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Autore: Mia Swatt    09/09/2011    10 recensioni
Isabella Marie Swan Cullen, ormai vampira da cento anni, non riesce ad accettare la sua trasformazione – per mano di Alice – avvenuta dopo la tragica morte di Edward. Tutto si svolge come scritto dalla Meyer: Edward lascia Bella dopo un diciottesimo compleanno disastroso, ma succede l’irreparabile. Bella non arriva in tempo a Volterra e vede il suo grande amore perire sotto la morsa di Felix. Tornata a Forks, insieme ai Cullen, la ragazza non riesce a superare la perdita, così tenta il suicidio. Alice, troppo scossa per la morte del fratello, non vuole perdere anche Bella – perciò la trasforma. Passano diversi decenni da quel giorno. Bella, a fatica, riesce a perdonare la piccola vampira trovando un macabro senso di poesia in quel gesto. Alice, secondo Isabella, le ha donato la forza per contrastare i Volturi, vendicando così Edward. Ma tutto cambia quando arrivati Londra, i Cullen fanno la conoscenza di uno studente particolare: Eric Hunter.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Ciao a tutti, buon pomeriggio! Eccomi con il secondo capitolo di questa piccola storia. Non so bene quanti capitoli avrà, non molti, ma appena ne sarò a conoscenza ve lo comunicherò :) 

Adesso vi lascio alla lettura! Ma se vi va di dare un'occhiata a queste altre mie storie ne sarei felice!
Buona lettura, ci si legge in fondo ;)


Secondo Capitolo

« Un palazzo viene dato alle fiamme, tutto quello che ne rimane è cenere.
Prima pensavo che questo valesse per ogni cosa: famiglie, amici, sentimenti.
Ora so che a volte, se l'amore è vero amore, niente può separare due persone fatte per stare insieme. »
Sarah - Il corvo (1994)

