Un giorno stranamente normale.
Era un giorno stranamente normale.
Normale
perché, come tutte le mattine, John si era alzato, si era vestito mettendosi il
suo solito maglione e poi aveva rifatto il letto, perché Mrs. Hudson “non è la nostra governante e bla bla bla”.
Solite cose, insomma. Lui era assonnato come sempre, dopo aver passato una
serata con Sherlock a vedere quel telefilm cui si era tanto appassionato. Si
chiamava Jeeves
& Wooster se non andava errato. Niente
di speciale dopotutto, il solito tipico telefilm inglese,
comico-giallo ambientato negli anni cinquanta. John non riusciva a capire cosa
attirasse tanto Sherlock verso quel programma, ma visto che lui continuava a
commentare imperterrito e il suo teschio era finito chissà dove, a lui era toccato
l’onore di ascoltare i suoi brillanti interventi.
«Sai, John, dovresti imparare a preparare le torte come Jeeves» aveva commentato convinto Sherlock, senza mai staccare gli occhi dal
televisore.
John strizzò gli occhi appesantiti
dal sonno, imponendosi la calma, scacciando l’istinto di strozzare quella
sottospecie di alieno che aveva per coinquilino per poi aprirgli la testa e
finalmente scoprire cosa c’era dentro.
«E perdere il mio status di cane per quello di cameriere? Neanche se mi
portassero la spesa a casa tutti i giorni!» disse
facendo sgocciolare di sarcasmo la frase.
Approfittando dell’occasione
data dalla sua risposta secca, John corse in camera gettandosi sul tuo letto.
La morbidezza del cuscino gli
accarezzò dolcemente i sensi facendogli spuntare un sorriso beato. Erano
giorni, forse settimane, che non riposava a dovere. Tra l’ambulatorio, le
telefonate infinite di Harry, Mycroft che lo tallonava, le investigazioni, le
ire della polizia e Sherlock –causa primaria di quasi tutte quelle prima e
molte che non aveva voglia di elencare- non aveva neanche tempo per sedersi,
prendersi un tè e leggersi un libro.
Da quanto tempo doveva
restituire quel romanzo in biblioteca?
Il dottore mugugnò chiedendo
pietà al suo cervello. Ne aveva abbastanza di preoccupazioni, ci mancava solo
la multa per mancata restituzione.
Sperò che qualsiasi cosa, anche
una bottigliata in testa, gli facesse prendere sonno.
Così fu e così ricordava,
mentre davanti allo specchio del bagno esaminava le sue occhiaie sempre più
nere, sempre più incise sul suo viso.
Espirando forte dal naso decise di lasciar perdere, non
c’era altro da fare che abituarsi a quelle falci sotto gli occhi. Dopotutto non
era così grave, a lui piaceva aiutare Sherlock, nonostante fosse narcisista,
presuntuoso, irritante, indisponente e pure molesto.
Uscì dal bagno con questo meraviglioso elenco stilato
nella sua mente e un piccolo sorrisino all’idea di renderlo pubblico sul suo
blog, ma il suo flusso di pensieri fu immobilizzato da un odore potente che
aveva invaso l’aria.
Caffè.
Assolutamente caffè italiano e caldo –soprattutto caldo.
Strano.
Accigliato per quell’insolito fatto, si diresse verso la
cucina.
Ecco qui comincia quello che fa di questa giornata stranamente normale.
Normale per ogni rispettabile casa, ma non per loro, non
per il 221B di Baker Street.
Non dove, di prima mattina, aprendo il microonde e
trovandoci dentro un orecchio umano, sbadigli annoiato chiedendo al tuo
coinquilino se gentilmente lo sposta, a meno che non voglia un tè al cerume.
Fu la prima cosa che John vide.
Il tavolo pulito –senza provette, senza contenitori- e
sopra di esso una caffettiera e una tazza.
«Buongiorno, John.»
L’interpellato sbatté gli occhi e poi alzò lo sguardo
verso chi l’aveva chiamato.
Sherlock Holmes era lì davanti a lui, seduto
compostamente sulla sedia con tazza di caffè in mano, che lo guardava
tranquillo.
Sherlock tranquillo, non eccitato, non annoiato, non
apatico.
