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Autore: Callie_Stephanides    11/09/2011    14 recensioni
Quando si incontrano per la prima volta, in occasione della finale della Coppa del Mondo di Quidditch, Draco Malfoy e Hermione Granger devono ancora compiere quindici anni.
E' un rapido sguardo, il loro; la curiosità di un momento.
Qualche settimana più tardi, tuttavia, quando l'unico figlio di Lucius Malfoy arriva a Hogwarts con la legazione di Durmstrang per il Torneo Tremaghi, il Destino stringe il nodo di cui saranno gli estremi.
Puoi innamorarti della ragazza che ha rubato il cuore dello Czar di Durmstrang?
Se è tanto forte da sciogliere la prigione di ghiaccio in cui ti sei nascosto, forse sì.
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton, Sirius Black, Viktor Krum | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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- Questa storia fa parte della serie 'Dum spiro, spero'
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Di quell’inverno, Hermione Granger avrebbe per sempre conservato i colori.
Come il bocciolo di un fiore raro e inaspettato, la vita le si era schiusa davanti e le era parsa bellissima.
Di quell’inverno, tuttavia, Hermione Granger avrebbe custodito soprattutto una certezza: il passaggio dall’infanzia all’adolescenza sarebbe stato il più profondo e indimenticabile dei dolori.
L’essere donna, una condanna del cuore.

***

Dopo la colomba, una rosa.
A fidare nei simboli, la chiave di una promessa tragedia è già nelle sue mani, perché al candore innocente di un uccellino da nulla, seguono le spire involute del più pericoloso dei fiori.
La bellezza punge, Hermione, le sussurra il buonsenso; a quindici anni, nondimeno, puoi anche scegliere d’essere sorda.
Sorda e felice.
Felice e condannata.
Tra le sue dita, la rosa si sgrana e libera un impalpabile pulviscolo d’argento.

Ti aspetto in riva al lago.
D.M.

La sicurezza con cui Malfoy anticipa ogni sua scelta la stringe agli angoli di una strategia che non può prevedere, e che dunque le ricorda la sua fragilità.
Esiste un desiderio, però, che grida più forte dell’istinto di autoconservazione: è quello che dice dei tuoi anni migliori, del coraggio disperato con cui pretendi di mordere la vita, anche se quel che ti aspetta è veleno.
Draco è digitale purpurea, ma saperlo non basta, perché conoscere non salva mai la vita: al più ti avvia a una fine consapevole.
Hermione accarezza quel che resta della rosa e la nasconde tra le pagine di un libro che non aprirà fino a sera, perché è una leonessa che sa rischiare il disturbo di un amore.
È il figlio di Lucius Malfoy, è il compagno di un mago crudele e pericoloso, ma non le importa più: a contare sono i suoi occhi trasparenti e quel sorriso strano, che le fa prudere il cuore.
Hermione sorride, perché l’attrazione non si nutre di metafore barocche, ma d’insulse evidenze: lo stomaco pieno di farfalle, il grat grat sornione di un pensiero scorretto, un solletico imprevisto alla radice del naso; l’attrazione è un brivido della pelle nuda, che assecondi senza un perché, o non gli assegneresti il nome della forza con cui si cercano i poli di una calamita.
Incerta e disorientata, sa che non potrebbe trovare aggettivo più adatto a descriversi: ha perso l’Oriente cognito per sostituirlo con un ragazzo d’argento e luna.

Sono ridicola.

Alle due del pomeriggio, il sole è già basso sull’orizzonte.
I monti che orlano la conca di Hogwarts si allungano come ombre maligne sui prati cauterizzati dal gelo; l’invadenza dei muschi dà qualcosa di malarico alle grosse pietre che segnano il percorso sino al lago, quasi fossero erme lebbrose.
Hermione sbuffa dense nuvolette di vapor d’acqua, rimboccandosi le cocche della sciarpa per ignorare la tetraggine del panorama, ma qualcuno la richiama a gran voce.
Benché sia d’indole poco atletica, Neville risale rapido l’erta degli orti e la raggiunge.
Perfetto: abbiamo un testimone, suggerisce una vocina maligna nella sua testa. Uno in più uno in meno, è quanto ricorda a se stessa, perché Miss-so-tutto-io vanta un imponente curriculum anche sul fronte dei colpi di testa.
“Ciao! Cercavo proprio te.”
Hermione azzarda un sorriso tirato. “A quale proposito? Al momento non ho bisogno di altri ragguagli in Erbologia, ma…”
Le orecchie di Paciock brillano di un bel rosso fiammante, mentre il loro proprietario distoglie imbarazzato lo sguardo.

