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Autore: Elpis    12/09/2011    3 recensioni
La fanfiction segue la trama del manga fino al momento della partenza di Hayama per Los Angleles. Mille miglia separano Akito e Sana ma l'amore è una spina nel fianco che li pungola e impedisce loro di vivere con serenità la vita quotidiana. A ciò si aggiunge il nuovo film di Sana e la gelosia di Akito… Il sottile filo che li unisce riuscirà a resistere alla tempesta?
Dall'ottavo capitolo:
“Anche se fosse? Anche se io e Nao stessimo insieme? Anche se ci fossi...” esita, come incespicando su quella parola “Anche se ci fossi andata a letto? Sei stato tu a lasciarmi! E senza darmi nemmeno una spiegazione!”
Non usare quel tono di voce ferito, Kurata. Non farmi sentire come se quello ad aver sbagliato fossi io.
“Ma ti sei consolata in fretta, vero?” Le chiedo e i miei occhi sembrano voler bruciare i suoi. I suoi occhi nocciola, sgranati dallo stupore perché un tono del genere con lei non l’avevo mai usato, nemmeno nei nostri momenti peggiori. “E pensare che all’aereoporto avevi persino urlato che saresti rimasta vergine per me!”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Endless Love'
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Grigia Routine 
 




I'm here without you baby
But you're still on my lonely mind
I think about you baby
And I dream about you all the time
I'm here without you baby
But you're still with me in my dreams
And tonight it's only you and me.” (1)
Here without you” 3 Doors Down

 


 


 

« A-chan! A-chan! »
La sua voce mi esplode nella testa. Quel tono squillante, quel brio incontenibile.
La guardo ed è radiosa come sempre. Mi fissa, i suoi occhi grandi contengono chiaramente un invito.
« Che aspetti A-chan? Vieni! »
Protende le mani verso di me e l’unica cosa che desidero è immergermi fra le sue braccia, sentire la freschezza della sua pelle, l’odore del suo respiro. Una brezza sottile le scompiglia le ciocche color mogano e le indirizza verso di me.
Voglio raggiungerla. Per tutta la vita ho voluto raggiungerla.
Faccio un passo in avanti, poi un altro. È strano, la distanza fra noi non diminuisce.
Sana mi guarda con il suo viso da bambina, per niente turbata. Continua a sorridermi e non sembra impaziente. Io però lo sono per entrambi. Aumento sempre di più la velocità dei miei passi e mi ritrovo a correre senza quasi accorgermene. Ma è tutto inutile.
La osservo allibito scivolare sempre più lontano da me. Il suono della sua risata diventa via via più flebile. Allungo la mano nel disperato tentativo di trattenerla…
Mi sveglio così, alle quattro di notte, nella mia stanza. Con una mano tesa verso il vuoto e il cuore che mi pesa come un macigno. Tiro un pugno alla parete che mi fa indolenzire le nocche. Avrei bisogno di molto di più per scaricare la rabbia. Mi tornano in mente le notti insonni passate a fare la maratona per le strade di Tokyo. Anche allora il pensiero di non averla vicina mi logorava.
Mi stendo, cercando di ritrovare un sonno che sembra sparito per sempre. Vorrei uscire e correre fino a sentire i polmoni bruciare, tendere i muscoli fino allo spasmo. Fregarmene di tutto e non rincasare fino a quando la mia mente non sarà di nuovo sgombra.
È la promessa che le ho fatto a trattenermi. Le sue ultime parole mi risuonano nella mente. “Io ce la metterò tutta per varie cose, quindi…! Coraggio! “(2)
Domani ho un esame, poi la riabilitazione e gli allenamenti. Devo dormire o non ce la farò e crollerò a metà mattinata. Lei ha lottato per rendere la mia vita migliore e io farò quello che posso per non mandare tutto a puttane.
Mi rigiro inquieto per ore. Infine mi addormento con il suo nome sulla punta delle labbra.
 

