I Giorno
– Mattina
Principessa
si rifiutò di aprire gli occhi.
Era
la settima volta che il suo sonno veniva interrotto bruscamente da
un singolo sobbalzo nervoso, sintomo di tensione pura che non riusciva
neanche a
tradursi in incubi. Tutte le volte che quell’improvviso
gesto, che in nessun
modo sembrava causato da scene oniriche o pensieri formulati in piena
volontà,
la scuoteva in quel modo fastidioso, era obbligata a tornare alla
realtà.
Allora nella mente echeggiava a lettere cubitali il suo dovere di
alzarsi e
andare a controllare la situazione, nettamente in disaccordo con il
desiderio
meramente fisico di tornare invece al rilassamento di poco prima e di
riuscire
magari a riprendere sonno. Si rivoltava tra le lenzuola candide, i
capelli
rossi che in parte le finivano anche sul viso, cercava nel nuovo fianco
una
posa più favorevole, le mani rifugiate sotto il morbido
guanciale.
Quest’ultima
volta il sonno tardò a riprendersela e ciò la
rese se
possibile ancora più nervosa. Ma la decisione definitiva
tardava a venire.
Sbuffò
tra sé. Non c’era nulla da temere. Era stupido
lasciarsi
trascinare da vuoti timori.
Non
aveva neanche rifatto quel sogno tanto caratteristico e
straordinario, cosa che doveva già rassicurarla. Nulla a che
vedere con lo
stupore di due giorni prima, quando le era sembrato addirittura di
vederlo
realizzato nel suo improbabile salvataggio ad opera del
“mantellato”. La tanto clamorosa
assenza dal suo inconscio poteva essere un sintomo: anche se non era
dato
sapersi prima del tempo, certo non di catastrofi estemporanee legate ai
suoi
“ospiti”. Doveva stare tranquilla, non erano tanto
folli da combinare qualche
guaio dopo le scene decisamente istruttive della sera prima…
-
Prin! -
Il
tono basso ma urgente del fratello a pochi centimetri dal suo
orecchio la fece gemere di insoddisfazione. Aveva già fatto
la prima previsione
errata della giornata?
-
Clay… - gli confermò di essere sveglia. Si
rivoltò per avvicinarsi al
lato destro del letto, quello dal quale sentiva provenire il sussurro,
ma tenne
gli occhi chiusi, in attesa.
-
Devo andare in negozio… - iniziò, spiegandole
quindi subito il motivo
di quella fretta.
-
E… Perché? – lo interruppe, con tono
strascicato, ma corrucciando significativamente
le sopraciglia.
-
Come “perché”…?
C’è la Marina, magari riesco a piazzare qualcosa!
Se
tanto non sappiamo a che santo votarci… - la riprese, quasi
con fastidio,
cercando di uscire, senza neanche entrarci, dallo spinoso argomento del
disastro economico.
Principessa
fece una smorfia silenziosa, sempre ad occhi chiusi: - Va
bene, ma non so se sia il caso di lasciarmi sola… con
“loro”… -
Il
fratello lasciò un clamoroso momento di silenzio, che ben
dimostrava
il suo scetticismo: - Mi prendi in giro? –
-
Clayton… - lo richiamò, come
un’intimidazione sottintesa.
-
Andiamo, Prin! Te la caverai anche meglio senza di me! –
protestò –
Come potrei esserti di aiuto con due pirati che sono il doppio di me!?
Scommetto
che una delle tue minacce farà molto più effetto
di qualunque mio consiglio… -
concluse, conciliante.
-
La fai facile… E lasci tua sorella in balìa dei
pirati… -
-
…che non sono altro che “amici di
famiglia”, no…? –
-
Poi decidono di fare qualche follia fuori programma, nella brutta
situazione in cui siamo… -
-
Ma se sono ancora di là che dormono della grossa!
– esclamò infine,
esasperato.
Quella
notizia le fece tirare un sospiro di sollievo, anche se non le
permise di rinfrancarsi delle ore di sonno perse ad immaginare scenari
molto
diversi e catastrofici. Aprì gli occhi neri per incontrare
quelli nocciola del
fratello minore, quieti nonostante il viso fosse atteggiato a
rimprovero per
quelle continue obbiezioni. Le guance erano perfettamente rasate e i
capelli
cenerini acconciati in un corto codino sul capo.
-
Dormono? – chiese, come per una conferma.
-
Si, sorella di poca fede… - la canzonò
amichevolmente – Quindi puoi
anche smettere di fare l’intimidita… A questi tuoi
atteggiamenti non credo da
tempo… -
Inutile
dire che ricevette in cambio un immediato pizzicotto sul viso,
dopo il quale finse solo di protestare e piuttosto rise
dell’annunciata
vendetta.
