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Autore: Ulissae    15/09/2011    6 recensioni
[Vita, morte e miracoli di Aro. Personale interpretazione della sua vita]
"Sarai pronto a perdonarmi?"
Genere: Dark, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro personaggio, Aro, Volturi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'enciclopedica visione dei Volturi'
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Sproloqui: sono stata una cretina CRONICA. Ho scordato di dirvi chi mi ha ispirato tali capitoli, quali canzoni ho ascoltato mentre scrivevo, insomma. Questa long-shot, come la chiamo io, è il frutto di uno strano accostamento Musica classica e Lady Gaga (I regret nothing) in particolar modo un caro ragazzo, David Garrett, che è riuscito a unire il classic rock alla classica. Vi lascio per la lettura la canzone che più di tutte mi ha ricordato Aro: ascoltate qui|
Detto questo... ora vi lascio alla storia!


Historia Apollinis



Aro si fermò, chiudendo gli occhi e sorridendo tra sé, infilò una mano nella tasca della giacca e accarezzò il tessuto, come se il semplice contatto materiale potesse farlo stare meglio.
"Era la prima volta che avevo un vero obiettivo. Non si trattava di qualcosa di utopico come la libertà, ma di qualcosa di concreto e ottenibile. Avevo una meta e iniziai a capire che avrei fatto di tutto per ottenerla, che avrei usato tutte le mie capacità per raggiungerla" sorrise tra sé, soddisfatto, compiaciuto al solo pensiero.
"Potevo aspirare a una felicità momentanea, ma pur sempre a una felicità"
Fece riecheggiare per un po' la sua voce, poi decise di continuare, come se il semplice ricordo di Apollo lo rendesse più vivo e felice.
"Mi presentai a quel matrimonio, sgattaiolando via dalle tremende fornaci e, se l'avessi sposata io quella bellissima donna, sarei stato meno felice. Mi nascosi dietro alcune colonne, mettendomi in disparte, bevendo con gli occhi tutte le mosse che Apollo faceva, beandomi dei suoi gesti e della sua voce.
Quando tutto finì mi avvicinai direttamente  a lui: non mi curai del resto della compagnia né di Demostene, che mi aveva ben notato e squadrato a lungo.
Arrivai davanti ad Apollo e lo fissai. Non feci altro. Lo fissai a lungo e gli sorrisi, cercando di sembrare il più bello e splendete possibile, magnifico come lui.
Il ragazzo alzò lo sguardo e mi fissò a lungo poi sorrise a sua volta, ma l'espressione era diversa, sarcastica, quasi cattiva. Feci finta di non notarlo e lo salutai.
«Sei stato bravissimo come sempre... complimenti»
Non rispose, si tolse il trucco con una pezza umida e fece finta di ignorarmi. La cosa mi stava facendo impazzire. Non capivo perché non si voltasse e rispondesse tanto entusiasta quanto lo ero io.
«Non mi girerò, sappilo» disse malignamente ma, per la prima mi parve avvertire qualcosa di strano nella sua voce: il tono era leggermente acuto, leggiadro. Una voce che mal si adattava a un ragazzo, per quanto effeminato potesse essere.
«E io non me ne andrò» risposi pacato, sedendomi accanto a lui e regalandogli un sorriso entusiasta.
«Io invece lo farò»
«Potrei seguirti...»
Lanciò uno sguardo di sbieco alla targhetta di metallo con sopra il nome mio e del mio padrone, che mi segnava il petto.
«E io potrei denunciarti per essere fuggito dal tuo padrone» mi minacciò, ma in tono calmo, senza sbilanciarsi troppo. Lo disse voltandosi con calma e fissandomi: aveva dei luminosi occhi neri, che risucchiavano qualunque cosa osservavano.
«Mi ucciderebbero» mormorai calmo.
Intorno a noi si alzava il chiacchiericcio allegro dei commensali, le risate della sposa, sempre stretta al marito; Demostene stava chiacchierando con alcuni ospiti, avvolto in quella che pareva la sua tunica migliore.
