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Autore: ikuccia    14/09/2011    0 recensioni
Questa è al storia di una fotografa chiamata ad immortalare Jared Leto.
Quello che doveva essere un normale servizio fotografico si trasforma in un uragono di emozioni, rivelazioni, sensazioni...alla scoperta di Jared
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo era un lenzuolo di pioggia che rendeva tutto grigio e spento. Quella mattina era particolarmente fredda, ma di quel freddo che pungeva sulla pelle e rendeva il viso rosso, e quella pioggerellina scendeva fitta come una cascata di aghi. La metropolitana era affollata, come sempre, e le storie di mille persone si incrociavano per pochi secondi ,il tempo di condividere distrattamente un viaggio e poi perdersi, inseguendo la quotidianità. Infilai le cuffiette del mio i-pod e abbassai il cappellino li lana fino a coprire totalmente le orecchie ed a pesarmi sulle ciglia; selezionai la mia band preferita, i 30 Seconds to Mars, ed infilai frettolosamente le mani in tasca prima che diventassero gelide e iniziassero a fare male. Finalmente ero arrivata alla rivista… Ogni mattina fissavo il grattacielo degli uffici e mi illuminavo dietro un sorriso soddisfatto. Per me era blasfemo chiamare quello “lavoro”… Era un sogno; il mio sogno che si realizzava…. Ogni giorno potevo godere di quell’esperienza, di quel traguardo e non mi importava degli orari assurdi e del mio capo che era un tipo cosi eccentrico da minare il mio equilibrio… Io lavoravo lì e questo mi basta. Spalancai il portone di vetro e fui presto investita dal calore di quel rumoroso ed indaffarato atrio, che sbrinava via di dosso il gelo della città. Mostrai il cartellino e sali verso il mio settore. Eccolo li il mio capo, già agitato a quest’ora e con un tazza di caffè in mano: sarà stata la prima o già eravamo alla 3 colata di caffeina della mattinata?? “Buong”… Neanche finì di pronunciare il mio saluto che quell’uomo, agitato ed impettito dentro la sua giacca grigia dal taglio sportivo, mi afferrò x un braccio e mi trascino nel suo ufficio. Posò la tazza sulla scrivania e passeggiando nervosamente, avanti ed indietro, iniziò a mormorare prima qualcosa, quasi stesse preparando un discorso o un promemoria x sé , poi si rivolse a me quasi urlando: “ voi due dovete lavorare, velocemente e bene”… Fece una lunga pausa, respirando nel vano tentativo di frenare la pulsione dei suoi nervi… “ Lui non può perdere tempo e tu devi fare un buon lavoro perché andiamo in stampa a breve”. Voi due?? Oddio ma nel caffè che c’era, ha le allucinazioni??? Era l’unica mia preoccupazione, non riuscendo a capire quella tensione che lo animava, come se il filo delle sue fibre nervose fosse tirato più del solito. Io con quel nervosismo ci dovevo convivere e non era cosa facile, soprattutto quando in quella stanza c’eravamo solo io e lui, e nessuno voi. Guardai il mio capo con faccia sconcertata e notai che sorrideva a qualcosa o qualcuno alla sua destra. Mi girai di scatto e vidi un ragazzo, nell’angolo profondo di quella stanza, che trafficava silenziosamente con le bozze della rivista. “Salve, lei è il “voi” del lavoro, bene. Piacere Cris”. Sorridevo e lo guardavo in attesa di un segno, ma nulla… L’imbarazzo si disegnava sulle mie guance ed iniziai a giocare con i miei capelli lunghi e biondi: intrecciavo le ciocche tra le dita anche se il mio cervello mi ripeteva di smetterla perché cosi avrei dimostrato poca professionalità… L’imbarazzo era troppo e quella situazione cosi surreale mi schiacciava. E’ maleducato? Non capisce la mia lingua? Non ci sente? Oddio perché non risponde?? Ma soprattutto chi è? Cercavo di stare calma ,di darmi un aria seria e matura ma quel ragazzo mi dava agitazione . Era li, vicino alla finestra che faceva girare quei fogli tra le sue mani e non si degnava neanche di rispondere al saluto. “Eccoti qui, Cristyn Rent…molto bello questo scatto…splendida luce…sei brava ” disse alzando un foglio all’altezza degli occhi. “ Si, molto brava…bene, vediamo che saprai fare con me”. Lo guardavo stranita. A quale scatto si riferiva?? E chi cavolo era?? Non riuscivo a riconoscerlo nascosto dietro a quegli occhialoni scuri troppo grandi x il suo viso e con quel cappuccio felpato in testa che gli nascondeva il resto era impossibile