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Autore: ikuccia    14/09/2011    0 recensioni
Questa è al storia di una fotografa chiamata ad immortalare Jared Leto.
Quello che doveva essere un normale servizio fotografico si trasforma in un uragono di emozioni, rivelazioni, sensazioni...alla scoperta di Jared
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per tutto il tragitto in metro ripensai alle sue parole che mi giravano in testa senza fine. Mi accorsi giusto in tempo che quella era la nostra fermata e lo afferrai al volo x una mano trascinandolo fuori dal vagone. Potevamo prendere l’autista della rivista ma io non avevo intenzione di attirare curiosi sull’oggetto del mio lavoro e Jared sembrava desideroso di passare inosservato, di essere un “normale” per una volta. L’aria era gelida, violenta si scagliava contro la pelle nuda del volto. Il cielo grigio dava ancora più spazio al rossore delle foglie di fine autunno ed il parco era deserto, quasi la gente avesse avuto paura di sfidare quel tempo. Jared era sollevato da quel deserto di anime e si sfilo gli occhiali consapevole che nessuno lo avrebbe riconosciuto e tantomeno fermato. New York era sempre stata una città abituata alle celebrità, tanto che la gente non ci faceva caso alla loro presenza, ma quello era un periodo particolare per i 30 Seconds To Mars: avevano annunciato l’uscita del nuovo album, dopo 4 anni di pausa e l’addio di Matt, ed avevano programmato un tour che avrebbe superato tutti i record. Erano sotto i riflettori e quella luce pareva non spegnersi mai. Mi stringevo nel cappotto mentre passeggiavo a passo svelto vincendo quel vento gelido che spazzava i vialetti alberati. La pioggia ci aveva rinunciato a bagnare questa città, abbandonando questo cielo asciutto ma che aveva ancora i segni del suo pianto. Jared mi seguiva stringendosi nelle spalle per il troppo freddo. Lo guardai e mi sentì subito in colpa: mi accorsi che tremava ,ma neanche un lamento o una battuta acida per criticare quella mia infelice scelta. Era li, in silenzio, che mi seguiva per assecondare la mai idea. Mi fermai ad un chioschetto e presi una cioccolata calda d’asporto. Presto mi affiancai a lui porgendogli il bicchiere piacevolmente caldo che afferrò con la mano destra. Gli presi la sua sinistra e glie la avvicinai al bicchiere di cartone; “cosi ti riscaldi un pochino… Mi dispiace che assecondi questa mia idea assurda, ma il risultato ti piacerà. io già lo posso vedere nella mia mente”. Mi sorrise e strinse il bicchiere chiedendomi cm mai io non avessi il mio; gli risposi semplicemente che non ne avevo bisogno e sorrisi. Io ero nata con il freddo e quel clima cosi newyorkese mi piaceva. Sorseggiò la bevanda calda con un gesto cosi rilassato ,quasi avesse lasciato scivolare via il suo nome e quello che rappresentava. Era cosi normale, naturale. Afferrai la Canon e scattai a ripetizione. Quella era l’immagine che volevo catturare: Jared Leto senza matita nera, con i capelli leggermente spettinati dal vento, mentre sorseggia una cioccolata perso nel fiammeggiare del parco autunnale. “Prendi è x te” disse Jared mentre mi allungava il bicchiere “ lo dividiamo, mi sembra giusto cosi” aggiunse sorridendo. Afferrai il contenitore ancora piacevolmente caldo e lo ringrazia con un sorriso. Continuammo il nostro giro –servizio fotografico nel parco. Volevo che tutto doveva essere spontaneo. luce naturale ,espressioni quotidiane. Il giorno dopo ci sarebbe stato il classico servizio da studio, ma questo doveva essere puro, e sembrava che Jared lo avesse capito. I lunghi viali di mattoni che si allungavano come vene in quella macchia di natura che fuoriusciva dal cemento della città erano cosi diversi dal solito: sembrava che quel freddo gelido avesse voluto allontanare tutti per permettere a quel ragazzo di passare inosservato. Jared passeggiava davanti a me ed osservava tutto con molta attenzione. Ogni tanto si arrestava, e io dovevo fermarmi di colpo per non cadergli addosso; afferrava il suo Blackberry e scattava qualche foto. “ Se vuoi puoi usare la mia macchina, basta chiedermelo” gli dissi sorridendo; “oggi sono solo i primi scatti, per vedere meglio le linee, quindi se vuoi divertirti non è un problema”. Si girò a guardarmi sorridente, infilando il suo cellulare in tasca. “Ok passamela”. Glie la porsi con piacere e approfittai delle mani libere per tirare via la mia chioma dal collo del cappotto. Non mi ero resa conto che mi aveva scelto come soggetto per uno scatto, sentì solo il rumore dell’otturatore. “Ma che fai??? Non sono io il soggetto” gli dissi mentre sentivo il fuoco divampare sulle mie guance. “Perché no, scusa. Tutto merita di essere fotografato e poi, finalmente, ti stai rilassando.Non volevo perdermi questo momento” mi disse con voce lieve. Era vero: finalmente mi stavo abituando alla sua presenza. Come fa un uomo cosi esile ad occupare tanto spazio, a soffocare tutto ed imporsi in ogni modo. Non cercava di farsi notare però ci riusciva. Si era imposto senza fare nulla. “Forse è meglio che entriamo in qualche caffè, non vorrei che la tua voce ne risentisse di questo freddo. Seguimi, conosco un posto carino qui vicino” gli dissi preoccupata da quel tono lieve e sussurrato che aveva usato. In quelle attenzioni usciva fuori la echelon che era in me e che cercavo di nascondere per non far sentire il mio “cliente” a disagio o sotto pressione. Non mi interessava il Leto cantante e attore, quello lo lasciavo alle altre copertine; io cercavo la persona. Uscimmo dal parco e attraversammo la strada per entrare nel mio caffè preferito. Ci passavo il mio tempo libero in quel posto e ne godevo, felice, della tranquillità che emanava quel bancone di legno massiccio, cosi scuro e forte che raccontava tutti gli anni, le ombre e le luci di quella metropoli. Salutai calorosamente il barman e mi recai al mio solito tavolino nel fondo del locale, vicino alla parete dove c’erano incorniciati vecchi articoli ingialliti e foto ingrigite dalla polvere del tempo. “Mi piace questo posto ,è carino. Mi sembra di respirare…” “Aria di casa” lo interruppi. “Già, sto bene qui. Sembra di stare fuori dal mondo, come lo hai scoperto? Io ci sto da una vita a New York ma non lo avevo mai visto” mi chiese mentre si sfilava quel suo borchiato e pesante giubbo di pelle da perfetto rocker. “Per caso. Era un giorno freddo come questo e volevo starmene per conto mio ed il parco, come oggi, era proibitivo. Sto bene qui. Allora prendiamo qualcosa di caldo??da mangiare cosa ti piace??” gli chiesi sorridendo porgendogli il menu. Era cosi normale; faceva quasi tenerezza mentre leggeva il menu decidendo cosa ordinare. Ad un certo punto alzò quegli occhioni azzurri e sorridendo maliziosamente mi disse con un tono trionfale: “Vedi, alla fine sei venuta a pranzo con me”.
  
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