Prologo
Erano i piccoli gesti, quelli di tutti
i giorni e per nulla particolari, che lo stavano riportando letteralmente in
vita.
Alzarsi la mattina perché infastiditi
dalla luce del giorno che entra con prepotenza dalle persiane invecchiate,
ingurgitare la colazione con foga per poi salutare sua madre bofonchiando
parole incomprensibili, ritrovarsi la sera seduti in veranda ad osservare le
stelle, accompagnato solamente da una tazza di cioccolata bollente.
E poi c'era lei, Angelina.
Non sapeva quando fosse cominciata
questa dipendenza, ma ogni giorno che passava diventava sempre più forte.
Non gli bastavano più i suoi rari
sorrisi, le chiacchierate davanti al negozio, le poche e alquanto difficili
serate passate insieme.
Di solito preferiva starsene seduto nel
suo piccolo soggiorno, in silenzio, ad osservare fredde immagini che uscivano
da una scatola Babbana. Si scambiavano sempre poche parole, intenti com'erano a
non ferire l'altro.
George non voleva costringerla a
ricordare il fratello e lei probabilmente non voleva parlargli dei suoi
ricordi. Così finivano nel silenzio più totale, rotto dai loro sospiri e da
parole sospese nell'aria e cariche di significato.
Eppure una sera di ottobre, qualcosa
cambiò.
Aveva deciso di ritardare il suo ritorno
a casa ed evitare le fin troppe attenzioni affettuose di sua madre, per
sistemare qualche scartoffia amministrativa.
Stava sprofondando fra le carte dei
conti e degli ordini sparsi in modo disordinato per il bancone, quando qualcuno
bussò.
Per un attimo sperò che fosse Lee - era alquanto
portato per sistemare fogli e documenti - ma non appena si avvicinò e la vide, il suo cuore si fermò
giusto un attimo. Un solo secondo in grado di riportarlo a vivere di nuovo.
-Che ci fai qui?- gli domandò mentre
apriva la porta. Il suo tono di voce era stato leggermente brusco, tant'è che
lei lo fissò un poco corrucciata.
-Oh, niente.- sussurrò Angelina, attorcigliando
le dita intorno a una sciarpa di cotone marrone.
-Niente?-rincarò lui sorridendo appena
ma lasciandola entrare nel negozio.
-In realtà avevo visto la luce accesa e
volevo salutarti.- disse guardandosi intorno. Sembrava quasi volesse scappare
da un momento all'altro e George era consapevole che non avrebbe avuto la forza
per fermarla. Forse si sarebbe pentito amaramente qualche minuto dopo, forse
avrebbe trovato il coraggio di ricominciare sul serio, di togliere quel velo di
solitudine e silenzio che l'avvolgeva. Forse.
-Che cosa vuoi dirmi, Angie?- chiese
incrociando le braccia.
Angelina lo fissò a lungo prima di
parlare. Tremava mentre cercava di non indugiare sui suoi occhi, su quelle due
iridi simili a quelle di Fred ma allo stesso tempo diverse. Stessa forma e
stesso colore, sì. La sola differenza stava però nel modo in cui gli occhi di
George la osservavano.
Nel loro calore.
Nella loro sofferenza.
Angelina sospirò e si passò la mano fra
i capelli più volte prima di parlare. -George, io non ci riesco. Non riesco ad
andare avanti. Ho… Ho bisogno di andarmene. Devo farlo.-
Le ultime parole fecero crollare
definitivamente il mondo pericolante in cui da tempo George cercava di
sopravvivere.
-Devi farlo? È per Fred, vero? Non
riesci a non vederlo in me?- ringhiò il ragazzo.
-Io... lo ammetto è anche per questo. La
morte di Alicia però mi ha definitivamente uccisa.- sussurrò. -Non riesco più a
vivere, a pensare al futuro, ad immaginare altro che non sia il passato. Alicia
era la mia migliore amica, la mia migliore alleata, era tutto il mio mondo. Non
c'è la faccio più.- concluse.
-Credi che andare in giro per il mondo
servirà a qualcosa?-
-No, ma almeno potrò camminare senza
ricordarmi di Alicia, di Fred o degli altri.-
George si avvicinò e l’abbracciò, respirò
un'altra volta il delicato profumo e chiuse gli occhi.
-Tornerai?
-Tornerò.- rispose lei sommessamente. –Tornerò.