capirne l’identità… Però quella voce, quelle mani….Io le conoscevo quelle mani ,le avevo già viste. “Sai la tu voce mi ricorda quella di un cantante, non so se lo conosci, Jared Leto dei 30 Seconds to Mars…hai anche le stesse mani; oddio le sue mani le ho viste solo in foto ma sono uguali” gli dissi continuando a fissargliele. Stranamente il mio imbarazzo era scomparso, spazzato via dalla sensazione di conoscere quello strano individuo. “Wow! Nessuno mai mi aveva riconosciuto dalle mani, mi lusinga questa cosa e mi stranisce. Hai un buon occhio” rispose abbassandosi il cappuccio e sfilandosi lentamente gli occhiali quasi a volermi premiare per aver indovinato la sua identità. I suoi occhi cosi azzurri, cosi irreali…mi si fermò il respiro…non potevo crederci …era Jared Leto! Lì, di fronte a me… e mi parlava. I suoi occhi… sembrava quasi che potessero leggere ogni mio pensiero, che potessero vedere ogni mia molecola. Era paura quella che provavo o gioia??’ “Bene hai qualche idea x il servizio? Mi affido a te e, non so se ti sono arrivate voci su di me, ma non ho intenzione di mettermi a dirigere questa volta, lo prometto, anche se… Vabbè ho promesso ad Emma che non combinavo casini” mi disse fissandomi ancora x un po’ prima di tornare a giocare con le bozze. “Ok…caffè?” domandai stupidamente, ma a lui sembrava piacere il mio invito visto che mi sorrise e fece un cenno positivo con la testa. Mentre ci recavamo in sala relax mi chiesi a dove cavolo era finita la “terribile “ Emma, cercando di individuarla nei corridoi. Il mio cervello non riuscì a fermare in tempo le mie labbra che subito formularono la domanda. Dannata impulsività!!! “Emma?? È a Los Angeles, non si sentiva bene allora ho pensato di venire da solo tanto era tutto organizzato, potevo farcela” mi rispose come se la domanda non lo avesse infastidito . Lo guardai attentamente porgendogli la tazza fumante: non era come lo descrivevano; non era la diva che voleva far credere durante le interviste; non sembrava neanche quello che avevo visto qualche anno prima su un palco. Era un ragazzo esile, bellissimo, con degli occhi profondi. Sembrava pensieroso, o forse triste. Non era compito mio penetrare nei suoi pensieri, io dovevo catturare solo la sua immagine. “Allora io avevo pensato di fotografare la tua versione quotidiana, niente pose da diva, o costruite…avevo pensato…” feci una pausa fissandolo negli occhi x vedere cosa ne pensasse, per carpire un segnale di gradimento o di rifiuto per quell’idea improvviata, per entrare in contatto con lui visto che, stranamente da come compariva in alcune interviste che circolavano in rete, quella mattina non era tanto eloquente. Mi fissava attento; guardava le mie mani che si muovevano nell’aria quasi a voler dare materia alle mie parole, poi spostò l’attenzione sui miei occhi: ”di che colore sono?” “Scusa non capisco, di che colore cosa ?”gli chiesi stranita e cercando di guardarmi in giro per indovinare quale fosse stato l’oggetto del suo interesse. “I tuoi occhi, non riesco a capire.Ma sono viola??”mi chiese inclinando la testa leggermente a sinistra quasi volesse esserne sicuro. “Si ! Cioè no! Sono lentine colorate” risposi con un tono da bimba. “Perché nascondi i tuoi occhi? E i tuoi capelli sono biondo naturale no li tingi ?” domandò ancora, interrompendosi x sorseggiare un po’ di caffè. Lo fissai x qualche secondo. Non sapevo se rispondere; a dire il vero non capivo neanche la domanda. Inizia nervosamente ad arricciare una ciocca di capelli tra le dita mentre lui mi fissava in attesa di una risposta; spostando, ora, la sua attenzione su quella ciocca torturata da quel tic nervoso. “Si ,i capelli sono naturali, e metto le lentine perché mi va… non c’è un motivo serio, uso il viola perché non è un colore consueto x gli occhi umani” gli risposi con tono convinto. Volevo convincere lui o dovevo convincere me???. Ero scocciata perché io parlavo di lavoro e lui mi chiedeva cose frivole e senza alcun collegamento con quello che dovevamo fare. “Hai gli occhi di un gatto, forse anche lo spirito perciò sei cosi” disse Jared fissandomi con quei suoi occhioni spalancati al punto tale da sentirmi venire meno il respiro. Quegli occhi ti penetravano dentro e non sapevi come fermarli. Quel blu era impossibile da evitare. Perché quella