Buona lettura, ci si legge in fondo ;)
Secondo Capitolo
« Un
palazzo viene dato alle fiamme, tutto quello che ne rimane è
cenere.
Prima pensavo che questo valesse per ogni cosa: famiglie, amici,
sentimenti.
Ora so che a volte, se l'amore è vero amore, niente
può separare due persone fatte per stare insieme. »
Sarah - Il corvo (1994)
Ore
noiose. Argomenti noiosi. Professori identici. I compagni –
nonostante avessi
cambiato diversi stati, città, nonostante fossero cambiati i
tempi – erano
sempre patetici. Ragazzine che, solo perché erano
più belle o popolari di
altre, erano convinte di avere il diritto di padroneggiare nella
scuola. Ragazzi
che, fingendo di essere maturi, calpestavano chiunque sbarrasse loro la
strada.
Solo gli atleti o i bellocci avevano il diritto di godere di rispetto,
fama e
popolarità gratuita. Patetici.
Mi
stavo dirigendo all’ora di Letteratura. Camminavo nei lunghi
corridoi decida,
sicura di me. Odiavo gli sguardi libidinosi dei ragazzi e detestavo
– di gran
lunga – quelli invidiosi delle ragazze. Non era colpa mia se
ero attraente e
perfetta. E non ero interessata a niente, ma – soprattutto
– a nessuno.
Accelerai
il passo, entrando – senza guardare –
nell’aula. Percepii qualcuno venirmi
addosso, così mi scansai per evitare che si facesse male.
― Scusa! ― dicemmo entrambe. Non ci
potevo credere. Di nuovo?
― Lidia? ― domandai ―
Ti chiami
Lidia, vero?
―
Sì. ― rispose, trattenendo al
petto i suoi libri ―
Oggi sono
davvero una pasticciona. Ti chiedo scusa.
Credo che dovremmo smetterla di incontrarci così ― sorrisi. Quella ragazza
sembrava proprio una brava persona. Erano anni che non ne incontravo.
Non che
avessi problemi col sangue umano, anzi. Per me – a differenza
di tutti gli
altri – non era mai stato un problema. Riuscii a stare vicina
a mio padre, a
mia madre, perfino a persone mai incontrate prima, da subito. Senza il
desiderio incontrollabile di staccargli la gola, per soddisfare la mia
voglia.
Il sangue animale colmava la mia sete, senza che ne desiderassi altro.
Sapevo
controllarmi.
― Non ti
preoccupare. ― le dissi ―
Forse non ci
crederai, ma fino a qualche anno fa ero la persona più goffa
del mondo.
Inciampavo nei miei stessi piedi!
― È
una cosa che mi succede spesso. ― ammise Lidia, le sorrisi ―
E poi come hai
fatto a diventare così sicura di te? Sinceramente non mi
sembri una persona ehm
goffa… Anzi, tutto il contrario ― sono
morta. E la mia migliore amica mi ha trasformata in un vampiro
contro la mia volontà… No, ovviamente
non potevo dirle una cosa del genere.
― Non saprei. ― risposi ―
Saranno stati
gli anni di danza forzata, imposti da mia madre. ― non era proprio una bugia ―
Fatto sta che
il mio equilibrio è migliorato. ― conclusi, prendendo posto
all’ultimo banco, accanto alla finestra.
― Ti dispiace
se mi siedo con te? ― chiese Lidia.
― No, tutto il
contrario. ― risposi, sorridendo ―
Mi sembri una
ragazza socievole. Sei un tipo apposto.
― Grazie. ― sussurrò. La scrutai un
po’. Era molto timida, probabilmente poco sicura di
sé. Ma davvero molto
carina.
― Posso farti
una domanda? ― osai, non rispose ma
annuì
― Non
hai molti amici, vero?
― Cosa te lo
fa pensare?
― Tutto e
niente. ― ammisi ―
Solo che
questa non mi sembra la classica scuola dove l’arrivo di
studenti nuovi faccia
chissà quale scalpore. Curiosità sì,
forse. Ma troppo rumore no. Inoltre non mi
sembri una ragazza che ama i pettegolezzi, non so come spiegartelo, ma
sembra
che tu ti sia avvicinata a me più per stringere amicizia
piuttosto che per
farti i fatti miei.
― Hai occhio. ― rispose, forzando un
sorriso ― Non ho molti amici, anzi, non ne ho
praticamente
nessuno. Eccetto Eric. ― sorrise davvero, pronunciando quel
nome ―
Lui
è diverso dagli altri.
Non ti guarda
dall’alto in basso. È un tipo apposto, uno ok. Lo
conosco fin da quando sono
piccola, andavamo all’asilo insieme. Siamo anche vicini di
casa. Lui mi
protegge da chiunque, si è messo anche in grossi guai per me.