–
Però adesso devo proprio andare: la colazione è
pronta, ancora sul
tavolo, e la vasca è piena. Fai sicuramente in tempo a darti
una rassettata
prima che si sveglino. – concluse,
certo
che non volesse farsi trovare in vestaglia e ancora da lavare dai loro
ospiti.
Non
appena Clayton uscì, nonostante il sonno fosse ancora al
centro dei
suoi pensieri, Principessa rotolò fino al bordo del letto e
spostò oltre il
margine le gambe, come perno per mettersi seduta. Dopo il rituale
stiracchio e
sbadiglio a tutta bocca, malamente coperto da una mano passeggera,
trovò la
forza di mettersi in piedi e ciabattare fino all’armadio. Si
stropicciò gli
occhi addormentati. Intravvedere il proprio riflesso fu ancora una
volta poco
gradevole, soprattutto per le occhiaie che avanzavano ogni giorno di
più e
complice la camicia da notte particolarmente storta, a lasciare
scoperte parti del
corpo eccessive in presenza di stranieri. Si riassettò,
senza molto successo,
per poi afferrare un paio di abiti puliti e uscire, diretta al piano di
sotto.
Superò
velocemente e in punta di piedi la porta delle stanze per gli
ospiti, nonostante lo spiraglio attraente, che sembrava lasciato
apposta per
curiosare all’interno. Anzi, ulteriormente determinata a
schivare inconvenienti
paradossali ma fin troppo comuni in simili circostanze,
pensò di chiudersi a
chiave in bagno. Le sembrava di avere già sotto gli occhi la
banalità e
l’innocenza con la quale il comandante avrebbe spalancato
quella porta, certo
nessuno si trovasse all’interno. Storse il naso, indispettita
al solo pensiero.
Eppure,
una volta immersa fino alle spalle nella vasca calda e carica
di schiuma, come piaceva a lei, le passò la voglia di
pensare a quelle cose
tanto assurde.
Si
fece subito molto cupa e d’istinto lanciò uno
sguardo agli infissi
delle finestre, lieta di trovarli ancora per buona parte chiusi,
nonostante ciò
implicasse l’uso di luce artificiale. Era sicura stessero
ancora fumando là
fuori, in lunghi serpenti verso il cielo… Che brutta
immagine…
Scosse
la testa tra sé. La Marina la stava prendendo troppo
seriamente…
O forse troppo poco seriamente, come una di quelle posizioni
“non ufficiali” o
“straordinarie” con cui quella gente amava
riempirsi la bocca…
Sicuramente
nessuno scherzava. E la sera prima ne avevano avuto la
prova…
- Quello chi
sarebbe…? -
Principessa lo
aveva chiesto a tutti e a nessuno, ma sapeva già chi avrebbe
risposto.
- Viceammiraglio
Kesp Yona. -
Il tono incolore
di Regynald era se possibile ancora più vuoto, in un modo
tanto teatrale da
far pensare che in una persona più empatica
sarebbe stato rabbioso. In realtà, fissava impenetrabile la
scena. La ragazza
gli scoccò un’occhiata infastidita, ma
preferì tacere. Del resto era meglio
parlare il meno possibile e farlo molto sottovoce.
Scendendo dalla
scogliera verso la città, si erano trovati nel bel mezzo
dello sbarco dei
marinai e l’unica soluzione era stata quel vicolo non
illuminato. Tuttavia la
luna piena era loro ostile: brillava intensamente al centro del cielo
scuro. Come
loro riuscivano a intravvedersi reciprocamente, una persona attenta
avrebbe potuto
scorgerli, nonostante il movimento che si svolgeva sul molo, o forse
proprio
per questo. Ma spostarsi per mettersi al riparo – neanche
sapevano dove –
poteva essere anche più pericoloso. Quindi si erano tutti e
quattro addossati
alle pareti degli edifici laterali, a valutare la situazione.
L’autorità della
nave attraccata proprio di fronte a loro stava avanzando in mezzo ai
sottoposti
indaffarati e circondato da quello che sembrava un corteo trionfale di
ufficiali di basso rango. Abbastanza imponente, appariva altrettanto
tozzo,
tanto da non avere una divisa della sua misura, a giudicare dalle asole
tese
della giacca bianca. Le guance erano gonfie fino a seppellire gli occhi
slavati, cosa cui partecipava altrettanto attivamente una lunga e unta
frangia
bruna. Al fianco, in bella vista, quello che sembrava un semplice
martelletto.
