“Da dove vieni straniero?”

L’uomo al bancone del bar, un texano di almeno una cinquantina d’anni, era curioso di sapere la mia storia, probabilmente più per noia che vero interesse.

“Dall’inferno”

“Beh.. Ci sono stato anche io, parecchie volte. Credimi, meglio non tornarci!”

Risi, dopo tanto tempo, assieme a quell’uomo, sconosciuto eppure con un passato in comune.

“Fuggi da qualcosa? Sai, io l’ho fatto per anni e anni, e alla fine ho capito che era inutile. Meglio vivere, ragazzo, sei ancora giovane, hai tutta la vita davanti!”

Si mise ad asciugare tutti i boccali da birra, uno ad uno, attentamente e accuratamente. Non so, a prima vista pareva trasandato, con i suoi baffi bianchi ispidi e quella sensazione di sporco che riesci a sentire a pelle.

L’apparenza inganna, questo è certo.

“Insomma, ho i miei anni anche io, e poi… è ancora troppo presto per fermarmi e ricominciare a vivere.”

Smise di pulire e su appoggiò con i gomiti sul bancone, guardandomi fisso negli occhi.

“Non so quali siano i problemi che ti perseguitano, né voglio saperli. Però ti voglio dire una cosa: più il tempo passa, più difficile e doloroso sarà ricominciare a vivere.”

E detto questo, sparì nel magazzino, lasciandomi solo con la mia birra e la mia tristezza. E il mio fantasma.
 



 
Lascia la locanda e iniziai a camminare, nella speranza di dividermi dai miei sensi di colpa. Inutile. Sentivo costantemente sulle mie spalle come una presenza, un peso invisibile ma molto, troppo doloroso per non accorgersene. Camminai a lungo, senza una meta, come facevo ormai da diverse settimane. Mi spostavo sulle mie gambe, e la notte cercavo rifugio ovunque ne avessi l’occasione, che fosse una casa abbandonata o una strada, poco importava; ero alla ricerca di qualcosa, qualcosa che mi avrebbe cambiato la vita.

Provavo a non pensare, a lasciare sempre la mente libera. A volte cercavo di dimenticare tutto: Evy, Zack, Rafe, Jared, Tomo, Emma, Mamma… chiunque avessi incontrato nei miei primi 41 anni di vita.

Mi accorsi immediatamente di un suono particolare, un urlo, o un pianto. Gli andai in contro e, solamente quando svoltai in una piccola strada isolata, notai una piccola cesta posta a terra, fra lo sporco e l’immondizia. Le grida proveniva proprio da quella cassetta di legno fatta a culla, che ospitava un piccolo bambino avvolto in una rovinata coperta di un azzurrino sbiadito.
Ed ecco che, nel preciso istante in cui presi in braccio il nuovo nato, lo spirito che aleggiava sulle mie spalle si dissolse, riempiendomi il cuore di gioia. Mi persi in un paio di occhi verdi come la speranza, grandi e stranamente pieni di vita. Il piccolo allungò una mano a toccarmi la guancia, accarezzandola lievemente, timoroso ma anche curioso.

Nella mia mente un nome lampeggiava insistentemente. Il nome del bimbo. Il nome che gli avrei dato. Perché decisi di tenerlo, di crescerlo come fosse mio figlio.

Vykup. Redenzione.









Mi rendo perfettamente conto che è un obrobrio, però questo è uscito dal mio povero e pazzo cevellino -.- Il nome finale non provate a giudicarlo, neanche col pensiero, perchè sono stata un'ora sul Google traduttore a tradurre la parola 'redenzione' in tutte le lingue possibili xD (l'ho fatto veramente) Comunque è russo. Per farvi ridere un pochino, metterò qui sotto tutti i tentativi falliti ( o almeno, quelli più particolari) :D.

Shpengim - albanese

Obratino Izkupuvane - bulgaro

Penebusan (giusto per non pensar male xD) - malese

Fidwa (io non sto pensando male, assolutamente xD) - maltese