― Sembrate
molto uniti. ― dissi, stritolando gli
angoli del tavolo. I ricordi di un passato troppo remoto si scontrarono
con il
presente. I ricordi di un altro ragazzo che avrebbe fatto qualsiasi
cosa, pur
di tenermi al sicuro.
― State
insieme? ― provai a chiedere.
― Cosa? ― domandò, voltandosi di
scatto ― No, no. Assolutamente no!
Eric è un ragazzo molto carino, ma cosa dico? È
proprio bellissimo, ma
no… Non è il mio tipo. Inoltre ci sono molte cose
che non si possono sapere o… capire
di Eric. È un ragazzo particolare, lo è sempre
stato, ma è come un fratello per
me. Un fratello maggiore. ― leggevo sincerità nel
suo
sguardo e nella sua voce.
― Bene
ragazzi… ― disse, entrando, la
professoressa ―
Salutiamo la
nuova arrivata, la signorina Cullen. Io
sono la professoressa Lenz, insegno Letteratura e Storia contemporanea.
Spero
di trovarmi bene con lei e i suoi fratelli.
― Lo spero
anche io, signora Lenz. ― risposi sorridendole.
― Detto
questo, aprite il libro a pagina 128… ― disse con sicurezza. Lo
feci, ma la mia attenzione fu catturata dal cielo grigio della
città. Passai
tutta l’ora a guardare fuori, rispondendo – quando
capitava – per inerzia alle
domande che la professoressa Lenz mi poneva. Lo studio era diventato
noioso,
monotono.
Quando
la campanella suonò, memorizzai le pagine per la relazione e
mi avviai all’ora
più insopportabile di tutte: la pausa pranzo.
― Vuoi unirti
a me e i miei fratelli per pranzo? ― domandai per gentilezza,
sperando rifiutasse. Non perché non mi stesse simpatica o
altro, piuttosto per
il fatto che sarebbe stato complicato spiegarle il motivo per cui non
toccavamo
cibo.
― No, grazie
comunque Isabella. ― disse.
― Come vuoi. ― risposi ―
Se cambi
idea…
― Grazie
mille, ma credo che andrò in palestra da
Eric. ― spiegò ― Ci si vede! ― azzardò, salutandomi
con
la mano. Ricambiai il gesto e mi diressi in mensa.
Erano
già tutti lì. Rosalie giocherellava con una mela,
Emmett con delle patatine, Alice
si stava accanendo su una povera e innocente insalata, così
come Jasper.
― Ehi! ― dissi, prendendo posto. Il
tavolo che avevano scelto era in disparte, accanto alla vetrata che
dava sul
cortile interno della scuola.
― Ciao Bella. ― mi salutò Rose ―
Com’è
andata?
― Non ti
stuferai mai di fare questa domanda,
tesoro? ― le domandò Emmett.
―
Sì, scusate. ― rispose lei ―
È
solo che non
mi sembra vero che siano già passati cento anni. ― il silenzio piombò sul
tavolo. La forchetta di Alice si immobilizzò
all’istante. Nessuno aveva
superato la perdita di Edward. Nessuno avrebbe mai potuto superarla.
― Scusate. ― disse Rose, alzandosi di
scatto ― Oggi non ne dico una giusta.
Andrò fuori a prendere
un po’ d’aria. ― ci informò, dirigendosi
a velocità umana fuori da
quella sala. Emmett la seguì. Sbuffai, cominciando a
bucherellare con le dita
la meta che mia sorella aveva lasciato sul tavolo.
Rosalie
si sentiva terribilmente in colpa per quello che era successo a Edward.
Era
stata lei, infatti, a chiamarlo. Comunicandogli, così, la
mia morte. Non aveva
aspettato che Alice – tornata a Forks – le dicesse
qualcosa. Non le andavo
molto a genio, almeno all’epoca. Aveva contattato Edward
credendo che, con la
mia morte, lui avrebbe smesso di torturarsi e sarebbe stato in grado di
riprendere in mano le redini della sua esistenza. Quello che Rosalie
ignorava –
o che, forse, aveva volutamente
ignorato – era che Edward, senza di me, sarebbe andato a
Volterra, per cercare
la morte. Tutto un grosso equivoco, che si trasformò in
tragedia.
― Io non
capisco! ― disse, a voce un po’
troppo alta, Alice.
― Amore
calmati… ― cercò di
tranquillizzarla
Jasper
― E come
faccio? Stavamo bene – o quasi
– in Alaska e poi cosa succede? Io
ho quella stupida visione ed eccoci qui!