***
 

Il suono della sveglia mi perfora le orecchie. Agisco d’istinto, senza pensare, e le tiro un pugno che la scaraventa dalla parte opposta della stanza. Si sente un rumore sinistro, probabilmente si è rotta. Mi giro dall’altra parte, assonnato. Non passano neanche cinque minuti che Natsumi irrompe nella mia camera.
« Akito-kun! Che diavolo stai facendo? »
La sua voce è, se possibile, ancora più acuta di quella della sveglia.
« Ah! » esclama vedendone i resti ai suoi piedi. « L’hai fatto di nuovo? Ma quando imparerai ad alzarti come tutte le persone civili? Quante ne hai rotte questa settimana? Ho perso il conto! » grida stringendo le mani a pugno.
Non riprende mai fiato quella pazza isterica? Mi sollevo a sedere tenendomi la testa fra le mani.
Natsumi continua a blaterare ma non le presto più attenzione. Quasi quasi la preferivo quando non mi rivolgeva la parola.
Mi alzo e vado in bagno a sciacquarmi, passandole accanto come se non esistesse.
« Ehi, tu!... » mi bercia dietro con il pugno sollevato.
Continuo noncurante. Chiassosa. Come tutte le donne.
Il suo volto mi appare per un attimo, insieme a un flash di tutti i momenti in abbiamo litigato e l’ho lasciata così, con la mano sollevata, a lanciarmi improperi alle spalle. Solo che Kurata non si dava per vinta e mi inseguiva colpendomi e urlando fin che non le prestavo attenzione. Natsumi non è altrettanto battagliera – o forse dovrei dire rompipalle – e mi lascia in pace, tornando offesa in camera sua.
Osservo il mio viso allo specchio. L’espressione degli occhi è spenta e ho delle profonde occhiaie. In un anno e mezzo a Los Angeles il mio volto si è fatto più incavato e c’è un accenno di peluria bionda sulle guance. Chissà se Kurata mi prenderebbe in giro per questo.
Mi riscuoto dai miei pensieri e immergo la faccia sotto la cannella dell’acqua.
Agisco meccanicamente, senza concentrarmi sulle mie azioni, con come unico pensiero in testa che è un altro giorno, un giorno in meno.
Dieci minuti dopo mi ritrovo in cucina, con indosso i primi vestiti che ho trovato. Papà è seduto al tavolino con davanti una ciotola di porridge che gli ha preparato Natsumi. Da quando siamo a Los Angeles si è convertito allo stile di vita occidentale. Lo saluto con un cenno del capo e mi siedo al mio solito posto divorando la roba che ho davanti senza concentrarmi troppo sul suo sapore. Natsumi canticchia qualcosa davanti ai fornelli: sembra che si stia immedesimando sempre di più nel ruolo di padrona di casa. Papà invece sfoglia le riviste che si fa mandare tutte le settimane dal Giappone. Riviste che, inutile dirlo, sono piene di lei, dei suoi sorrisi e delle sue smorfie. Distolgo lo sguardo cercando di pensare ad altro.
« Sana-chan, ci manchi tanto sai? Diventi sempre più carina ».
Di nuovo. Un tempo papà parlava con il televisore quando appariva Kurata, adesso che negli USA non trasmettono canali giapponesi comunica con le riviste che esibiscono le sue foto. Mi chiedo se saremo mai una famiglia normale.
« Sei teso per l’esame, Akito-kun? » mi chiede Natsumi, togliendomi il piatto da davanti.
« Perché dovrei? » rispondo svogliato.
Mi guarda perplessa.
«Non hai il tema oggi? Credevo che scrivere in inglese ti riuscisse ancora difficile! »
« La scuola non è un problema » replico scuotendo le spalle.
Il punto non è scrivere in inglese, ma scrivere in generale. Riempire pagine e pagine con emozioni, sentimenti e bla bla bla. Che scocciatura. Prendo la cartella e mi avvio alla porta. Comunque sia non ho mentito a Natsumi: visto i buoni voti nelle altre materie, l’insegnate di inglese è tollerante.
Esco sbattendomi la porta alle spalle e mi incammino. Il mio sguardo è cupo, la mente assente. Ci sono momenti in cui la piega che ha preso la mia esistenza non mi pesa più di tanto. In cui penso che vivere non sia tanto male, anche se senza lei.
Sono i giorni in cui guardo la mano destra muoversi, le dita flettersi , anche se a fatica, e mi sento più leggero. Giorni in cui durante l’allenamento di karate riesco a mettere ko l’avversario che non ha menomazioni e riacquisto un po’ di fiducia in me stesso. Giorni in cui Natsumi mi parla senza urlare, con un tono di voce affettuoso che con me non ha mia usato prima.
Ma oggi non è uno di quelli. Oggi la mia grigia routine mi fa impazzire.