Tranquillo.
Ok, Copernico si sbagliava e la terra aveva incominciato
a girare al contrario, perché tutto ciò non era fattibile!
«Non hai voglia di caffè?» chiese l’alieno che in quel
momento, se John non l’avesse conosciuto bene, avrebbe scambiato per una persona
normale.
«Eh?» ribatté il dottore appena riscosso dai suoi
pensieri.
«Ti ho chiesto se non hai voglia di caffè.»
«Ah no… cioè sì, certo che mi va!» rispose frenetico,
osservando la tazza con circospezione.
Infondo poteva essere proprio la bevanda l’esperimento e
il suo coinquilino cercava di usarlo come cavia.
Magari dentro c’era qualche tipo di veleno, analgesico,
sonnifero o chissà quale altra diavoleria.
«Se ne vuoi meno basta che lo riversi nella caffettiera,
non c’è bisogno di farlo evaporare con lo sguardo» gli fece presente Sherlock sollevando
le sopracciglia.
Il dottore gli rifilò un'occhiataccia, ma si rilassò al
tempo stesso.
Questo
era il suo coinquilino.
Ormai sereno, sollevò la tazza alle labbra, lasciandole
increspare appena da un lieve ma sincero sorriso.
Ogni tanto, pensò John mentre beveva, avevano bisogno
anche loro di rompere la routine, di fare qualcosa di strano.
L’altro nel frattempo lo fissò per tutto il procedimento,
catalogando avidamente le sue espressioni.
Contò quattro sorsi, un mezzo sorriso, una lenta
umidificazione delle labbra, una goccia scappata, un polpastrello leccato e una
tazza vuota.
Con frenesia, non aspettò neanche che il suo coinquilino
appoggiasse la tazza sul tavolo.
«Allora?» gli
chiese con aspettativa.
John si accigliò lievemente e ingenuamente.
«Allora cosa?»
Sherlock sbuffò impaziente.
«Allora, ti è piaciuto il caffè?»
A quel punto John sorrise di tutto cuore e pensò che,
alla fine, un gesto del genere da parte di Sherlock era molto di più di quel
che sembrava.
Annuì con decisione, con le labbra piegate stupidamente
all’insù.
«Certo! Era molto buono; caldo e forte come piace a me.»
A quelle parole Sherlock si alzò saltando.
«Sì, sì, sì!»
John non capì, ma già incominciava a presagire il peggio.
Anche perché stava tutto diventando troppo, troppo normale.
Sherlock incominciò a gironzolare per tutta la stanza per
poi afferrare il cellulare e comporre, con un sorriso sadico, un numero. Squillò minimo due volte, poi qualcuno rispose.
«Ho vinto, ho vinto io.» il ghigno sul viso del detective
si deformò in un attimo.
«Cosa vuol dire che non mi credi?! Quando mai ti ho detto
una bugia?»
Dall’altra parte del telefono partì un lungo discorso,
che dipinse sul volto di Sherlock una smorfia annoiata.
«Quelle erano necessarie, eri –e sei- troppo stupido per
comprendere.»
Risposta piccata e, John poteva intuire, abbastanza
seccata inondò la stanza con un leggero brusio.
Intanto John si teneva lo stomaco con le mani,
preoccupato.
Cosa gli aveva dato?
E con chi stava parlando?
«Sherlock, ma—»
«Zitto, sto parlando con il mio indegno fratello.» lo
ammutolì velocemente e con stizza l’altro.
Il dottore sospirò, consolandosi sul fatto che almeno uno
dei misteri era stato risolto, anzi tre.
- Quello con cui
stava parlando Sherlock era Mycroft, il governo britannico.
- Quella era una
banale, banalissima lite tra fratelli.
- Tutto stava
tornando alla normalità troppo velocemente.
Mentre il suo coinquilino
muoveva esagitato le braccia, John annusò le due tazze sul tavolo e poi anche
la caffettiera.
Se ne versò un po’ e ne
bevve ancora.
Niente.
Niente pareva strano, e
forse era proprio quel dettaglio a inquietarlo tanto.
«Devo incominciare a chiamarti Tommaso, Mycroft? Oppure
preferisci raccontarmi come va la dieta?»