― Non
è colpa tua, Alice. ― dissi, cercando di farla
ragione anche se sapevo che era impossibile. Negli ultimi cento anni
riusciva a
darsi la colpa di tutto. Per qualsiasi cosa succedesse nella nostra
famiglia.
Vergognandomene dovetti ammettere che avevo contribuito anche io a
quello
sfacelo.
― Hai visto
altro? ― chiese Jazz
― No. ― rispose lei, secca ―
Sempre la
stessa cosa: questa scuola – anche se nella mia visione
sembrava megliore – una
macchina nera e una mano, maschile, che giocherella con un mazzo di
chiavi.
Tutto qui.
― Non
è mai migliorata? ― domandai, ma ero già a
conoscenza della risposta.
― No, mai. ― rispose ―
Al massimo
peggiora. ― restammo in silenzio qualche
minuto, giusto il
tempo per notare che tutta la sala ci lanciava sguardi di ogni tipo:
curiosità,
invidia, rabbia, piacere, simpatia, odio. Sempre la stessa storia.
― Che lezioni
hai avuto? ― mi domandò Jasper.
Risposi, cercando di aiutarlo a cambiare argomento. E ci riuscii. Alice
si
tranquillizzò un po’ – grazie anche al
ritorno di Rosalie ed Emmett – e
riuscimmo a sembrare una famiglia normale, ma soprattutto, senza
problemi.
― Che lezioni
avevano? ― sbuffai, non potevano
trattenerle già il primo giorno. Che diamine!
― Spagnolo. ― mi informò Jasper
― Io
l’ho avuto questa mattina. ― mi avvisò Emmett ― Se il professore è lo
stesso, addio. Mi ha fatto arrivare in ritardo alla lezione successiva.
― Fantastico. ― dissi, in tono ironico.
Notai
qualcuno uscire dall’ingresso posteriore. Era Lidia. Mi
salutò, sventolando una
mano e feci lo stesso.
― Ti sei fatta
un’amica? ― stuzzicò Emmett
― Forse. ― risposi, sistemandomi la
giacca scura.
― Come sei
logorroica, Bella. ― si lamentò
l’orso. Sorrisi
e gli diedi una gomitata sui fianchi. Lui si scostò
dall’auto e cominciò a
giocare con me. Quello era uno dei pochi momenti in cui mi divertivo
davvero.
― Eccole! ― disse Jazz, ma Emmett non
mi lasciò andare. Mi aveva immobilizzata, bloccandomi le
braccia dietro la
schiena.
― Voi sempre a
fare i bambini, vero? ― chiese, in modo scherzoso,
Rose.
― Oddio! ― disse Alice, sembrava
spiritata.
― Che succede?
― la affiancai. Non rispose,
alzò una mano indicando qualcosa. O qualcuno.
Guardammo tutti in quella direzione.
Accanto
a Lidia c’era un ragazzo, di spalle. Indossava un giacchetto
di jeans –
piuttosto pesante – nero, come i pantaloni. Portava gli
occhiali da sole –
anche se non ve n’era nemmeno un raggio in cielo. Ma la cosa
che mi gelò,
immobilizzandomi sul posto, furono i suoi capelli: bronzei,
scompigliati.
― Eric,
piantala di fare il coglione! Dammi
― Coglione?
Bene, bene. Te la sei giocata. ― rispose il ragazzo,
aprì
la lattina e bevve. Quella voce,
pensai, la sua voce… Ma
è impossibile,
non può essere vero. Eppure lo avrei voluto
più di ogni altra cosa al mondo.
Restai allibita a guardare la scena. Il ragazzo, Eric, tirò
fuori un mazzo di
chiavi – con un portachiavi del Big Ben – e si
avvicinò ad una Bmw Z4 Roadster
nera – tirata a lucido. Salì, seguito a ruota da
Lidia, mise in moto e sfrecciò
via.
―
Edward… ― dissi, completamente
gelata sul posto.
― È
impossibile. ― sussurrò Emmett.
― È umano. ― disse Rosalie,
appropriandosi di tutta la nostra attenzione.
Tadadadà ù.ù e anche Eric è uscito allo scoperto! Capelli bronzei, occhiali da sole... Vi ricorda qualcuno? Si è scoperto anche cosa ha visto Alice, il motivo per cui i Cullen hanno dovuto lasciare la loro vita altrove e trasferirsi a Londra. Il motivo era Eric Hunter. Ma la domanda ora è: i Cullen stanno prendendo un abbaglio? Eric e Edward sono soltando identici o vi è dell'altro dietro? I vampiri pensano che loro non abbiano anima, ma se così è com'è possibile che Eric sia uguale a Edward? Lidia, quando ne parla a Bella, dice che è un ragazzo diverso, particolare. Ma perchè? Beh, per scoprirlo dovrete solo continuare a leggere...