non aveva né tempo né particolare voglia
di scambiarsi schermaglie con
lui.
“Kilgharrah,
piantala di flirtare e veniamo al sodo. Camelot è nei
casini, per usare un
garbato eufemismo, ed io ho seriamente bisogno che tu mi aiuti.
Pliz”.
“Che
sorpresa! Non l’avrei mai immaginato, pensa te”
rispose con un grugnito che
somigliava tanto ad una risata. Fu però in rispettoso
silenzio che ascoltò il
resoconto di Emrys e fu senza l’ombra di sarcasmo nella voce
che gli fornì la
soluzione al problema.
“Quello
che
ti sto per rivelare è un rimedio della cui esistenza sono a
conoscenza ben
poche creature magiche, quindi ti esorto ad imprimertelo per benino
nella
memoria perché non lo ripeterò”.
Merlin
annuì
compunto, pronto a scrivere con il block notes e la BIC in mano.
“Trova
quel
fiore che dalle fanciulle vien chiamato viola del pensiero e del suo
succo
ricava il prezioso nettare. Mescici assieme una ciocca dei tuoi capelli
e cinque
gocce d’essenza di digitale e nel mentre recita codesto
incantesimo:
«Fiore
di
viola,
la vita è una sola:
donami ciò che tutti i dispiaceri consola».
Lascia poi
mantecare la mistura per almeno cinque giri di clessidra. Una volta
ultimata,
versala in una boccetta con pratico diffusore spray e domani, quando ti
sarai
intrufolato nella Sala del Consiglio senza farti sgamare, spruzzala
sugli occhi
di entrambi i re. Hai preso nota di tutto?”
“Sillaba
per
sillaba. Ti ringrazio dal più profondo del cuore,
Kilgharrah” sorrise Merlin
pieno di gratitudine. Poi tossicchiò esitante.
“Un’ultima
cosa, se posso”.
“Chiedi
pure, giovane mago”.
“E’
solo una
curiosità mia, niente di che: come è chiamato
l’idioma di voi draghi, di cui mi
servo anche io per comunicare con quelli della tua specie?”
“Serpentese”.
“Sul
serio?”
ribatté Merlin accigliandosi.
“Fidati
di
me, Emrys. Adesso va’, che la notte non è poi
così giovane e tu hai un compito
da portare a termine. Tienimi aggiornato sugli sviluppi futuri,
d’accordo?”
“Ma
certo,
amico mio. Grazie ancora”.
L’ingenuo
giovanotto si incamminò in direzione del castello
(marcondirondirondello),
lasciandosi alle spalle il drago senza voltarsi indietro. Fu un errore,
giacché
se l’avesse fatto avrebbe notato l’espressione
ghignante e vagamente malefica
della creatura.
Il giorno
seguente Merlin si presentò al cospetto di Cenred con due
occhiaie da fare
invidia ad un procione. La notte passata aveva fatto le ore piccole, ma
non
tanto perché impegnato nella preparazione del filtro magico
(con l’aiuto di
Gaius e le sue inesauribili scorte d’ingredienti di ogni tipo
era stato come
bere una coppa d’acqua fresca), quanto piuttosto per
l’agitazione che non gli
aveva concesso tregua fino alle prime luci del mattino. Da lui soltanto
dipendeva la buona riuscita della missione e di conseguenza la salvezza
di
Camelot e dei suoi regnanti: mica bruscolini, Santo Gandalf!
La mattina
stessa venne ufficialmente sollevato dall’incarico di
valletto personale temporaneo
di Cenred. Egli in persona, al momento di congedarlo, gli rivolse
gentili
parole di commiato e gli fece addirittura dono di un bracciale di cuoio
abilmente intrecciato che, secondo le parole dell’uomo, era
un manufatto
artigianale piuttosto in voga nel suo regno.
Il mago
arrossì un poco, piacevolmente toccato
dall’inaspettata delicatezza del re, e
gli sembrò del tutto irreale che avesse intenzioni
così turpi e malvagie; sentiva che
nella congiura c’era lo zampino di
quel maledetto luogotenente dallo sguardo spiritato. E si dispiacque,
perché
gli era ormai chiaro che il povero Cenred non era che un semplice
burattino
manovrato dall’altro.
Riuscì
comunque a non tradire nessuna emozione e dopo un breve inchino ottenne
il
permesso di tornare al suo vecchio incarico. Merlin tuttavia, durante
la
nottata insonne, aveva elaborato un piano di sicura efficacia: tendere
un
agguato ad uno dei consiglieri di Cenred, addormentarlo e nasconderlo
in un
armadio random del palazzo ed infine sottrargli un capello da
aggiungere alla
bottiglietta di Pozione Polisucco che aveva sgraffignato a Gaius mentre
questi
dormiva. Tutto andò come sperato e fu così che
poté unirsi indisturbato alla
piccola folla diretta verso la Sala del Consiglio con
l’aspetto di un decrepito
ma simpatico nonnino.
Riunitasi
che fu la corte con tutto l’ambaradan, fecero il loro
maestoso ingresso nella
Sala Uther ed il figlio, seguiti da Cenred e i suoi uomini
–tra cui Morgause e
il nostro impavido eroe. Arthur si guardò intorno, cercando
quell’idiota del
suo amico, ma pose fine a quest’attività non
appena ebbe realizzato che a
Merlin, in quanto semplice servitore, non era concesso presenziare a
cerimonie
così importanti e delicate.