Dal ghigno che ruppe la
serietà del viso di Sherlock, John riuscì chiaramente a intuire la risposta.
«Bravo, ora rassegnati, ho vinto io. Sono stato un
coinquilino modello!»
John quasi si strozzò con il caffè, in quel momento, ma
il “coinquilino modello” non parve accorgersene.
«Cosa vuol dire “come hai fatto a capirlo”? Hai lasciato
il cervello a riposare sulla poltrona? Ovviamente l’ho intuito. Ha avuto quel
tic che ha sempre quando è orgoglioso di me.»
Dall’altro capo arrivò un'osservazione non molto gradita,
giudicò John con gli occhi leggermente appannati, vedendo Sherlock stringere le
labbra.
«Non m'interessano le tue insinuazioni, non cambia che ho
vinto io.» ribattè piccato il più piccolo degli Holmes e riattaccò.
John quasi riuscì a sentire la risata di Mycroft
spandersi per la stanza.
Sherlock, leggermente irritato, si buttò di peso sul
divano, ma prima che John riuscisse anche solo a domandare spiegazioni la porta
si aprì di botto.
«Sherlock.»
A quella voce, a quell’intonazione, il detective si
risvegliò e con uno scatto si sedette.
L’ispettore Lestrade era in piedi nel loro salotto e con
espressione seria fissava intensamente il giovane sul divano.
«Quanti morti?»
«Sei.»
«Rinvenuti insieme?»
«Sì, nessun segno di violenza o di tentata difesa,
abbiamo ipotizzato—»
«Un suicidio di massa –lo so, lo so- ma se ne fosse
convinto non sarebbe qui.»
L’ispettore annuì funereo.
«Abbiamo bisogno di te, ti dirò i dettagli in volante.»
«Verremo in taxi.»
Lestrade sospirò e senza aggiungere altro scese le scale.
Ogni volta che i passi rimbombavano su uno dei
diciassette gradini, il sorriso di Sherlock aumentava, facendogli chiudere gli
occhi e schioccare le labbra di piacere.
E John lo osservava, lo osservava rivedendo normalità, l’abitudine
–la sua vita- in quel semplice gesto.
E mentre s'infilava il cappotto, esortato con impazienza
da un eccitato Sherlock, pensò che infondo la normalità non era tanto male.
***Angolino della squinternata***
Whoa, quasi 1500 parole. O_O mi stupisco nuovamente di me
stessa *si tira una pacca sulla spalla*
Certo che avevo proprio voglia di riesumare questa
cosuccia, perché sì questo è uno dei tanti file che si nascondono nel mio PC e
ogni tanto saltano fuori per farmi “BU!”.
Se non ricordo male questo era una delle prime storia, se
non LA prima, che ho scritto su di loro, in preda al fangirlamento convulso
dovuto alla prima visione degli episodi *sospira pensando ai bei vecchi tempi*.
Comunque, che c’è da dire? Uhm, direi praticamente
niente, se sono stata brava (anche se dubito) dovreste aver capito benissimo
quali sono i concetti di “normalità” e di “stranezza” in quel di Baker Street.
Argomento, ammetto, che mi sta particolarmente a cuore.
Ah, magari vi interesserà sapere che Jeeves & Wooster
è un programma vero, ispirato alla mirabile –e inestimabile- penna di
Woodehouse, mitico scrittore umoristico inglese che io adoro. Nella serie tv
Jeeves è interpretato da Stephen Fry (il Myc del film SH che uscirà quest’anno,
tanto per intenderci) mentre Wooster da Hugh Laurie (il Dr.House che penso che
conosciate tutti almeno di vista).
Ormai questo programma io l’ho autoeletto come preferito
di Sherlock xD quindi non fate domande, piuttosto andate a comprarvi i libri o
a vedere la serie, magari capirete il perché…
Dopo questo, se avete dei dubbi, dei consigli o non so
cosa da esplicitare fate pure, io sono a vostra disposizione ^^
Per finire ringrazio tutti quelli che hanno
letto/ricordato/seguito/preferito/commentato la mia ultima ff su questo fandom La
notte tace i corpi. La notte spoglia i pensieri.