Ore noiose. Argomenti noiosi. Professori identici. I compagni – nonostante avessi cambiato diversi stati, città, nonostante fossero cambiati i tempi – erano sempre patetici. Ragazzine che, solo perché erano più belle o popolari di altre, erano convinte di avere il diritto di padroneggiare nella scuola. Ragazzi che, fingendo di essere maturi, calpestavano chiunque sbarrasse loro la strada. Solo gli atleti o i bellocci avevano il diritto di godere di rispetto, fama e popolarità gratuita. Patetici.
Mi stavo dirigendo all’ora di Letteratura. Camminavo nei lunghi corridoi decida, sicura di me. Odiavo gli sguardi libidinosi dei ragazzi e detestavo – di gran lunga – quelli invidiosi delle ragazze. Non era colpa mia se ero attraente e perfetta. E non ero interessata a niente, ma – soprattutto – a nessuno.
Accelerai il passo, entrando – senza guardare – nell’aula. Percepii qualcuno venirmi addosso, così mi scansai per evitare che si facesse male.
Scusa! dicemmo entrambe. Non ci potevo credere. Di nuovo?
Lidia? domandai ― Ti chiami Lidia, vero?
Sì. rispose, trattenendo al petto i suoi libri ― Oggi sono davvero una pasticciona. Ti chiedo scusa. Credo che dovremmo smetterla di incontrarci così sorrisi. Quella ragazza sembrava proprio una brava persona. Erano anni che non ne incontravo. Non che avessi problemi col sangue umano, anzi. Per me – a differenza di tutti gli altri – non era mai stato un problema. Riuscii a stare vicina a mio padre, a mia madre, perfino a persone mai incontrate prima, da subito. Senza il desiderio incontrollabile di staccargli la gola, per soddisfare la mia voglia. Il sangue animale colmava la mia sete, senza che ne desiderassi altro. Sapevo controllarmi.
Non ti preoccupare. le dissi ― Forse non ci crederai, ma fino a qualche anno fa ero la persona più goffa del mondo. Inciampavo nei miei stessi piedi!
È una cosa che mi succede spesso. ammise Lidia, le sorrisi ― E poi come hai fatto a diventare così sicura di te? Sinceramente non mi sembri una persona ehm goffa… Anzi, tutto il contrario sono morta. E la mia migliore amica mi ha trasformata in un vampiro contro la mia volontà… No, ovviamente non potevo dirle una cosa del genere.
Non saprei. risposi ― Saranno stati gli anni di danza forzata, imposti da mia madre. non era proprio una bugia ― Fatto sta che il mio equilibrio è migliorato. conclusi, prendendo posto all’ultimo banco, accanto alla finestra.
Ti dispiace se mi siedo con te? chiese Lidia.
No, tutto il contrario. risposi, sorridendo ― Mi sembri una ragazza socievole. Sei un tipo apposto.
Grazie. sussurrò. La scrutai un po’. Era molto timida, probabilmente poco sicura di sé. Ma davvero molto carina.
Posso farti una domanda? osai, non rispose ma annuì ― Non hai molti amici, vero?
Cosa te lo fa pensare?
Tutto e niente. ammisi ― Solo che questa non mi sembra la classica scuola dove l’arrivo di studenti nuovi faccia chissà quale scalpore. Curiosità sì, forse. Ma troppo rumore no. Inoltre non mi sembri una ragazza che ama i pettegolezzi, non so come spiegartelo, ma sembra che tu ti sia avvicinata a me più per stringere amicizia piuttosto che per farti i fatti miei.
Hai occhio. rispose, forzando un sorriso ― Non ho molti amici, anzi, non ne ho praticamente nessuno. Eccetto Eric. sorrise davvero, pronunciando quel nome ― Lui è diverso dagli altri. Non ti guarda dall’alto in basso. È un tipo apposto, uno ok. Lo conosco fin da quando sono piccola, andavamo all’asilo insieme. Siamo anche vicini di casa. Lui mi protegge da chiunque, si è messo anche in grossi guai per me.
Sembrate molto uniti. dissi, stritolando gli angoli del tavolo. I ricordi di un passato troppo remoto si scontrarono con il presente. I ricordi di un altro ragazzo che avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di tenermi al sicuro.
― S
tate insieme? provai a chiedere.
Cosa? domandò, voltandosi di scatto ― No, no. Assolutamente no! Eric è un ragazzo molto carino, ma cosa dico? È proprio bellissimo, ma no… Non è il mio tipo. Inoltre ci sono molte cose che non si possono sapere o… capire di Eric. È un ragazzo particolare, lo è sempre stato, ma è come un fratello per me. Un fratello maggiore. leggevo sincerità nel suo sguardo e nella sua voce.
Bene ragazzi… disse, entrando, la professoressa ― Salutiamo la nuova arrivata, la signorina Cullen. Io sono la professoressa Lenz, insegno Letteratura e Storia contemporanea. Spero di trovarmi bene con lei e i suoi fratelli.
Lo spero anche io, signora Lenz. risposi sorridendole.
Detto questo, aprite il libro a pagina 128… disse con sicurezza. Lo feci, ma la mia attenzione fu catturata dal cielo grigio della città. Passai tutta l’ora a guardare fuori, rispondendo – quando capitava – per inerzia alle domande che la professoressa Lenz mi poneva. Lo studio era diventato noioso, monotono.
Quando la campanella suonò, memorizzai le pagine per la relazione e mi avviai all’ora più insopportabile di tutte: la pausa pranzo.
Vuoi unirti a me e i miei fratelli per pranzo? domandai per gentilezza, sperando rifiutasse. Non perché non mi stesse simpatica o altro, piuttosto per il fatto che sarebbe stato complicato spiegarle il motivo per cui non toccavamo cibo.
No, grazie comunque Isabella. disse.
Come vuoi. risposi ― Se cambi idea…
Grazie mille, ma credo che andrò in palestra da Eric. spiegò Ci si vede! azzardò, salutandomi con la mano. Ricambiai il gesto e mi diressi in mensa.
Erano già tutti lì. Rosalie giocherellava con una mela, Emmett con delle patatine, Alice si stava accanendo su una povera e innocente insalata, così come Jasper.
Ehi! dissi, prendendo posto. Il tavolo che avevano scelto era in disparte, accanto alla vetrata che dava sul cortile interno della scuola.
Ciao Bella. mi salutò Rose ― Com’è andata?
Non ti stuferai mai di fare questa domanda, tesoro? le domandò Emmett.
Sì, scusate. rispose lei ― È solo che non mi sembra vero che siano già passati cento anni. il silenzio piombò sul tavolo. La forchetta di Alice si immobilizzò all’istante. Nessuno aveva superato la perdita di Edward. Nessuno avrebbe mai potuto superarla.
Scusate. disse Rose, alzandosi di scatto ― Oggi non ne dico una giusta. Andrò fuori a prendere un po’ d’aria. ci informò, dirigendosi a velocità umana fuori da quella sala. Emmett la seguì. Sbuffai, cominciando a bucherellare con le dita la meta che mia sorella aveva lasciato sul tavolo.
Rosalie si sentiva terribilmente in colpa per quello che era successo a Edward. Era stata lei, infatti, a chiamarlo. Comunicandogli, così, la mia morte. Non aveva aspettato che Alice – tornata a Forks – le dicesse qualcosa. Non le andavo molto a genio, almeno all’epoca. Aveva contattato Edward credendo che, con la mia morte, lui avrebbe smesso di torturarsi e sarebbe stato in grado di riprendere in mano le redini della sua esistenza. Quello che Rosalie ignorava – o che, forse, aveva volutamente ignorato – era che Edward, senza di me, sarebbe andato a Volterra, per cercare la morte. Tutto un grosso equivoco, che si trasformò in tragedia.
Io non capisco! disse, a voce un po’ troppo alta, Alice.
Amore calmati… cercò di tranquillizzarla Jasper
E come faccio? Stavamo bene – o quasi – in Alaska e poi cosa succede? Io ho quella stupida visione ed eccoci qui!
Non è colpa tua, Alice. dissi, cercando di farla ragione anche se sapevo che era impossibile. Negli ultimi cento anni riusciva a darsi la colpa di tutto. Per qualsiasi cosa succedesse nella nostra famiglia. Vergognandomene dovetti ammettere che avevo contribuito anche io a quello sfacelo.
Hai visto altro? chiese Jazz
No. rispose lei, secca ― Sempre la stessa cosa: questa scuola – anche se nella mia visione sembrava megliore – una macchina nera e una mano, maschile, che giocherella con un mazzo di chiavi. Tutto qui.
Non è mai migliorata? domandai, ma ero già a conoscenza della risposta.
No, mai. rispose ― Al massimo peggiora. restammo in silenzio qualche minuto, giusto il tempo per notare che tutta la sala ci lanciava sguardi di ogni tipo: curiosità, invidia, rabbia, piacere, simpatia, odio. Sempre la stessa storia.
Che lezioni hai avuto? mi domandò Jasper. Risposi, cercando di aiutarlo a cambiare argomento. E ci riuscii. Alice si tranquillizzò un po’ – grazie anche al ritorno di Rosalie ed Emmett – e riuscimmo a sembrare una famiglia normale, ma soprattutto, senza problemi.

