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Autore: chiaki89    12/09/2011    5 recensioni
Uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti.
Si strinse la macchina fotografica al petto, mentre seguiva il gruppo dei minorenni che correvano verso la Stanza delle Necessità.
Voleva distruggere tutto quel sistema basato sulla purezza del sangue che stava sfasciando il mondo magico e quello Babbano. Doveva combattere, avrebbe dovuto uccidere. E gli stava bene, se quello era necessario per creare un mondo migliore. Ancora di più, se serviva a proteggere la propria famiglia.

Un tributo a un piccolo eroe, perché non sia solo il nome di un caduto nella battaglia di Hogwarts.
Prima classificata al contest "Harry Potter Quotes" indetto da bubi90 sul forum di EFP e giudicato da Leireel.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Colin Canon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Nome autore: chiaki89
Titolo: The last snapshot
Genere: Introspettivo, Triste, Drammatico
Avvertimenti: Oneshot
Personaggi: Colin Canon
Pairing (se presente): /
Rating: Giallo
Citazione scelta: Uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti.
Nda: Sinceramente non ho mai letto niente su Colin Canon: è un personaggio secondario onnipresente ma spesso ignorato, eppure quando ho letto della sua morte nel settimo libro mi sono sentita estremamente coinvolta. Forse è il momento in cui lui spicca di più di tutti e sette i libri. E mi sembrava giusto rendere giustizia a uno dei caduti. La citazione l’ho inserita alla fine, ma in realtà giustifica l’inizio della storia ed il suo sviluppo. L’ho voluta strutturare come un cerchio che si chiude.

Spero che possa piacere, semplicemente. 

 

THE LAST SNAPSHOT

 

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Poteva ancora sentire le parole di Voldemort echeggiargli nelle orecchie. Consegnare Harry Potter? Lui era la loro unica speranza, da un pezzo l’avevano capito tutti. Per questo non rimase stupito quando Grifondoro, Corvonero e Tassorosso si erano opposti senza esitazioni alle parole piene di vigliaccheria di Pansy Parkinson. Anche lui si era alzato insieme ai suoi compagni di Casa, in difesa di Harry.

Arrendersi non era un’opzione contemplabile.

***

Lentamente i minorenni sfollavano, seguendo Gazza e i Prefetti. Ma lui non voleva: poco importava che non avesse l’età per combattere. Sarebbe rimasto.

La McGranitt piombò addosso a lui, minacciosa. “Assolutamente no, Canon, vai!” tuonò. Poi si rivolse a un altro Grifondoro. “Anche tu, Peakes!”

Colin Canon strinse i denti, deluso. Afferrò il braccio di suo fratello Dennis e lo spinse avanti. “Meglio andare in ordine di età” gli disse. Era preoccupato: il suo fratellino doveva tornare a casa sano e salvo, era davvero troppo giovane. A Colin mancavano pochi mesi per diventare maggiorenne, ma Dennis era solo al quarto anno.

Man mano che seguiva la folla, Colin si accorse che si stavano dirigendo verso la Stanza delle Necessità. C’era stato così tante volte quando era ancora in piedi l’Esercito di Silente!

Si era sentito importante, in quel periodo. Fiero. Aveva percepito di essere parte di un enorme ingranaggio che prima o poi avrebbe portato a quel giorno: la battaglia di Hogwarts, la resa dei conti. Era un Grifondoro, e non voleva rimanere indietro.

Che senso aveva nascondersi dietro persone più grandi, solo per salvarsi la pelle? Un solo elemento poteva fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. La storia di Harry Potter ne era la testimonianza più lampante: aveva solo un anno, eppure era riuscito a sconfiggere Voldemort, almeno una volta.

Colin Canon sapeva di avere molto da perdere in quella guerra. Lui era un Nato Babbano e come tale sarebbe stato tra i primi a essere eliminati: ancora non comprendeva come sia lui che suo fratello fossero stati ammessi anche per quell’anno a Hogwarts. Probabilmente era soltanto per tenerli d’occhio.

Ma solo lui sapeva con quale angoscia aveva temuto per la salute dei suoi genitori, a casa. Entrambi Babbani, entrambi indifesi. Dennis, più giovane, era meno consapevole; ma Colin aveva vissuto per tutto l’anno scolastico preda di un’ansia che scavava in fondo al cuore, strappava, lacerava con violenza la sua innata capacità di essere allegro in qualsiasi situazione.