- Non l’ho mai
visto. – commentò Ace, con un certo disprezzo.
Come se il fatto di non essere
mai stato visto da un pirata, evidenziasse un chiaro demerito del
soggetto.
- E’ un
faccendiere. Contabile. – rispose ancora Regynald, secco. Se
possibile l’aver
evidenziato il puro lavoro di ufficio del marinaio suonò
come un insulto anche
peggiore.
La folla
disordinata si stava diradando, sostituita da doppi schieramenti di
soldati
ordinati e impettiti, in attesa di ordini, o meglio di congedo per la
notte. In
effetti il Viceammiraglio sembrava intento ad interrompere il
chiacchiericcio
con gli ufficiali per prendere finalmente parola con le truppe.
- Signore! -
Tutti, compresi
i quattro nascosti nel buio, cercarono con lo sguardo chi aveva urlato
tanto
sguaiatamente. Un soldato di basso rango stava avanzando di corsa,
incurante
dei colleghi in attesa rispettosa. Anche se era proprio di fronte al
superiore,
il tono era così alto che risuonò nel silenzio
creatosi sul molo:
- Mi manda il
Commodoro Jenji, Viceammiraglio! Chiede che cosa dobbiamo fare in
merito! -
Kesp emise la
voce più gracchiante e strascicata che si fosse mai sentita,
nonostante l’insistita
imperiosità: - “In merito” a cosa,
marinaio? –
- Ai pirati,
Signore! – esclamò in risposta, poi aggiunse
– Poco lontano, sul fondo del molo
sud, ci sono almeno una trentina di navi! -
Un brusio si
diffuse tra i militari e ne approfittarono i clandestini.
- Ma cosa
diavolo ci fanno ancora lì!? – chiese Clayton a
bassa voce, scuotendo la testa
tra sé.
- Non hanno
fatto in tempo a tagliare la corda..! Che razza di domanda stupida!
– scattò
Principessa, con una smorfia.
- Forse i “nostri”
sono stati gli ultimi a tentare di salpare. Gli altri o sono stati
presi di
sorpresa o hanno pensato che ormai i marinai fossero troppo vicini e
potessero
attaccarli prima di riuscire a fuggire. – spiegò
Ace, gli occhi scuri e stretti
in fessure sempre fissi sull’ufficiale maggiore.
Regy produsse
solo un lieve mugugno, quasi un cattivo presagio.
Tuttavia, Clay
insisté: - Be’, e cosa ci sarebbe da fare!? Nella
notte tutti i pirati
taglieranno la corda e i marinai faranno tranquilli la loro
stupida… -
Ma non pronunciò
mai l’ultima parola.
- Bruciatele! Mi
sembra logico! -
In un solo
scatto contemporaneo tutti e quattro gli sguardi si incrociarono,
scioccati.
- …Che cosa ha
detto…!? – riuscì ad esalare il biondo,
gli occhi spalancati dall’incredulità.
Riemerse
dal ricordo solo quando si guardò nel piccolo specchio sul
lavello, soprattutto per sistemarsi i capelli, dal momento che aveva
deciso di
rimettere per comodità l’abito bronzo del giorno
prima e che le occhiaie
sembravano ancora più spesse sotto il fondotinta leggermente
più scuro. Lasciò
almeno sciolta la chioma del colore del fuoco, a scendere sulla schiena
e a
dare un minimo di vivacità al viso dalla carnagione chiara.
Chissà
perché si stava vestendo tanto accuratamente per restare
tutto
il giorno chiusa in casa. Del resto, non poteva certo lasciare quei due
da
soli. Che almeno avessero l’impressione di essere
controllati, dato che più che
ospiti sembravano “pacchi-bomba”!
Dopo
aver fatto colazione e aver rassettato tutto con calma, si rese
conto che era decisamente tardi. Quasi ora di pranzo e quei due non
erano
ancora scesi. Era tempo di buttarli giù dal letto, fu il suo
pensiero, nitido e
spietato.
Entrò
piano nel salottino, che era del tutto vuoto come aveva
immaginato, nonostante gli scombinati cuscini intorno al tavolino basso.
Si
avvicinò allora alla porta dipinta di bianco che conduceva
alla
camera da letto. Era rigorosamente chiusa: nessuna scusa per
intervenire. Che poi
quella era casa sua e guarda se doveva farsi tanti scrupoli!
Scacciò
subito l’assurda prepotenza che rischiava di avere la meglio:
bisognava fare le cose per bene con gli ospiti, si convinse.
