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Autore: fflover89    17/09/2011    0 recensioni
«La famosa pietra Gulgu… non mi è mai capitato di operare con una gemma simile. La applicherò sulla lama in modo che possa essere degna di essere adoperata da te. Ma a cosa ti servirebbe?» chiese.
«Voglio vedere se riuscirò a raccogliere le mie scintille di memoria.» rispose lui.
 
“Dieci anni sono passati dallo scontro contro Trivia, otto dall’abbraccio di Gidan e Daga, e Gaya è cambiata: un abisso di cristalli alti quanto alberi nel luogo dov’era l’albero di Lifa, una nuova città tecnologica di jenoma e maghi neri, nuove razze che risorgono dalla terra. Una diciassettenne Eiko Carol Fabool che sente ancor di più la mancanza del suo amato Vivi. Un personaggio misterioso che fa ritornare alla memoria frammenti perduti di ricordi. Che cosa succederà?”
 
(Non è il seguito di “The Ultimate Weapon” ma chi già l’ha letto troverà più semplici da capire certi dettagli)  
 
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amarant Coral, Eiko Carol, Freya Crescent, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Arrivarono a Madain Sairi il pomeriggio del giorno dopo: in quei dieci anni, il vecchio villaggio degli sciamani era stato quasi del tutto ricostruito grazie alle opere di restauro volute da Eiko e da Garnet, e da lontano sembrava una sorta di abete color sabbia, con al centro il grande muro dell’invocazione che svettava sugli edifici rimanenti. Molti erano semplici abitazioni, altri laboratori: un edificio del tutto particolare era però l’osservatorio: era una cupola posta su un basamento rettangolare, con un’apertura verticale a forma di spaccatura che percorreva metà della parte sferica, da cui usciva la punta dell’enorme telescopio. All’interno c’era un rarissimo cristallo di mithril e nelle sue viscere di legno e roccia calcarea riluceva una sostanza magica creata dagli sciamani, che ricalcava l’uso dell’originale “osserva-stelle” una specie di composto gassoso fatto di pura magia bianca, che consentiva di amplificare la potenza di osservazione del pesantissimo telescopio, grande quasi il doppio di un Aircap. 
 