domanda? Perché quell’osservazione. A cosa stava pensando??? “Scusa ma io con te ci devo lavorare, mica fare conversazione a pranzo” puntualizzai arrabbiata e girandomi per evitare quello sguardo che aveva un cosi strano effetto su di me. “Ok, allora vieni a pranzo fuori con me” e non sembrava una proposta ma dal tono poteva essere quasi un ordine. Mi girai nuovamente verso lui e con un sorriso da furbetta aggiunsi: “ oh no Leto! Ho visto abbastanza video su di te e conosco molte di quelle che ti hanno intervistato… Io non ci casco….SCORDATELO!” “Non vorrai mica far irritare Jared Leto? Poi che racconti al tuo capo se non vai in stampa??” “Mi stai minacciando? Ma sei proprio uno stronzo!” “Grazie! Molti lo pensano ma pochissimi hanno avuto le palle di dirmelo in faccia. Hai coraggio gattina!” mi rispose ridendo. Ero nervosa, arrabbiata, stringevo i pugni e pensavo: se lo fai incazzare è la fine; sopportalo, è sempre una ‘diva’. “Senti io devo lavorare, quindi inizio a scattare da ora, non posso perdere tempo, lo hai sentito il capo” gli brorbottai mentre preparavo la mia fedele macchina fotografica. Mi fissava con aria confusa, forse nessuno era mai stato cosi duro con lui, ma io ero cosi: vomitavo via tutte le sensazioni e i pensieri che mi animavano e non facevo cerimonie con nessuno. Gli scattai una foto di sorpresa, mentre lui era ancora intento a guardarmi. La luce del flash lo riportò alla realtà e subito mi fece notare che non era pronto. “Meglio cosi, odio le espressioni false” gli risposi. “Bene ,allora cosa devo fare?” chiese quasi scocciato che non gli lasciavo spazio x decidere come posare e come recitare la sua parte. “Metti la giacca e copriti bene che fuori si gela…andiamo al parco” gli comandai sorridendo orgogliosa e con aria trionfante perché avevo appena avuto l’illuminazione x il servizio. Volevo mostrare al mondo un Jared Leto autentico: non il divo, non la maschera che tutti si aspettano ma l’uomo che ogni giorno si sveglia e fa una vita normale. Una vita normalmente artistica ed incredibile. Mentre il mio modello diligentemente adempieva al mio comando, con attenzione preparai la mia Canon ; indossai il mio cappottino nero, infilando in tasca qualche memorycards di scorta e calzai il mio cappellino di calda lana fuxia, in perfetto coordinato con le mie converse: ero pronta per affrontare il freddo della città. Ma ero ugualmente pronta per affrontare Jared Leto e gestire il lavoro con lui??? “Che carina che sei cosi. Ma quanto anni hai? 16? Ma puoi lavorare in questo posto? Non dovresti essere a scuola ora?” mi chiese con un tono quasi preoccupato. “ Ma che 16 anni! Ma come cavolo ti viene? Ma sei scemo o cosa? Ne ho 24 di anni. non le sai riconoscere le donne quando le vedi? O forse le riconosci solo se svestite e troie?” sbraitai agitandomi tutta nell’intimità della mia postazione; ma appena la rabbia sbolli , portai di scatto le mani alla bocca, sgranando gli occhi, e con mezza voce gli chiesi scusa. Sentivo il fuoco sulle guance e la terra tremare sotto alle mie converse .Volevo morire! Io, un echelon, che urlava come una pazza contro il suo Dio? Ero diventata pazza e non me ne ero accorta!!! Questo è l’effetto che fa Marte quando entri nella sua orbita? “Scusami… oddio…Voglio morire… Mi dispiace da morire”. Sentivo i miei occhi riempirsi di lacrime e iniziai a tremare tutta. Che cavolo mi era preso? Non era la prima volta che qualcuno mi dava 16 anni ma detto da lui faceva un brutto effetto: sembrava come se mi stesse dando della bambina; come se non fossi abbastanza donna per lui o, peggio, come se non fossi abbastanza professionale per prendermi cura della sua immagine. “Ei, ei, su non fare cosi, mi dispiace gattina. Anke a me non indovinano mai l’età, ma non è un male” mi disse Jared asciugandomi un lacrimone che scorreva sul mio viso. “Grazie che ti fa piacere, sei vecchio, hai 40 anni!!” risposi riprendendomi subito da quell’attacco di ira e pianto. “Non sono vecchio… e ne ho ancora 37…Sono un uomo…Come tu sei una donna…Siamo due vampiri che restano sempre giovani” puntualizzò sorridendomi dolcemente. “Dai fotografa…Hai detto parco?ok andiamo! Fammi strada…Comunque non ti preoccupare, io esaspero le persone, quindi non fa nulla se mi urli contro”.
  
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