Il principe
sbuffò contrariato. Erano ben cinque giorni che non lo
vedeva, figurarsi
riuscire a scambiarci quattro chiacchiere. Non l’avrebbe
ammesso neanche sotto
tortura, ma quell’impiastro gli mancava più di
quanto pensasse. Gli sembrava
fosse trascorsa un’eternità dall’ultima
volta che l’aveva sbeffeggiato per la
sua imbranataggine o gli aveva ingiunto di preparare la tinozza di
acqua calda
per il bagno. E comunque, pensò l’erede al trono
soffocando uno sbadiglio sul
nascere, ben presto se lo sarebbe ritrovato tra i piedi, con le sue
buffe
orecchie e la risposta pronta. Quell’immagine, non sapeva
spiegarsi il perché,
gli parve in un certo senso confortante. Familiare.
Arthur
scosse la testa, spostando la sua attenzione sullo svolgersi della
stesura del
trattato. Entrambi i sovrani avevano apposto la loro firma sul
documento e si apprestavano
a scambiarsi una stretta di mano, come era costume, quando
dall’esiguo
gruppetto dei consiglieri di Cenred si fece avanti quello che sembrava
essere
il più anziano, i cui occhi blu tuttavia brillavano fin
troppo acuti e
giovanili.
Il fragile
vecchietto, rivelando un’agilità sorprendente,
estrasse da una manica della sua
ampia veste una fiala di vetro con tanto di tappo spray e, prima che
chiunque
nella sala potesse presagire le sue intenzioni e fermarlo,
spruzzò abbondantemente
il liquido sui volti dei due re. Poi, con la stessa velocità
con cui aveva
agito, rientrò nei ranghi, in attesa. Arthur
provò un moto di indignazione.
Perché mai le guardie reali non intervenivano a punire
quell’irriverente che si
era macchiato del delitto di lesa maestà?
La risposta
l’ebbe non appena rivolse lo sguardo sui regnanti
oltraggiati: erano
avvinghiati l’uno all’altro, indecentemente vicini
e… si stavano… baciando?!
(In realtà, i due uomini stavano limonando
allegramente, con tanto di audaci scambi di lingue, saliva e morsi.
Riteniamo tuttavia
che sia meglio non farlo notare al giovane Pendragon.) Nessuno dei
presenti
ebbe l’ardire di far qualcosa che andasse oltre lo spalancare
la bocca,
strabuzzare gli occhi, ammutolire e venir colti da un curioso senso di disagio e imbarazzo.
A mettere
fine a quella situazione di stasi impacciata ci pensò Arthur
che, ripresosi
dallo shock quanto bastava per dare ordini, urlò in preda
all’isteria più
isterica di arrestare immediatamente l’autore di quel
diabolico maleficio
–giacché solo un maleficio poteva aver spinto suo
padre a ficcare la lingua in gola a
Cenred. I soldati si riscossero dal
torpore in cui erano caduti e con
grida belluine si precipitarono in direzione del consigliere; ma
l’uomo,
sfuggente come un’anguilla, riuscì a non farsi
acchiappare. A quel punto il
principe si vide costretto ad intervenire e sprezzante del pericolo si
gettò
nella mischia. Concentrato come era nell’individuare il
malfattore in quel
marasma, si accorse di esserci andato a sbattere contro solo quando se
lo
ritrovò addossato al suo petto.
La dinamica
dell’incidente non fu mai del tutto chiarita,
poiché le versioni dei testimoni
oculari erano alquanto dissimili tra di loro. Ciò su cui
concordarono
all’unanimità fu che, in una sequenza confusa,
l’omino aveva -forse d’istinto-
premuto sull’erogatore della boccetta che ancora teneva in
mano inondando il
volto del giovane Pendragon, il quale aveva strizzato gli occhi
irritati
mollando così la presa sull’altro, che era caduto
col culo a terra. Eppure
nessuno avrebbe mai potuto prevedere cosa successe immediatamente dopo.
Arthur
batté
le palpebre, liberandole con le mani dal liquido che aveva osato
aggredirle, e
mise a fuoco. Subito sentì nascere dentro di sé
un sentimento d’amore profondo,
imperituro, intenso, spropositato (eccetera eccetera) per la creatura
-o
meglio, la visione- che si offriva ai suoi occhi arrossati in tutta la
sua
sfolgorante, conturbante, indicibile, stupefacente (eccetera eccetera)
bellezza. Solo in un secondo momento si rese conto che il proprietario
di
siffatta avvenenza non era altri che un vecchio.
Tuttavia
egli non fece neanche in tempo a stupirsi troppo della cosa,
poiché davanti al
suo sguardo incredulo quel corpo rugoso ed artritico lasciò
il posto ad uno
altrettanto esile ma decisamente più giovane e sodo. I
capelli riacquistarono
la loro sfumatura di ala di corvo, le guance tornarono lisce e
leggermente
arrossate, le orecchie dannatamente enormi. Solo gli occhi restarono
gli
stessi, blu e splendenti come zaffiri e -in quel momento- totalmente
smarriti.
Merlin.
Ri-salve.
Trascrivere
questo capitolo al computer è stata un’impresa non
da poco, perché finora è il
più lungo che abbia mai scritto e davvero sembrava non
dovesse finire più.
Un buffetto
sulla guancia a tutte le lettrici in generale, hasta luego!