Chissà che uno di
quei due – o entrambi – avesse
l’abitudine di mettersi in desabillé
per la notte… Meglio evitare, seriamente. La
situazione
era già abbastanza assurda, anche se finora era riuscita ad
arginarla con accorgimenti
ben piazzati.
Bussò
piano, in attesa di un suono di assenso. Nulla di simile le
arrivò alle orecchie.
Bussando
di nuovo, respinse la prima imprecazione della giornata dalle
labbra.
-
Signorini! E’ ora di pranzo! – provò a
chiamare. Nessun risultato.
Non
poteva mancare un terzo tentativo fallito, anche se
l’educazione si
stava già assentando per malessere.
Infine
la mano afferrò violentemente la maniglia e
spalancò l’uscio in
un solo gesto.
La
scena che si trovò davanti le apparve tanto ridicola che le
fece
rimangiare anche la successiva imprecazione che aveva in mente di
pronunciare
nella prospettiva di svegliare i ghiri.
Ace
era coricato sul fianco rivolto alla porta, un braccio
accartocciato – forse neanche comodamente – sotto
il cuscino, l’altro a
penzoloni dal letto ma con la mano ben stretta sul lenzuolo candido,
che si era
avvolto al torso e alle gambe, chissà come, tanto stretto da
sembrare
infagottato volontariamente. Al contrario, Regy giaceva disteso sulla
schiena
al capo opposto del materasso di una piazza e mezza, le braccia
abbandonate al
di sopra della testa, tra i capelli castani sciolti e scomposti: era
completamente
scoperto, ma con addosso una canottiera e i pantaloni chiari del giorno
prima. Nonostante
la situazione all’apparenza sintomo di un sonno agitato,
entrambi sembravano ancora
dormire pesantemente e tranquillamente.
Principessa
sospirò con sufficienza e incrociò
le braccia sotto il seno, ma un’ombra di un sorriso le
increspò le labbra.
Erano davvero tipi assurdi.
Attirato
da un
mugugno leggero, il suo sguardo finì per concentrarsi sul
ragazzo avvolto nel
lenzuolo, i capelli neri non molto più spettinati del
normale, la bocca aperta
in un lieve spiraglio, come sintomo del massimo rilassamento. Ecco,
quello,
però, era certo il più testardo e
incontrollabile.
Un
saggio della sua
indignazione, la sera prima, era stato sufficiente a farsi
un’idea…
Kesp aveva pronunciato quella condanna con
una soddisfazione concreta come uno schiaffo.
Il brusio tra i marinai aveva aumentato di
tono, coprendo fortunatamente le osservazioni concitate dei quattro
spettatori.
- Non può farlo! –
esclamò Clay, che ormai
faticava a tenere il tono basso.
- Ma dannazione, si è fumato il
cervello!? –
commentò da parte sua Principessa, altrettanto allibita.
- Non può farlo. –
ripeté Ace.
Fu il modo in cui lo disse a pietrificare
gli altri due. Non era più l’indignazione, come ci
si poteva aspettare da una
persona tanto intrepida e insieme controllata, ma subito la minaccia.
Non era
incredulo, dubbioso, sconvolto. La negazione era la certezza che se
questo
fosse successo l’avrebbe impedito.
Regynald sostenne l’occhiata cupa di
conferma che il suo comandante gli rivolgeva. Non disse nulla,
probabilmente anche
perché ben conosceva quel tipo di meccanismo mentale del suo
compagno. Non poté
tuttavia trattenere un’espressione vicina allo scetticismo:
“Ah si…?” era
l’ironica domanda che nel suo rigido distacco mai avrebbe
pronunciato.
- Datele alle fiamme! – esortò
ancora il
Viceammiraglio, con entusiasmo – Se hanno il coraggio di
stare qui ed
aspettarci, avranno anche quello di affrontarci! Non se ne parla, che
possano
andarsene tranquilli sotto il nostro naso! Bruciatele! -
- Ma, Signore… - era un lieve sussurro
paragonato allo scompiglio di voci che correvano tra i ranghi schierati
–
Perdonate la mia insicurezza, ma… Il Quartier Generale non
ha dato questi
ordini… -
Quando Kesp intercettò lo sguardo di uno
dei
suoi sostenitori più stretti e vicini, ufficiali di basso
rango ma, in genere,
sottomessi e collaborativi, tutti capirono chi aveva parlato e si
rivolsero al
coraggioso che intendeva impedire il disastro.Quest’ultimo,
tuttavia, non
resistette alla tensione: - Però, se giudicate che sia il
modo migliore di
intervenire… -
- Chiaramente! – esclamò,
indignato – Non
siamo donnicciole, ma soldati! Dobbiamo combattere i pirati!