Anche le lezioni pomeridiane erano giunte, finalmente, al termine. Ci trovavamo nel parcheggio esterno della scuola accanto all’auto – un’Audi Q7 bianca ghiaccio – di Emmett, ad aspettare che Alice e Rose arrivassero.
Che lezioni avevano? sbuffai, non potevano trattenerle già il primo giorno. Che diamine!
Spagnolo. mi informò Jasper
Io l’ho avuto questa mattina. mi avvisò Emmett Se il professore è lo stesso, addio. Mi ha fatto arrivare in ritardo alla lezione successiva.
Fantastico. dissi, in tono ironico.
Notai qualcuno uscire dall’ingresso posteriore. Era Lidia. Mi salutò, sventolando una mano e feci lo stesso.
Ti sei fatta un’amica? stuzzicò Emmett
Forse. risposi, sistemandomi la giacca scura.
Come sei logorroica, Bella. si lamentò l’orso. Sorrisi e gli diedi una gomitata sui fianchi. Lui si scostò dall’auto e cominciò a giocare con me. Quello era uno dei pochi momenti in cui mi divertivo davvero.
Eccole! disse Jazz, ma Emmett non mi lasciò andare. Mi aveva immobilizzata, bloccandomi le braccia dietro la schiena.
Voi sempre a fare i bambini, vero? chiese, in modo scherzoso, Rose.
Oddio! disse Alice, sembrava spiritata.
Che succede? la affiancai. Non rispose, alzò una mano indicando qualcosa. O qualcuno. Guardammo tutti in quella direzione.
Accanto a Lidia c’era un ragazzo, di spalle. Indossava un giacchetto di jeans – piuttosto pesante – nero, come i pantaloni. Portava gli occhiali da sole – anche se non ve n’era nemmeno un raggio in cielo. Ma la cosa che mi gelò, immobilizzandomi sul posto, furono i suoi capelli: bronzei, scompigliati.
Eric, piantala di fare il coglione! Dammi la Pepsi che ho sete. disse Lidia
Coglione? Bene, bene. Te la sei giocata. rispose il ragazzo, aprì la lattina e bevve. Quella voce, pensai, la sua voce… Ma è impossibile, non può essere vero. Eppure lo avrei voluto più di ogni altra cosa al mondo. Restai allibita a guardare la scena. Il ragazzo, Eric, tirò fuori un mazzo di chiavi – con un portachiavi del Big Ben – e si avvicinò ad una Bmw Z4 Roadster nera – tirata a lucido. Salì, seguito a ruota da Lidia, mise in moto e sfrecciò via.
Edward… dissi, completamente gelata sul posto.
È impossibile. sussurrò Emmett.
― È umano. ― disse Rosalie, appropriandosi di tutta la nostra attenzione.

Tadadadà ù.ù e anche Eric è uscito allo scoperto! Capelli bronzei, occhiali da sole... Vi ricorda qualcuno? Si è scoperto anche cosa ha visto Alice, il motivo per cui i Cullen hanno dovuto lasciare la loro vita altrove e trasferirsi a Londra. Il motivo era Eric Hunter. Ma la domanda ora è: i Cullen stanno prendendo un abbaglio? Eric e Edward sono soltando identici o vi è dell'altro dietro? I vampiri pensano che loro non abbiano anima, ma se così è com'è possibile che Eric sia uguale a Edward? Lidia, quando ne parla a Bella, dice che è un ragazzo diverso, particolare. Ma perchè? Beh, per scoprirlo dovrete solo continuare a leggere...


  
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