Colin era cambiato molto, quell’anno. Non dispensava più sorrisi come un tempo, lo scattare della sua macchina fotografica non era più l’immancabile e costante sottofondo di ogni evento quotidiano. Era diventato una rara eco che sottolineava momenti che avevano importanza solo per lui. Ed erano ormai pochissimi.

Come poteva trovare importanza in qualcosa, quando la scuola era stata colonizzata dai Mangiamorte? I Carrow certo non contribuivano a distendere il suo umore: aveva dimenticato quante volte era stato sbeffeggiato e punito per il semplice fatto che era un Nato Babbano, e così suo fratello, benché avesse provato più volte a proteggerlo. Ma era arrivato il momento di ribellarsi, di fare qualcosa.

Si strinse la macchina fotografica al petto, mentre seguiva il gruppo dei minorenni che correvano verso la Stanza delle Necessità.

Voleva distruggere tutto quel sistema basato sulla purezza del sangue che stava sfasciando il mondo magico e quello Babbano. Doveva combattere, avrebbe dovuto uccidere. E gli stava bene, se quello era necessario per creare un mondo migliore. Ancora di più, se serviva a proteggere la propria famiglia.

Ma l’avevano bloccato in quella fiumana di persone e non riusciva a trovare la determinazione di spostarsi; un po’ era il desiderio di sorvegliare suo fratello, che camminava al centro del gruppo compatto, un po’ era il senso dell’ignoto che aleggiava intorno alla battaglia.

Alzò gli occhi, combattuto, e vide Zacharias Smith far volare per terra dei ragazzini del primo anno per passare avanti.

Schifoso codardo!

Quello fu l’unico pensiero razionale che gli passò per la testa. Il resto fu puro istinto.

Lasciò cadere la macchina fotografica, senza curarsi dei piedi che immediatamente la calpestarono; della sua fedele compagna rimase solo un mucchietto contorto di plastica e metallo e vetri spezzati.

Con un movimento rapido si gettò in una nicchia che conteneva una statua, uscendo dal flusso degli studenti diretti alla Stanza delle Necessità. Sfilò velocemente la bacchetta, preparandosi alla battaglia.

Aveva sentito, uscendo dalla Sala Grande, che le truppe si sarebbero divise in gruppi guidati dai professori Sprite, Vitious e McGranitt verso le tre torri più alte. Rifletté rapidamente.

Il luogo che conosceva meglio era sicuramente la torre di Grifondoro; ci sarebbe stata la McGranitt, ma confidava nel fatto che fosse troppo distratta per dargli una solenne lavata di capo nel bel mezzo della battaglia. Si lanciò avanti, non appena l’ultimo studente fu passato, e iniziò a correre verso il ritratto della Signora Grassa.

Stava letteralmente volando per il corridoio, stringendo convulsamente la bacchetta mentre l’eco dei suoi passi echeggiava lugubre nello spazio vuoto. Lo scoppio di violente esplosioni giungeva attutito dall’esterno. All’improvviso la finestra alla sua destra andò in frantumi, schizzando schegge di vetro tutt’intorno.

Protego!” gridò, senza smettere di correre. La mano enorme di un gigante entrò nel varco appena aperto e tentò di afferrarlo. Col cuore in gola, Colin lanciò una Fattura Pungente contro quelle dita che si muovevano troppo veloci verso di lui, pregando che fosse efficace. Delle bolle iniziarono a eruttare sulla pelle del gigante, e dall’ululato che seguì dovevano anche essere abbastanza dolorose. Sapeva che l’incantesimo non sarebbe stato efficace a lungo, perciò Colin scattò come una molla per allontanarsi il più possibile da quel pericolo. Per saltare in braccio a un altro, naturalmente.

Una sagoma nera, una maschera che copriva l’intero viso. Un Mangiamorte gli aveva appena sbarrato la strada. Da dove era arrivato?

Spinse lo sguardo poco oltre le spalle dell’uomo e vide sparsi sul pavimento numerosi frammenti di vetro.

Maledetti giganti!

Fece appena in tempo a tuffarsi di lato, salvandosi per pochi centimetri. Il Mangiamorte non aveva perso tempo ad attaccare, a differenza sua. Colin sapeva di non avere possibilità contro un mago adulto e fermamente intenzionato ad utilizzare la Magia Oscura. Solo due cose potevano aiutarlo: il coraggio e l’astuzia. Mentre continuava ad essere bersagliato da Maledizioni si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse far pendere la bilancia dalla sua parte. Il suo Sortilegio Scudo ancora reggeva, ma sapeva che non sarebbe durato ancora molto.

Non può finire così!