– poi, ancora più
compatto, prese ad arringare le truppe – Siamo qui per
un’occasione festosa,
senza dubbio! E il miglior modo per festeggiare è compiere
il proprio glorioso
dovere nel modo che ci compete! Bruciamo le navi e in questi pochi
giorni
scoveremo i pirati che si nascondono su quest’isola! -
I quattro rimasero nell’ombra, di nuovo
silenziosi, fino a che lo schieramento di marinai, a quel punto armati
di
fiaccole, prese a marciare verso la parte sud del molo. Tutti erano
pronti a
compiere quello che era stato indicato come “il loro
dovere”, ma nessuno
appariva entusiasta della prospettiva: pochi giorni di congedo, che
già
sfumavano su un’isola dimenticata, si stavano ora
trasformando nell’ennesima
pericolosa caccia al filibustiere.
- Bruciare le navi. Che cosa vigliacca. –
Ace si staccò dalla parete con un unico
gesto fluido, il cappello a nascondere un’espressione che
poteva solo essere
immaginata, i pugni chiusi che spruzzavano scintille.
- Bastardi privi di onore. - riprese, a
denti stretti, muovendo qualche passo, lento e minaccioso, verso il
molo, quindi
verso lo schieramento ormai sparito alla vista del vicolo.
- E dove credi di andare? –
La voce di Principessa era ruvida. Qualcuno
avrebbe potuto dire “spaventata”, se non fosse
stata un’affermazione
pericolosa.
Non giunse alcuna risposta. Ace le dava le
spalle, anche se aveva smesso di allontanarsi.
- Vai
laggiù a proteggere le navi dei tuoi avversari?
Per onore? E qualcuno
farebbe lo stesso per tuo Padre? – riprese e bastò
questo a renderla molto più
sicura e dura nel tono, così nello sguardo degli occhi neri
come la pece – Vai
a combattere i marinai? Perché sono il peggio del genere
umano? Bene! Ha un
senso! -
Regynald fece una smorfia e gli occhi scuri
sfidarono per un lungo istante quelli colore del cielo, ostili, ma il
pirata
non aveva interesse a dar voce al suo pensiero. Principessa
tornò a parlare e
con anche maggiore enfasi fece un passo verso la schiena nuda del
comandante:
- Ma osa mettere nei guai me e mio fratello
con un dannato colpo di testa da stupido sognatore e giuro che
troverò il modo
di rendere la tua vita una tragedia, poco importa se
sopravvivrò o meno a
questa Convention della Marina. Sono stata chiara,
“straniero”? -
Quello non si mosse né fece cenno di
aver
ascoltato una parola. Clayton passava lo sguardo dall’uno
all’altra, scontento.
- TI E’ CHIARO!? – gli
gridò la ragazza,
incurante del rimbombo che quella domanda ebbe nel silenzio ritrovato
della
strada.
- Si. – fu la sola risposta. Eppure,
quando
si voltò come ulteriore conferma dell’accettazione
di quelle parole,
l’espressione del viso segnato dalle efelidi appariva di
nuovo calmo, per
quanto fosse possibile in quel momento, con il primo scoppiettare degli
incendi
che si udiva in lontananza.
- Allora andiamo. –
Ed
erano arrivati a
casa senza intoppi, questo era vero, ma Principessa non riusciva a
togliersi
dalla mente che quel ragazzo, con tutti i suoi sani e virtuosi
principi, un giorno
si sarebbe messo nel guai…
Con
quel pensiero
ancora vivo in mente, vide l’interessato alzare un braccio e
passarsi una mano
tra i capelli scuri, prima di aprire piano gli occhi.
§ § § § § § § § § § § § § § § § § § § §
Buonanotte (ebbene, é dieci a mezzanotte)! ^^
Mi scuso per il ritardo, ma gli esami regnano incontrastati e la concentrazione fatica a presentarsi anche la sera per scrivere. Se ve lo state chiedendo dopo aver letto il titolo del capitolo: si, in questa storia quattro giorni saranno eterni. XD Però, calma. Questo capitolo, con tutti i flashback, é piuttosto lungo, ma altri credo saranno davvero più brevi. Non disperate! XD
Grazie a tutti coloro che seguiranno anche questa nuova storia, dopo aver letto/scoperto/commentato/apprezzato (o tutte queste cose) la prima fiction! Grazie a coloro che apriranno questa storia, leggeranno, e magari avranno voglia di leggersi la prima fiction e seguire la saga! Grazie a tutti coloro che leggeranno e lasceranno un commentino, in ogni caso!
Baci baci!