Oh, no. Per favore, non anche…


“Vorresti essere la mia dama per il Ballo del Ceppo?”

Se fossi caduta in un calderone di filtro d’amore, lo capirei, ma…

Neville la fissa con una speranza tanto genuina nello sguardo che negarsi le pare una crudeltà.
Almeno ai suoi occhi sei una donna, rallegrati, la incalza la solita vocina, questa volta con toni che le ricordano malauguratamente Ron.
“Mi dispiace, ma… La verità è che sono già stata invitata,” replica con una punta d’imbarazzo.
Paciock incassa il colpo con dignità, senza perdere quel suo sorriso aperto e buono. “Peccato… Un po’ ci speravo,” le dice. “Anche se immaginavo che…”
“Ho davvero un cavaliere, Neville. Se non avessi già dato la mia parola, sarebbe stato un grande piacere, per me, presentarmi al tuo braccio.”
Ma anche no, borbotta, maligna, la sua coscienza più nera. E di seguito: speriamo che se la beva.
Hermione sente qualcosa di simile al senso di colpa pungerla, perché è meschina e liquida la gentilezza onesta di Paciock con parole di circostanza.
Ha quindici anni, però: alle piccole donne, nessuno può imporre la perfezione.
“D’accordo… Spero di trovare un’altra dama, allora!”
Neville si congeda con rapido cenno, proseguendo per Hogwarts. La strada è di nuovo sgombra, come non è invece libera la sua mente.

Draco Draco Draco.

Può mentire a se stessa e dire che no, lo asseconda solo perché deve; perché è la migliore amica del Bambino Sopravvissuto; perché Malfoy porta con sé un profumo oscuro, che una strega di rango non ignorerebbe mai.
Può essere onesta, adolescenziale e patetica; può scoprire le carte – anche quelle che fanno male – e dire che le piace. Punto.
È bello, ma soprattutto possiede il fascino di un’avventura proibita. Un fascino irresistibile.

 
“Pensavo che non saresti venuta.”

La aspetta in riva al lago, là dove si sono sfiorati la prima volta. I fotogrammi di quel giorno le hanno cauterizzato la retina, condannandola a sogni liquidi, fatti d’ombra e sussurri.
Ricorda tutto, Hermione: il freddo dell’alba, l’erba umida, la superficie oleosa e ferma del lago; e poi quei capelli fini e lucenti come fili d’oro, la sua bocca bellissima, gli occhi trasparenti…

“Sul mio conto, pensi di sapere proprio un mucchio di cose, vero?”

Draco sorride e tanto basta a irritarla.
Non riesce a capire cosa pensa e cosa vuole. Non riesce a illudersi che voglia proprio lei – no, fin lì non arriva. Non è così ingenua.