Non voleva morire. Erano i Mangiamorte che dovevano fare quella fine, non gli innocenti come lui. Si riscosse e iniziò a lanciare incantesimi a sua volta. Lo sguardo gli cadde un istante sul soffitto, e sorrise. Scagliò ogni Maledizione ricordasse, una dietro l’altra, ed ebbe la soddisfazione di vedere il Mangiamorte indietreggiare di alcuni passi. Si fece avanti, deciso e coraggioso, benché consapevole che da un momento all’altro il suo avversario avrebbe ribaltato i ruoli.

Senza preavviso si lanciò di lato, puntando la bacchetta al soffitto. “Diffindo!”, urlò. Con uno schiocco secco, saltarono le corde che tenevano il lampadario sospeso sulla testa del Mangiamorte. Senza fermarsi a guardarlo scattò in avanti, mentre l’uomo veniva travolto. Corse a perdifiato, fino a raggiungere il primo angolo, dietro al quale si tuffò. Un incantesimo fece esplodere il muro nel punto in cui si trovava pochi istanti prima.

Rotolò velocemente a terra, per poi rialzarsi con uno scatto. Corse, corse, corse fino a raggiungere un passaggio segreto generalmente poco utilizzato e che fungeva da scorciatoia per l’entrata nella torre di Grifondoro. Entrò rapidamente.

Le sue narici si riempirono dell’odore di chiuso e di muffa, mentre stringeva spasmodicamente la bacchetta nella sua mano destra. “Lumos” sussurrò, e una tenue luce si accese a rischiarare il suo percorso.

Che mai era stato più oscuro.

Procedeva rapidamente, quasi impaziente di arrivare dove avrebbe potuto dare man forte ai suoi amici. Sapeva di essere incosciente e temerario, al momento. Non aveva ancora completato la propria istruzione e non era mai stato particolarmente abile nei duelli. Ma se era finito tra i Grifondoro un motivo c’era. Non si sarebbe tirato indietro di fronte al pericolo e alla morte, mai. Nonostante i dubbi che continuavano ad abbattersi in ondate cadenzate su di lui, la sua determinazione non avrebbe vacillato. In gioco c’era molto di più della sua incolumità.

Arrivò alla fine dello stretto corridoio e sporse fuori cautamente la testa, per accertarsi che nessuno fosse nei paraggi. Stava per scattare verso il ritratto della Signora Grassa, la quale, a dispetto del pericolo, non si era spostata in nessun’altro quadro. Ma dei bagliori fuori dalla finestra lo distrassero, portandolo ad avvicinarsi al vetro.

Sotto di lui la battaglia infuriava impazzita. Su quel corridoio semi-deserto in cui si trovava, invece, tutto taceva, come rinchiuso in una bolla di cristallo trasparente.

Vedeva getti di luce piovere dall’alto, probabilmente dalla cima della torre, e colpire alcuni degli avversari incappucciati a terra, che a loro volta stavano duellando ferocemente con altre persone. Colin non riusciva a distinguere chi fosse chi: poteva solo sperare che tra loro non ci fosse nessuno dei suoi amici. Si sentì male al solo pensiero. Il suo stomaco si contrasse spiacevolmente quando vide uno degli incantesimi sfiorare un ragazzo spaventosamente simile a Seamus Finnigan. La sua mano si strinse alla maniglia della finestra, come se per un attimo avesse desiderato aprirla e lanciarsi giù, per aiutarli, per sfuggire a quel senso di inerzia che si stava infiltrando sotto la sua pelle.

Non poteva restare fermo lì. Combattere, uccidere se necessario. Era questo che doveva fare.

Doveva ignorare la paura che stava iniziando a serpeggiare sinuosa intorno ai suoi piedi, appesantendoli, più seducente e crudele che mai. Si costrinse a muoversi, lacerando quegli invisibili legami che tentavano di bloccarlo; la consapevolezza che desiderava combattere per proteggere la propria famiglia gli diede forza.

Dennis, mamma, papà.

Ce l’avrebbe fatta, per loro. Non si sarebbe arreso, grazie a loro.

A nessun figlio o fratello viene imposto di ripagare l’affetto con cui è stato nutrito fin dalla nascita: ma ognuno di loro sa che ci sarà un momento nella vita in cui il desiderio di pagare quel dolcissimo debito oscurerà qualsiasi altro pensiero. Colin sentiva che quel momento era arrivato. E non si sarebbe tirato indietro.

Cominciò a camminare verso l’entrata del dormitorio, tenendosi stavolta rasente al lato interno del corridoio. Era stata un’imprudenza avvicinarsi tanto alle finestre, prima.