Eiko ed Amarant entrarono nella struttura, e subito furono accolti da Rokhan, un essere che definire strano è riduttivo: il troll era alto qualche centimetro più di Amarant (cosa che infatti all’uomo salamandra dava molto fastidio) e sembrava avesse una corporatura robusta; aveva un viso quasi umano, ma le orecchie e il naso a punta, la carnagione verde acqua, e i due denti aguzzi che gli spuntavano dalla bocca, tradivano la sua origine. Anche il suo abbigliamento era curioso: indossava un cappello blu con enorme visiera con su una penna rossa strappata a non si sa quale uccello, un grosso poncho di velluto e tessuti tribali intessuti verde e beige, con sotto una normalissima giacca con alamari blu. Indossava dei pantaloni larghi, pure loro verdi e un paio di stivaloni di pezza bianchi.
       «Oh, Eiko! Mi fa sempre piacere vederti qui!» salutò Rokhan.
       «Mi spiace che venga a trovarvi solo per motivi seri e non per respirare aria di casa…»
       «E che ci vuoi fare? Pare che i problemi ti seguano quando vuoi far qualcosa! Dimmi, che t’occorre?»
       «Qualche giorno fa a Lindblum è caduto un piccolo meteorite, e vorrei saperne qualcosa di più.»
       «Sì, l’abbiamo visto, e quindi? Sai quanti pezzi di roccia cadono su Gaya ogni giorno. E spesso neanche li vediamo.»
       «Ma questo è proprio caduto sul serio: ha fatto un cratere di alcuni metri di diametro. Piccola cosa strana: non ha rilasciato frammenti in giro, come se fosse stato trafugato.»
       «Rubato? Ma che mi dici?»
       «Ne ho le prove. Magari chi l’ha preso aveva un qualche potere particolare che…»
       «Ah, ora mi ritorna in mente! Il nostro telescopio può persino riconoscere la componente magica di alcuni meteoriti che circondano il nostro pianeta. Ti spiego: Gaya è circondata da un anello di frammenti, più o meno grandi, di roccia e ghiaccio. Ogni tanto capita che uno di questi sfugga dalla fila e cade giù. E ultimamente ho notato che questa cosa succede spesso.»
       «Come se qualcuno controllasse il fenomeno?»
Il troll rimase stupito: per quanto sembrasse impossibile il fenomeno era troppo strano e ricorrente per escludere che fosse manovrato.      
       «Forse. Ma per farlo, un incantatore dovrebbe usare delle magie proibite.»
       «Magie proibite?» chiese Amarant.
       «Già, magie che sono state proibite perché o troppo pericolose per gli altri o per l’evocatore. Molti di questi si sono lasciati andare fino a morire per l’eccessiva ricerca di potere.»
       «A me sembra che questo cerchi altro. Ha un’ossessione per le persone che invocano gli spiriti.»
       «E come ha fatto a scoprire chi sa usarle?»
       «Ci vuole poco, alla nostra Eiko gli spiriti dell’invocazione prestano i poteri!» disse sprezzante Freija che non era ancora persuasa che la capacità della giovane sciamana fosse del tutto normale.  
         «Siete dunque sicuri che questo tipo voglia utilizzare gli spiriti dell’invocazione come fece Brahne?» chiese il troll.
       «Mi ha assalito un paio di volte, troppe per essere una coincidenza.» rispose Eiko   «E Freija, è stata un’idea di Amarant quella di utilizzare magie speciali per attirare l’attenzione. Sono sicura che il meteorite è stato controllato per cadere su Lindblum, in modo che attirasse anche la mia attenzione. Adesso posso passare alla seconda parte del piano: cercare uno di quei mostri strani che ci hanno attaccato l’altra volta e catturarne uno: voglio capire da chi sono stati così barbaramente…modificati.»
       «Non hai avuto molta remora nel disintegrarli. E a cosa ti servirebbero?» disse Freija.
      «A qualsiasi cosa riesca a farmi capire. E Almeno io riesco a fare qualcosa, “draghiera”: se non fosse stato per la mia magia, tu e Amarant a quest’ora sareste dei pezzi per quegli zombie. E poi a Lanì e a Flatrey che avreste detto? Che vi siete sacrificati perché non volevate che una vostra alleata usasse una magia un po’ rischiosa?» rispose rossa di rabbia Eiko avvicinandosi muso contro muso alla burmeciana, che ricambiò lo sguardo di sfida. Rokhan si mise fra le due nel tentativo di riportare la calma. La sciamana si girò bruscamente e si diresse verso l’uscita.
       «Dove vai?» chiese il troll.
       «A respirare un po’ d’aria di casa. Tutta questa scienza mi ha rotto le palle.»
Freija fece un verso di stizza e distolse lo sguardo.
 
 
 