“No. Hai avuto questa impressione?”
Hermione apre il libro e la rosa dispiega ancora una volta i suoi petali. “Sapevi che avrei dato il mio assenso a Krum. Sapevi che avrei accettato di rivederti.”
“Sono uno scommettitore fortunato.”
Hermione solleva ironica un sopracciglio. La sua è un’occhiata provocatoria e un bluff pietoso: il cuore scalpita, ma il buonsenso ha perso le briglie qualche secolo fa.
L’acqua del lago è immobile. Cupa e ferrosa nei toni, brulica di vite discrete. Di quando in quando una crepa biancastra si apre sulla superficie oleosa, ma ogni guizzo dura un battito di ciglia, né basta a spezzare l’imbarazzato silenzio che li avvolge.
“Ora, però… Sono qui,” articola a fatica Hermione. “Forse dovresti dirmi che intenzioni hai.”
Gli occhi di Draco sono così pallidi da nascondere ogni emozione – che ne provi anche lui, poi, è tutto da dimostrare.
La scrutano attenti, ghiaccio oltre il grigio chiaro e vellutato delle iridi.
“Che io partecipi o meno a quella festa, per te non cambierà nulla. Hai già una dama, mi pare, e parliamo nientemeno che di una Greengrass…”
“L’ha deciso mio padre, non io. Se avessi potuto davvero scegliere…”
“Non dirlo, perché non è vero.”
La sua voce suona inconsistente. Vorrebbe arrendersi al calore di una bugia ma quella stupida di Hermione preferisce sempre la verità.
“Cosa?”
“Non avrei preso comunque il suo posto. Non so ballare, non sono una lady e non sono bella.”
“Non sei una signora, quello no, però…”
Malfoy le accarezza il capo, sfilandole il fermaglio d’osso cui è demandato l’arduo compito di domare la crespa anarchia dei suoi capelli.
“Tu mi hai salvato la vita. Il minimo che possa fare, è salvare la tua.”
“Spingendomi tra le braccia di Krum? Hai una percezione surreale e ottimista delle studentesse di Hogwarts, sai? Perché ti anticipo cosa accadrà: Hermione Granger apparirà al fianco di uno dei campioni e, nella migliore delle ipotesi, tutte mi odieranno.”
“Nella peggiore?”
“Non vuoi saperlo.”
Draco le stringe la mano, guidandola sino al cerchio di pietre ove già una volta hanno bivaccato.
“Per la verità, volevo rubarti a Potter; assicurare una degna compagna al campione di Durmstrang, è pur sempre un modo di contribuire alla causa, no?”
Hermione scuote il capo e sospira. “Maschi… Pensate di sapere tutto, ma, a quanto pare, il vostro spirito di osservazione fa cilecca!”
“Non il mio.”
“Oh, sì, signor Malfoy!”

La provocazione è un piacere sottile, un potere imprevisto.
È di nuovo al sicuro, Hermione: all’incertezza del silenzio, si è sostituito un motteggio dal sapore tutto adolescenziale.

“Perché non credo d’essere il genere di ragazza che Harry vorrebbe invitare.”
Draco apre la bocca, ma non dice nulla.
“Non fingere d’essere sorpreso, perché non lo sei. Anzi: non puoi esserlo. Una come me non ha niente che possa interessare…”
“Invece c’è qualcosa nella tua intelligenza, associato alla tua completa incapacità d’intuirne l’effetto sugli altri, che ti rende a dir poco irresistibile.”
Hermione distoglie lo sguardo.
“Astoria è una bambola, tutto qui. È bella da vedere, ma ci hai mai parlato un quarto di clessidra?”
“È una studentessa di Serpeverde. Se posso, evito.”
Draco sogghigna. “Be’, quello che voglio dire è che sei un tipo interessante.”
“Cioè quello che di solito si dice alle ragazze non molto carine per togliersi dall’impaccio di dover inventare un complimento.”
Draco rotea gli occhi, esasperato. “D’accordo, sei brutta. Preferisci che ti dica questo?”
Hermione sorride: non sa come, ma ha l’impressione di averlo stretto agli angoli.
Ora è Malfoy a giocare in difesa, succube di una strategia che gli è sfuggita di mano.
“No. Ci sono bugie che fanno meno male dell’onestà.”
Draco socchiude le palpebre, si sporge su di lei e le sfiora la fronte con le labbra. “Lasciami essere il tuo Pigmalione. Sarà una notte indimenticabile.”