Mi sono svegliato con il piede sbagliato o forse è il fatto di averla di nuovo sognata. Il suo ricordo vivido mi brucia le viscere. È assente, eppure presente come non mai nella mia vita. Dannazione! Calcio con forza una lattina che mi intralcia la strada. Sono giunto di fronte all’edificio scolastico senza neanche accorgermene. Alcuni ragazzi mi salutano e io rispondo loro distrattamente. Non si può dire che a L.A. sia esattamente un lupo solitario, come mi chiamava Kurata alle elementari, ma non ho instaurato alcun legame speciale. Arrivato in classe sbatto lo zaino sul banco e mi siedo in attesa dell’inizio delle lezioni. Alcuni compagni chiacchierano lì vicino e cercano di trascinarmi nella conversazione. Rispondo a monosillabi, di alcuni non ricordo nemmeno il nome. Finalmente l’insegnate arriva ponendo fine a quel fastidioso brusio.
Le ore di spiegazione scorrono veloci e sono una distrazione gradita. Da quando mi sono trasferito non ho mai preso una nota e solo qualche saltuario rimprovero per i miei modi bruschi. A volte mi chiedo se nel vedermi ne sarebbe orgogliosa: è un pensiero sciocco ma tranquillizzante. Mi aiuta a ritrovare la pazienza quando vorrei solo prendere a calci il banco e andarmene sbattendo la porta.
Un ticchettio attira la mia attenzione. Fuori ha iniziato a piovere e visto che il mio banco è vicino alla finestra vedo le gocce scivolare in mille rivoli sul vetro. La pioggia non mi dispiace perché profuma l’aria di fresco. Mi chiedo che cosa ne pensi Kurata, forse lei è una di quelle che vorrebbe ci fosse sempre il sole. Il mio labbro si incurva in un accenno di sorriso. Che sciocchezza. Non credo che esista al mondo qualcosa di cui Kurata non sia entusiasta, pioggia inclusa. Il professore mi vede distratto e mi rimprovera. Avrei voglia di rispondergli “Si vede che lei è noioso”, ma mi trattengo.
Al suono della campanella dell’intervallo il mio umore è appena un po’ migliorato: ne è la prova il fatto che vedo Nathan avvicinarsi a me e rimango immobile, senza fuggire nel corridoio come l’istinto mi suggerisce di fare.
«Ehi, Akito! » mi saluta sorridendo.
« Hi » rispondo svogliato.
« Non avrai intenzione di passare tutto l’intervallo in classe vero? Andiamo a sgranchirci le gambe in corridoio ».
« Va’ tu. A me non fa voglia ».
Nathan mi guarda con un sogghigno divertito. Sembra che la mia faccia cupa non lo intimorisca.
« Hai paura di essere preso d’assalto dalle ragazze, eh? »
Gli lancio un’occhiataccia ma lui scuote la testa, divertito. In realtà non ha tutti i torti. Girare per i corridoi con uno stupido gruppetto di matricole che ti segue ridacchiando ed ammiccando è snervante. Ancor peggio quando si presentano o cercano di fare le gentili. Le ragazze americane sono più tenaci di quelle giapponesi: non basta una risposta scortese per farle demordere. (3)
« Certo che io non riuscirò mai a capirti. Avessi io uno stuolo di ragazze adoranti ai miei piedi! » continua imperterrito.
Mi irrita. Tiro fuori l’mp3 dallo zaino e sto già per infilarmi le cuffie quando le sue ultime parole mi gelano.
« Ma certo tu hai la tua attrice d’oltremare che ti aspetta… e che nell’attesa gira scene d’amore con un altro! »
Per un attimo vedo rosso. Scatto in piedi, l’mp3 cade con un tonfo ma non ci faccio caso. Ho afferrato Nathan per il bavero della giacca e lo sto fissando negli occhi. La mia mano prude dalla voglia di dargli un cazzotto tanto forte da chiudergli la bocca per sempre. Mi trattiene il suo sguardo, finalmente spaventato.
«Non parlare di Kurata. Non nominarla nemmeno, hai capito? » gli ringhio con la faccia a pochi centimetri di distanza. I miei occhi mandano lampi.
Nathan annuisce bisbigliando qualcosa di incomprensibile. Lo lascio andare.
« Scusami io… stavo scherzando… io… »
Non finisce la frase, si limita ad allontanarsi da me. Mi rimetto seduto e raccolgo l’mp3, ignorando gli sguardi esterrefatti dei miei compagni. Esteriormente sono calmo ma dentro non faccio che pensare a una sequela di colpi di karate. E il bersaglio è sempre la faccia di Nathan Spark.
Le lezioni rincominciano ma la mia mente è altrove. Non riesco a cancellare le sue parole dalla testa. La cosa che più mi fa incazzare è che sono la verità. Forse in quel preciso momento Kurata si trova tra le braccia di un altro. Il lapis che stringo tra le mani si spezza in due con sonoro crack. Mi tornano in mente le parole con cui mi ha annunciato il suo nuovo ingaggio.