Apollo rimase in silenzio, poi si alzò e disse, scocciato: «lasciami stare. Non mi intrattengo con nessuno  né donne né uomini, tanto meno schiavi»
Le parole non mi ferirono più di tanto: sapevo bene di non essere niente più che un misero oggetto da sfruttare fino allo sfinimento, alla morte. Lo guardai calmo e sussurrai: «ritornerò da Demostene e gli chiederò dove vi esibirete la prossima volta. E verrò di nuovo. Ti fisserò mentre reciti, ti ammirerò e mi innamorerò ogni volta un po' di più di te. Poi mi avvicinerò di nuovo, osservandoti mentre ti strucchi. Aspetterò che finirai e mi guarderai male con quegli occhi neri magnifici che hai. Dopodiché tu mi tratterai male, ma a me non importerà niente, perché per quei pochi istanti potrò sentire la tua voce e fingere, per un secondo, di trovarmi nei campi Elisi, cullato tra le braccia di Narciso e Giacinto» gli sorrisi pacatamente, alzandomi e non staccando lo sguardo da lui.
Apollo rimase in silenzio, strinse le labbra e disse, secco: «ti concedo questa notte. Fino alla secunda vigilia. Non un istante di più. Poi mi prometti di andartene e sparire. Tornerai nella tua oscura fucina e smetterai di importunarmi»
Sorrisi amabilmente, non riuscendo a fare altro e mormorai: «alla fin fine Venere richiederà le braccia di Vulcano, te lo assicuro»
«Mi hai dato della Venere?» esclamò allarmato.
Alzai un sopracciglio e iniziai a incamminarmi verso l'uscita, tranquillo: «era un modo di dire che non riuscirai a fare a meno di me. Anche se sono puzzolente e sporco di fuliggine fin dentro gli occhi»
Storse il naso, glielo vidi fare mentre mi affiancava. Superammo la moltitudine di ospiti e uscimmo. Camminammo fino a che non ci ritrovammo leggermente fuori dalla zona delle abitazioni, lasciandoci cadere seduti su un prato.
«Allora, perché hai voluto che passassi del tempo con te, nh?» sbottò subito, rimanendo impietrito in una posizione severa.
Io mi sdraiai sull'erba umida e sorrisi, chiudendo gli occhi: «tutti vorrebbero passare del tempo con Apollo, non trovi?»
Sbuffò, lo sentii, e rimase fermo.
«Sei sempre così criptico, schiavo?»
Tesi le labbra: mi scocciò profondamente sentirlo apostrofarmi così in quella situazione. Aprii gli occhi e gli lanciai una lunga occhiata di fastidio. Lui parve capire, tanto che vidi i lineamenti del suo volto distendersi e rilassarsi un poco.
«Scusa... anche io ero uno schiavo... odiavo quando mi chiamavano così. Scusa»
Mi guardò e mormorò: «tu però dimmi perché hai voluto che ti seguissi...»
Mi tirai su sui gomiti e sorrisi; avevo strappato un filo d'erba più lungo e lo facevo roteare tra le labbra. Aspettai un po' e poi gli sorrisi, gentilmente: «te l'ho detto: volevo solo stare vicino a una persona come te»
«Come me?» rise, stendendosi anche lui e fissandomi intensamente.
«Sì, come te. Credo che... che il tuo nome sia perfetto» gli sorrisi e ricambiai lo sguardo. Cadde il silenzio tra di noi e fui io a spezzarlo.
«Raccontami la tua storia. Però... ecco, raccontala come se stessi recitando»
«Come se stessi recitando, nh?» rise sommessamente e chiuse gli occhi, emettendo un sospiro liberatorio.
«Sì. Te ne prego»
«Non... non è una storia emozionante... non è niente di che, veramente. Sono nato a sud, in una città immersa nel deserto, la mia pelle probabilmente lo suggerisce, vero?»
Sorrisi e istintivamente posai un dito sul suo braccio, affascinato dalla sottigliezza del suo polso e dal colore olivastro della sua pelle.
Fece finta di niente, continuando: «Le truppe romane arrivarono e... e mi ritrovai dentro una gabbia. Ero sporco e lurido, mia madre aveva tentato di proteggermi e tutto ciò che aveva ottenuto era che io fossi ricoperto del suo sangue. Puzzava così tanto... era... era l'inferno.