Eiko si diresse verso l’unico posto che fosse in grado di calmare il suo stato d’animo, come in passato: la sua casa. Nessuno abitava più stabilmente a Madain Sairi, salvo gli operai che verso sera se ne andavano a casa loro. L’ambiente era esattamente come lo ricordava: grezzo, sabbioso e polveroso, impregnato dall’odor di salsedine. Era più di un anno che non passava un po’ di tempo lì, il luogo che per sei anni era stata casa sua. Com’era silenziosa senza i “kupò” dei suoi moguri! D’altronde molti di loro erano scappati dalle grandi città, dopo che molti maniaci erano ossessionati dall’averli come animali domestici. Erano arrivati persino a fondare una loro città, Mag Mogu, che altro non era la centrale del mogu-net.
Scese al piano di sotto, dov’era il ponteggio che collegava il villaggio al porticciolo dove Gidan aveva dedicato la poesia di Ipsen e Cornelia alla sua Garnet. Rimase per un po’ a rimirare il suo riflesso nell’acqua, e si stupì di quanto fosse cambiata: non era più Eiko Carol, la ragazzina di sei anni, fissata con la cucina, e con gli uomini più grandi di lei. Ormai era Eiko Fabool, la figlia adottiva dei reali di Lindblum, studiosa –scarsa– di politica e leggi, meccanica niente male, potente sciamana. Quanto si era impegnata per poter difendere lei sola coloro che amava, i suoi genitori, la città che l’aveva ospitata, e i suoi amici. E allora perché si preoccupavano della sua ricerca di potere? Per paura che ne sarebbe stata sopraffatta! Che sciocchezze!
Dopo essere rimasta per un po’ di tempo a studiare la sua immagine, uscì fuori dal villaggio e incominciò a camminare, fino a raggiungere un pezzo di terra cosparsa un po’ d’erba ancora verde. I profumi di salsedine e di sabbia si miscelavano con quello dell’erba fresca, creando una mistura mille volte migliore di un qualsiasi deodorante artificiale. Eiko si mise a sedere e cominciò a respirare a pieni polmoni, nel tentativo di riprendere la calma cercando contemporaneamente una maniera per ritornare dagli altri senza ricominciare a litigare. Ci rimase per dieci minuti, rimuginando su possibili frasi, ma nessuna di esse conteneva le parole “vi chiedo scusa”. Tre parole che difficilmente diceva. Si alzò e cominciò a camminare, pensando che le venisse l’illuminazione. Nulla. In un gesto di nervosismo si mise le mani nei capelli fino a tastare il suo secondo fiocco, quello di Mogu. Lo slacciò e lo prese in mano.
      «Mogu… anche te pensi che esagero con questa fissazione degli incantesimi?» disse sottovoce. Poi sentì dietro le sue spalle una voce che sicuramente non era quella dei suoi amici.
       «Penso che tu sia abbastanza grande da decidere da sola.»
Era l’uomo con la maschera di Antoleon. Eiko cominciò a caricare un incantesimo difensivo intorno alle mani con l’intento di saltargli addosso, ma il jenoma mise le mani avanti.
       «Non sono qui per questo. Se avessi voluto aggredirti lo avrei fatto mentre eri assorta nei tuoi pensieri.»
       «Cosa vuoi, bastardo? Vuoi terminare il lavoro lasciato in sospeso?» chiese Eiko rabbiosa.
       «Per carità. Tra poco potrò avere donne, e sottolineo adulte, molto più attraenti di te e di quelle della mia stessa razza.»
       «Razza? Che termine orrendo per definire un’etnia. I jenoma sopravvissuti sono tutti a Sortlibre, escluso Gidan, e tutti hanno la coda bionda.»
       «E chi ha mai detto di appartenere a quel branco di idioti?»
       «Ma se ti sei presentato come uno di loro!»
Eiko ricordava benissimo che prima di perdere i sensi, quel giorno in cui l’aveva bloccata su quella roccia, l’uomo si era presentato come Kuja.
       «Il corpo che ho è sì di un jenoma, ma sono qualcosa… di diverso ora.» e lo disse con una pienezza di se, che mai il fratello di Gidan avrebbe espresso verso la sua natura di recipiente per anime. Una volta terminata la frase si tolse la maschera, che Eiko notò solo ora era spezzata e incollata alla bell’e meglio.
       «Tu conosci questo viso vero?» chiese.
La giovane sciamana rimase scioccata: davanti a lui c’era una copia sbiadita di quell’orribile individuo che aveva seminato con i suoi inganni, morte e distruzione su tutta Gaya e che aveva distrutto gran parte di Tera. Però continuava ad avere in quegli occhi gialli uno sguardo che ricordava troppo qualcun altro.
       «Non guardarmi con i tuoi occhi reali. Guardami dentro.» chiese avvicinandosi.
Per quanto Eiko volesse allontanarsi da quell’essere che l’aveva ferita mortalmente, il suo corpo non rispondeva. Dentro il suo cuore sentiva che non gli avrebbe fatto nulla. Kuja si inginocchiò, e da persona più alta della ragazza, divenne poco più alto di un bambino.