«Hola Hayama! Todo bien?»
« Scema. Sono in America, non in Spagna sai? »
Una delle tante conversazioni telefoniche. Una tortura dolceamara che si ripete due o tre volte alla settimana.
« Ja, ja ».

Posso quasi vederla muovere quella sua buffa testolina avanti e indietro in segno di assenso.
« Quello è tedesco » la informo fingendomi scocciato.
« Uffa, sempre a voler fare il pignolo! Insomma ci sono novità? È successo qualcosa di bello? »
Kurata è sempre allegra, ma quel giorno è diverso, sembra addirittura entusiasta. Scommetto che c’è qualcosa che mi vuole dire.
« Niente di particolare. Tu? »
« Ho una fantastica notizia! » Come volevasi confermare. << Ti ricordi di quel nuovo lavoro che mi ha procurato Rei? Quello che ho accettato solo per zittirlo perché mi urtavano i suoi piagnucolii?»
« Mmm » mugugno.
Lavoro. Sinceramente speravo in qualcosa di meglio.

« Ho appena scoperto di cosa si tratta. Sono la protagonista di un film che parla della più bella storia d’amore della storia. Sei pronto? »
Mugugno di nuovo. La mia mancanza di interesse non sembra scoraggiarla.
« Romeo e Giulietta! » dice tutto d’un fiato.
In effetti quella risposta mi sorprende.