Aveva quasi raggiunto il ritratto della Signora Grassa, quando il rumore di passi echeggianti lo fece precipitare in uno scenario diverso da quello che aveva immaginato per quella battaglia. Sperava, in cuor suo, di poter combattere insieme ai suoi compagni, guidati dalla severa esperienza della professoressa McGranitt. L’arrivo di due Mangiamorte in corsa verso di lui cambiò tutto.

Non aveva mai creduto alla Divinazione, alle profezie e a tutte quelle sciocchezze sul fato. Eppure in quel momento gli parve di udire il sinistro cigolio della Ruota del Destino che girava malignamente.

Stupeficium!” gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, pregando che l’effetto sorpresa gli permettesse di livellare, almeno un pochino, quel confronto così impari.

Uno dei due Mangiamorte venne investito in pieno dall’incantesimo e finì a terra, picchiando la testa contro il muro vicino. L’altro lo fissò attraverso i sottili buchi nella maschera, agitando la bacchetta senza parlare.

Colin evocò appena in tempo un Sortilegio Scudo, che vibrò violentemente all’impatto con la Maledizione scagliata dal suo avversario. Tentò di centrarlo con un Incantesimo di Ostacolo ben piazzato, ma l’altro lo parò senza difficoltà. In breve tempo, gli scoppi e le formule gridate da entrambi saturarono con le loro eco l’intero corridoio.

Colin sentiva i suoni premergli nelle orecchie, le dita dolere per la stretta troppo salda sulla bacchetta, la gola bruciare per le urla continue. I suoi vestiti erano ormai stracciati, tagliuzzati qui e là a causa delle schegge di pietra che erano volate in tutte le direzioni quando il Mangiamorte, invece di colpire lui, aveva fatto esplodere il pavimento davanti ai suoi piedi.

Non avrebbe resistito per molto, lo sapeva. Ma continuava a combattere, facendo appello a tutto il suo spirito Grifondoro, aggrappandosi ai motivi che l’avevano spinto a restare.

Eppure non bastava.

Un’altra esplosione, stavolta molto più precisa, lo fece volare all’indietro fino a schiantarsi contro al muro, dove si afflosciò. Un rivolo di sangue gli scese lungo la guancia, imbrattò i capelli e blandì il collo. Sentì la vista appannarsi e socchiuse gli occhi, ma non si arrese. Vide il Mangiamorte avvicinarsi senza preoccupazione, convinto di averlo messo completamente al tappeto.

Era il momento. Ora o mai più.

Le parole giuste erano sulla punta della sua lingua, così facili e immediate da costituire un’affascinante tentazione. Poteva farlo, poteva ucciderlo. Doveva ucciderlo.

Prese fiato per pronunciare la formula. Avada Kedavra.

Il potere di dare la morte era nelle sue mani.

Sarebbe stato così incredibilmente semplice.

Expelliarmus!”, gridò invece. Lo colpì al fianco, dove la Maledizione che Uccide sarebbe stata comunque efficace. Ma non altrettanto l’Incantesimo di Disarmo. I suoi occhi annebbiati gli avevano impedito di centrare il bersaglio.

La bacchetta nella mano del Mangiamorte sussultò, ma gli bastò rafforzare la presa per non farsela sfuggire. Colin provò a muoversi, ma un incantesimo lo inchiodò al muro.

È tutto finito.

“Dimmi qual è la parola d’ordine, ragazzino, e potrei pensare di risparmiare la tua futile vita” gli ringhiò in faccia. Per un lunghissimo momento, il giovane Grifondoro meditò veramente su quello che avrebbe potuto fare.

Rivelando la parola d’ordine al Mangiamorte, i combattenti presenti sulla torre si sarebbero ritrovati tra due fuochi, e tutto il vantaggio derivante dalla posizione sopraelevata sarebbe sfumato miseramente. Ma se non l’avesse fatto…

“No” disse cercando di tenere ferma la voce. Non c’era in gioco solo la sua vita. Era stato lui lo sciocco, incapace di uccidere quando era stato il momento.

Eppure, guardando negli occhi quell’uomo vuoto e corrotto, comprese ogni cosa.

Che lui era un innocente, e come tale non sapeva uccidere con la stessa noncuranza con cui lo facevano i Mangiamorte.

Che tutti coloro per i quali e insieme ai quali aveva combattuto erano innocenti, e per questo trattavano la morte con il rispetto dovuto.

Tutto quello che l’aveva portato a rinunciare a una maggiore possibilità di salvezza e il fatto che avesse deciso di mettere la sua vita a rischio per proteggere come possibile la sua famiglia erano conseguenza della sua innocenza.