Risalirono per le dune con questo enorme carro trainato da dei dromedari ed era triste, sì... nella mia testa non riuscivo a pensare coerentemente, pensavo solo “oh, quanto è triste... io qui ci venivo a giocare. Ci potrò tornare?”. Avevo dieci anni e nessuno dei miei parenti era sopravvissuto. Ero solo»
«Come ti chiamavi?» lo interruppi, senza pensarci troppo. Lui continuava a fissare intensamente il cielo scuro della notte; la luna era quasi piena, questo è un particolare che ricordo bene, perché tutto intorno a noi c'era abbastanza luce.
«Non lo ricordo... sinceramente non ricordo neanche un nome del mio passato, neanche la città. Quel dannatissimo viaggio per Roma ha cancellato tutto. Quando giunsi al mercato degli schiavi ero un guscio vuoto, un'enorme ostrica privata della sua perla. Un misero mollusco senza niente dentro. Ero così stanco e distrutto che le facce degli uomini che studiavano la mia costituzione, il mio corpo non le ricordo. Niente. Solo nebbia. Mi misi a fissare un punto fisso davanti a me: c'era un uomo con delle capre, scelsi una di esse e non mi curai di altro. La capra aveva un manto grigio scuro, con delle macchie di bianco. Divertente, vero? Questo lo ricordo»
Voltò la testa e mi fissò: il bianco dei suoi occhi risaltava in contrasto con il resto del volto.
«Tu, invece? Come sei diventato uno schiavo?» mi domandò, tirandosi su e posando la testa contro una delle sue mani.
«Mio padre aveva accumulato troppi debiti, è diventato schiavo e non si è saputo trattenere dall'ingravidare una povera disgraziata» sospirai amaramente, tornando a stendermi.
«Sei un tipo strano, sai?»
Scoppiai a ridere e mi rilassai un poco, chiudendo gli occhi.
«Perché?»
«È come se in verità non fossi... ecco, sembra come se nascondessi qualcosa, capisci?»
Risi ancora più forte, divertito.
«Sì, anche io credo che un giorno diventerò imperatore. Mi sto solo esercitando giù nella fornace» scherzai e, per la prima volta, lo sentii ridere sinceramente.
La cosa, però, mi sconvolse: la sua risata era troppo sottile, troppo delicata.
«Tuo padre è ancora vivo?»
«Non lo so, ma non mi importa. Mi spiace solo non poter sapere come sta mia sorella, ora che sono costretto a lavorare alle terme»
«Perché? Lei dove si trova ora?» era curioso, lo capivo dalla luce dei suoi occhi.
«Al sicuro, nella casa del nostro primo padrone. È l'ancella della figlia maggiore, è molto amata e... e questo è perfetto, magnifico»
Mi sorrise flebilmente, come intenerito dall'affetto che provavo verso di lei.
«Apollo... come sei arrivato a recitare?» mormorai, riprendendo il discorso.
«Demostene mi scelse. In un primo momento fui solo un suo tutto fare, poi decise di farmi provare a recitare e... e decise che forse valevo qualcosa»
Non parlò più, e io mi misi a fissare il suo profilo. Non aveva il benché minimo accenno di peluria sul viso, mentre il naso era leggermente schiacciato gli donava un'aria leggermente sbarazzina.
Pensai che non avevo niente da perdere, che sarebbe stato giusto fare quel che feci.
Lo baciai delicatamente vicino alle labbra e lo sentii gelarsi; inspirai affondo il suo odore e mi parve strano: nonostante avesse sudato sul palco, il suo odore non era aspro e acre come di solito è quello di un uomo, ma più mitigato e leggero, come quello di una donna.
La cosa mi colpì.
«Togliti» disse gelidamente, ma non mi mossi. Sentii le sue mani che provavano a spostarmi, ma erano deboli, debolissime in confronto alla forza che stavo esercitando.
Non capii, per un istante non riuscii proprio a capire cosa stesse succedendo.
Feci guizzare una mano verso il basso, velocissimo e lo palpai.
Mi gelai.
«Tu non...»
«Ti ho detto di toglierti!» mi spinse via con forza, rotolando lontano da me. Mi fissò sconvolta.
«Non...»
Ma fu un attimo, si voltò e corse via, lasciandomi senza parole lì, seduto a terra.”
Il vampiro scoppiò a ridere e la sua risata echeggiò per tutta la sala. Aro si alzò per la prima volta e iniziò a camminare lentamente, prima avanti e indietro, poi in circolo.