***

Quas quia Pygmalion aevum per crimen agentis
viderat, offensus vitiis, quae plurima menti
femineae natura dedit, sine coniuge caelebs
vivebat thalamique diu consorte carebat.
interea niveum mira feliciter arte
sculpsit ebur formamque dedit, qua femina nasci
nulla potest, operisque sui concepit amorem.
virginis est verae facies, quam vivere credas,
et, si non obstet reverentia, velle moveri:
ars adeo latet arte sua. miratur et haurit
pectore Pygmalion simulati corporis ignes.
saepe manus operi temptantes admovet, an sit
corpus an illud ebur, nec adhuc ebur esse fatetur.
oscula dat reddique putat loquiturque tenetque
et credit tactis digitos insidere membris
et metuit, pressos veniat ne livor in artus,
et modo blanditias adhibet, modo grata puellis
munera fert illi conchas teretesque lapillos
et parvas volucres et flores mille colorum
liliaque pictasque pilas et ab arbore lapsas
Heliadum lacrimas; ornat quoque vestibus artus,
dat digitis gemmas, dat longa monilia collo,
aure leves bacae, redimicula pectore pendent:
cuncta decent; nec nuda minus formosa videtur.
conlocat hanc stratis concha Sidonide tinctis
adpellatque tori sociam adclinataque colla
mollibus in plumis, tamquam sensura, reponit.
Festa dies Veneris tota celeberrima Cypro
venerat, et pandis inductae cornibus aurum
conciderant ictae nivea cervice iuvencae,
turaque fumabant, cum munere functus ad aras
constitit et timide « si, di, dare cuncta potestis,
sit coniunx, opto, » non ausus ‘eburnea virgo’
dicere, Pygmalion « similis mea » dixit « eburnae. »
sensit, ut ipsa suis aderat Venus aurea festis,
vota quid illa velint et, amici numinis omen,
flamma ter accensa est apicemque per aera duxit.
ut rediit, simulacra suae petit ille puellae
incumbensque toro dedit oscula: visa tepere est;
admovet os iterum, manibus quoque pectora temptat:
temptatum mollescit ebur positoque rigore
subsidit digitis ceditque, ut Hymettia sole
cera remollescit tractataque pollice multas
flectitur in facies ipsoque fit utilis usu.
dum stupet et dubie gaudet fallique veretur,
rursus amans rursusque manu sua vota retractat.
corpus erat! saliunt temptatae pollice venae.
tum vero Paphius plenissima concipit heros
verba, quibus Veneri grates agat, oraque tandem
ore suo non falsa premit, dataque oscula virgo
sensit et erubuit timidumque ad lumina lumen
attollens pariter cum caelo vidit amantem.

Madama Pince ha l’aspetto di un avvoltoio denutrito, una frequentazione delle lingue morte pari a quella del professor Rüf, e una provvidenziale indifferenza ai casi dei vivi: a Hermione è bastato millantare una ricerca sulla Trasfigurazione nei Classici perché ottenesse una traduzione – involuta ma passabile – del decimo libro delle Metamorfosi.

Pigmalione, disgustato dai vizi illimitati che la natura ha dato alla donna, viveva celibe.
A lungo rimase senza sposarsi e senza una compagna che dividesse il suo letto. Un giorno, tuttavia, con invidiabile arte, scolpì nel bianco avorio una statua, infondendole tale bellezza che nessuna donna vivente sarebbe stata in grado di vantare; e s’innamorò dell’opera sua.
L’aspetto era di autentica fanciulla e l’avresti detta viva e in grado di muoversi, se a frenarla non fosse stata la ritrosia: tanta era l’arte che nell’arte si cela.
Pigmalione ne era incantato e in cuore bruciava di passione per quel corpo simulato. Sovente passava la mano sulla statua per sentire se fosse carne o avorio, e non voleva ammettere che fosse solo osso. La baciava e immaginava d’esserne ricambiato, l’abbracciava e la baciava, convinto quasi che le sue dita potessero affondare nelle membra che sfiorava e lasciarle un tappeto di lividi.
Ora la vezzeggiava, ora la copriva di doni graditi alle fanciulle: conchiglie, pietruzze levigate, piccoli uccelli, fiori di mille colori, gigli, biglie dipinte e lacrime d’ambra stillate dall’albero delle Eliadi. Le ornava il corpo di vesti, le infilava brillanti alle dita e al collo monili preziosi; piccole perle le pendevano dalle orecchie e nastri dal petto.
Tutto le stava bene, ma nuda non pareva per questo meno bella.
L’adagiava su tappeti tinti con porpora sidonia, la chiamava ‘mia sposa’ e con delicatezza, quasi potesse sentirlo, le faceva posare il capo su morbidi cuscini.
E venne il giorno consacrato a Venere, festa in tutta Cipro: le giovenche con le corna fasciate d’oro erano già cadute, il candido collo trafitto, e sottile fumava l’incenso, quando Pigmalione, deposte le offerte accanto all’altare, timidamente disse: “O dei, se è vero che tutto potete concedere, vorrei in moglie” (e non osò dire ‘la fanciulla d’avorio’) “una donna che sia pari a quella che ho scolpito nell’avorio.”
L’aurea Venere, presente alla festa, colse il significato profondo di quella preghiera e, in segno di favore, fece per tre volte palpitare una fiamma.
Tornato a casa, Pigmalione corse a cercare la statua della sua fanciulla e, chinatosi sul letto, la baciò. Gli parve allora che emanasse tepore. Accostò di nuovo la bocca a quella di lei e le sfiorò il seno: sotto le sue dita, l’avorio si ammorbidì e, perduto il suo gelo, cedette duttile alla pressione, come al sole torna morbida la cera dell’Imetto e, plasmata dal pollice, si piega in mille forme.
Stupito, felice, ma incerto e timoroso d’ingannarsi, più e più volte l’innamorato toccò con la mano il suo sogno: era un corpo vero!
Allora il giovane di Pafo rivolse a Venere parole traboccanti di gioia per ringraziarla, e con le labbra accarezzò labbra che non erano più finte.
Vide la fanciulla arrossire a quei baci, levando intimidita gli occhi alla luce; e, con il cielo, ella colse il volto di colui che l’amava più di ogni altra cosa.
(1)