       «Concentrati: è da quando ti ho vista che ho capito che sei l’unica a darmi la conferma che cerco. Solo tu puoi farlo.»
La sciamana lo guardò di nuovo e allora capì quanto fosse diverso dal fratello di Gidan: aveva il viso leggermente più rotondo, i capelli più setosi di quelli che sembravano piume del jenoma, la bocca che sembrava di sua natura incline al sorriso al contrario di Kuja.
       «La mia mente non appartiene al mio corpo, ecco perché è diverso da quello che ricordi. Non solo da quello di Kuja, ma anche da quello di…Vivi.»
Eiko venne soprafatta da una gioia incontenibile che non riuscì a contenere. Senza nemmeno accorgersene, abbracciò fortissimo colui che in quel momento per lei era semplicemente il suo adorato maghetto nero.
       «Sei tornato…sei tu… sei tornato…» disse con la voce rotta dall’emozione. Kuja rimase di stucco, non si immaginava né questa reazione né questa sensazione di puro calore che il corpo della ragazza gli infondeva.
       «Eiko… non devi. Io sono e non sono chi pensi che sia: sono un miscuglio sfatto di ricordi e carne morta. Se sono venuto qui è anche per avvertirti. In nome dei sentimenti che provavi per me…cioè, per Vivi.» disse l’uomo staccandosi dall’abbraccio «Fra poco tempo i maghi neri e gli jenoma adempieranno alla loro natura. Anche se questo potrebbe significare la fine per le civiltà di Gaya, non intervenire. Non hai idea delle forze a cui anderesti contro.»
       «Che vuoi dire?»
       «I maghi e gli jenoma sono dei tentativi falliti di raggiungere la razza perfetta. I primi sono scarti di anime, i secondi recipienti per quest’ultime. Riesci ad immaginare cosa succederebbe se venissero… riempite?»
       «Volete fondere i maghi con gli jenoma? Ma io credevo che quei tipi fossero recipienti per le anime di Tera!»
       «Le anime sono anime. Noi creature senzienti non siamo poi così diversi dagli animali.» disse l’uomo con sufficienza. Era pazzesco come un momento sembrasse così tanto Vivi con le sue timidezze e paure, e poi un altro ricordasse la boriosità e la sicurezza di Kuja. Sembravano davvero due anime messe in un corpo solo. Aspetta un’attimo…
       «Anche tu sei un risultato di una di queste fusioni?» chiese Eiko.
       «Forse.»
       «Come “forse”?»
       «L’unica cosa che so di me stesso è che sono il corpo dell’angelo della morte Kuja, che per una strana concatenazione di eventi è ritornato in vita. E ora so, che per qualche motivo i ricordi di Vivi Orunitia mi frenano e insieme mi spingono verso l’obbiettivo.»
       «È per questo che sei venuto a chiedermi di esaminarti? Per toglierti un dubbio personale, e non per vedere me a cui volevi bene?» fece indagatrice Eiko mettendosi le mani ai fianchi. L’uomo non rispose.
       «Come ti chiami?» chiese la ragazza sperando di coglierlo in castagna.
       «Goldenteeth mi chiama col mio vecchio nome. Cioè, solo uno, Kuja.»
       «E chi sarebbe Goldenteeth?»
       «La persona che ha rimesso in moto il corpo dell’angelo della morte. Anche se non sa spiegare esattamente perché abbia i ricordi di Vivi. È lui che vuole finalmente fare qualcosa per fermare la morte di entrambi gli jenoma e i maghi. Ma per fare questo occorre una grande quantità di energia, e a questo mondo non ce n’è moltissima. I semplici elementi e gli spiriti dell’invocazioni per quanto potenti, dispensano energia solo di un tipo, invece occorre un’energia… pura.»
Eiko non capì perché quella persona presentatasi come Kuja, che forse era anche un po’ il piccolo maghetto nero, gli stava raccontando tutte quelle cose che probabilmente dovevano rimanere segrete. Probabilmente lo stesso narcisismo che aveva portato il “fratello” di Gidan a spifferare tutti i suoi piani alla granduchessa Hilda sua madre, gli era rimasto insito in lui. Per questo tese le orecchie.
       «Dei maghi prescelti lavoreranno per creare l’elemento più potente mai esistito, e con la tecnologia jenoma costruiremmo un catalizzatore da inserire nel…»
E Kuja si fermò improvvisamente.
       «Catalizzatore? Allora è a questo che vi serve quel meteorite! Quindi i maghi neri sono in combutta con voi!» esclamò la granduchessina.
       «Combutta?!» sbottò di colpo «Cosa avete mai fatto voi per i maghi neri? Eh? I jenoma almeno li avete salvati dall’esplosione di Tera, ma dopo tutta quella moria fra i maghi, qualcosa potevate inventarvi no? Nessuno ha mai fatto niente, per anni.»
E detto questo si avvicinò perentorio.