« Ti rendi conto, Hayama? Reciterò una tragedia del grande Shakesmere! »
« Si dice Shakespeare » la correggo automaticamente. Quella ragazza è senza speranza.
« Eh? Davvero? Comunque è una bella cosa, no? Rei dice che sarà una parte fondamentale per la mia carriera e …»
Ed eccola partita in quarta a descrivermi il cast, le musiche, i costumi, gli adattamenti e chissà cos’altro. Quando fa così non le sto dietro. Peraltro sono ancora sotto shock. Sana Kurata interpreterà Giulietta? Non riesco a immaginarmela in una parte così seria e tragica. Una fitta di gelosia mi trafigge le viscere.
« … e poi il regista ha detto che…»
« Chi è Romeo? » la interrompo più bruscamente di quanto avrei voluto.
« Ah, questa è un’altra bella notizia! Che sciocca me ne stavo per dimenticare! » sento un colpo, come se si fosse data una manata in testa. Probabilmente lo ha fatto per davvero.
« Il co-protagonista è Naozumi! »
In quale universo parallelo il fatto che quel damerino avesse l’occasione di metterle le mani addosso era una bella notizia? Al solo pensiero mi viene voglia di commettere un omicidio.
« Il regista lo ha scelto subito dopo aver pensato a me! Ha detto che siamo proprio una bella coppia».
Stupida Kurata. Come fa a dirmi quelle cose con tanta noncuranza?
« Ehi ma perché non dici niente? Cosa ne pensi Hayama? »
Penso che sei una cretina. Una cretina egoista.
« Hayamaaaaaaa! » urla perforandomi l’orecchio. << Mi senti? »
Una cretina egoista ed insensibile. Un’ottusa bambina viziata che non capisce niente dell’amore.
« Ehi, ma mi stai ascoltando? » continua a sbraitare. << Non è che sto parlando da sola? >>
« Kurata ho una domanda ».
« Ah, eccoti! Dimmi tutto ».
Sembra felice come una bambina di fronte a un uovo di Pasqua.

« Ti fanno fare Giulietta anche se sei piatta come una tavola? »
Dall’altra parte del telefono sento un urlo di svariati decibel di potenza.
« Voglio dire Giulietta dovrebbe essere un personaggio femminile, non è che gli rovini tutto? » continuo imperterrito.
« HAYAMAAA!! SCHIFOSO PERVERTITO DA DUE SOLDI! PER QUELLO CHE NE SAI POTREI ANCHE AVERE LA QUINTA ORA! »
Dopo poco che sono riuscito a farla sbollire mi saluta con un ciao ancora un po’ offeso.
Sospiro. Non c’è niente da fare. Anche se è una cretina, un’egoista e un’insensibile l’unica cosa che conta è la felicità di Kurata.







1. “Io sono qui senza di te amore,
ma tu sei ancora nei miei pensieri solitari,
Io penso a te, amore
Sogno di te continuamente,

Sono qui senza di te, amore
Ma tu sei ancora nei mie sogni
E stanotte ci siamo solo io e te”

2. frase presa dal manga

3. nel manga ( e nell’anime) Akito risponde male a una studentessa che gli chiede di fare una foto insieme e questa scappa piangendo.




Ciao a tutti!
Per prima cosa un grazie anche solo per aver letto fino alla fine il primo capitolo della mia fanfiction. In realtà è una specie di introduzione e mi rendo conto di non aver lasciato molti spunti per capire l’evolversi della storia… ma in questo come nel prossimo capitolo vorrei concentrarmi sul senso di vuoto che Sana e Akito provano per la loro lontananza ( anche perché mi è parso che nel manga questo aspetto non fosse molto evidenziato). Anticipo quindi che la prossima volta scriverò dal punto di vista di Sana e il titolo sarà “Romeo e Giulietta”. Vi lascio un piccolo spoiler:

“Naozumi pronuncia quei versi con una passione che mi chiude il cuore in una morsa.
Mi porge la rosa e io, come una stupida, penso che è dell’esatto colore delle sue labbra. Le nostre dita si sfiorano, i nostri sguardi si incrociano. Nao è sempre stato un bravo attore, ma in quel momento è straordinario. I suoi occhi sono così crudelmente sinceri che non ha bisogno d’altro per comunicarmi i suoi sentimenti. Quello sguardo… fino a quel momento solo lo sguardo d’ambra di Hayama era riuscito a farmi restare senza parole. Adesso invece mi perdo nel bldegli occhi di Kamura. Un brivido mi corre lungo la schiena quando realizzo con assoluta certezza che se il mio cuore non fosse stato già di Akito, con quello sguardo Naozumi me lo avrebbe rubato per sempre.”


 

  
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