Divora i versi con ansia febbrile, Hermione, chiedendosi se Draco abbia citato il mito per conoscenza diretta, oppure non abbia rievocato le lusinghe di un altro – forse proprio quel suo padre astuto, corrotto e sfuggente.
Parole intrise di suggestioni lontane, per emozioni nuove.
Se raccontasse a sua madre che vestirà di panni di Audrey Hepburn (2), la prenderebbe per pazza?
Forse sì, ma non importa. Meglio essere pazzi e felici.
Pazzi e ciechi.
“Non vedo l’ora di sapere che faccia farà Ron,” sogghigna compiaciuta: poi qualcosa attira la sua attenzione.
Accanto allo scaffale dedicato all’Alchimia delle Trasmutazioni, Florian Von Kessel e Severus Piton s’intrattengono con una familiarità che non le piace per niente.
Vedi, cretina? Tu pensi alle balze e Harry rischia la pelle, sibila la solita, fastidiosa vocina.
Hermione si chiede dove sia l’interruttore, quando serve; soprattutto, perché non possa essere la compagna di un eroe, anziché la paladina delle cause perse.

***

Caro Sirius,
immagino che Harry ti abbia già scritto almeno dieci volte.
Ron ed io abbiamo mantenuto il segreto, come ci hai chiesto, tuttavia ti consiglio di trovare una soluzione, perché la mia bocca è sempre cucita, ma quella di Weasley si allenta con facilità.
Se ti scrivo, in ogni caso, è per questioni ben più serie. Mentre studiavo in biblioteca, ho visto il professor Piton intrattenersi con quel mostruoso tedesco di Durmstrang.
Ora: di te mi fido, ma non di Piton – e sai che ho le mie buone ragioni per dubitare di lui. Tra doppi e tripli giochi, converrai che non è facile capire chi siano i buoni e chi i cattivi.
Se devo prepararmi al peggio, in ogni caso, preferirei saperlo per tempo: ho un carnet di ballo complicato e ti assicuro che manca solo il nome di Chi-Sappiamo.
Eliza Doolittle

 
“Eliza Doolittle?” grugnisce Buck Bello. “E chi sarebbe, questa?”

 
 
Note: (1) Ovid., Metamorph., X, 243-295. La traduzione (libera) è mia.
(2) Il mito di Pigmalione è stato riproposto al cinema nella pellicola My fair Lady (1964), a sua volta adattamento dell’omonimo musical del 1956 di Alan Jay Lerner e Frederic Loewe, mutuato dall’opera Pigmalione di George Bernard Shaw. Audrey Hepburn interpreta la fioraia Eliza Doolittle.

   
 
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