       «Neanche dopo la morte di Vivi. I maghi neri si sono uniti a noi di loro spontanea volontà, sono d’accordo con noi. E anche i jenoma. Non sono ne forzati, ne obbligati.»
      «Non sono obbligati? Non sono forzati, dici! Stronzate!» rispose Eiko arrabbiandosi e affrontando di petto l’uomo più alto. «Che mi dici del povero Jack, eh?» e gli diede uno spintone che lo fece indietreggiare. «Del mago nero che hai ucciso così barbaramente, eh?» e lo spinse di nuovo. «Non hai pensato che era un tuo simile, bastardo?» e gli diede un terzo spintone, per poi fermarsi e riprendere fiato. Kuja rimaneva interdetto, ma si vedeva che non aveva gradito quella reazione.
       «Tu non sei nemmeno l’ombra di Vivi… come pensavo: mi hai raggiunta solo per toglierti un dubbio, ma per me non faresti nulla! Mi hai quasi uccisa nel nostro primo incontro!» continuò ad urlare.
       «Ah, e così che la pensi eh? Allora guarda qua!» rispose. E si avvicinò ad una velocità incredibile ad Eiko che non ebbe tempo di reagire. Invece di attaccarla, come si immaginava, le posò semplicemente la mano dove era abbastanza visibile la cicatrice che lo sperone di roccia le aveva causato sul fianco. Improvvisamente intorno ad essa comparve un disegno circolare, con scritte sconosciute che emanava una luce lampeggiante nera. Eiko si immobilizzò e sentì un forte dolore pervaderle ogni membra.
       «La vedi questa cicatrice? Quando quello spuntone di roccia ti colpì, pensai bene che potevi servire ai nostri scopi. Usai un incantesimo proibito per sottrarti alla morte, ma non come un volgare “Reiz”. Dentro di te c’è una infinitesima parte del potere oscuro della divinità della morte: Trivia in persona. Sarà battuto, ma un incantesimo proibito è il massimo per fare un patto.» disse con voce bassa e malvagia. Dal suo braccio si illuminò una luce rossa che entrò dentro la cicatrice e permeò il disegno. La sciamana spalancò gli occhi che cominciarono a diventare color del rame, i capelli a scurirsi, e l’abito diventare simile a quello di una strega. La stessa mutazione che la trasformò il giorno prima.
       «Hai già provato questa sensazione, vero?» continuò Kuja «Non è una vera e propria “Trance”. È una specie di effetto collaterale dell’incantesimo: non si attiva quando ricevi danni o per l’odio verso il nemico. Nasce dalla brama di potere. Ed ora ne hai più di quanto tu possa mai sognare.»
E la baciò. Così, come se fosse una cosa ovvia e diretta. Ne rimase stupito persino lui. Eiko, pensò che tutta la situazione fosse sbagliata: era vero che ultimamente la sua voglia di accrescere la sua forza era diventata un’ossessione per lei, che gli incantesimi che usava in combattimento non erano scritti in nessun libro di magia evocativa; era per questo che Kuja, ma sì ormai poteva chiamarlo così, la stava cercando perché sperava che la aiutasse ad ottenere il potere che serviva ai suoi scopi. “È tutto sbagliato, non posso lasciarmi andare. Non devo…” ma perché mai non farlo? Tutta la sua vita era stata controllata da altri, giudicata da persone più grandi e, diciamola tutta, più deboli di lei. Cosa potevano sapere della magia? Cosa ne sapevano della soddisfazione che si ha nel lasciarsi finalmente andare? I dubbi sparirono immediatamente. Non era più arrabbiata, sorrise anzi. Quell’uomo l’aveva resa libera. E lei l’avrebbe seguito per fare finalmente qualcosa per i maghi neri e gli jenoma. Basta chiacchiere. Basta ricordi di gente morta.
       «Le parole sono inutili! L’azione è tutto!» dichiarò Kuja quasi leggendole nel pensiero. Evocò da sottoterra il suo mezzo a forma di granchio e vi salì sopra. Eiko lo seguì. Con uno sbuffare sulla sabbia il piccolo idrovolante schizzò via. Amarant, Freija e Rokhan videro lo spettacolo poco lontano e rimasero impietriti. Capirono che la disgrazia che stava per accadere, era stata involontariamente anche colpa loro.
            
 
 
 
 
 
Sì, lo so, sono imperdonabile: è trascorso un casino di tempo da quando ho pubblicato l’ottavo capitolo è quest’ultimo è stato soggetto ad una grossa opera di perfezionamento e correzione, e forse ancora non mi soddisfa pienamente. Mi auguro che sia comprensibile e che chiarisca altri punti della storia. Vi avverto che non avendola ancora terminata gli aggiornamenti saranno molto distaccati e irregolari. Ultimamente, sto preparando altre pubblicazioni, di cui una su One Piece che ho già pubblicato, e una su full metal alchemist, quindi sapendo che con questo perderò molti lettori e recensori potenziali, vi saluto e vi aspetto alla prossima!
 
 
The Alex 

   
 
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