"Era una donna... incredibile. Era una donna! Capisci? Una donna vestita da uomo, semplicemente per poter recitare, supposi. Da una parte era una bella cosa: un'attrice così brava non poteva essere certo sacrificata dalle regole dell'epoca; dall'altra parte... bhé, una donna magnifica come lei, seppellita sotto le sembianze di un uomo" scosse la testa e si poggiò contro un muro, respirando a fondo. Sorrise tristemente e sussurrò: "non uscii dalle terme per tanto tempo, non sapevo cosa fare, come affrontarla, se affrontarla. Nella mia testa si affollavano mille domande e mille preoccupazioni. Ero ancora innamorato, questo sì. Perché ero innamorato della sua essenza più pura, non della sua sembianza o del suo sesso. Di lei. E basta.
Fu un caso quello che mi portò nuovamente a lasciare la stanza puzzolente dove trascorrevamo la notte. Uscii e rimasi sconvolto nel notare una sagoma che aspettava, ferma.
Era Apollo, se così dovevo ancora chiamarlo.
La cosa mi stupì profondamente: io ero uscito solamente per prendere una boccata d'aria e, invece, mi ero ritrovato davanti a lei. Quella sera indossava una tunica lunga, femminile, di un bel giallo ocra che risultava più scuro del vero a causa dell'oscurità.
«Cosa ci fai qui?» domandai curioso, avvicinandomi e fermandomi davanti a lei.
«Mi chiamo Daphne. Non Apollo» lo disse tutto d'un fiato, poi alzò lo sguardo e disse, sottovoce: «per l'amore di Giunone verso suo marito... non dirlo a nessuno. Ti prego»
Non risposi e annuii, poi sorrisi: «a chi lo dovrei dire, scusa?»
La frase parve colpirla e farla ragionare, cosa che, probabilmente, non aveva fatto a lungo, troppo agitata e nel panico.
«Sì, hai ragione. Ma non dirlo comunque» borbottò, stringendosi nelle spalle. Aveva i capelli corti e crespi. A quei tempi era difficile se non impossibile vederli addosso a una donna e mi fece uno strano effetto.
Era unica, nella sua bellezza. Unica e impossibile da raggiungere.
«Non lo farò, te lo giuro» mormorai. Provai l'irrefrenabile voglia di accarezzare di nuovo quel viso. Avevo passato i giorni precedenti semplicemente sognandolo, immaginandolo e ora l'avevo davanti a me.
Mi avvicinai e le sfiorai una guancia, sorridendo; non volevo che si allarmasse e si allontanasse da me. Non lo fece, rimase immobile e sussurrò: «sei l'unico, oltre a Demostene, che lo sa»
«È per questo che mi disse che non mi sarei dovuto avvicinare a te, vero?»
Annuì e lasciò che le accarezzassi il volto, lentamente. Era così morbida e delicata. Profumava. Chiusi gli occhi e mi chinai su di lei, poggiando il mio naso sui suoi ricci neri. Tremava, agitata.
Scesi a sfiorarle la fronte con le labbra, e mi fermai a pochi centimetri dalle sue.
La sentii aggrapparsi a me e mettersi sulle punte dei piedi per poi baciarmi lentamente.
Le sue labbra erano morbide come avevo immaginato e si muovevano inesperte contro le mie; il suo corpo era teso, agitato. La strinsi di più a me, accarezzandole la schiena e sentendola rilassarsi poco a poco. Mi staccai e le sorrisi; aveva la bocca più rossa e anche sulle guance potei notare che la pelle era più scura.
«Non dirlo» ripeté, seriamente.
Le presi una mano e la baciai, fissandola.
«Non parlerò, te lo giuro»




Angolo Autrice:
Infostoriche random:
-la secunda vigilia stava a segnare la mezzanotte.

Dite la verità, siete sconvolti, vero? Se non lo siete ho fallito nel mio intento *borbotta qualche impropero* In verità non ho molto altro da dire *pensa a lungo* no. Niente.
♥ Spero vi sia piaciuto ♥ Alla fine si è trasformata in una long XD


Vi lascio anche la solita linea temporale (: qui.
La storia fa parte della raccolta L'Enciclopedica visione dei Volturi.

   
 
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