E la stessa cosa riguardava tutte le persone che erano rimaste a combattere, come aveva fatto lui, per proteggere la vita, non per dispensare morte.

Non riusciva a sentirsi pentito per come si era comportato, per non aver colto l’occasione di salvarsi.

Uccidere era molto più difficile di quanto non avesse immaginato. Era stato un ingenuo a credere che avrebbe potuto rinnegare tutto ciò che era, e che lo rendeva così totalmente diverso dall’uomo che gli stava di fronte.

Ma, di nuovo, non sapeva pentirsi di essere un innocente; una persona pura, che credeva nell’importanza dei buoni sentimenti, nell’uguaglianza, che non si limitava a sperare in un mondo migliore, ma era disposto a combattere per tale speranza. Aveva amato con sincerità, ed era stato amato a sua volta; aveva avuto amici, persone accanto che rendevano ogni giorno speciale e dorato. Era umano e imperfetto, ma nessuna macchia aveva sporcato la sua vita di crudeltà. Era innocente.

Pensieri semplici, che qualsiasi Mangiamorte avrebbe deriso, bollandoli come sciocchi. Ma per lui non lo erano, alla fine.

Tutti i ricordi, i più belli, i più brutti, quelli felici e quelli dolorosi, gli scivolarono dolcemente addosso come una cascata di migliaia di piccole fotografie. Si abbeverò di quelle immagini, cogliendovi in mezzo i volti dei suoi genitori e di suo fratello.

I suoi occhi non videro il Mangiamorte, un innocente da troppo tempo perduto, sollevare la bacchetta in un gesto minaccioso. Colin voleva vedere solo quelle meravigliose istantanee che avevano immortalato la sua vita.

Poi quella formula stridula, che mai aveva pronunciato in vita sua.

Uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti.

Per fortuna.

Non vide neppure quel raggio di luce verde, nei suoi occhi solo i visi delle persone amate.

 

 

 

 

*Note dell'autrice*: questa fanfiction è stata scritta per il contest "Harry Potter Quotes" indetto da bubi90 sul forum di EFP e giudicato da Leireel.

Per prima cosa è d'obbligo ringraziare Leireel, che si è offerta di giudicare le nostre storie dopo la sparizione della giudicia che aveva indetto il contest. Grazie per la velocità, i giudizi accurati e, ovviamente, per la disponibilità.

Non mi aspettavo davvero che questa storia si classificasse prima, soprattutto perché ho scelto un personaggio ben poco usato nelle fanfiction. Ovviamente commenti e critiche sono più che ben accetti! Segue il giudizio:


The last snapshot di chiaki89

In guerra, essere coraggiosi è quasi un dovere: uccidere lo è molto di più.

Uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti.
Per fortuna.

La trama è ben articolata e si sviluppa attorno alla citazione scelta in maniera esaustiva e completa; particolarmente apprezzabile la scelta del protagonista, di sicuro poco trattato nel fandom. Lo stile dell'autrice, lineare e conciso, si adatta bene alle vicende narrate, che non risultano noiose o stereotipate.
Il lessico è variegato, cosa che lo rende in alcuni punti poco uniforme: si assiste al passaggio da registri più semplici ad altri più elevati, cosa che disturba una lettura altrimenti assolutamente piacevole.
La caratterizzazione è completa e ben strutturata: è il Colin Canon della Rowling, ma con qualcosa in più che lo rende più profondo e maturo. La citazione, come già detto, è stata inserita e giostrata in maniera perfetta.

Lui era un Nato Babbano e come tale sarebbe stato tra i primi ad essere eliminati: la cosiddetta d eufonica va usata unicamente in presenza di vocali uguali, come 'ad attendere', o di forme cristallizzate, come 'ad esempio'. L'errore è ripetuto in tutto il testo.
Voleva distruggere tutto quel sistema sanguinista che stava sfasciando il mondo magico e quello Babbano, insieme: la parola 'sanguinista' non è presente nel vocabolario italiano. Inoltre, la presenza della virgola lascia intendere che 'insieme' sia riferito al soggetto logico della frase, quando andrebbe riferito all'elenco precedente.
quando il rumore di passi echeggianti lo precipitò in uno scenario diverso da quello che aveva immaginato per quella battaglia: il verbo precipitare è intransitivo.

 

 

Grammatica 7.2/10
Stile e lessico 8.5/10
Originalità 19/20
Caratterizzazione personaggi 9.5/10
Uso della traccia 15/15
Totale: 59.2/65 Media: 9.11
   
 
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